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Le università milanesi

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A cura di Paolo Brambilla

Il tema dell’edificio universitario è un campo di sperimentazione privilegiato per gli architetti del XX secolo, tanto per la generazione dei maestri, da Walter Gropius ad Alvar Aalto, quanto per quella successiva, da Giancarlo de Carlo a James Stirling. Ancora oggi la costruzione di una facoltà universitaria è l’occasione in cui l’architettura può trovare la sua piena realizzazione, come nell’ Educatorium a Utrecht di Rem Koolhaas o nella Simmons Hall al Massachusetts Institute of Technology, di Steven Holl. L’architettura delle università milanesi offre un campionario altrettanto vario, che spazia dalle forme Beaux-Art del Politecnico di piazza Leonardo da Vinci al recente ampliamento della Università Bocconi. Tra questi estremi temporali si collocano i raffinati interventi di Muzio, le sperimentazioni di Gio Ponti, e progetti cruciali per la storia dell’architettura italiana come l’edificio in via Sarfatti di Giuseppe Pagano Pogatschnig.

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Il tema dell’edificio universitario è un campo di sperimentazione privilegiato per gli architetti del XX secolo, tanto per la generazione dei maestri, da Walter Gropius ad Alvar Aalto, quanto per quella successiva, da Giancarlo de Carlo a James Stirling. Ancora oggi la costruzione di una facoltà universitaria è l’occasione in cui l’architettura può trovare la sua piena realizzazione, come nell’ Educatorium a Utrecht di Rem Koolhaas o nella Simmons Hall al Massachusetts Institute of Technology, di Steven Holl.

L'architettura delle università milanesi offre un campionario altrettanto vario, che spazia dalle forme Beaux-Art del Politecnico di Piazza Leonardo da Vinci al recente ampliamento della Università Bocconi. Tra questi estremi temporali si collocano i raffinati interventi di Muzio, le sperimentazioni di Gio Ponti, e progetti cruciali per la storia dell'architettura italiana come l’edificio in via Sarfatti di Giuseppe Pagano Pogatschnig.

 

A Milano le sedi universitarie alternano un modello di insediamento teso a rafforzare il valore simbolico dell’istituzione,   in una posizione di prestigio nel centro storico, ad uno opposto in cui si manifesta la volontà di realizzare un quartiere concluso in sé e capace di riprodurre al suo interno la complessità della città. Tuttavia questa tensione non è mai approdata alla realizzazione di un campus universitario vero e proprio, almeno non secondo il modello anglosassone, che prevede un complesso di grandi dimensioni del tutto esterno al perimetro urbano ampiamente dotato di spazi aperti e strutture sportive. Al contrario è  prevalso un sistema in cui gli edifici universitari sono di fatto integrati al tessuto urbano, con la conseguenza che se da un lato gli istituti sono diventati parte attiva della vita cittadina, dall'altro  le Università state sono costrette ad un cronica ristrettezza di spazi e carenza di strutture.

 

In questo senso è significativa la vicenda di Città Studi, frutto della decisione, presa negli anni Dieci, di concentrare le facoltà universitarie in una zona agricola del tutto esterna alla città. 

Nel 1912, però, l’entrata in vigore un nuovo piano regolatore – conosciuto come piano Pavia-Masera, dal nome dei suoi autori ripropone, ampliato a dismisura, lo schema di espansione per cornici concentriche già impostato dal precedente piano Beruto (1889). Al di là del disegno degli isolati, infatti, il piano non dà alcuna indicazione circa le funzioni compatibili, lasciando alla libera iniziativa – e alla speculazione edilizia – l’onere della costruzione della città. All’interno del tracciato di espansione del piano Pavia-Masera si includono così le nuove sedi universitarie, semplicemente disegnando qualche isolato di dimensione eccezionale. Attorno alle facoltà la residenza è cresciuta per colmatura degli spazi disponibili, secondo il disegno degli allineamenti stradali: il processo innescato, una volta saturati tutti gli spazi, ipoteca ogni possibile espansione delle università stesse.

Il Politecnico, nel cuore di Città Studi, è un insieme di padiglioni disposti in un grande isolato affacciato si Piazza Leonardo da Vinci: il piano di massima di Augusto Brusconi e Gaetano Moretti (1913) prevede nove epadiglioni collegati da percorsi coperti, secondo uno schema conforme alla manualistica ottocentesca. Lo sviluppo del progetto è interrotto dalla guerra, fino al 1921, quando viene redatto il progetto definitivo da Francesco Belloni, Giannino Ferrini e Vittorio Verganti. Nell’anno dell’inaugurazione, nel 1927, il progetto è ormai sorpassato e mostra già tutti i limiti di un’architettura superata sia nell’impostazione planimetrica sia nel repertorio stilistico.

Attorno al Politecnico, negli anni seguenti, sorgono in modo incoerente diverse sedi universitarie e laboratori, tra cui l’interessante Istituto di Chimica industriale di Giulio Carlo Vicoli in via Colombo (1924-27).  La Facoltà di Architettura all’angolo tra le via Ampére e Bonardi, progettata da Giordano Forti, Gio Ponti e Piero Portaluppi (1953-61), sebbene sia incompleta, è particolarmente  significativa per l’ambizioso programma iniziale che la voleva come un edificio insegnante (1), una sorta di immenso campionario di materiali e tecnologie ad uso dei futuri progettisti che avrebbero dovuto apprendere il mestiere direttamente dall'edificio in cui si trovavano. Sempre in via Bonardi la Nave e il Trifoglio, edifici ad aule facenti parte del Politecnico, si dispongono liberamente all'interno di un grande lotto che confina con la piscina Romano: la loro architettura mostra con chiarezza la mano di Gio Ponti nelle forme diamantine e nei rivestimenti in ceramica vetrificata che brillano al sole. Più avanti, in via Bassini 36, la Casa dello Studente di Luigi Moretti (1948-51) trova posto in uno dei tre edifici realizzati di un programma che prevedeva ben ventidue residence costellati in tutta Milano(2).

Proseguendo su via Ampere l’ampliamento di Vittoriano Viganò (1970-83) è architettura che diventa comunicazione nella grande “A” rossa sul fondo nero della facciata: frutto di uno straordinario sforzo progettuale, ricco di richiami alle avanguardie storiche, prosegue la strada iniziata dallo stesso Viganò con il celebre Istituto Marchiondi.

In via Golgi, infine, l'intervento di Vico Magistretti (1978-82) si distingue nel panorama degli anni Ottanta per la raffinatezza delle soluzioni costruttive, mentre l'edificio di Francesco Soro (1996-99) sembra porsi come una diga di contenimento all'espansione urbana.

 

La vicenda della Università Bocconi presenta molte analogie con quella di Città Studi, anche se il diverso tipo di committenza ha sempre garantito una maggiore qualità delle realizzazioni. Il primo insediamento progettato da Pagano (1937-41) all’epoca della costruzione si trovava in un’area periferica che solo in seguito è stata inglobata dall’espansione edilizia. La distanza dal centro è l’occasione per realizzare le promesse dell’architettura razionalista attraverso una pianta libera dal vincolo degli allineamenti stradali,  sviluppata  secondo uno schema ad elica derivata dalla Bauhaus di Dessau.

Gli ampliamenti successivi – la residenza per studenti (1956) e la biblioteca (1962-64) di Giovanni Muzio, la chiesa di S.Ferdinando di Ferdinando Reggiori (1958-62) (3) – sono sospesi tra l’eredità morale di Pagano e la revisione dello schematismo razionalista, e mostrano con evidenza la complessità e le contraddizioni della cultura architettonica italiana del secondo dopoguerra. L’ampliamento di Ignazio e Jacopo Gardella (2001) si inserisce nel percorso indicato da Muzio, con un massiccio volume a pianta ovale che ricorda per certi versi la Triennale: quasi un bastione posto a difesa della cultura.

La sede della SDA (Scuola di Direzione Aziendale) di Vittore Ceretti (1983-85) ricerca, invece, l’aggiornamento tecnologico: ad una interessante sezione a gradoni sono abbinati rivestimenti in pannelli di alluminio termolaccati Alucobond che permettono una distinzione cromatica, oltre che volumetrica, tra aule e corpi scala. L’ultimo edificio realizzato è il frutto di un prestigioso concorso ad inviti che ha premiato lo studio Grafton di Dublino. La straordinaria disponibilità della committenza in questo caso ha permesso di realizzare compiutamente un edificio che è stato salutato dalla critica come la migliore architettura milanese degli anni Duemila, un cuore di cristallo(4), una architettura colta e moderna(5), forse l’ultimo monumento a Milano(6).

L’Università Cattolica del Sacro Cuore, al contrario del Politecnico e della Università Bocconi, nasce in pieno centro, attorno agli antichi chiostri benedettini della Basilica di Sant’Ambrogio. L’architettura di Giovanni Muzio non conosce soluzioni di continuità con la storia, tanto che può dialogare con i monumenti al punto da rendere indefinibile il confine tra restauro, ricostruzione e ampliamento. Il rapporto di fiducia che si stabilisce tra la committente e progettista, inoltre, permette di realizzare, dal 1927 al 1949, un intero brano di città.

La frattura tra antico e moderno, invece, è sempre dichiarata e leggibile nell’intervento di conversione della Ca’ Granda in sede della Università degli Studi, progettato da Ambrogio Annoni, Amerigo Belloni, Adalberto Borromeo, Liliana Grassi, Pier Giulio Magistretti e Piero Portaluppi tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta. Il restauro, in questo caso, è condotto solo fin dove è possibile, mentre le parti ricostruite, pur rispettando la planimetria quattrocentesca del Filerete, sono architetture fieramente razionaliste.

La demolizione degli stabilimenti Pirelli e la costruzione del quartiere Bicocca (1986-2008) risolve almeno in parte i limiti delle precedenti esperienze urbanistiche attuando, forse per la prima volta in Italia, la conversione di un'area dismessa anziché l’occupazione di aree libere. Il piano di Vittorio Gregotti, oltre ad avere una dimensione inedita per la realtà milanese, è strutturato in modo da accogliere diverse funzioni: residenze, uffici, laboratori di ricerca: le facoltà universitarie trovano spazio in parte in un isolato di edifici industriali riadattati e in parte in un complesso di nuova costruzione, alternati da isolati con altre destinazioni, nel tentativo di riprodurre la complessità della realtà urbana.

Le vicende legate alla nuova sede del Politecnico di Milano nel quartiere Bovisa, invece, non hanno ancora trovato un compimento. I diversi progetti che si sono succeduti nel corso degli anni sono stati via via cancellati, a causa di problemi gestionali e finanziari, costringendo il Politecnico in un contesto segnato dal carattere provvisorio, di qualità architettonica discutibile e privo di pianificazione. Tuttavia è proprio alla Bovisa, tanto con il Politecnico quanto con l'Accademia di Belle Arti di Brera, che potrebbe sorgere l’architettura universitaria della Milano futura. 

[1] La definizione è tratta da: G. Ponti, «Domus» n. 296, 1954

[2] Gli altri due i trovano rispettivamente in via Corridoni e in via Lazzaretto. Vedi: S. Santuccio, Luigi Moretti, Zanichelli, Bologna 1986.

[3] La vicenda della costruzione della chiesa è riportata in Spinelli L., Costruire un frammento di città, in: Casciani S., Un cuore di cristallo per Milano, Editoriale Domus, Rozano, 2008.

[4] S. Casciani Un cuore di cristallo per Milano, Editoriale Domus, Rozzano, 2008

[5] E. Battisti, Colta e moderna, in  «Casabella» n. 768, 2008.

[6] S. Casciani, Ultimo monumento a Milano, in «Domus» n. 909, 2007