Dal 06.01.2017 al 16.01.2017
E' morto giovedì 5 gennaio nella sua casa di Cellatica a Brescia. 93 anni, laureato a Roma nel 1946, sulla sua Storia dell'Architettura Moderna hanno studiato generazioni di studenti di Architettura
Sulla sua storia dell’architettura moderna, pubblicato per la prima volta nel 1960 e best seller di lungo corso delle nostre scuole di architettura, sono almeno 4 le generazioni che hanno affrontato le sue oltre 1000 pagine con soddisfazione. Durante gli anni della scuola era d’uso confrontare il suo linguaggio asciutto ma appassionato, le foto di prima mano che dicono del grande viaggiatore e studioso diretto del manufatto architettonico, con le successive storie di architettura contemporanea, dove la visione eroica passava la mano alla critica non eroicamente militante e poi post moderna.
Zevi e Benevolo, diceva Giovanni Klaus Koenig, sono come l’Italia di quegli anni, dove la politica passava attraverso linguaggi molto diversi fra loro, ma non necessariamente il tono più sostenuto era prevalente. E soprattutto dove si credeva al grande disegno moderno.
Nato a Orta San Giulio, in provincia di Novara, il 25 settembre 1923, era da tempo era malato. Dopo essersi laureato a Roma nel 1946, insegnò storia dell’architettura a Roma e poi a Firenze, Venezia, Palermo. A Mendrisio Urbanistica.
Ben presto si occupa delle città come pianificatore, e come studioso scrivendo in anni più recenti le origini dell’urbanistica moderna (1995) e successivamente sui destini della città europea. Si occupa di pianificazione, membro della commissione incaricata del piano di ricostruzione dell’area completamente devastata nel 1963 dal disastro del Vajont.
Nel 1973 si trasferisce a Brescia, dove si occupa non senza polemiche del quartiere di San Polo, la cui realizzazione si protrarrà fino agli anni 1990. E poi il piano regolatore di Ascoli Piceno, il piano del centro storico di Bologna, di Brescia, Roma, Palermo, Urbino, Venezia. Nella seconda metà degli anni ’90 il piano regolatore di Monza (1993-97).
Un impegno che senza mai dimenticare la storia lo portava ad affrontare con lucidità le necessità della città, riconoscendo il tracollo disciplinare di questi ultimi anni. In questo senso appare eroica la posizione assunta negli anni ’80 riguardo l'utilità storica, culturale e sociale, dell'abbattimento del Vittoriano di Roma.