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Recupero del moderno: che fare?

Dal 25.05.2011 al 25.06.2011

Trasformazione, adeguamento o conservazione? Presso il nostro Ordine Giovedì 19 Maggio 2011, si è svolto un primo incontro dedicato allo spinoso tema, di cui vi proponiamo un resoconto

Breve video intervista ad alcuni relatori partecipanti al convegno, realizzato da Floornature.

Di seguito la sintesi delle varie relazioni presentate e in fondo all'articolo le immagini con cui i vari autori hanno illustrato il loro intervento


Nel rapido excursus compiuto dal Presidente Daniela Volpi sulla storia recente della città europea, a presentazione del convegno organizzato dall’Ordine dedicato allo spinoso tema dell'adeguamento del patrimonio dell'architettura moderna e del paesaggio urbano intorno ad essa - tra tutela di valori Architettonici e riqualificazione funzionale - vi è a mio avviso tutta l’espressione della complessità del tema.
A partire dalle radicali operazioni haussmanniane, attraverso i piani modernisti del ‘900 fino alle proposte odierne di demolire quanto appena realizzato, come accaduto per l’Ara Pacis di Meier a Roma, si legge una trasformazione profonda dell’agire progettuale sull’esistente.
Oggi la Storia, ovvero la conoscenza della morfologia e la cognizione della salvaguardia, in continuità col divenire del moderno, non deve essere un fardello ma stimolo al fare, poiché conservare è conoscere.
Daniela Volpi conclude dunque con la domanda sottesa ai successivi interventi: quale atteggiamento dobbiamo avere verso l’architettura moderna: si deve adeguare, conservare o trasformare?

Roberto Lugaresi, del gruppo Oikos, ringrazia e racconta la cultura del colore della sua azienda, per cui emblematico oggi non parlare di pittura ma di materia, dove la superficie dipinta diventa esperienza emozionale, valore aggiunto dell’opera.

Vito Redaelli, coordinatore di questa prima parte della serata, dedicata alla prospettiva metodologica del tema, sottolinea come la condizione della città europea viva di fatto sul secolare conflitto tra conservazione e trasformazione, a differenza della città di cultura anglosassone.

Maurizio Boriani, docente di Restauro urbano al Politecnico di Milano, che si occupa di tutela, conservazione e recupero del patrimonio architettonico e del paesaggio, imposta il suo discorso dal punto di vista della materia e non stilistico, tecnico piuttosto che storiografico. In questa prospettiva la definizione di Moderno è stringente: dicesi di manufatto realizzato con materiali innovativi, o con impiego innovativo di materiali tradizionali.
Ne discende una prima questione, ovvero la quantità di patrimonio in gioco. Fino ai 150 anni di storia, il filtro è compiuto dagli eventi. Ma sul Moderno, la difficoltà di selezione si fa sempre più difficile quanto più ci si avvicina al presente.
Gli edifici del Weissenhof, per esempio, non si distinguono immediatamente dagli edifici circostanti.
La difficoltà di selezione si lega proprio alla sua qualità intrinsecamente moderna, che lo fa confondere con il contemporaneo, magari poi di infima qualità.
Un altro esempio: il degrado del Bauhaus di Dessau nel dopoguerra, prima di essere oggetto di restauro, non può essere messo a confronto con il degrado del castello di Heidelberg. A dire che l’architettura moderna invecchia male, ovvero che il rudere moderno rispetto all’antico ha ben poco di romantico.
Oppure non reggono le trasformazioni puntuali, come ad esempio l’avvento dei serramenti a taglio termico. O l’alluminio. Al QT8, nelle case dei reduci, aggiunte e sostituzioni prevalgono sul conservato, snaturando le proporzioni originarie.
Per lavorare su queste questioni afferma, secondo Boriani è necessaria:
- adeguata formazione, non solo riguardo i caratteri stilistici ma anche tecnologici della conservazione;
- divulgazione del problema;
- tutela straordinaria: censimento dei luoghi di impronta significativa;
- linee guida per una metodologia di intervento condiviso.

Victor Perez Escolano, ci parla dell’intenso lavoro compiuto del Registro Andaluz de Arquitectura Contemporanea (RACC)  entrando nel merito dell’approccio metodologico, di cui sottolinea 3 aspetti che rendono questo lavoro efficace:
- aver riunito in un unico ufficio lo studio di tutta la regione iberica andalusa, con la costruzione di un registro unico delle opere significative;
- quindi, il fatto di essere progetto ove l’Ordine professionale degli architetti, la cui Banca patrocina le diverse istituzioni, ha conservato un ruolo attivo;
- infine per il circolo virtuoso che il RACC ha stabilito con gli strumenti di programmazione urbanistica nelle diverse scale.
Racconta, a titolo di esempio, il caso proprio dell’Istitut Andaluz del Patrimonio Historico che è andato recuperando parte di un edificio a Siviglia significativo per la sua stratificazione storica nel sito della Expo 1992. Un’antica certosa poi industria oggi scuola, suddiviso poi da Vazquez Consuegra in diverse istituzioni.
Illustra i temi, le specificità del metodo utilizzato per il RACC messe a punto per cogliere le specificità del territorio Andaluso: sulle città di fondazione, le opere pubbliche, il patrimonio industriale, l’architettura popolare, i monumenti e le architetture di autore del ‘900. Ogni realtà territoriale dovrebbe mettere a punto una propria metodologia specifica in base alle qualità e ai valori esistenti.
Sottolinea come differenti tipi di azioni, anche di vincolo, possano essere scelte, sempre però nella logica di fare vivere gli edifici. Propone chiavi di lettura su come metodologicamente si possono analizzare esempi classici, come la villa Savoye, che dallo stato di abbandono in cui versava, venne recuperata grazie ad una iniziativa del MoMa. La stessa villa La Roche, oggi sede della Fondazione Le Corbusier, è stata oggetto di radicali restauri.
Altro tema ancora le copie di monumenti moderni, come il Padiglione dell’Esprit nuveau del ’25 realizzato a Bologna o il padiglione di Mies a Barcellona.
Infine accenna alla esperienza del Docomomo iberico che ha visto la Spagna collaborare con il Portogallo mettendo a punto un formato non solo accademico, come solitamente accade in Europa, bensì anche con un approccio plurimo, anche sulla esperienza degli ordini professionali.

Matteo Mai, Architetto, propone la lettura di un brano del contesto urbano milanese per dimostrare come, attraverso modifiche apparentemente minori, di fatto si creino squilibri difficilmente riparabili.
Milano, piazza Caiazzo. Attraverso il montaggio delle foto delle quinte architettoniche che incorniciano il piazzale, mostra come i diversi interventi di recupero dei sottotetti degli edifici ‘minori’, tolgano equilibrio al contesto più complessivo, in cui emergono il palazzo Montedoria di Giò Ponti piuttosto che l’edificio in laterizio di Muzio sul lato opposto.
Insomma, conoscenza, esperienza, sensibilità sono le principali risorse attraverso cui compiere le giuste scelte.

La dottoressa Luisa Pedrazzini della Regione Lombardia ha quindi illustrato alcuni aspetti del nuovo Piano Territoriale Regionale, in cui si è posta particolare attenzione riguardo l’integrazione di paesaggio e territorio. Paesaggio come valore diffuso, valorizzato con interventi puntuali di riqualificazione, in cui particolare attenzione viene posta riguardo le linee verdi di attraversamento della morfologia urbana, cosa che pare trovare qualche difficoltà di interazione con il PGT di Milano in cui, afferma, il paesaggio appare poco.

La dottoressa Francesca Valan, progettista del colore, ci racconta come nei cicli di produzione industriale , ad esempio delle autovetture, il piano del colore sia essenziale nella definizione dell’identità dell’oggetto.
Propone una distinzione d’uso tra colore iconico –il rosso della Ferrari, per esempio- e sintattico –lo stesso colore su una Panda non appare esclusivo-.
Nella città, afferma, prevale non tanto il colore in sè, quanto la relazione con l’edificio ed il suo contesto, storico e moderno. Negli interni invece vi è viceversa una esplosione di colori.
Chiude mostrando il suo lavoro su alcuni edifici dello studio Ruatti a Lambrate, in cui il colore viene utilizzato proprio in questa logica, negli interni diventa segno di vivacità, come a palazzo Belgioioso era segno di ricchezza.

L’architetto Alberto Artioli, Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Comune di Milano, fornisce un elenco, ragionato, sulle architetture del ‘900 vincolate dalla Soprintendenza.
Descrive la sua esperienza comasca per il Palazzo del Fascio di Terragni. Nel ’56 vi era stata una richiesta di demolizione e cessione dalla proprietà pubblica. Il vincolo venne apposto facendo appello sia al diritto d’autore, che attraverso il vincolo sull’area di rispetto del limitrofo Duomo.
Scorre così un ampio repertorio degli edifici del razionalismo comasco in cui il vincolo ha salvato le sorti degli edifici. Non ultimi alcuni edifici milanesi, il Pirellone, il Palazzo del Toro in piazza San Babila, il garage Traversi, il cui vincolo non ha impedito che fosse organizzato un concorso di architettura per la sua trasformazione nella conservazione poi vinto da Benedetta Tagliabue. E via fino ai più recenti, quali le 2 fermate MM1 di Caiazzo e Amendola Fiera del gruppo Albini Noorda, il quartiere residenziale IACP a Bollate di Canella, l’istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò, e apprendiamo infine anche la Casa al Parco di Gardella e la Torre Velasca dei BBPR, procedure queste in fase di perfezionamento.

Chiude la prima sessione l’avvocato prof. Adriano Vanzetti, docente di diritto industriale alla Università Cattolica e tra i massimi conoscitori del diritto d’autore. Una branca del diritto privato, afferma, che nulla ha a che fare con la pianificazione e la regolamentazione.
In generale la legge italiana tutela le opere di ingegno creativo, mettendo al fianco della musica, e della pittura, l’architettura. Pur dovendosi districare nella aleatoria definizione del carattere creativo del bene.


La seconda sessione propone una panoramica di pratiche e interventi che, come spiega Paolo Mazzoleni, permettano di formulare ipotesi su come controllare le trasformazioni, anche attraverso casi virtuosi e in contesti molto diversi tra loro.

Aldo Castellano, docente di storia al Politecnico di Milano e membro della Commissione del Paesaggio di Milano, per introdurre il rapporto tra conservazione/trasformazione la prende piuttosto da lontano. Cratilo: panta rei, tutto scorre. Eraclito, suo maestro, aggiungeva che tutto scorre per relazione tra gli opposti, che lottano in superficie ma che nel profondo sono unità. È il tempo, a legarli.
Per quanto riguarda l’opera architettonica, L.B. Alberti la descrive come un essere vivente, che nasce e muore, così come i valori e le idee.
Anche l’intervento di conservazione è un progetto di architettura, al pari del progetto di trasformazione.
Propone quindi di tornare ad un approccio eugenetico all’architettura, ovvero sostituire nei limiti –una mediazione- con i limiti –unitarietà, ovvero esistente funzionale al nuovo. Per concludere ancora con L.B. Alberti: mantenersi fedeli alle intenzioni degli autori, maturate nel progetto. Del resto lo sapevano bene gli antichi, costretti dalla Storia a mettere mano a chi li aveva preceduti nello sviluppo delle grandi opere, come ad esempio San Pietro o il Duomo di Milano.

Elena Avon racconta invece l’avventura da lei vissuta nel cercare di salvare il lavoro del padre, Gianni Avon, a Grado, ovvero il Palazzo dei Congressi, progettato con Marco Zanuso, e le terme, che contengono un mosaico disegnato da Giuseppe Zigaina.
Un percorso legato alla approssimazione e interesse che ha inserito l’area su cui insistono i due edifici in un project financing per una nuova spa vista mare.

Matilde Baffa e Vincenzo Montaldo espongono il caso di Quarto Cagnino a Milano, esperienza di edilizia economica popolare della metà degli anni ’60, 1.100 alloggi per 5.000 abitanti, di cui anche in altra occasione abbiamo parlato. Un brano di città, disegnato proprio come margine urbano in una zona allora sfrangiata, in cui non vi fosse un interno ed un esterno, ma uno scenario poroso di memoria corbusieriana.
Proprio questo disegno, costruito sulle grandi quinte che lo compongono,  impone l’unitarietà del trattamento in lunghezza e l’opacità delle superfici, allora ottenute con un particolare trattamento dell’intonaco.
Principi che la ristrutturazione in corso, che vede l’introduzione di un cappotto di coibentazione esterno, oltre che la colorazione a porzioni verticali accostate tra giallo e azzurro, mal si conciliano col disegno originario.
Per questo hanno chiesto una presa di posizione dell’Ordine.

Massimo Fortis, direttore del Dipartimento di Progettazione del Politecnico Bovisa, entra nel merito del difficile restauro dell’Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò. Edificio del ’57, che ebbe da subito grande fortuna critica internazionale, versa in uno stato di abbandono al limite del salvataggio dell’opera.
Il progetto di recupero nell’autunno del 2007 coglie l’occasione di un bando di finanziamento dedicato alla residenza universitaria, affiancando Politecnico, Comune, Fondazione Cariplo, Coop. servizi. Delle diverse destinazioni possibili per il suo riutilizzo, data la particolarità dello spazio interno dell’istituto, la cui soluzione ottimale sarebbe stato trasformarlo in college, o anche in ostello, è comunque compatibile. Il disegno organico, wrightiano, si estende su oltre 10.000mq di slp, ed è caratterizzato da una struttura in cemento armato a vista di estrema leggerezza, causa dei significativi danni subiti nel tempo.
Il quesito di fondo è stato: conservare l’architettura o la materia originaria?
I conservatori puri, di scuola tipicamente italiana, vogliono mantenere la patina del tempo, fino ad un grado piuttosto integralista di conservazione, fin dei vizi costruttivi. All’estero prevale un altro principio, ovvero non rispettare la materialità ma il senso dell’edificio.
Prevale la ragion pratica insomma, e nella descrizione del lavoro di recupero mostrato è chiaro lo sforzo in questa direzione, fin nel disegno dei serramenti, parte significativa dell’intervento, in cui la mediazione tra abitabilità e ferro finestra originario si è risolta nell’adottare un profilo di produzione minimo ma con taglio termico.
Conclude raccomandando un uso etico del denaro rispetto al restauro talebano-conservativo, considerato che 19 milioni per 10.000mq di slp, sono davvero tanti.

Altro tema forte nel recupero è l’addizione, l’ampliamento. Ce ne parla Cino Zucchi attraverso le immagini del progetto, recentemente inaugurato, del Museo dell’Automobile a Torino, frutto di un concorso vinto nel 2005.
Intervento su un edificio modernista del ’61 non vincolato, opera dell’arch. Amedeo Albertini, in cui il progetto avvolge con una nuova pelle l’edificio esistente, recuperando alcuni spazi non utilizzati e le corti esterne, per complessivi 19.000mq. Un'opera di grande impatto, in cui la nuova pelle lascia trasparire la funzione e insieme permette di ribaltare lo sviluppo del museo, creando nuovi spazi sia espositivi che ricettivi.
Allarga il ragionamento sul Moderno mostrando alcune immagini di Chandigarh, in cui l’impianto lecorbusieriano regge pur anche fra mille orpelli che lo aggrediscono –dagli impianti di condizionamento fai-da-te ai mobili, alle barriere in filo spinato che dividono la piazza.
In architettura, conclude, l’autodisciplina si sa, giusto o sbagliato che sia, non esiste.

Conclude la cospicua lista degli interventi Stefano Guidarini, ricercatore del Politecnico Bovisa, già estensore di una delle migliori monografie dedicate all'opera di Ignazio Gardella.
La durata è determinante nella cultura mediterranea, dove il tempio è in pietra. In altre tradizioni, nordiche o orientali, gli edifici sono concepiti con un ciclo di vita diverso.
La favola dei 3 porcellini, di tradizione inglese, è emblematica. Nella città europea la stratificazione è un valore, nella città americana la costruzione invece dura 30/40 anni.
Propone quindi alcuni esempi milanesi:
- le case al quartiere Mangiagalli di Gardella e Albini, colorate con alternanza di azzurro e rosa, contro il bianco originale;
- Gallaratese: il confronto tra i due edifici di Ajmonino e Rossi, in cui traspare un diverso rapporto con la durata;
- la mensa Pirelli a Bicocca di Minoletti, demolita da Gregotti, invitato purtroppo assente, per far posto agli interventi da lui progettati.
- la ricostruzione del PAC ad opera dello stesso Gardella, autore originario, che afferma approfittare per riparare agli errori precedenti.
- la Casa al Parco, sempre di Gardella, del ’47, esempio cruciale di apertura al moderno del centro storico, la cui notizia del soprintendente di vincolo imminente rincuora molti.

“Capire le intenzioni prime” diceva Leonardo lavorando sul tiburio del Duomo. In architettura il tema è fondamentale, e quando non si capisce quale sia il soggetto, è per la mancanza di questo.

Le conclusioni al Presidente, Daniela Volpi. Annuncia che questo è il primo incontro di un ciclo, vi sono infatti troppe cose da dire.
Propone di insegnare l’architettura nelle scuole elementari, come l’educazione: insegnare l’architettura per insegnare il rispetto. L’Ordine degli Architetti lo fa, ricorda, portando a spasso per la città le famiglie milanesi, con gli Itinerari di Architettura.


Francesco de Agostini

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