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La fisionomia dell’Alto Milanese esprime con chiarezza l’originario rapporto di mutua interdipendenza con Milano attraverso cui si è sviluppato e ha preso forma, organizzandosi in una configurazione caratterizzata dall’accostamento tra due forme di città. La convivenza tra la conurbazione densa lungo il Sempione, dove la produzione industriale ha strutturato spazi, economie e società, con i territori che si estendono verso il Ticino, in cui il rapporto invertito tra spazio costruito e inedificato offre ambiti di grande pregio ambientale, si rivela come fertile contesto della sperimentazione architettonica. (materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)
(Materiale protetto da copyright, vietata la riproduzione)
L’ambito dell’Alto Milanese definisce una porzione di territorio caratterizzata da un’ampia ed eterogenea varietà di configurazioni insediative. Non è un ambiente contraddistinto da un’omogeneità riconoscibile, come i suoi confini amministrativi vorrebbero esprimere, ma una sezione di territorio che ritaglia e intercetta diverse forme di urbanizzazione e di spazi aperti per morfologia, densità, scala, usi, economie e relazioni spaziali. Per questa ragione, si può considerare rappresentativa di molte delle condizioni spaziali che compongono la città metropolitana nel suo complesso e, di conseguenza, significativo è il suo approfondimento. Il posizionamento dell’Alto Milanese rispetto al nucleo compatto di Milano, da cui è separato dall’ambito del Nord Ovest, permette inoltre di percepirne l’autonomia, essenza più intrinseca e peculiare che lo connota. Privo di frange urbane che si fanno città diffusa, o di situazioni di cerniera tra il nucleo compatto milanese e i territori urbanizzati dispersi, la fisionomia dell’Alto Milanese esprime con chiarezza l’originario rapporto di mutua interdipendenza con Milano attraverso cui si è sviluppato e ha preso forma. Il centro milanese ne è stato a lungo uno dei mercati o, in qualche caso, vetrina urbana delle sedi amministrative o di rappresentanza di una produzione industriale storica che, sin dalla rivoluzione industriale, ha sfruttato le risorse presenti e ha determinato il loro rafforzamento. Risorse energetiche e ambientali, con l’Olona e il sistema delle acque derivante dal Ticino come il canale Villoresi e il Naviglio Grande; infrastrutturali, con la strada del Sempione e la ferrovia, che portavano le merci anche in Europa attraverso i trafori, a cui successivamente si aggiunge l’autostrada, la prima in Italia; agricole, con condizioni poderali che hanno avvantaggiato la coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi da seta, all’origine della grande manifattura tessile e dell’immenso indotto derivato da questa in tempi successivi. Condizioni premessa all’evoluzione di una sezione metropolitana dominata da figure insediative e relazioni spaziali che, anche se oggetto di estesi fenomeni espansivi quasi mai pianificati, ha mantenuto un assetto urbano coerente con le sue peculiarità.
Alla scala vasta è possibile interpretare l’ambito dell’Alto Milanese come l’accostamento tra due differenti forme di città. La conurbazione del Sempione, che occupa la fascia est dell’ambito dell’Alto Milanese compresa tra Nerviano e Legnano, si è sviluppata lungo il fascio infrastrutturale parallelo della mobilità su strada e ferro, definendo un continuum urbano stratificatosi in un tempo lungo e caratterizzato da una densità media intercalata, con improvvisi salti di scala, dalle estese superfici della produzione industriale attiva o dismessa. Gli spazi aperti sono di natura residuale, stanze intercluse nell’urbanizzato o filamenti di spazio inedificato soprattutto lungo l’Olona e oggi messe a sistema in una sequenza di parchi urbani.
Le frange dell’urbanizzazione del Sempione si protendono come dita verso la seconda città che si estende in direzione del corso del Ticino e del Parco che lo costeggia: una forma insediativa opposta alla precedente, dove lo spazio aperto è figura prevalente per quantità e trama strutturante. Gli insediamenti urbanizzati sono organizzati secondo uno schema insediativo reticolare, dove attorno ai centri storici la crescita è avvenuta in modo concentrico seguendo l’ampia partizione agricola. I collegamenti tra i circoscritti centri urbani creano nel complesso una maglia a grandi quadre regolari dove si insinua il sistema delle acque che qui, ancora entro i confini della pianura asciutta, innerva comunque in modo significativo il territorio vasto. A differenza della conurbazione del Sempione, la città a trama reticolare ha ancora tutti i suoi elementi costitutivi chiaramente leggibili, condizione dovuta anche alla decisione di istituire una rete di parchi che, oltre a difendere una qualità ambientale di grande valore, ha scongiurato fenomeni di saldatura casuale tra i centri urbanizzati.
Comuni alle due città sono i materiali costitutivi, i tessuti residenziali, gli spazi aperti e le acque, le piastre della produzione e le reti infrastrutturali, ma profondamente differente è la loro densità compositiva, il grado di frammistione, la scala a cui si esprimono, le aggregazioni dei vari materiali urbani dove sono soprattutto le relazioni tra gli elementi che si declinano in modo dissimile. La scelta delle architetture e dei manufatti per descrivere i caratteri dell’Alto Milanese e questa sua natura di doppia città, ha privilegiato letture incentrate su alcune famiglie di spazi che, più di altre, fossero in grado di evidenziarne le peculiarità e la contemporaneità.
La frammentazione e la mixité vengono affrontate attraverso tre architetture alla scala della quotidianità risalenti tra la fine degli anni ’50 e il ‘70: villa Terenzio Belloli di Mario Galvagni, l’ex Municipio di Turbigo di Angelo Mira Bonomi e la Chiesa della Madonna della Neve a Rescaldina di Vico Magistretti. L’intenzione non è quella di una ricostruzione storica, piuttosto di evidenziare il valore delle sperimentazioni architettoniche alla scala del paesaggio domestico diffuso e dell’arricchimento che ciò rappresenta nella grammatica prevalente degli spazi urbani a bassa densità.
L’incursione nelle piastre produttive approfondisce due insediamenti di natura profondamente diversa, soprattutto come capacità relazionale tra architettura e suolo, e come risposta progettuale alla definizione di un ambito tipologico: il campus biomedico di Nerviano di NMS Group progettato da Dante Benini in tempi diversi e l’edificio di AB Medica di Giuseppe Tortato a Cerro Maggiore. Entrambi, con differenti esiti, sono esempio di forme di passaggio dalla città-fabbrica alla piastra tecnologica.
Il tema del recupero degli spazi dismessi in una conurbazione in cui il ruolo dell’industria è stato decisivo appare cruciale per la comprensione delle trasformazioni a cui sono soggetti questi territori. Le due operazioni di riuso prese in esame esprimono un atteggiamento che mostra interessanti cambiamenti. La riconversione a cura dello Studio Macola dell’ex-Cantoni a Legnano in chiave prevalentemente commerciale ha avuto molti meriti, come la ricucitura di una profonda cesura urbana, ed è espressione però di un approccio monotematico e privatizzante che, in tempi recenti, viene affiancato anche da strategie più pubbliche, come il recupero in parte dell’edificio ex-Rede a Parabiago progettato da DAP Studio a scopo prettamente civico e al servizio dei cittadini.
Gli spazi aperti dell’Alto Milanese propongono due fisionomie differenti di luoghi non edificati: residuale, nella conurbazione del Sempione, strutturante, nell’ambiente reticolare verso il Ticino. Entro queste due configurazioni, ogni spazio aperto ha caratteristiche prevalenti che lo distinguono: agricole, naturalistiche, miste, oltre a quelle di tipo insediativo. Molti di questi spazi sono stati oggetto nei decenni recenti di politiche di difesa tese a costruire ambiti inedificati il più possibile continui, permeabili, tematizzati e messi a sistema tra loro, contribuendo alla definizione di un paesaggio complessivo di altissima qualità e che si pone come risorsa per l’intera area metropolitana milanese.
Il sistema delle acque in questi territori si articola con una doppia valenza: una di natura produttiva di supporto all’industria, all’energia e all’agricoltura, ed una naturalistica, con la presenza del grande parco fluviale del Ticino, della rete dei percorsi lenti lungo il canale Villoresi e il Naviglio Grande con le sue sponde fruibili. A ciò si aggiunge il fitto reticolo irriguo dei canali per le coltivazioni che contribuisce alla definizione di un paesaggio estremamente vibrante e vitale. Le costruzioni che contengono le turbine per la produzione di energia dalla forza dell’acqua sono architetture possenti, rigorose e anche misteriose. A testimonianza di ciò, la Centrale Idroelettrica Castelli e la Centrale Termoelettrica gestita dall’Iren, entrambe localizzate a Turbigo lungo il Naviglio Grande, appaiono come landmark inseriti in un paesaggio lineare quieto che si snoda lungo l’acqua composto dalla sequenza di piccoli centri storici, ex cascine, ville antiche, ponti in pietra, tracciati pedonali a bordo argine. Dei due manufatti è apparso utile metterne in evidenza proprio la differenza di scala con il contesto insieme al sorprendente contrasto che ciò genera nel lento fluire del paesaggio delle acque.
Martina Orsini, Architetto e PhD in Urbanistica
1. Centrale Termoelettrica Iren - 2. Villa Terenzio Belloli, interni - 3. Ex Municipio di Turbigo, interni - 4. Chiesa della Madonna della Neve, dettaglio interni