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CASA MUSEO BOSCHI DI STEFANO
Anno: 1929 - 1931
Località: Milano, Buenos Aires - Venezia
Indirizzo: Via Giorgio Jan 15
Destinazione d'uso: Casa Museo
Progettista: Piero Portaluppi / Restauro Cristiana Vannini
«In casa c’erano delle scalette, chiodi e un martello, e collocare un nuovo quadro significava spesso per lo zio modificare il puzzle interminabile di una intera parete, guadagnando centimetri, cornice contro cornice, per intere notti. Ho ancora nella mente questo incessante martellare». Così Alessandro Mendini ricorda momenti della sua infanzia vissuti nell’appartamento della casa in via via Giorgio Jan, realizzata da Piero Portaluppi nel 1932 per Antonio Boschi, dirigente della Pirelli, e la moglie Marieda Di Stefano, entrambi appassionati e collezionisti d’arte.
Dalle parole di Mendini si arguisce una vera passione per l’arte, assieme alla tipica idiosincrasia del collezionista, sempre alle prese con la mancanza di spazio per collocare i pezzi della propria raccolta.
Guardando le foto storiche della casa, infatti, appaiono ambienti e pareti marcati dalla densità di una delle più grandi e importanti collezioni d’arte famigliari d’arte del Novecento a Milano, testimonianza di un cinquantennio di cultura artistica milanese: oltre duemila opere stipate in un appartamento di poco più di 300 metri quadri.
Dopo la morte della moglie, Antonio Boschi decide nel 1973 di donare la casa al Comune di Milano, con la clausola di creare una casa museo accessibile al pubblico dopo la sua morte, avvenuta nel 1988. Va ricordato che un nucleo della collezione Boschi Di Stefano è oggi esposto al Museo del Novecento.
Nel 1998 viene istituita la Fondazione Boschi di Stefano con lo scopo di «promuovere iniziative culturali orientate allo studio e alla diffusione del collezionismo d’arte e al recupero d’archivi storici; la comunicazione e l’organizzazione di manifestazioni, oltre ad un servizio di consulenza per studenti universitari e studiosi».
Per conto della Fondazione Maria Teresa Fiorio ha curato l’ordinamento delle opere esposte, che seguono ora una linea cronologica e non l’accostamento “libero” perseguito nel tempo dai Boschi Di Stefano. Cristiana Vannini ha curato la ristrutturazione e il riallestimento che ha comportato un inevitabile diradamento delle opere esposte per motivi di sicurezza, mantenendo tuttavia l’originale atmosfera della casa. La scomparsa di parte degli arredi originali ha reso necessaria l’integrazione con altri mobili dell’epoca, coerenti con lo stile dell’edificio e le opere esposte, acquistati con la consulenza di Marco Arosio. La casa è stata aperta al pubblico nel 2003 e dal 2008 fa parte del “Circuito delle Case Museo di Milano”.
Negli undici ambienti della casa-museo sono esposte circa trecento opere della collezione, dalla pittura precedente gli anni Venti (Soffici, Boccioni, Severini), al “Novecento Italiano” (Funi, Casorati, Carrà, Marussig, Tosi, con una sala dedicata al solo Mario Sironi), al gruppo di “Corrente” (Birolli, Sassu, Guttuso) fianco a fianco con Morandi e De Pisis, la Scuola di Parigi (Mafai, Campigli, De Chirico, Savinio), i “Chiaristi” (Lilloni, Del Bon), fino al secondo dopoguerra, con la sala di Lucio Fontana, i “Nucleari, Spazialisti” (Brindisi, Dova, Crippa, Baj) e l’”Informale” (Chighine, Manzoni, Turcato, Vedova).
Il tutto sottolineato dalla presenza di arredi come i mobili di Ernesto Basile degli anni Venti, un tavolino con sgabelli di Piero Portaluppi, la sala da pranzo che Mario Sironi presentò alla VI Triennale nel 1936 e quelli progettati nel 1949 da Gino Levi Montalcini, un pianoforte e la collezione di violini di Antonio Boschi, alcune ceramiche di Marieda Di Stefano e anche un prodotto industriale, il giunto GIUBO brevettato da Boschi quando lavorava alla Pirelli.
La visita a Casa Boschi-Di Stefano ha il fascino di un “viaggio nel tempo”, portandoci a percepire stili di vita di una borghesia illuminata per cui l’impegno produttivo non era disgiunto dalla ricerca di una qualità del vivere e dell’abitare incentrata sul valore delle arti e della cultura come nutrimento etico e piacere estetico.
Marcella Camponogara