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Architetture moderne a Legnano

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A cura di Paola Ferri, Alessandro Isastia

Legnano stupisce per una sua originalità di città. Da poco più di due borghi lineari sulle due sponde del fiume Olona, ancora a metà Ottocento, si è estesa con un tessuto compiutamente urbano, ricco delle discontinuità date dalla giustapposizione di diverse tipologie edilizie. Una definita urbanità costruita – nei momenti salienti della propria evoluzione – trasferendo anche nel campo del costruire l’atteggiamento di apertura al nuovo e la spinta ideale verso il futuro della classe industriale che ha dato a questa città la sua forma moderna. Traendo forza dalla posizione baricentrica tra Milano e Varese, Legnano contempera però la durezza urbana dell’isolato milanese con le suggestioni della città-giardino collinare, attingendo da entrambi i poli i modelli di riferimento da declinare alla scala locale. Interventi di professionisti di primo piano dell’architettura milanese e non solo (BBPR, Luigi Caccia Dominioni, Vito e Gustavo Latis, Franco Albini e Franca Helg, Enrico Castiglioni, e, nella contemporaneità, Guido Canella, Gino Valle, Renzo Piano) siglano in maniera emblematica questa ricerca e si inseriscono nel tessuto edificato dando vita ad una rassegna dei temi principali della ricerca tipologica dell’architettura moderna.

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Legnano stupisce per una sua originalità di città. Da poco più di due borghi lineari sulle due sponde del fiume Olona ancora a metà Ottocento, si è estesa in un prorompente sviluppo che ha originato per buona parte del proprio territorio un tessuto compiutamente urbano, ricco delle discontinuità date dalla giustapposizione di diverse tipologie edilizie.

Per quasi un secolo, dalla seconda metà dell’Ottocento all’ultimo dopoguerra, gli stabilimenti manifatturieri occupano con il comparto cotoniero, le aree adiacenti il fiume e, per il settore meccanico, si attestano lungo il tracciato ferroviario costruendo una città-fabbrica estesa, omogenea e onnivora – nel cui paesaggio svettano come emergenze caratterizzanti le ciminiere degli opifici – attorno alla quale comunque è andato formandosi un tessuto ordinato da una maglia capace di accogliere interventi alle varie scale, dal villino alla casa per appartamenti, al quartiere di iniziativa pubblica o del paternalismo industriale. Una definita urbanità costruita – nei momenti salienti della propria evoluzione – trasferendo anche nel campo del costruire l’atteggiamento di apertura al nuovo e la perenne spinta ideale verso il futuro della classe industriale che, a tutti gli effetti, ha dato a questa città la sua forma moderna.

Traendo forza dalla posizione baricentrica tra Milano e Varese, Legnano contempera però la durezza urbana dell’isolato milanese con le suggestioni della città-giardino collinare, attingendo da entrambi i poli i modelli di riferimento da declinare alla scala locale. Interventi di professionisti di primo piano dell’architettura milanese e non solo (BBPR, Luigi Caccia Dominioni, Vito e Gustavo Latis, Franco Albini e Franca Helg, Enrico Castiglioni, e nella contemporaneità Guido Canella, Gino Valle, Renzo Piano), in momenti diversi della storia urbana, siglano in maniera emblematica questa ricerca e si inseriscono nel tessuto edificato rispondendo ad esigenze concrete e contingenti ma dando anche vita ad una rassegna dei temi principali della ricerca tipologica dell’architettura moderna: la standardizzazione della residenza operaia, lo sviluppo in altezza della casa-torre, la modularità dell’edificio direzionale, la relazione di funzione e forma nell’edificio produttivo, le grandi infrastrutture di servizio compongono, nel microcosmo legnanese, un atlante a cielo aperto dell’evoluzione del moderno cui contribuiscono autonomamente anche i professionisti locali.

Se nella prima metà del Novecento le residenze patrizie e gli edifici rappresentativi della nuova città indugiano su modelli neo-medievali, è proprio nelle esperienze dei numerosi quartieri di residenza operaia dove si assiste ad una ricerca di modernità approfondita, accurata e aperta a modelli stranieri che culmina nel celebre intervento del quartiere “Le Grazie” del gruppo BBPR.

Analoga spinta a dare risposte architettonicamente “alte” ad una domanda urgente e concreta si ritrova nel comparto sanitario che vede affiancarsi, nel corso della prima metà del Novecento, la sobria funzionalità del presidio ospedaliero, la leggera ricercatezza del Sanatorio Regina Elena e una delle più piene declinazioni del Razionalismo italiano nella Colonia Elioterapica dei BBPR.

Il mecenatismo della classe imprenditoriale dà forma al sistema dei servizi che ancora oggi distingue Legnano: scuole, attrezzature sportive, l’ospedale stesso, il sanatorio nascono attraverso intervento diretto o, come diremmo oggi, la sponsorizzazione dei capitani d’industria. Un’offerta rivolta ai propri dipendenti e alla cittadinanza che estendeva la presenza della fabbrica all’intera sfera della vita sociale e comunitaria in una silenziosa e virtuosa competizione. E sodalizi consolidati tra industriali e progettisti siglano stilisticamente questi interventi. Il legame tra la dinastia Jucker – titolare del Cotonificio Cantoni e presente, con alcuni suoi esponenti, nel direttivo della Banca di Legnano – e lo studio di progettazione dei fratelli Latis è forse l’esempio più chiaro e prolungato nel tempo (iniziato nel 1938 con l’ampliamento del dopolavoro Cantoni e terminato negli anni ’70 dello scorso secolo) di questo rapporto tra imprenditore e architetto. Il rapporto di fiducia tra committente e progettisti porta ad affidare alla stessa mano la realizzazione di edifici per la produzione, lo studio di soluzioni abitative per gli operai, ma anche il progetto delle residenze milanesi della famiglia legando quindi in un unico discorso progettuale l’attività lavorativa e la vita privata.

Come la genesi dell’abitato legnanese è legata al destino produttivo della conurbazione dell’Alto Milanese, così il tema della deindustrializzazione e riconversione di grandi aree dismesse attraversa l’intera vita urbana di Legnano, costituendone una costante già all’indomani del secondo conflitto mondiale. Dalle ceneri di filande e cotonifici rinasce la città del boom economico attraverso interventi che si muovono alla scala di macro isolati, parti di città intere che si sgretolano e a cui viene data nuova forma e funzione. Architetture spesso autoreferenziali ma motivate da una incessante corsa collettiva verso il rinnovamento e l’oblio del passato, animate da una fede positivistica nel progresso, nell’uso diffuso di nuovi materiali, nell’elaborazione di nuovi standard abitativi, nella trasfigurazione delle partiture tradizionali delle facciate, nello sviluppo in altezza dello skyline urbano.

Si propone un centro permeabilissimo alla quota stradale, si immagina di convogliare una parte dei flussi pedonali e le attività commerciali in quota, si introducono piastre commerciali e terziarie legate ai tracciati su cui poggiare liberamente la residenza. Una felice congiunzione negli ampi lotti industriali da riconvertire in pieno centro, di progetti audaci e originali; in un momento storico in cui aveva ancora corso un certo ottimismo circa le possibilità della civiltà industriale ha fatto si che il tessuto storico circondato dalle lunghe e seriali facciate delle industrie si aprisse a far presente l’idea di una diversa città possibile ancorché realizzata per frammenti. Sono temi di estrema attualità che propongono anche alla contemporaneità metropolitana quesiti da esplorare e risolvere. Alcuni interventi – riconducibili prevalentemente alle due decadi degli anni ’60 e ’70 – rappresentano meglio di altri una ricerca diffusa e intensa di evoluzione urbana applicata proprio alla trasformazione del centro storico più consolidato nonché, con la delocalizzazione dell’apparato industriale verso la periferia, alla reinvenzione dell’edificio produttivo.

Nel panorama compatto della conurbazione dell’AltoMilanese, Legnano deve la sua distinguibilità proprio al definito carattere urbano acquisito attraverso questi interventi, alla riconoscibilità di alcune parti di città come città in senso lato, alla forte immagine identitaria che proietta sui suoi abitanti e sui residenti dei comuni confinanti, inevitabilmente attratti verso il suo centro. E proprio il grande campo di colore della casa-torre disegnata da Caccia Dominioni si impone nel panorama della conurbazione con una presenza decisa e vibrante, astratto come un gesto di pittura moderna.

 

Paola Ferri

Alessandro Isastia

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULL'ARCHITETTURA MODERNA LEGNANESE:

 

A. Mioni, A. Negri, M. Negri, O. Selvafolta (a cura di)

Archeologia industriale in Lombardia: il territorio nord-occidentale

Mediocredito Lombardo, Milano 1983

 

G. Vecchio, G. Borsa

Legnano 1945-2000: il tempo delle trasformazioni

Nomos Edizioni, Legnano 2000