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Quando tutti progettano

Dal 17.12.2015 al 17.01.2016

Pubblichiamo un breve resoconto dell'incontro che si è svolto il 9 dicembre presso la nostra sede dedicato alla presentazione del libro “Design When Everybody Designs” di Ezio Manzini

Mercoledì 9 dicembre alle h.19.00 si è svolto presso la sede dell’Ordine degli Architetti di Milano l'incontro di presentazione del libro “Design When Everybody Designs” di Ezio Manzini, promosso dall’ADI, Associazione per il disegno industriale, nel quadro dell’iniziativa Design da leggere.
Al tavolo dei relatori, oltre a Vanni Pasca, che ha svolto il ruolo di moderatore, hanno discusso del lavoro insieme all’autore: Lorenzo Imbesi, professore e coordinatore della Sezione di Design dell’Università Sapienza di Roma, e Anna Meroni, professore associato di Design al Politecnico di Milano. Qui di seguito un breve resoconto dell’incontro.




“Bisogna progettare per non essere progettati”. E’ con questa affermazione di Enzo Mari che Franco Raggi introduce la conferenza dedicata all’ultimo lavoro editoriale di Ezio Manzini, in cui emerge il tema della cultura del progetto e del design come creazione di relazioni sociali.

Dopo aver ringraziato l’Ordine di Milano per la proficua collaborazione nell’organizzazione di queste serate dedicate al design, Vanni Pasca – professore ordinario in pensione e già Presidente della Associazione Italiana Storici del Design - introduce Ezio Manzini.

Design When Everybody Designs” propone una strategia di innovazione sociale pensata per portare dalla crisi molteplice nella quale ci troviamo oggi ad un contesto prospero e sostenibile futuro.
Punto di partenza della riflessione, spiega Ezio Manzini, è stato il riconoscimento di un insieme di produzioni diversificate che nella contemporaneità, in una società in cambiamento e grazie tecnologie in continua evoluzione, vengono identificate col termine “design emergente”.

Per comprendere cosa sia il “design emergente” del XXI secolo si può osservare il programma per “Cape Town: World Design Capital 2014”, dove, tra i 460 progetti di design raccolti, la maggior parte non consistevano in prodotti fisici ma in programmi di sistemi o servizi, progettati da gruppi di professionisti in cui solo talvolta erano presenti dei designer.

Inoltre fenomenologicamente, cercando in una qualunque libreria del mondo alla voce “design”, si troveranno libri di sociologia, gestione di policies urbane, business o management, a testimonianza di come oggi questo termine non sia più legato alla specificità di un prodotto materiale ma ad un insieme di metodi e capacità applicate a temi di politica, strategia e organizzazione.  La disciplina, in continuo cambiamento poichè si trasformano i temi che affronta, diventa un insieme di strumenti per risolvere problemi, che di rado tiene conto della qualità e del significato delle soluzioni trovate. Con il design emergente, conclude, viene dunque meno la cultura del progetto.

Per chiarire questo fenomeno Manzini cita il sociologo Antony Giddens, che definisce la società contemporanea come post-tradizionale. Quando le tradizioni si sciolgono, i soggetti si trovano a dover progettare nuovamente sé stessi e tutte le proprie scelte, non più dettate dal contesto in cui vivono o dalla consuetudine. Nella società attuale, in cui i cambiamenti sono veloci e diffusi, ogni aspetto della vita deve essere riprogettato dai soggetti e dalle comunità. Questo ha contribuito alla diffusione del termine design.

Così  questo vocabolo acquisisce nuove sfumature: si parla, per esempio, di “design diffuso”quando si considerano designer tutti coloro che attuano dei cambiamenti e danno una soluzione ad un problema, contrapposto al “design esperto” di coloro che, in un contesto in cui tutti progettano, danno un contributo specifico grazie alle loro competenze tecniche. Nasce inoltre il termine “co-design”, ovvero il progetto come processo trans-disciplinare e partecipato in cui vari attori collaborano apportando il proprio contributo attraverso specifici saperi.

Il design, continua Manzini, è da sempre caratterizzato da due obiettivi indissolubili: risolvere problemi dando soluzioni efficienti, e dall’altro lato generare significati attraverso una narrazione nuova; tuttavia il design emergente sta dando rilevanza esclusivamente alla funzione del prodotto e trascurando il suo significato culturale, con una tendenza che si può definire “soluzionismo”.

Design When Everybody Designs”  propone ai designer contemporanei di impegnarsi nella progettazione di reti collaborative, ossia reti di persone che collaborano in ogni aspetto della vita quotidiana per ottenere dei risultati, così da innescare un circolo virtuoso di beni relazionali e beni comuni sociali, quali fiducia, senso civico e amicizia. Solo con questi presupposti, afferma Manzini, il design potrà contribuire a creare una società prospera e sostenibile.

Anna Meroni propone al relatore un ulteriore punto di vista sull’argomento, ossia la combinazione nel progetto tra l’aspetto estetico e quello etico, inevitabile quando la disciplina si apre ai grandi temi della società.

Il discorso di Lorenzo Imbesi si apre, invece, citando la prefazione del libro “Artefatti. Verso una nuova ecologia dell'ambiente artificiale” scritto dallo stesso Manzini nel 1990, che trattava temi che sarebbero stati cruciali per il dibattito sul design dei 25 anni successivi. In essa riprende il ragionamento sul mutato ruolo del progettista di oggi a seguito della crisi sociale, energetica, industriale e tecnologica, avanzando l’ipotesi che tale crisi possa costituire un momento positivo di cambiamento per un progresso futuro.

Un altro assunto sottolineato è quello della democratizzazione della tecnologia che consente una condivisione dei saperi e una diffusione totale degli strumenti per progettare. Anche su questo aspetto, spiega Imbesi, l’autore ha una visione positiva legata all’idea di un’intelligenza collettiva e di una progettualità diffusa che stimoleranno una collaborazione proficua per la società.
 
Infine Imbesi intravede all’interno del libro, in una sorta di parallelismo con i movimenti politici degli anni ‘70, una concezione movimentista del design, una forma di attivismo quasi politico di una massa di persone che progettano, guidate da un leader che è il designer esperto.
La domanda lasciata aperta dal dibattito, secondo Imbesi, riguarda il ruolo delle scuole nell’insegnamento di un design che non è più produzione di oggetti ma processo di ricerca.

Dal pubblico due professionisti pongono l’accento sul sopravvento della cultura del marketing rispetto a quella del progetto e sul tema della bellezza, che dovrebbe essere sempre il fine di qualsiasi produzione di design.

A conclusione dell'incontro Franco Raggi propone due derive della cultura del prodotto nel mondo attuale: quella che porta a progettare servizi e non oggetti, incarnata dalla sempre in espansione sharing economy, e quella legata all’idolatria della qualità artigianale del manufatto, che rende i prodotti altamente esclusivi e di lusso.

Ezio Manzini ribadisce il concetto: da una parte i designers di oggi dovrebbero cogliere la tendenza contemporanea di concentrarsi non più sulla fisicità del prodotto ma sulle interazioni, dall’altra dovrebbero ampliare il senso del progetto, troppo spesso catturato dal marketing o legato banalmente al funzionalismo.

Riguardo il tema etica-estetica nel progetto, Manzini propone il caso virtuoso di Slow-Food, che ha introdotto il diritto al piacere e a prodotti di qualità unito al valore etico dei prodotti alimentari.

Infine, in relazione ad un passaggio di Imbesi, precisa che lui non considera il design expert come il leader di un movimento, ma solo come uno degli attori che partecipa al processo progettuale, apportando però tutte le sue conoscenze tecniche.

Conclude l’incontro Vanni Pasca sottolineando il passaggio epocale che sta avendo luogo oggi nel mondo del design, simile a quello avvenuto all’inizio del secolo scorso.

Caterina Aquili

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