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Gio Ponti e il Corriere della Sera 1930-63

Dal 27.06.2011 al 24.07.2011

Il 21 giugno si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del volume "Gio Ponti e il Corriere della Sera. 1930-1963", a cura di Luca Molinari e Cecilia Rostagni

Martedì 21 Giugno si è tenuta presso il Salone d'Onore della Triennale di Milano la conferenza di presentazione del volume "Gio Ponti e il Corriere della Sera. 1930-1963", a cura di Luca Molinari e Cecilia Rostagni, una straordinaria raccolta dell'intero corpus di articoli scritti dall'architetto milanese in più di trent'anni di collaborazione con il Corriere della Sera. É il secondo volume della serie: il primo è stato dedicato a Croce (Benedetto Croce e il "Corriere della Sera". 1946-1952, a cura di Giuseppe Galasso), il terzo sarà dedicato ad Einaudi. La collana, intitolata "Terza Pagina",  intende riscoprire gli articoli di alcuni importanti esponenti della cultura italiana che scrissero per il Corriere: un progetto che valorizza la centralità della città di Milano nel dibattito culturale italiano dello scorso secolo. La presentazione avviene contestualmente alla grande mostra Espressioni di Gio Ponti, a cura di Germano Celant, allestita sempre presso la Triennale di Milano e aperta fino al 24 luglio 2011.

Il primo intervento è un breve saluto del neo Assessore alla Cultura, Expo, Moda e Design Stefano Boeri, che, da architetto, evidenzia come la storia di Gio Ponti sia per certi versi una storia ancora aperta; se la figura di Ponti aspetta ancora di avere una collocazione chiara nel panorama culturale italiano, è certo che questa figura ha ormai un peso determinante, per la fluida capacità di interpretare ed esprimere la modernità dell'intero novecento. Osteggiato nel periodo fascista, Ponti è stato apprezzato dai rappresentanti del modernismo e del razionalismo, in particolare per la decisione di portare la Triennale a Milano. Boeri sottolinea il legame di Ponti con la città, rileggendo l'ormai classico scritto, pubblicato in "Amate l'Architettura" in cui l'architetto milanese cita un articolo di Furneax Jordan, che "ha voluto raggiungere Milano dal sud, attraversando «l'Italia dei vigneti, dei villaggi di pescatori, dei monasteri in cima alle montagne, dei paesaggi color ocra di Benozzo Gozzoli e di Piero della Francesca » fino a scoprire i pioppi di Lombardia, e giungere, novello Stendhal, ma inglese, to the my Milan; la sua Milano". Milano, in definitiva, come "la cosa più italiana d'Italia"; lo sostiene con grande originalità un architetto più che mai proiettato nel futuro, conclude Boeri.

Luca Molinari mette in evidenza come di questo libro si sappia ben poco; gli articoli di Ponti più famosi sono spesso citati, ma il corpus degli articoli scritti in quei trent'anni, circa 135, era fino ad ora sconosciuto. Proprio a partire dalla quantità di scritti si ritrova la statura intellettuale di un architetto che sentiva forte la necessità di dare il proprio contributo al dibattito culturale del tempo, non solo attraverso le riviste di settore e le architetture realizzate, ma anche attraverso le pagine della carta stampata.

Cecilia Rostagni racconta il lavoro svolto all'Archivio della Fondazione Corriere, in parallelo a quello degli archivi Ponti; l'obiettivo era quello di ricostruire la vicenda che ha legato Ponti al Corriere, fin dagli esordi: fu lo stesso Ponti, infatti, a chiedere al giornalista Ugo Ojetti di poter avere una rubrica sul quotidiano, a partire dal 1933. La rubrica gli venne accordata, ma a patto che si occupasse di interni: i primi articoli, scritti con un linguaggio semplice e rivolti ad un pubblico comune, raccontano come debba essere la "Casa Moderna". Quella casa che, proprio nel 1933, in qualità di membro del direttorio della Triennale con Mario Sironi e Carlo Alberto Felice, egli proponeva per la V "Esposizione Internazionale dell'architettura e delle arti applicate per l'abitazione moderna", inaugurando la nuova monumentale sede realizzata da Giovanni Muzio.

Ponti è un grande artista: basta vedere la qualità e il gusto delle sue cartoline – è un grafòmane – esordisce Cino Zucchi; sente che l'oggetto della propria arte è la vita che scorre. La modernità per Ponti è una condizione: leggere "Amate l'Architettura" mette indiscutibilmente gioia ("non un libro sull'architettura ma per l'architettura" precisa lo stesso Ponti ), ma anche quando si tratta di progettare degli uffici, dei semplici luoghi di lavoro, prevale il concetto dell'abitabilità, indagato in tutti i suoi aspetti per garantire una migliore qualità della vita a coloro che vivono lo spazio. Soprattutto, Ponti inizia a capire che la divulgazione è importante; non a caso – prosegue Molinari – egli è stato progettista di riviste (Domus, Stile); nel Corriere della Sera, poi, ha trovato uno strumento per arrivare alla gente, per costruire un gusto. In una rubrica che si occupa del tema della casa –  di critica d'arte e architettura scriveva Ojetti – egli è in grado con grande originalità di allargare il suo punto di vista per giungere alle questioni più generali riguardanti l'architettura.

Ponti ha una visione ottimista della modernità – continua Zucchi – e cita Ernst Gombrich quando in un celebre saggio afferma: "La civiltà, osiamo sperare, si può trasmettere; non la si può insegnare in corsi universitari che finiscono in un esame". In un convegno d'una trentina d'anni fa Guido Canella diceva che da studente egli seguiva Rogers, mentre Ponti era considerato un artista; in quell'occasione – racconta Zucchi – Lisa Licitra Ponti pianse.

In definitiva ciò che più entusiasma di Gio Ponti è la straordinaria idea della simultaneità tra passato e futuro ("Il mondo formale nel quale viviamo è più ricco dell'antico, perchè vi comprendiamo anche l'antico: nella cultura l'antichità è un fatto contemporaneo: nella cultura non esiste antico, esiste la presenza simultanea e meravigliosa di ogni cosa antica e attuale" afferma Ponti).

Luca Molinari parla dell'idea di modernità come idea di civiltà: in fondo Ponti racconta della capacità civile dell'architettura di far vivere meglio l'uomo.

Dal pubblico interviene Cini Boeri, che racconta come Ponti le avesse proposto di iniziare a lavorare nel suo studio, appena dopo la laurea: "se vuoi lavorare forte..chiamami lunedì"; Cini iniziò subito; "in quello studio" – ricorda – "si faceva poesia". Ennio Brion, che esordisce dicendo di essere un committente d'architettura, si chiede come Ponti e Scarpa possano aver avuto, pur essendo tra i professionisti più originali, delle difficoltà e delle limitazioni in certe fasi della loro attività.

 Nella lunga serie di articoli pubblicati dalla Fondazione Corriere della Sera emerge non soltanto la determinazione di chi comprende la nuova dimensione mediatica dell'architettura (in anticipo di mezzo secolo) ma anche le difficoltà di chi, dopo gli entusiastici successi editoriali di "Domus", vede – con l'entrata in guerra dell'Italia fascista – l'affievolirsi di tutte le reali speranze di un'agognata modernità. Se nel Dopoguerra "Casabella", sotto la direzione di Rogers, assume indiscutibilmente un ruolo di guida nel rappresentare gli architetti modernisti, Ponti, a conflitto ancora in corso, anticipa i tempi con l'originalità della rivista "Stile" ("lascio "Domus" e faccio con Garzanti "Stile", scrive al giornalista Ugo Ojetti nel 1940), rinnovando ancora una volta il punto di vista sul mondo dell'architettura e dell'arte. La rivista, diretta da Ponti dal 1941 al 1947, uscirà con continuità anche nelle fasi critiche della guerra e ospiterà tra le sue pagine più di settecento articoli del suo direttore. "È sbagliato" – afferma Luca Molinari, che è giunto a Ponti dopo aver studiato per lungo tempo Rogers – "vedere una contrapposizione tra i due. Negli anni Trenta c'erano tante idee di modernità; dopo la guerra ci furono vincitori e vinti, ma oggi, senza voler fare del revisionismo inutile, tutto questo è superato. Ponti è rimasto nell'ombra perchè dopo il '36 non ha preso posizione, come hanno fatto tanti altri, ma soprattutto ha pagato il prezzo di essere un vero professionista". In effetti – incalza Zucchi mostrando al pubblico della sala il celebre "Milano Oggi" e il più raro "Paradiso Perduto?", piccolo testo a stampa del 1956 – Ponti era contraddistinto da una generosità profonda, da una sana ingenuità che traspare in tutte le opere e gli scritti.

Tra gli articoli raccolti nel volume vi è il testo dattiloscritto del 1951, straordinario per vitalità e ironia, titolato "Domenicando per architetture", pubblicato lo scorso 7 giugno sul Corriere della Sera. Una lezione di stile e leggerezza, utile soprattutto per chi, oggi, abbia la responsabilità di divulgare la cultura architettonica moderna. Quel sommesso "date, se vi garba, un'occhiata magari anche ai due edifici della Montecatini in via Turati" è misura della dimensione morale e insieme del valore civile del più poliedrico architetto italiano del Novecento.

Stefano Suriano

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