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XXIII Congresso Mondiale dell’Architettura: terza giornata, mercoledì 2 luglio

Dal 11.07.2008 al 11.07.2009

Il Futuro e la speranza dell'età tarda: lectio magistralis di Peter Eisenman, i giovani italiani e la crescita con arte. Ultima giornata a Torino...

Mercoledì 2 luglio
La terza e ultima giornata di lavori del Congresso, dedicata come abbiamo già visto alla linea della ‘Speranza’ (Futuro), vede come primo evento mattutino la Lectio Magistralis di Peter Eisenman. Mito e leggenda dell’architettura progressiva americana, già Five Architects, decostruzionista della prima ora, oggi è in preda al dubbio magistrale.

In una cornice da convention presidenziale, migliaia di spettatori ascoltano questo raro intellettuale americano, che ha costruito relativamente poco ma, come vedremo, con delle botte di estensione pazzesca. La sua esposizione, rodata da 50 anni di insegnamento, è di una chiarezza esemplare.

Procede per punti netti, in esplicita e gaudente contraddizione, con le parole d’ordine di questo Congresso.

1- l’architettura non è trasmettibile, così come l’amore. Si trasmettono messaggi come "amo l’architettura" ma non l'srchitettura stessa.
Non dobbiamo abbandonare la disciplina per la comunicazione. Cosa significa tornare alla disciplina in una società mediatica? Significa tenere viva la capacità di attribuire significato e valore. Questo è architettura.
L’architettura in una società mediatica è il confronto tra fisico e virtuale. L’architettura, come la scrittura, necessita di concentrazione: se trasmessa da immagini virtuali si svia il discorso e si creano illusioni.

2- l’architettura non è per tutti.
L’architettura non ha a che fare con sostenibilità, normativa etc.
In America si vota per ogni cosa, facendo apparire tale gesto un atto di partecipazione: ma è un carnevale sedato, il voto non vale nulla; non si protesta, al limite si parla di diritto. Il ’68 è inimmaginabile. La guerra assorbe ogni energia.
Il computer porta alla passività. Non si disegna: Palladio, Le Corbusier, una sezione porta con se delle idee, col computer non si concettualizzano idee.
Il problema sta nella domanda: il Palladio mi aiuta a trovare lavoro? Così l’architettura si priva di valore, poiché l’istruzione non coincide con avere lavoro, che ottengo invece e brillantemente se so fare immagini fantastiche e mirabolanti a velocità massima.

3- Trasmettere democrazia: siate democratici non è una dichiarazione democratica.
Le icone, va bene, sono necessarie, ma Venturi ci ha già mostrato quanto i simboli hanno perso di significato se usati nella logica dello spettacolo.
Insomma: senza sistema di valori, non vi è significato.

4- Speranza: come insegnante Eisenman sente una speranza illimitata e riconosce al nostro momento storico speranza per l’architettura.
Oggi siamo in un periodo di stile ‘tardo’, così come nel tardo Rinascimento, prima del Barocco, il Post Manierismo, alla Sansovino, Scamozzi. Oggi ci troviamo in un momento epocale, abbiamo nuove tecnologie, logiche matematiche sorprendenti.
Nella sequenza della Storia recente: il Moderno fino alla II guerra mondiale, diventa codice modernista. Poi arriva il post moderno e infine il de Costruttivismo. Oggi siamo senza paradigma:
‘Siamo in mezzo al mare senza vento’.

Ma cosa succede alla fine di un momento culturale, prima di un cambiamento epocale?
Come Beethoven nella 'Missa Solemnis', con idee avanti su tutti, fuori dagli schemi ma anche con inevitabile indecisione. Questo non è il momento del nuovo, e guardare alla storia può essere una strada.
O come Thomas Pynchon invece nel suo libro 'contro il giorno' (2006, non ancora tradotto in italiano n.d.r.), in cui parla dei primi vagiti di futuro, di dischi volanti.
Per concludere, tra questi due estremi, Eisenman non considera questo momento storico un momento di novità, di prevalenza di un paradigma su altri, per cui bisogna guardare alla storia per saper gestire i problemi di oggi.

Al termine di questa sua analisi ha presentato un solo suo lavoro, in corso da oltre 10 anni e che proseguirà probabilmente per altrettanti: la città della cultura della Galizia a Santiago di Compostela. Concorso vinto nel 1999.
Un edificio inciso nella montagna, anch’essa però artificiale, antispettacolare -dice.
Eppure i suoi riferimenti sono primordiali ed assoluti: L’Acropoli di Atene, l’Alhambra di Carlo V, il Campidoglio Michelangiolesco, l’Escorial, l’Hofburg di Vienna e il Getty Foundation di L.A…. una summa universale, insomma.

Nel descriverlo parla di forme naturali, dei materiali, facendo scorrere foto che non possono contenere quanto descritto.

Tra le domande del pubblico, al termine della lectio, l'intrigante Pippo Ciorra lo provoca affermando che 10 anni fa avrebbe detto cose totalmente diverse.
Risposta: Dubai, che rappresenta l’oggi, non cambia il mondo, a dimostrazione che mancano paradigmi di riferimento.
Bisogna essere cauti, non vi ho mostrato risposte, ma solo il periodo tardo di Peter Eisenman.

Non ho mai particolarmente amato la sua architettura, ma mi è parso memorabile.


La giornata procede tornando al Lingotto. Scelgo di assistere alla rassegna a cura di Luca Molinari sui ‘giovani architetti italiani’. In sequenza intervengono:
Franco Librizzi di Palermo, che ha collaborato con Boeri per gli interni della nuova RCS di Milano;
Suburbia di Caserta;
2a+p di Roma, nati come collettivo universitario e redazione di fanzines, attivi con installazioni urbane.
Ghigos ideas di Milano, che lavorano sulla dissoluzione dei confini disciplinari;
Baukhu di Genova, vincitori di un Europan realizzato ad Amsterdam;
Studio MARC di Torino, impegnati in ristrutturazioni e allestimenti.

Incontro educato.
Certo dopo la lezione di Eisenman, le immagini un poco leccate di un campione inevitabilmente parziale della realtà italiana appare un poco privo di energia vitale. Sarà timidezza dei giovani -quarantenni o giù di li?
O forse, essendo così poche le occasioni di confronto come queste, essere cauti serve a conservare le relazioni col futruro?

Sicuramente dovrebbero moltiplicarsi i momenti di scambio come questi, e forse dobbiamo pensare a darvi spazio anche nelle nostre Serate di Architettura.


Nel pomeriggio spendo le ultime energie per seguire una sessione, coordinata da Adolfo Guzzini, dedicata a: ‘crescere con arte: architettura ed impresa per la città del terzo millennio’.

Massimo Pica Cimarra, tiene una lezione sul progetto come azione collettiva, dove il senso deve precedere la forma nella soddisfazione dei bisogni sociali.
Però non mostra architettura.

Piero Sartogo si concentra sul senso di progetto del vuoto. Siena non ha alberi al suo interno ma è ampiamente vivibile e sostenibile.
Le infrastrutture rompono con indifferenza la maglia urbana, ‘marmellata’ dice, e così come gli edifici rinascimentali sono i più flessibili, lo stesso vale per la città consolidata.
Però non mostra architettura.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, illustra la crescita verticale degli ultimi 10 anni, l’aumento di 4 volte del numero dei pendolari e lo svuotamento della città storica verso quella diffusa, con una spesa complessiva di 130 miliardi per la residenza e soli 8 per le infrastrutture (mi sembrano numeri pazzeschi). Ma l’effetto è lo stesso dell’università diffusa, ovvero una caduta di qualità.

Direi che dopo l’intensità della mattinata, a poco valgono le lezioni di fino sul vuoto e i diritti della collettività, se in positivo l’architettura non porta con se tali valori. Ma sono solo parole, e a questo punto sono davvero troppe, sento che devo disintossicarmi.

Non è tempo di bilanci quindi, troppo a ridosso. Ho bisogno di silenzio.
Mi piacerebbe vi fosse una occasione di sintesi e confronto per sedimentare tutto questo. Ma in fondo tornare in studio a disegnare è forse il modo migliore.

Già,  ora si riparte.
Finalmente a Milano,
il vostro inviato a Torino Francesco de Agostini

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