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Uno sguardo ai “luoghi dell’esporre” di Milano non può non avere come orizzonte l’insieme delle trasformazioni urbane dell’ultimo quindicennio, che testimoniano una fase di rilancio con un livello qualitativo degli interventi (l’area di Garibaldi-Repubblica e quella dell’ex Fiera Campionaria ne sono esempio) di certo più convincente di quello degli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. Su questi sviluppi si è andata ridefinendo l’identità della città in termini più articolati di quella tradizionale, che vedeva una Milano industriale, operosa e operaia guidare un’economia oggi in gran parte sostituita dalle intraprese del “pensiero creativo”, delle nuove professioni, del design, dei media e della moda.
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Uno sguardo ai “luoghi dell’esporre” di Milano non può non avere come orizzonte l’insieme delle trasformazioni urbane dell’ultimo quindicennio, che testimoniano di una fase di rilancio con un livello qualitativo degli interventi (l’area di Garibaldi-Repubblica e quella dell’ex Fiera Campionaria ne sono esempio) di certo più convincente di quello degli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo. Su questi sviluppi si è andata ridefinendo l’identità della città in termini più articolati di quella tradizionale, che vedeva una Milano industriale, operosa e operaia guidare un’economia oggi in gran parte sostituita dalle intraprese del “pensiero creativo”, delle nuove professioni, del design, dei media e della moda.
Al contempo non si può prescindere dall’esperienza della recente Esposizione Universale. Expo 2015 ha segnato l’ingresso di Milano in un più ampio circuito del turismo internazionale, facendo emergere una dimensione di produzione e consumo di cultura che prima era assai più contenuta, essendo per lungo tempo Milano rimasta alla periferia dell’offerta culturale italiana.
In questo scenario, nuovi modelli di collaborazione tra pubblico e privato hanno consolidato una strategia positiva di iniziative anche tra loro coordinate. Il ruolo di imprese, aziende e istituti bancari è stato decisivo nel dare un profilo alto all’attuale “musealità” milanese, con un impegno, non solo finanziario, che sembra voler proseguire in futuro. Fondazioni di diritto privato, pubblico o misto si sono fatte carico di restaurare musei esistenti, di aprirne di nuovi e di gestire i loro patrimoni e le loro attività. I risultati, in entrambi i casi, sono importanti: la creazione delle Gallerie d’Italia da parte della Banca Intesa Sanpaolo; la Fondazione Prada con lo spazio espositivo progettato da Rem Koolhaas; il gruppo Pirelli RE con il Pirelli HangarBicocca; la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano; il Fondo Ambiente Italiano, che ha curato il restauro di Villa Necchi Campiglio; la Fondazione Achille Castiglioni creata nel 2011 con lo scopo di conservare e valorizzare il patrimonio dello Studio, oggi Museo, del designer milanese; la Fondazione Piero Portaluppi istituita nel 1999 per divulgare la conoscenza del lavoro di questa importante figura di architetto, come, analogamente, la Fondazione Franco Albini del 2007; e infine le molte gallerie d’arte sostenute da operatori e collezionisti privati.
L’Amministrazione comunale, dal canto suo, ha svolto un compito importante, come promotrice di iniziative concrete e anche nel coordinamento del sistema nel suo insieme: dal Museo del Novecento, principale tassello nella riorganizzazione delle collezioni civiche, al Museo delle Culture, aperto dopo un lungo dibattito sulla sua mission, alla costruzione della Casa della Memoria, con l’impegno partecipato della conservazione della storia recente della città, all’avvio, non privo di difficoltà, di un luogo di sperimentazione di grande potenzialità come la Fabbrica del Vapore in via Procaccini, centro di produzione culturale e artistica coinvolgente diverse associazioni e spazio per mostre temporanee. Non ultima, l’iniziativa del “Circuito delle Case Museo di Milano” (Bagatti Valsecchi, Poldi Pezzoli, Boschi Di Stefano), in concerto con le relative fondazioni e il Fondo Ambiente Italiano, testimonia della proficua strategia di collaborazione tra pubblico e privato di cui si è detto.
A fronte, ci sono anche casi di proposte incompiute o che non hanno durato e di cantieri che procedono con grande lentezza. La Fondazione Arnaldo Pomodoro nelle ex acciaierie Riva di via Andrea Solari (sistemate nel 2005 con un bel progetto dello Studio Cerri Associati), è stata chiusa nel 2011 per motivi finanziari e riaperta nel 2013 in uno spazio più contenuto, in via Vigevano, a fianco allo studio dell’artista. Il museo d’arte contemporanea, che nel 2011 Daniel Libeskind aveva progettato come parte del progetto di trasformazione della ex area della Fiera Campionaria e cancellato nel 2013 (per cui l’allora assessore alla cultura Filippo del Corno affermò «le mostre d’arte contemporanea le dovremo concepire altrove»), ha lasciato spazio ad altri attori che suppliscono oggi all’importante compito di promuovere l’arte contemporanea in una maniera forse più incisiva e dinamica di quanto il “museo globale” di City Life avrebbe potuto svolgere.
Un caso di progetto “interrotto” è quello dell’ampliamento del Museo Diocesano a Sant’Eustorgio. Il concorso bandito nel 2006 dal Comune di Milano per nuovi spazi di accoglienza, esposizione, incontri, didattica e ricerca, vinto dal gruppo dell’architetto barcellonese Josep Llinás Carmona, non ha ancora dato esiti concreti e da più di sette anni una struttura temporanea accoglie i visitatori sull’area che fu oggetto di concorso.
Oggi siamo in attesa del completamento degli spazi di Palazzo Citterio, secondo il progetto di restauro di Amerigo Restucci, e del suo allestimento che ospiterà dipinti e le sculture dell’Ottocento e del Novecento, così come del “ponte di cristallo” che (forse) si farà per unire Palazzo Citterio con quello di Brera attraverso l’Orto Botanico, portando a conclusione dopo quarant’anni l’idea di Franco Russoli della “Grande Brera”, magari nella rinnovata veste di “Brera Modern” del nuovo direttore James Bradburne.
Anche il dibattito attorno al nuovo Museo del Design è tuttora in fieri, con gli attori coinvolti (Confindustria, il Salone del Mobile, l’ADI, Regione, Comune e singole aziende) che si confrontano tra rivendicazioni di primogenitura del Triennale Design Museum, varie proposte di localizzazione, fino all’idea di creare un network fra le quasi quaranta imprese che in area lombarda hanno già un museo aziendale. Nel frattempo procede lentamente, dopo il concorso vinto da Ico Migliore, Mara Servetto e Italo Lupi nel 2014, la realizzazione del Museo del Compasso d’Oro dell’Associazione dei Designer Italiani nella centrale elettrica dell’Enel di Porta Volta, come parte della nuova sede dell’ADI. Il cantiere della sede dell’associazione è avviato, quello del museo è in attesa di finanziamenti.
Milano è una città che cambia anche (o soprattutto) nel suo interno. La riconversione di edifici, il riuso di strutture ex industriali, i nuovi negozi e showroom che occupano il piano terra di palazzi e case sono manifestazione del posizionarsi della città su livelli di attivismo e scambio in maniera capillare e diffusa, con un fluire sotterraneo di cambiamenti che caratterizzano un ripensamento della città fatto a partire “da dentro” più che “da fuori”.
Guardando ai casi illustrati nelle schede qui pubblicate, pochi sono gli esempi di edifici espositivi realizzati ex novo: la Casa della Memoria all’Isola, la Galleria Lia Rumma e, in parte (in quanto “innesti” in preesistenze di tipo industriale), il Mudec e la Fondazione Prada. A questi va aggiunto l’Armani/Silos in zona Tortona, inaugurato nel 2015 e ideato dallo stesso Giorgio Armani ampliando un deposito di granaglie costruito nel 1950. Possiamo poi considerare come nuovo il “perduto e ritrovato” Padiglione di Arte Contemporanea, opera del 1954 di Ignazio Gardella distrutta nel 1993 da un attentato di matrice mafiosa e ricostruita tre anni dopo “com’era dov’era” dallo stesso Gardella con il figlio Jacopo.
Differentemente, dal Museo del Novecento alle Gallerie d’Italia di piazza Scala, passando dal Museo del Duomo, alla nuova sistemazione della Pietà Rondanini, fino al Memoriale della Shoah, si tratta di “musei interni”, cioè di allestimenti o riallestimenti di spazi e musei esistenti.
Tra i casi non schedati, vanno ricordati la trasformazione nel 2006 della Galleria d’Arte Moderna in Museo dell’Ottocento, curata da Fabio Fornasari e, sempre a Villa Belgiojoso, il restauro e il riordinamento delle sale sistemate nel 1958 da Ignazio Gardella per la raccolta di quadri, sculture e stampe di Carlo Grassi (di cui tutti ricordiamo la bella scala ellittica all’ingresso), curato da Jacopo Gardella, con Edoarda De Ponti assieme a Fabio Fornasari, con in più il recente nuovo ordinamento che ha permesso di ospitare anche la Collezione Vismara, precedentemente esposta al piano terra della GAM.
Ricordiamo anche, al museo Poldi Pezzoli in via Manzoni, la re-interpretazione fatta nel 2000 da Arnaldo Pomodoro della scenografia ottocentesca di Filippo Bertoni della Sala delle Armi, distrutta durante la seconda guerra mondiale; il riallestimento del Museo Archeologico di Corso Magenta (Andrea Bruno, 2011), l’allestimento della Pinacoteca del Museo di Milano a Palazzo Morando in via Sant’Andrea (Tito Canella Architetti, 2010) e il restauro e riallestimento di Casa Manzoni curato nel 2015 da Michele De Lucchi, con la supervisione dello storico Fernando Mazzocca.
Questo attivismo nel campo espositivo richiede una riflessione. Il rinnovamento degli allestimenti è in generale determinato, oltre che dai processi di aggiornamento della comunicazione nei confronti di un pubblico che è in continua crescita e diversificazione, anche dal naturale invecchiamento delle strutture e dall’insieme degli adempimenti normativi e tecnologici imposti dalle leggi in materia di sicurezza e controllo ambientale.
Se, come ha detto Philippe Daverio non molto tempo fa, «Dinanzi all’obsolescenza si ha il diritto di decidere di fare qualcosa di diverso», allestire e riallestire diventa una pratica che accoglie il concetto di continua modificazione come dato di progetto; l’idea, cioè, che l’architettura espositiva segue ritmi diversi da quelli dell’architettura costruita. Ecco allora che, quasi senza accorgercene, abbiamo acquisito uno sguardo diverso da quello di qualche decennio fa verso i musei storici, da quelli di più antica formazione (Brera) a quelle sistemazioni di musei che hanno partecipato della stagione della museografia degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, un tema tutto italiano che altrove ha visto l’opera di Carlo Scarpa e Franco Albini, e a Milano, non da meno, dello stesso Franco Albini, dei BBPR e di Ignazio Gardella. Un mutamento di sguardo che ha informato gli interventi recenti nel campo verso una maggiore libertà di scelte progettuali rispetto ai modelli consolidati del Moderno.
A Brera James Bradburne ha scelto di rinverdire i fasti delle sale storiche di Piero Portaluppi e di Vittorio Gregotti con puntuali interventi dove penombra, illuminazione puntuale sui dipinti, colori intensi e diversi da sala a sala, esemplificano il nuovo corso dei grandi musei italiani guidati da personalità internazionali; mentre Guido Canali al Museo del Duomo ha doverosamente fatto piazza pulita della vecchia sistemazione degli anni Sessanta del secolo scorso con un nuovo e più convincente ambientamento. Michele De Lucchi nelle Gallerie d’Italia ha affrontato e ben risolto l’armonizzazione tra ambienti storici e forme contemporanee delle strutture espositive.
Al Castello Sforzesco le sistemazioni dei BBPR del 1956 e dello Studio Albini Helg Piva del 1980 (con i quadri sostenuti da reti quasi trasparenti con uno straordinario effetto di galleggiamento) sono state sostituite nel 2005 secondo le indicazioni di Mauro Natale e della conservatrice Laura Basso, dall’architetto Valter Palmieri, con un sistema di pannelli più solidamente ancorati ai pavimenti delle sale.
Certamente, il caso degli allestimenti al Castello Sforzesco è emblematico del difficile rapporto fra la necessità della tutela di allestimenti il cui valore storico è evidente e il bisogno che la comunicazione espositiva si attualizzi alla contemporaneità del fare e trasmettere cultura. A un attento lavoro di restauro conservativo del lavoro dei BBPR di gran parte delle sale del piano terra, si è contrapposto lo spostamento della Pietà di Michelangelo nello spazio dell’antico Ospedale Spagnolo con il riallestimento di Michele De Lucchi, una scelta che ha sollevato non poche discussioni per il depauperamento della Sala degli Scarlioni in cui la scultura si trovava nella famosa nicchia dal 1956. D’altro canto va detto che già all’epoca non erano mancati pareri non del tutto favorevoli sull’opera dei BBPR e le parole di Giovanni Testori apparse sulle pagine de L’architettura cronache e storia nel 1960 suonano oggi profetiche: «Cosa accadrà di certi neo-musei, una volta che, per ragioni assai serie, se ne vorrà cambiare una sala o l’intero giro? Rifaranno tutto? Cosa appenderemo a Milano, nel gabbiotto eretto attorno alla ‘pietà, di Michelangelo? I cappotti dei visitatori?».
Luca Basso Peressut
1. Vista di una delle stanze della Casa Museo Boschi Di Stefano (Foto di Casa Museo Boschi Di Stefano - Comune di Milano) - 2. Gallerie D’italia - Palazzo Beltrami, Sala 7, Afferente al Salone Mattioli (Foto di Mario Carrieri) - 3. Vista dell’allestimento della mostra di Marina Abramovich - With eyes closed I see happiness, 2012 - Galleria Lia Rumma (Foto di Antonio Maniscalco, Courtesy Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli) - 4. Museo Pietà Rondanini Michelangelo (Foto di Tom Vack)