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Settimana del 13 aprile 2009

Dal 21.04.2009 al 23.04.2009

La settimanale rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld.it

Zumthor, l' architetto falegname
Premi: L' artista svizzero vince il Pritzker. Mario Botta: trionfa la qualità, sconfitto lo show-business
«In una società che celebra il superfluo, io faccio resistenza»

È il trionfo dell' architetto-artigiano, la vittoria della professione intesa come missione (qualcosa in bilico tra filosofia, didattica ed ebanisteria) sull' universo delle archistar. Il Pritzker 2009 assegnato allo svizzero Peter Zumthor (secondo elvetico dopo la coppia Herzog-de Meuron nel 2001) segue una delle strade che il Nobel dell' architettura ha scelto, praticamente da sempre, di seguire: da una parte, la celebrazione dei progettisti più universalmente noti (Gehry, Foster, Koolhaas, Rogers, Nouvel premiato l' anno scorso); dall' altra, il tentativo di far conoscere grandi professionisti defilati, ma molto apprezzati dagli addetti ai lavori (Fehn, Murcutt, Utzon, Mayne, Mendes de Rocha). Peter Zumthor - nato a Basilea il 26 aprile 1943, figlio di un ebanista, ha imparato fin da piccolo il mestiere di falegname nel laboratorio del padre - appartiene alla categoria dei «grandi solitari». Il suo conterraneo Mario Botta lo definisce «uno stambecco», per poi subito riconoscere: «È un premio ben dato, perché stavolta si è privilegiata la qualità e non lo show-business» (il premio assegnatogli a Los Angeles, gli verrà conferito il 29 maggio a Buenos Aires). Le prime parole di Zumthor, rubate dal suo eremo di Haldenstein, sono state per i giovani: «Spero che questo premio possa dare speranza ai giovani architetti che ora potranno dire: ce l' ha fatta Zumthor, posso farcela anch' io» (in queste dichiarazioni si ritrova la sua anima di docente al Southern California Institute di Los Angeles e all' Accademia di Mendrisio). E l' architettura? «In una società che celebra tutto ciò che è inessenziale e superfluo, l' architettura è una forma di resistenza e non una questione di stile: ogni edificio deve essere costruito per uno specifico uso, in uno specifico luogo, per una specifica realtà sociale. I miei progetti nascono per rispondere a tutte queste esigenze». La motivazione del premio (quest' anno in giuria anche Renzo Piano, Pritzker nel 1998) parla di «un maestro ammirato dai suoi stessi colleghi, un architetto senza compromessi ed eccezionalmente determinato». E poi ancora: «I suoi edifici sono una presenza forte e senza tempo perché Zumthor possiede il raro talento di combinare la semplicità e il rigore con la dimensione più poetica dell' architettura». Le sue, insomma, non sono semplici architetture ma realtà che «esprimono rispetto per il luogo e per l' eterna lezione della storia». E Zumthor (che l' anno scorso aveva già ricevuto il Praemium Imperiale dalla Japan Art Association) ha visto riconosciute proprio le sue caratteristiche di professionista-artigiano dalla giuria del Pritzker: «Nelle sue mani, come in quelle di un consumato artigiano, materiali come il legno o la pietra vengono celebrati nell' interezza delle loro qualità, messe al servizio dell' architettura». Nel lungo, ma non lunghissimo, elenco delle opere di Zumthor - sposato, padre di tre figli, nonno di due nipoti - si ritrova tanto della sua Svizzera. A cominciare dai bagni termali di Vals (1996) che la stessa giuria del Pritzker ha definito «il suo capolavoro»: «Volevo fare una cosa completamente diversa da una semplice piscina dove nuotare per ore. E a Vals il tema dell' acqua era così forte che non è stato difficile trovare la giusta soluzione» (una soluzione fatta di pietra e vetro, austera e sensuale al tempo stesso perché «l' architettura è anche un' arte dei sensi»). Quello che è successo a Vals, d' altra parte, rappresenta una conferma di quanto possa essere utile, in termini economici, una buona architettura: dopo l' intervento di Zumthor i frequentatori delle terme sono aumentati del 45% all' anno, con una media superiore alle 40 mila presenze. Accanto a Vals, tra i suoi capolavori (divisi soprattutto tra Svizzera, Germania e Austria, ma non Italia) ecco la cappella di San Benedetto a Sumvitg (1988); il Museo di Chur (1990); la Chiesa del Gesù di Monaco (1996); il Museo di Bregenz (1997); il Padiglione svizzero all' Expo di Hannover (2000); il Museo Kolumba di Cologna (2007) fino al Memoriale per le donne «bruciate come streghe» (tra il 1598 e il 1692) nella regione di Vardo (Norvegia): due edifici scuri, tragicamente austeri, destinati a ospitare tra l' altro un' installazione di Louise Bourgeois. Dunque, un architetto di poche parole e di non tantissimi lavori (le sue monografie sono edite in Italia da Electa). D' altra parte Zumthor è uno che si prende sempre molto tempo per fare bene i suoi progetti: «La precisione e il prendere tempo sono concetti che mi piacciono - dice -. Non consegno niente se non ho la sensazione che tutto sia a posto. Sono io che decido. Per questo sono disposto a non diventare ricco e a risultare difficile ai miei committenti». Da qui la fama di «personaggio duro e scostante»: ne sanno qualcosa gli industriali italiani che hanno più volte cercato di commissionargli oggetti di design, senza riuscire a vederli mai realizzati.
Bucci Stefano
Pagina 35
(14 aprile 2009) - Corriere della Sera


Emergenza abitativa
Case per i non abbienti
Il richiamo del cardinale e le promesse del Comune

È il quarto o il quinto assessore che sento e leggo affermare che ormai il problema casa è in direzione di arrivo, che si è progettato, si sono previsti stanziamenti. Però non vedo le ruspe, non ho mai visto le ruspe, voglio dire quelle che scavano per mettere le fondamenta e così avviare questa famosa costruzione di case ad affitti accessibili alle migliaia di cittadini milanesi che guadagnano intorno ai mille euro al mese. Siamo arrivati a circa ventimila e più famiglie in emergenza abitativa ed ogni anno si crea l'urgenza della proroga degli sfratti. A Milano si è costruito dovunque. Ogni area ha trovato il suo palazzo più o meno grandioso, anche le aree di proprietà comunale sono state quasi tutte impegnate. Invece molti appartamenti di proprietà comunale restano vuoti, Piazza Dateo è un clamoroso esempio ma non è il solo. L'assessore Masseroli dice che saranno costruiti ventimila appartamenti e si indigna perché l'arcivescovo ha richiesto case anche per i più poveri. Ci chiede un grosso impegno di fede. Certo è che per uno che è nato a Milano e ci vive da quasi settanta anni, credere all'assessore Masseroli è proprio un impegno di fede ed il richiamo del cardinale Tettamanzi appare più che giustificato. Singolare anche la difesa dei «ricchi» che darebbero i soldi per costruire case per i meno ricchi. Stiamo parlando di beneficenza o di interessi, o di tasse giustamente da pagare? Gli interessi per chi costruisce sono sacrosanti ma a farli diventare virtù mi pare un po' troppo. Nessuno mette in dubbio la liceità della proprietà privata come pure è chiaro che senza il profitto non ci sarebbe possibilità di reinvestire ma la scelta dell'housing sociale per intanto è una scelta della Fondazione Housing sociale della Fondazione Cariplo e la scelta di costruire case in affitto calmierato è di poche società private. Riguardo poi alla ricchezza intesa come una quantità di beni che supera una serena e necessaria sicurezza di una famiglia o di una società, non sarà sbagliato ricordare che i beni della terra Dio li ha dati per tutte le sue figlie e i suoi figli e non è lecito - cristianamente - detenere un eccesso di beni mentre altri soffrono povertà. La faccenda evangelica del cammello che non passerebbe per la cruna di un ago dovrebbe offrire qualche pensiero a chi appartiene alla categoria della ricchezza e a chi la commenta.
Don Gino Rigoldi
(16 aprile 2009) Corriere della Sera – Sezione Milano


La mostra .Un progetto all' anno per i quartieri. «Una città sana, accogliente, pulita»
Orti, circhi e niente grattacieli. La Milano dei bimbi-architetti
I disegni dei piccoli alunni: più parchi e piste ciclabili, no a traffico e smog Catella: «Fondi da terzo settore e imprese per finanziare i progetti». Rampello, Triennale: ascoltare i cittadini Legambiente «Si sta rivoluzionando il modo di abitare nelle case e negli spazi comuni, ma la politica è in ritardo»

«Venite!» e giocate con noi a disegnare il futuro. La Milano dei bambini-architetti ha il circo, le piste ciclabili rosse e un anello per l' atletica, le carote nell' orto, alberi e ancora alberi, Dumbo, il bowling, il gelataio, la pizzeria, le vasche dei pesci nel parco. Dicono all' Unicef che una città a misura di piccoli va bene per tutti: sana, accogliente, pulita. Così la si ritrova nei 194 disegni degli alunni di cinque scuole elementari e medie raccolti per l' iniziativa «I progetti della gente» promossa dalla Fondazione Riccardo Catella (Frc) con Assolombarda, Fondazione Cariplo, Triennale e Legambiente. «Venite!», allora, ma sappiate che non troverete grattacieli né centri commerciali, traffico e superstrade non sono previsti. Solo oasi, colline, grandi pennellate di verde. «Partiamo dall' ascolto dei bambini per avviare un programma di interventi concreti per il miglioramento dei quartieri», spiega Manfredi Catella, amministratore della società immobiliare Hines (Garibaldi-Isola) e presidente della Frc: «I bambini, nella loro semplicità, descrivono i veri bisogni quotidiani». Ogni anno un progetto diverso in una zona della città, l' ultimo previsto nel 2016, oltre l' Expo: si lavora all' eredità del dopo con microiniziative di qualità, iniezioni di buona urbanistica. Si parte dall' Isola (domani, ore 11, la presentazione nella sede Frc in via De Castillia) e poi si deciderà di volta in volta, consultando i consigli di zona, vagliando le proposte di cittadini e associazioni. Il paesaggista Andreas Kipar e lo studio legale della Frc «garantiranno» stesura ed esecuzione dei progetti (in collaborazione con Comune, Provincia e Regione). «Ma il successo dell' iniziativa dipenderà molto dall' adesione di altri soggetti», precisa Catella: «Anzitutto il mondo del non profit, associazioni e fondazioni attive sul territorio. Il secondo invito è alle imprese, anche piccole, perché chiaramente per realizzare i progetti ci vogliono i fondi. Infine, i cittadini: bastano anche piccoli contributi...». Il compito della Frc sarà «trovare tra tutti un minino comune denominatore». Milano e il suo nuovo umanesimo. «Rimettere la persona al centro delle riflessioni e dei progetti sulla città» è uno degli obiettivi de «I progetti della gente». Hanno iniziato a mettersi in gioco i bambini delle scuole elementari Foppette, Bacone, Montessori, gli studenti della Rinnovata Pizzigoni e quelli dell' istituto comprensivi Jacopo Barozzi. I loro bozzetti e le idee per una nuova Milano a matita e pennarelli saranno in mostra da domani sulle cesate del cantiere di riqualificazione di Garibaldi-Repubblica. La bimba che ha disegnato l' elefante e scritto «Venite!» ha riempito il margine del foglio di un azzurro caldo, un cielo senza smog per le mamme con i passeggini. Un passerotto tiene su un cartello: «Ciao». È un' altra Milano. Ma è possibile? «Si può cambiare, certo. Basta ascoltare, selezionare, realizzare buoni progetti», risponde Davide Rampello, il presidente della Triennale: «Purtroppo, normalmente ci si ferma all' ascolto e non si procede. Adesso - anche grazie a quest' iniziativa aperta alla gente - è possibile. È un modo diverso di muoversi». Un modo «concreto», chiosa Rampello. Forse impellente, necessario. «Si sta rivoluzionando il modo di abitare nelle case e negli spazi comuni», continua Andrea Poggio, vicedirettore nazionale di Legambiente: «Dunque vanno organizzati i bisogni fondamentale per ridisegnare la città. La normale amministrazione non ha mai avuto quest' idea di progettazione e sviluppo. Bene, sperimentiamolo». Una striscia d' erba ha sostituito la strada, in questa Milano degli architetti-bambini, e un filare di querce fa ombra a tre amiche. Si inseguono. La prima urla «sbrigati!», la seconda s' arrabbia («no!») e la terza, dal fondo, grida «aspettatemi!». Neanche nei sogni dei piccoli Milano corre tutta insieme, c' è sempre qualcuno che arranca.
Armando Stella
Pagina 6
(17 aprile 2009) - Corriere della Sera



Masseroli: case vuote? Costruiamo sul costruito
«E’ il frutto dei vincoli normativi, che per anni si è pensato difendessero l' interesse pubblico, ma ormai bisogna riconoscere che il re è nudo». È l' analisi sulla città vuota degli edifici abbandonati e delle case sfitte, del milione di metri quadrati di ex aree industriali dismesse fatta dall' assessore all' Urbanistica, Carlo Masseroli. Che raccoglie subito l' invito degli architetti a non consumare nuovo suolo: «Bisogna costruire sul costruito. Ma per farlo vanno tolti i vincoli, altrimenti i vecchi immobili fatiscenti resteranno tali e i vecchi uffici inutilizzati resteranno dismessi. Ciò che si deve fare invece è creare funzioni che siano attrattive e dunque economicamente sostenibili». Sull' edilizia privata il picco di domanda sull' offerta è il motivo per cui migliaia di case sono vuote. «Milano ha perso colpi - commenta Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia - l' unica via d' uscita è far sì che torni a essere attrattiva». Agevolare il cambio di destinazione d' uso, per Assoedilizia, aiuterebbe la riconversione del terziario dismesso. Idea condivisa dall' assessore alla Casa, Gianni Verga, che sull' edilizia residenziale propone: «Inserire l' affitto nella dichiarazione dei redditi aiuterebbe l' affittuario in difficoltà». Nel mare di edifici dismessi ci sono però anche troppi edifici pubblici. E per rimetterli in piedi mancano i soldi: «Le cascine dobbiamo darle agli agricoltori - dice Masseroli-E per le ex scuole dobbiamo trovare nuove funzioni». Sul patrimonio di edifici vuoti in città, Pd e Verdi annunciano un' interrogazione al Consiglio: «Il Comune alzi l' aliquota Ici come disincentivo», propone Maurizio Baruffi. Sull' hotel comunale abbandonato da trent' anni in Montegrappa «l' ideale sarebbe rivitalizzarlo in un' ottica di turismo low cost», dice Pierfrancesco Maran del Pd.
ILARIA CARRA
La Repubblica
17-04-09, pagina 5 sezione MILANO


La polemica Lettera in difesa del disegno dei Chelsea Barracks firmato da Rogers
Da Piano a Gehry, il manifesto degli 11 Le archistar accusano il principe Carlo
«Fa lobby dietro le quinte per bloccare i progetti su Londra»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA - Agli architetti, e che architetti, le manovre del principe non vanno proprio giù. E al principe che questi architetti si mobilitino per difendere l' illustre Lord Rogers, che vuole ridisegnare una fetta della zona di Chelsea senza tenere conto della sua opinione, appare proprio una pessima provocazione. Non siamo ancora alla carta bollata e alle denunce da tribunale ma fra Carlo e 11 superprofessionisti mondiali dell' urbanistica volano stracci e cattivi pensieri. E se liti e sgarbi del genere sono nove volte su dieci destinati a restare blindati e al riparo da ogni curiosità, per non impegolare un membro della famiglia reale in affari troppo delicati, rimane pur sempre quell' unica volta in cui tutto tracima e stare zitti proprio non si può più. E così è scoppiata la guerra dei «barracks di Chelsea». Con protagonisti di assoluta eccezione. Ieri mattina nei parchi londinesi se la gustavano in molti, quella lettera insolita pubblicata a pagina 22 del Sunday Times. Un titolino su due colonne («Il principe e il processo»), ma messo in modo che anche ai più frettolosi lettori non sfuggisse, anche perché se ne aveva un bel richiamo nell' apertura del giornale e addirittura un editoriale. «Il principe e il processo» sembra quasi l' accattivante introduzione a un racconto o a una fiaba. Ma qui siamo di fronte a ben altro. Che sia uno sgambetto scorretto a gamba tesa o uno schiaffo pesante di legittima difesa poco importa. Ciò che conta è che 6 premi Pritzker, l' equivalente del Nobel per l' architettura, e 4 loro colleghi di pari levatura, hanno scritto che il principe Carlo deve farsi gli affari suoi, non deve abusare del ruolo e della posizione che ha, infine deve, se intende esprimere le sue critiche, usare i canali democratici e non andare per vie traverse. Una lezioncina pepata. I nomi dei firmatari sono da Gotha della professione ed elencarne le opere realizzate richiederebbe un libro intero. Per citarne qualcuna: il Centro Pompidou di Parigi e il «Nido» di Pechino, il Guggenheim di Bilbao e la Tate Modern di Londra. Dunque sono in ordine di apparizione: Lord Foster, Zaha Hadid, Jacques Herzog e Pierre de Meuron, Jean Nouvel, Renzo Piano, Frank Gehry, Sir Nicholas Serota, Richard Burdett, David Adjiave e Deyan Sudjic. Il contenzioso nasce dal progetto di Lord Richard Rogers, firma prestigiosa dell' urbanistica (è suo ad esempio il Terminal 5 di Heathrow), che prevede un intervento chirurgico su un' area di Chelsea, di proprietà di una società a maggioranza controllata dalla famiglia reale del Qatar, a ridosso del Tamigi e vicino al vecchio Royal Hospital di Sir Cristopher Wren fondato nel 1682. Far convivere vetro e acciaio del nuovo con i mattoncini rossi e le pietre del vecchio è difficilissimo, ma non impossibile. Spesso ne escono meraviglie. L' idea è approdata alla Commissione di Westminster ed è andata avanti fino a che il principe Carlo lo ha giudicata «inadeguata» e ha imposto uno stop. Lui preferisce una soluzione di tipo classico, che è poi quella suggerita del suo architetto favorito, Quinlan Terry. Ha così parlato direttamente con la famiglia reale del Qatar e all' improvviso la macchina delle autorizzazioni si è inceppata. Facile intuirne la ragione. No, non poteva finire così. Anche Lord Rogers ha le sue carte da giocare. E la carta scelta, la lettera al Sunday Times degli 11 architetti fra i quali lui non figura, è un discreto modo di esprimere il dissenso, garbato nella forma ma spietato nei contenuti. «È fondamentale in una moderna democrazia che i commenti privati e l' attività di lobbying dietro le quinte da parte del principe non debbano essere usati per mettersi di traverso al corso di un aperto e democratico processo di progettazione... Se il principe vuole commentare il disegno di questo o di qualsiasi altro progetto, lo sollecitiamo a farlo attraverso le vie riconosciute della consultazione. Piuttosto che usare la sua posizione privilegiata per intervenire in uno dei più significativi progetti da realizzare a Londra nei prossimi cinque anni, egli dovrebbe impegnarsi in un dibattito aperto e trasparente». Come il principe Carlo l' abbia presa non si sa. Ma Lord Rogers ha un' altra carta, quella di riserva, forse la decisiva: è amico personale della regina. Il Sunday Times tifa per Carlo ma sui «Chelsea Barracks» la partita è aperta. Il bon-ton può attendere.
Fabio Cavalera
Pagina 25
(20 aprile 2009) - Corriere della Sera


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