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Il design in metropolitana un'occasione (quasi) persa

Dal 19.03.2009 al 19.03.2010

Il «rifacimento» o più propriamente «atto vandalico» della metropolitana milanese la centro dell'attenzione in due ritagli. Il Corriere della sera del 19/3/09 e Abitare di Marzo

Caro Schiavi, scrivo a proposito della triste vicenda della Metropolitana Milanese e dell'allestimento di Albini-Helg (Piva) con Noorda oggetto di «restyling» (non sopporto questo termine), «rifacimento», «ristrutturazione» o più propriamente «atto vandalico» senza che nessuno prenda una posizione concreta, a parte coloro che sono riusciti a tutelare le due stazioni Amendola Fiera (MM1) e Caiazzo (MM2). Mi schiero con Italo Lupi, Federico Tranfa e Mario Piazza, autorevoli portavoce su questo delicato tema; avverto comunque la mancanza di altri illustri colleghi. Non sono ancorato a nostalgie del passato; sono consapevole che dopo più di quaranta anni di totale incuria si debba intervenire su questo «non luogo» così importante da essere vissuto, seppur obbligatoriamente, da migliaia di persone ogni giorno. Ma come? Franca Helg sosteneva che nel fare progettuale vi sono più dubbi che certezze: da questo importante insegnamento, a mio avviso, gli autori-artefici-progettisti contemporanei avrebbero dovuto iniziare quantomeno a riflettere prima di agire. Ormai «il dado è tratto» (quasi non ci credo) e vien proprio da citare Dante, (Inferno, III) rivolgendosi a coloro che hanno potere, gestiscono la cosa pubblica e ne sono responsabili.

Daniele Mariconti

[...]«Questi non hanno speranza di morte, e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.

Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

Caro Mariconti,

questa dei rifacimenti in corso nelle stazioni della metropolitana è una questione che in alti tempi avrebbe dato una scossa adrenalinica alla Milano del design. Ne abbiamo parlato a proposito di Garibaldi, per l'errore nella dicitura della fermata, e per Lanza, con i mosaici una tantum: poi è scesa in campo «Striscia la notizia» e Carlo Bertelli ha chiesto un timeout. Il fatto strano dell'intervento è la sua frammentazione e il mancato coinvolgimento da parte di Atm di Bob Noorda che quella segnaletica l'aveva ideata. Il grafico che per questo ricevette il Compasso d'oro (poi ha fatto la segnaletica del metrò di New York) aveva a suo tempo suggerito una serie di accorgimenti: non sono stati rispettati. Non siamo nostalgici, ma Parigi, i suoi segni estetici sui metrò, se li coccola e li mantiene. Perché da noi non è così?

gschiavi@rcs.it

Da Abitare di Marzo

Per lanciare una discussione sul riuso dell’architettura moderna, invitiamo i lettori a partecipare in rete con immagini e denunce di altri esempi.


Le considerazioni di Italo Lupi e Federico Tranfa e il commento di Mario Piazza sugli interventi di adeguamento della MM1 mettono sul tavolo il problema del riuso dell’architettura moderna. A cura di Maria Giulia Zunino.

Per partecipare potete commentare alla fine dell’articolo o inviarci immagini e testi a web@abitare.rcs.it

Italo Lupi e Fedrico Tranfa: “Un giorno accade che i vertici dell’azienda dei trasporti di Milano decidano, nel silenzio, di “migliorare” l’aspetto delle stazioni della MM1 (e, successivamente, della MM2) della metropolitana. Questo aggiornamento, che ha incluso la modifica della segnaletica, è stato ufficialmente motivato dalla necessità di un adeguamento normativo delle strutture e dal poco successo che, secondo l’azienda, i materiali e i colori originali delle stazioni riscuotevano presso i viaggiatori. Ciò che si vorrebbe far passare per manutenzione è invece cancellazione di uno dei più significativi progetti della “Milano moderna”: la metropolitana di Franco Albini, maestro dell’architettura del secolo scorso. Capita tutto agli inizi degli anni Sessanta, quando Giuseppe Ciribini, professore cibernetico incaricato della gestione complessiva della prima linea sotterranea, sceglie, con intelligenza e coraggio, di affidare la progettazione allo Studio Albini/Helg/Piva e incaricare Bob Noorda/Unimark International di disegnare segnaletica e immagine. Inaugurata nel 1964, la metropolitana di Milano fu immediatamente considerata un progetto modello nel quale ingegneria, architettura e comunicazione visiva si combinavano ai più alti livelli: la gomma nera “a bolli”, le panchine arrotondate di serizzo grigio, i pannelli di pietra artificiale (silipol) e, sullo sfondo delle pareti marrone scuro, la straordinaria geometria del corrimano arancio. Celeberrimo anche il progetto grafico di Bob Noorda, i caratteri bianchi calibratissimi su sfondo rosso/arancio, la segnaletica, i diagrammi con il percorso dei treni. Per sottolinearne il successo, basti dire che, pochi anni dopo, la metropolitana di New York e di San Paolo si rifecero a questo modello, e a questi progettisti, per progettare la nuova segnaletica. Accade dunque a Milano, quarant’anni dopo l’inaugurazione, che le stazioni della MM1 vengano prima timidamente alterate, poi pesantemente modificate, quindi, negli ultimi due anni, sistematicamente cancellate. Stazione dopo stazione, prima i pannelli grafici e la segnaletica, poi i pavimenti, i muri tristemente e malamente ridipinti di un colore che ricorda le vecchie sale d’aspetto delle ferrovie, il colore dei treni. L’imbiancatura delle pareti, pessima per colore e tecnica, al di là di ogni considerazione estetica, stravolge quello che fu un vero colpo di genio di Albini: annullare attraverso l’uso di un tono quasi nero la geometria delle stazioni che – contrariamente a quel che si crede – erano state progettate in precedenza e non in collaborazione con lui.
Parallelamente, la pubblicità rompe gli argini nei quali è stata confinata, conquista ogni parete, diventa sonora, invadente, insopportabile, si appiccica sui treni, urla dagli altoparlanti. Ci diranno che è per tenere il prezzo dei biglietti più basso, per venire incontro alla cittadinanza. Dopo i primi interventi di modifica, viene pubblicato qualche articolo che invita a osservare con più attenzione ciò che si sta perdendo. Prima sulle riviste specializzate (Abitare, Domus) poi sui quotidiani (La Repubblica). L’argomento non è così popolare. I vertici dell’Azienda Trasporti Milanesi dichiarano che le stazioni sono buie, i colori fanno tristezza, vanno tolti di mezzo. Sia fatta luce! Probabilmente la pubblicità non si vede abbastanza e gli inserzionisti protestano. Inaspettatamente le rimostranze di alcuni architetti e cittadini avveduti provocano una reazione: l’amministrazione annuncia (salomonicamente) di aver messo un vincolo di rispetto su due stazioni, una della MM1 – Amendola – e l’altra della MM2 – Caiazzo. La scelta è curiosa, al limite dell’incomprensibile dal momento che, per ragioni diverse, nessuna della due può essere considerata un progetto tipo. In particolare Amendola, o meglio Amendola Fiera, nata per essere la “porta” d’accesso alla Fiera Campionaria di Milano: una stazione ampia e illuminata zenitalmente dai lucernari disegnati da Arrigo Arrighetti, all’epoca progettista (degnissimo si badi) del Comune di Milano. La stazione di Caiazzo, poi, appartiene alla MM2, di molto minor valore, più povera, meno coerente, non così necessaria di protezione. A tale proposito, occorre aggiungere che proprio la MM2 è oggetto di un maquillage che ha, se non altro, il pregio di essere affrontato attraverso il contributo progettuale di professionisti esterni e con maggiori ambizioni e disponibilità di risorse. Viene comunque il dubbio che nessuno dentro l’amministrazione si sia preventivamente informato, che non vi sia la percezione esatta del danno irreparabile che si sta causando al patrimonio della città. Un progetto amato dagli architetti di tutto il mondo rimarrà solo nella memoria delle persone, nelle fotografie o come isolata campionatura archeologica. Stupisce e addolora che la scomparsa della metropolitana albiniana stia avvenendo nel silenzio della comunità progettante cittadina, che nessuno stilista, designer o architetto di peso si sia apertamente schierato a difesa dell’irreparabile. È una rassegnazione che non piace, non foss’altro perché tutta questa vasta comunità ancora vive della rendita proveniente da quegli anni, durante i quali la nostra città era un luogo speciale in grado di orientare il gusto e la cultura. Naturalmente si è liberi di pensare che tutto sommato esistano problemi più gravi, che l’economia non è in salute e che la città avrebbe bisogno di trasporti pubblici migliori, non di stazioni più belle. Eppure capita che, attraversando i mezzanini della metropolitana piastrellati di nuovo e volgarmente riverniciati, non si riesca a trattenere il rimpianto per un segno che raccontava l’essenza di questa città, assai meglio di un ufficio stampa o di un sito Internet”.

Mario Piazza: “Il restyling delle stazioni della Metropolitana Milanese muove da intenzionalità diametralmente opposte al progetto di Albini, Helg, Noorda. È il segno dei tempi. I luoghi pubblici (aeroporti, stazioni) diventano sempre più luogo di incontro, intrattenimento e consumo. C’è quindi un grande desiderio di adeguarsi a questi standard di spettacolarizzazione anche a scapito delle necessità funzionali del trasporto urbano. Bisogna allora rifuggire dalla spirituale ombrosità della sotterranea e affrancarsi a una luce “eterna”, anche se totalmente artificiale. Tutto ciò è un processo complesso, che il muro di una salda “resistenza” alle ragioni del progetto originale non riuscirà mai a fermare, o almeno a sospendere, e riportare su un binario di contrattazione. La difesa del moderno è un problema lontano, in una società dove i valori dell’antico sono sotto le scarpe di un marketing “schiacciasassi” e di un pulviscolo commerciale interstiziale. Purtroppo poco servono le anticipatorie osservazioni di Pier Carlo Santini “sull’eccezionalità, almeno per l’Italia, dell’intervento di uno specialista in una materia che poteva essere affidata alle responsabilità di un qualsiasi ufficio tecnico, con conseguenze per il risultato estetico e funzionale facilmente prevedibili”. In effetti i progetti di restyling non sono altro che il virulento assalto a quel modello autorevole, molto lombardo, austero e pragmatico, laico e coinvolgente (i milanesi hanno partecipato direttamente al sostegno economico dell’opera). Albini, Helg e Noorda hanno solo dato un volto perfetto a questa razionalità collettiva, una delle poche figurazioni positive del progresso, della maturità capitalistica. L’efficienza per una mobilità di massa governata da una austerità benedettina. È questa la forza del progetto sistematico di arredo e segnaletica della metropolitana milanese. Oggi tutto ciò è lontano mille miglia, e anche in tutti questi anni di crescita del sistema di mobilità metropolitana le contaminazioni, le manomissioni, le mortificazioni di questo modello sono state continue. Ma la forza di un progetto profondo ha preservato in parte gli statuti originari. Ora la miopia delle pratiche di tutti i giorni diventa la fedele compagna degli attuali progetti, dell’alterazione della “notte col giorno”, delle lucidature e delle bianche pavimentazioni, dell’indistinto dei consumi contro la riservatezza di un progetto, tutto fede funzionale e raziocinante. E quanto sono devastanti queste procedure. In esse c’è solo la preoccupazione del momento, il sollievo per le finte garanzie della sicurezza, la luce che allontana i ladri dalle terre di mezzo dell’indistinto. Non c’è nulla dell’utopia folgorante che prefigurava Enrico Filippini, scrivendo dell’inaugurazione della prima linea. Parafrasandolo: perché solo tutta bianca e non tutta d’oro, o tutta mare, o tutta parco? O almeno tutta d’arte come a Napoli? Certo la difesa tout court delle ragioni del progetto originario è forse una lotta donchisciottesca, ma mobilitarsi per imporre una qualità estetica della cosa pubblica è un atto dovuto in una società dove la coscia di un calciatore conta di più del made in Italy, che andiamo da anni sbandierando come valore del “sistema paese”.

Italo Lupi, architetto, progetta a Milano grafica, musei e allestimenti. È stato art director di Abitare e di Domus e direttore responsabile di Abitare (1992-2007).

Federico Tranfa, (Italia, 1966) architetto. Nel 2002 con Laura Pasquini (Italy, 1965) ha fondato a Milano lo studio VSM46.

Foto della Fondazione Franco Albini, Cesare Colombo
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