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Una questione di Architettura: la nuova Bocconi nel tessuto della città

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

18/04/2008. Serata coordinata da Franco Raggi, presenti Shelley Mc Namara e Yvonne Farrell - Grafton Architects -coadiuvate dall’arch. Simona Castelli, che ha seguito tutto il processo del lavoro.

Serata di Giovedì 18 Aprile coordinata dal buon Franco Raggi che ha visto la defezione di entrambi i critici invitati, Fulvio Irace e Gillo Dorfles, cosa che ha spostato la ‘questione’ sull’edificio e la sua costruzione piuttosto che sulla sua percezione in rapporto alla città ed il dibattito sui media a riguardo. Presenti Shelley Mc Namara e Yvonne Farrell, ovvero Grafton Architects, coadiuvate dall’arch. Simona Castelli, che dello Studio ha seguito tutto il processo del lavoro.

Shelley Mc Namara nella sua presentazione propone di accostare al lavoro della Bocconi un progetto completato recentemente a Dublino, il Dipartimento del Governo per gli Uffici destinati al Pubblico Impiego.
In questo modo cerca di mostrarci il procedere del loro lavoro: l’architetto, che interviene modificando la morfologia urbana, è chiamato a costruire un sistema di valori all’interno della città intesa come sovrapposizione di strati di cultura.
Attraverso il confronto tra le due città, Dublino e Milano, cerca di descrivere i valori caratterizzanti che sono stati alla base dei due progetti.

A Dublino l’impianto urbano è fortemente caratterizzato dalle piazze georgiane, con grandi aree destinate a verde pubblico, dai margini severamente definiti da alti prospetti in mattoni, tipici delle case georgiane dove la scansione dei pieni e dei vuoti si ripete in modo costante.
Prende quindi la parola Yvonne Farrell che descrive in modo dettagliato il progetto, ampliamento di un edificio esistente.
L’area di intervento è un rettangolo definito da due lati liberi adiacenti, uno su strada e uno confinante con un cimitero. Lo studio di questi due margini ha portato a soluzioni che definiscono l’edificio anche in alzato attraverso un articolato gioco di volumi: l’affaccio su strada è arretrato al primo piano fuori terra e l’ingresso è a ponte. Gli unici punti di contatto con la strada sono gli angoli dell’edificio definiti dal muro a confine con il cimitero, che si erige isolato, staccato dall’edificio come punto di contatto con Dublino, e il corpo scala che funge anche da affaccio sulla città sui vari livelli fuori terra.
Lo studio della facciata ha portato ad una soluzione che reinterpreta in chiave moderna l’austerità delle case georgiane: una sequenza di pieni e vuoti alternati in modo costante, un patchwork di pannelli di pietra e pannelli di vetro che si susseguono sulla verticale in modo disassato. Le finestre arretrate rispetto al filo di facciata producono un effetto di bassorilievo che contribuisce al movimento del volume.

Stessa attenzione è stata posta all’interpretazione del tessuto urbano milanese dove le Grafton hanno ritrovato, declinata secondo criteri compositivi differenti, la stessa austerità delle facciate dietro cui si nascondono però corti interne molto accoglienti.
Ritrovando nella tipologia del Broletto il riferimento cardine con la città: come il Broletto, questa piazza interna agisce da filtro fra la città e l’università, una finestra su Milano.
Il bando del concorso vinto nel 2001, conteneva un programma estremamente rigoroso ed intensivo da parte dell’esigente committente, cui era corrisposto da subito un’idea forte di progetto, sintetizzata nel tema: entrare sotto la pelle, e senza confini.
I riferimenti -centrati appieno ed estremamente efficaci- erano allo skyscape di Sverre Fehn al Padiglione della Biennale di Venezia ed al groundscape di Lina Bo Bardi al Museo d’arte contemporanea di S.Paolo del Brasile, possente struttura di grandi luci.
Ma in città trovano altri elementi di riflessione nell’edificio di Moretti di c.so Italia, negli stessi edifici della Bocconi –Pagano, Muzio, Gardella- e ancora per la durezza dei fronti via Larga e la Velasca, oppure Giò Ponti e Torre Rasini.
È un piacere ritrovare la nostra città in quanto raccontano del progetto, nella strategia di ‘muoversi verso il cielo’.
Il segreto è tutto lì, sospendere i piani dall’alto per liberare i piani interrati.
E dici niente.

L’estremità nord del luogo di progetto fronteggia l’arteria costituita da Viale Bligny, con il fragore degli autobus e dei tram, il caos del traffico, la gente che cammina. Si rivolge alla vita pulsante di Milano, si insinua nella ragnatela della città.
La facciata diventa l’espediente architettonico per aprire una “finestra” su Milano, un’immagine memorabile che confermi l’importantissimo contributo culturale che l’Università Bocconi fornisce alla vita di questa città.
È per questo motivo che lo spazio pubblico dell’Aula Magna costituisce la facciata: conferma la sua importanza simbolica e sottolinea lo status prestigioso dell’Università.

A chiusura, oltre ad alcune domande di specifica sull’appropriatezza e luminosità della doppia pelle degli uffici dei dipartimenti, un intervento rassicurante di una simpatica residente della via Röntgen, su cui prospetta l’ingresso: la mancanza di finestre non disturba, anzi, ma soprattutto il movimento diagonale sulla strada la fa scoprire ogni giorno nuova: grazie ancora quindi alle Grafton per questo loro lavoro.

Chiara Odorizzi e Francesco de Agostini

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