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Settimana del 10 dicembre 2007

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

La Repubblica
11-12-07, pagina 9, sezione MILANO
Due grattacieli per Comune e Provincia
Nuovo look e doppia offerta per le torri Fs Garibaldi
Ultimi tra i progetti milanesi degli anni Novanta, sono un emblema del gusto di quei tempi e costosi da gestire Un restyling radicale punta a trasformarli in 'green building' a emissione zero, con pannelli solari e energia geotermica I simboli del postmoderno alla milanese diventano edifici ecologici hi-tech I numeri
MAURIZIO BONO


Giù il "cappello"e via quei colorini da gagà: rosa, giallino e pellicola adesiva perforata 3M che da un paio d' anni fa di uno dei due in una specie di mega telefonino con sms pubblicitari sullo schermo. Le torri ex Fs di Garibaldi, emblemi dalle cime bizzarre del postmodernismo estenuato anni ' 80, muteranno aspetto (sarà sobrio, hi tech, con vetri sfaccettati "effetto diamante") e soprattutto cambieranno proprietari: diventeranno le torri gemelle di Provincia e Comune, a due passi dal nuovo Palazzo della Regione, pezzi importanti del polo istituzionale a Garibaldi. SEGUE A PAGINA IX Costruite dalle Ferrovie tra ' 84 e '94, vendute faticosamente all' asta nel 2004 per 113 milioni di euro all' immobiliare Beni Stabili, dall' inzio del 2006 sul mercato e adesso finalmente oggetto di un' offerta parallela (circa 100 milioni di euro per ciascun edificio da Provincia e Comune), le due torri di Garibaldi, da qualunque parte le si guardi, sono un simbolo dell' urbanistica a strappi di Milano. In piedi da 13 anni, quanto basta perfino a giganti color pastello per smettere di scandalizzare, in ordine di tempo sono gli ultimi grattacieli terminati (nell' anno secondo di Tangentopoli) prima della lunga paralisi dei grandi cantieri durata fino poco fa. Se si guardano dall' alto, invece, segnano il confine tra le aree in via di trasformazione e la città esistente: di qua Garibaldi-Repubblica-Isola, di là le vecchie case ma soprattutto le distese di binari della stazione e dello scalo Farini, che a loro volta, dopo il protocollo firmato a marzo tra il sindaco Letizia Moratti e l' ad delle Ferrovie Mauro Moretti, bisogna iniziare a guardare come il gigantesco campo di gioco (in tutto un milione di metri quadri da riqualificare) della prossima partita urbanistica cittadina. Piantate proprio lì in mezzo, quelle due torri se non verranno integrate nella trasformazione saranno un intoppo. Ma un intoppo, sul piano patrimoniale, lo sono già da un po': Beni Stabili spiega nei suoi prospetti che nel gennaio 2006 ha «notificato un atto di citazione a Ferrovie» a causa «della diversa destinazione d' uso (uffici pubblici anziché privati) attribuita ai complessi immobiliari dal Comune di Milano... in contrasto con quanto dichiarato dalla venditrice». In soldoni (ma tanti, soldoni) l' immobiliare avrebbe sborsato 114milioni di euro convinta di poter vendere o affittare a chiunque, per poi scoprire che doveva per forza farlo a un ente pubblico. Ferrovie conferma il contenzioso in corso: «Stiamo esplorando ogni soluzione e valutando ogni possibilità». Ma le possibilità, salvo andare in giudizio, si capisce che sono principalmente due. La prima, il Comune cambia la destinazione d' uso: ma l' aveva appena confermata pianificando l' area. La seconda, spuntano fuori acquirenti pubblici interessati: proprio ciò che è successo tra luglio (quando la Provincia ha fatto la sua offerta per una torre) e la settimana passata (quando si è aggiunta quella della direzione generale di Palazzo Marino per l' altra). Di buone ragioni per lo shopping, comunque, gli acquirenti ne dicono parecchie: il Comune parla da tempo di acquisire in zona 100 mila metri quadri di uffici per liberare e vendere bene molti suoi palazzi storici in centro (da via Larga a Largo Treves a via Bagutta). Per arrivare a quella dimensione non basta da solo il nuovo grattacielo che vuole costruire in via Pirelli, e i 30 mila metri della torre est quadrerebbero il cerchio. I due assessori provinciali Bruno Casati (Patrimonio) e Daniela Gasperini (Personale), che hanno avuto mandato dal presidente Penati di cercare una nuova casa alla Provincia dando in cambio gli edifici di Porta Vittoria, viale Jenner, viale Piceno, puntano a migliorare la razionalità degli uffici e degli spostamenti per raggiungerli (col metrò), concentrandoli e fornendoli di servizi comuni (mensa, nido). Per l' uno e gli altri, che per una volta sembrano lavorare assieme, il trasloco vorrebbe poi dire risparmio nella gestione, dai costi energetici alle manutenzioni, a patto di ricevere edifici in condizioni di avanzata efficienza. Di qui le modifiche radicali previste alle torri Garibaldi. Perché finora sono l' incubo di un amministratore: dai pannelli di fibrocemento colorato passa aria, le facciate postmoderne si arroventano, riscaldamento e raffreddamento sono tutt' uno con quelli della stazione ferroviaria e l' estetica allegra (per chi l' apprezza, per gli altri i progettisti Laura Lazzari e Giancarlo Perrotta hanno rifatto l' At&T building di Philip Johnson) non mitiga la sostanza. Ci penserà lo studio specializzatissimo milanese Progetto Cmr (grandi complessi di uffici in Cina ma anche il palazzo Total di viale Umbria e il restyling interno di Camera e Presidenza del Consiglio): impianti geotermici a pompa di calore per sfruttare l' acqua di falda, emissioni zero grazie a pannelli fotovoltaici (sui lati stretti) e solari (sul tetto), ventilazione naturale, facciate isolanti a doppia pelle, serre bioclimatiche ai piani e vetri sfaccettati «ispirati a un gioiello, simbolo della Milano della moda» come dice il progettista Massimo Roj, che cura il remake commissionato da Beni Stabili. Costi? Il sovrapprezzo "verde" in pochi anni è passato dal 25 al 7-10% e gode di sgravi. Ma un intervento di questa portata su un grattacielo, secondo gli addetti ai lavori arriva fino a un quarto del valore. I diretti interessati ovviamente non scendono in dettagli e si preparano nel silenzio alla trattativa. Non è difficile immaginare che anche Ferrovie tenga le dita incrociate. Benché ai prossimi tavoli col Comune sulle aree ferroviarie dismesse sarebbe certo inelegante farne parola.

 

Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Cronache - data: 2007-12-13 num: - pag: 31
autore: di ADRIANO CELENTANO categoria: REDAZIONALE
«Formigoni, i tuoi architetti non sono come Leonardo»
La lettera «Finirà che i partiti adotteranno il simbolo dell'euro»


Celentano: cambiare Milano, ma senza distruggerla Il «molleggiato» risponde all'intervista del presidente della Regione e insiste nel suo attacco a «quelli che chiamate i migliori architetti del mondo»

Posso immaginare quali progetti avranno in mente i genitori di Frankenstein. Per cui il vero choc lo avranno i milanesi più che io. Tu, Formigoni — e la Moratti — non fate altro che nascondervi dietro quella che ritenete la geniale idea per avere riunito attorno alla vostra fucina, la crema dell'architettura mondiale.

Questo però non basta a giustificare le vostre «orribili gravidanze » come la mostruosa creatura della nuova Bocconi. Non metto in dubbio che questi architetti possano essere i migliori del mondo e tuttavia anche ai migliori bisogna raccontargli la storia di Milano, prima di affidare alle loro grinfie i sentimenti che i milanesi nascondono anche nel più piccolo pezzo di terra. Perché i migliori, come li chiamate voi, sono abituati a fare le cose del mondo: alte, quadrate e sbilenche, senza alcun riferimento storico anzi, appena intravedono qualcosa di storico lo distruggono per sempre come faranno con gli scavi trovati nella Darsena o a Sant'Ambrogio, affinché non rimanga traccia di alcun tipo di bellezza che possa mettere in evidenza il nulla che le loro piccole menti partoriscono.

Da quando in qua per entrare in un qualsiasi ambiente, uno dev'essere prima spaventato dalla bruttezza del suo ingresso? Se il di dentro della Bocconi è bello come dicono, ma io dubito, ragione di più per fare un ingresso invitante ad entrare, in modo che già dal di fuori si possa dire: chissà dentro come è bello! Ma voi, ipocriti che non siete altro, avete come unico scudo la parola funzionalità: è brutto ma è funzionale dite. Forse sarà funzionale per quelli che riescono a superare l'orrore di quell'ingresso. Ma a quelli che ci passano davanti chi ci pensa? Perché uno deve avere l'impressione di passare davanti a un palazzo delle torture? E rimembrare, sia pure per un breve attimo, condizioni angoscianti come la guerra, i campi di concentramento dei nazisti? E questo lo si prova non soltanto passando davanti alla Bocconi, ma davanti allo sfacelo che c'è ormai in tutte le città d'Italia. Ma Celentano è un passatista dici: uno legato al passato che non tiene conto dell'evoluzione e delle cose che cambiano. È proprio qui la vostra disgrazia. Cambiare non vuole dire distruggere come fate voi, vuol dire migliorare, perfezionare quel fare attraverso il quale si migliorano anche i sentimenti dei cittadini.

Pure l'uomo cambia. Cambia da quando nasce fino ai suoi ultimi giorni di vita. Ma la sua identità rimane. Cosa rimarrà invece di Milano? Quella Milano segnata dalla generosità dell'ambiziosissimo Ludovico il Moro che per la passione di volerla abbellire chiamò nientemeno che Leonardo da Vinci e Bramante, oltre a tutti i migliori artisti lombardi che fecero di Milano una delle più belle capitali del tempo. I sobborghi si erano talmente estesi da richiedere nuove fortificazioni, le chiese, forse più di 250, ridotte ad oggi solo una cinquantina, erano le più belle d'Europa. A differenza degli aborti concepiti da quelli che tu e la Moratti chiamate i migliori architetti del mondo, Bramante, se pur modificava, lo faceva senza stravolgere lo stile lombardo del Primo Rinascimento. Pochissime città italiane e non solo italiane possono vantare un patrimonio d'arte religiosa simile a quello di Milano. Ancora oggi dopo le insolenti demolizioni di Santa Maria a Brera, di San Francesco (più vasta di Santa Croce a Firenze, autentico museo d'arte!) e di tante altre, senza contare poi la strage dei chiostri monumenta-li, che però nonostante tutto, sono ancora più numerosi che a Roma. Pane per le vostre ruspe, quindi, che dovranno fare spazio all'Expo 2015. Giusto. Ma cosa cancellerete? E come sarà la struttura che ospiterà questo evento? Sarà senz'altro un qualcosa che ci ricorderà il mondo, ed è giusto per quanto riguarda i paesi che verranno a esporre le loro cose.

Ma sarebbe forse troppo intelligente per voi che odiate l'arte, approfittare di tale evento per fare uno scambio tra Milano e il mondo? Il pianeta ci mostra i suoi oggetti e noi gli mostriamo la cultura milanese attraverso una struttura creata ad hoc per il mondo che ospitiamo. Che simboleggi le caratteristiche di costruzione secondo lo stile, non americano, cinese, tedesco, francese o russo, ma lombardo.

Lo stile di Leonardo da Vinci, delle «cinque giornate di Milano », dove persino gli austriaci, pur non trascurando l'odio per i milanesi e presi da più logiche ambizioni, non poterono fare a meno di lasciare un segno della loro arte in alcuni edifici milanesi. Ma tu, la Moratti e giustamente quelli che ti hanno preceduto, come il vaneggiante Albertini, non potete capire perché siete offuscati dal potere del consumismo.

L'unico sindaco che dimostrò una visione artistica proprio perché capì il grande valore conservato nelle radici di Milano, fu Formentini, che appena insediato a Palazzo Marino disse che si sarebbe battuto per riaprire i navigli. Evidentemente non glielo permisero. Gli aprirono invece la strada per cambiare schieramento e andare a sinistra.

Pensando a Formentini mi sorge spontanea una domanda: se lui non fosse stato della Lega, ma fosse stato di sinistra, avrebbero preso in considerazione la sua proposta? No. Perché gli intrecci e gli interessi prodotti da una città come Milano, sono così trasversali che qualunque colore di partito viene letteralmente sbiancato dalla corruzione. A cosa serve quindi affannarsi per simboli come falce e martello, l'arcobaleno, il rosso del Pd, oppure i colori di Forza Italia, Udc, Udeur eccetera? Colori ormai sbiaditi a causa di un mal comportamento che ha inceppato l'ingranaggio dell'intero sistema. Se mancherà la forza di creare una vera e propria spaccatura tra politica e interessi — politica e potere e non solo, ma anche fra i cittadini e i comitati che si fanno comprare dai costruttori per farsi rilasciare il permesso di costruire davanti alla propria finestra un albero di trenta piani — beh, allora non rimane altro che arrendersi al

bianco di una bandiera buona per tutti i partiti. Con un unico simbolo, dove la diversità fra un partito e l'altro sarà contraddistinta non più da un colore, ma dal valore della cifra scritta sul bianco della propria bandiera: e allora se è vero che Forza Italia è il primo partito del Paese, sul bianco della sua bandiera avrà la scritta con la cifra più alta: 500 mila euro. E se al secondo posto ci sarà il nuovo partito democratico di Veltroni, sul bianco della sua bandiera impererà la scritta di 480 mila euro, e così via fino all'ultimo dei partiti dove spiccherà la misera cifra di 1 euro.


La Repubblica
13-12-07, pagina 21, sezione MILANO
Una divertente mostra didattica aperta alla città nella sede del Politecnico alla Bovisa
I segreti dell' ingegneria raccontati dai vecchi giocattoli
SIMONE MOSCA


Al Politecnico Milano-Bovisa il compassato mondo dell' ingegneria confessa il suo lato estroso. L' allestimento della mostra Ingegneri per gioco. Giochi per ingegneri ha trasformato l' atrio della facoltà in una wunderkammer del giocattolo. Sono oltre 60 i passatempi dei bambini di ogni età scovati in giro per il mondo e che, riuniti in 9 sezioni, provano a raccontare l' abbiccì di altrettante tecnologie. Dietro alle vetrine, un pannello spiega ai profani dell' ingegneria come dal piccolo chimico alla produzione dei nuovi metalli con memoria di forma, il passo possa essere breve. O come una trottola sia la migliore metafora per le più complesse leggi della fisica e della matematica. Un progetto divulgativo promosso dal Rettore Giulio Ballio, ma anche un lavoro meticoloso di ricerca e raccolta di pezzi rari o unici, compiuto dalla curatrice Sara Calabrò e da Vittorio Marchis. E che ieri ha coinvolto anche gli studenti, chiamati a ideare, con materiali di recupero, i loro giocattoli di scienza. Balocchi come rigorosi saggi o libri di testo per un paradosso che farebbe infuriare Collodi. Ma il gioco funziona, soprattutto perché alcuni dei ninnoli sono, a loro modo, oggetti davvero ammirevoli. Anche quando si tratta della macchina dei vestiti della Barbie. Inserito nella sezione "Meccanica e trasporti", plastica rosa e design kitsch un po' anni '80, amatissimo da tutte le studentesse, tra le quali in molte ricordano di averne posseduto uno, il piccolo telaio a manovella è la replica esatta del primo meccanismo tessile mai costruito. Stessa sezione per la regina di tutte le auto a carica, un esemplare tra i pochi rimasti in circolazione. è la Shucko M del 1936. Carica a molla, cromatura panna, nei suoi dieci centimetri hanno trovato posto un volante funzionante e un cambio per inserire la retro. Fascino d' antan che nulla ha a che spartire con quello high tech del Robodino, un automa costruito con il Lego Mindstorms (l' ultima generazione del Lego) da un ingegnere italiano e votato a testare la resistenza delle lavatrici. Robodino si muove su un binario pigiando i tasti programma dell' elettrodomestico. Nella sezione "Costruzioni e architettura" si dividono la scena lo Skyrail Suspension, un ottovolante componibile per biglie che si regge sugli stessi principi statici degli spericolati ponti di Calatrava, e l' Origamic, un esempio della tecnica inventata dall' ingegnere giapponese Masahiro Chatani. Un foglio dal quale, con poche pieghe, prendono vita prime forme d' architettura che possono poi essere via via complicate. E in "Energia e ambiente", a fianco di un vecchio motore del meccano, ecco il leggendario odradek. Protagonista del racconto Il cruccio del padre di famiglia di Kafka, altro non è che un rocchetto: uno spago al suo interno veniva arrotolato per trasformarlo in primordiale motore a molla, non inquinante, «che corre veloce con una voce simile a frusciar di foglie cadute». Politecnico di Milano-Bovisa, via La Masa 34, ore 9-19, ingresso libero, fino al 18 dicembre


Corriere della Sera - MILANO -
sezione: Cronaca di Milano - data: 2007-12-14 num: - pag: 2
categoria: REDAZIONALE
Il Molleggiato critica progetti e politici. «Pensi alla musica»
Per il cantante Milano ha dimenticato la sua storia: le risposte di intellettuali, magistrati e politici

C'è chi non lo vuole nemmeno sentir nominare. E chi ne loda l'intuito d'artista. Anche quando si parla di arte e architettura. Ancora una volta Celentano divide Milano. Sul Corriere di ieri il Molleggiato ha risposto a Formigoni e Moratti. Rivendicando fino in fondo i suoi cavalli di battaglia: la Milano degli architetti è brutta, omologata, priva di identità. E a comandare davvero — anche sulla politica — sarebbero i grandi Interessi.

«Di Celentano ascolto la musica, il resto non mi interessa», taglia corto il filosofo Paolo Del Debbio. Di parere diverso l'assessore alla Cultura, Vittorio Sgarbi: «Le uniche architetture recenti degne di nota sono la sede di Dolce e Gabbana di via Broggi e il Sole 24 Ore di Renzo Piano». Sulla stessa scia il docente di estetica ed ex assessore Stefano Zecchi. «Il prestigio degli architetti che costruiranno la Fiera non è in discussione, ma resta il fatto che al posto dei grattacieli ci sarebbe stato bene un parco. E poi questi edifici di milanese hanno poco, potrebbero trovarsi anche a Shanghai », continua Zecchi. E la Bocconi? «Orribile. Se proprio si vuol costruire, bisogna andare in periferia. Abbattere alcuni quartieri osceni e costruirne altri di vivibili per la povera gente ». Secondo Zecchi non è tutto perduto: «L'amministrazione ha un'occasione con San Vittore. Lasci solo l'ottagono e il resto diventi parco».

Celentano riscatta la stagione Formentini. E l'ex assessore alla Cultura, Philippe Daverio, se ne compiace: «Abbiamo cercato di far lavorare architetti italiani ma non siamo stati capiti — ricorda Daverio —. Apparteniamo a una comunità che rigetta la propria architettura e si fa stimolare solo da quella importata. Il risultato è un progressivo sbiadirsi della nostra identità. Proprio quando il resto del mondo va in direzione opposta». Un ringraziamento a Celentano viene da Empio Malara, presidente dell'associazione Amici dei Navigli: «Ora che si lavora per ridurre il traffico in centro la riapertura dei Navigli è possibile. Almeno in alcuni punti. Celentano ci sostenga».

E il rischio che la politica si faccia schiacciare dai grandi interessi? «Resiste solo chi ha progetti di governo chiari e convincenti », fa notare il senatore del Pd Gerardo D'Ambrosio. L'ex procuratore del pool Mani Pulite conclude con un invito a vigilare: «I progetti e i cantieri in ballo a Milano sono molti. La politica non subisca il fascino dell'arricchimento facile. Per il bene della città».

Nuova Regione

Il progetto Garibaldi-Repubblica dove è prevista la realizzazione del nuovo grattacielo della Regione contestato da Celentano Rita Querzé

L'ex sindaco Formentini
«C'è poco verde La Moratti può tenere a bada i poteri forti»
«Celentano? Gli sono grato. Gli artisti sono ispirati da Dio, mi fa piacere avere la sua simpatia».

L'ex sindaco leghista Marco Formentini (oggi passato alla Margherita) incassa con soddisfazione gli elogi del Molleggiato. E ricambia: «È un artista che stimo anche per il suo impegno civile». Ma Celentano ha accusato anche le amministrazioni che governano e hanno governato Milano di essere sotto scacco da parte dei poteri forti. «Il problema esiste e non va sottovalutato. Per quanto mi riguarda, sono rimasto in carica quattro anni di cui la seconda parte del mandato senza la maggioranza in consiglio. In queste condizioni realizzare qualunque progetto era difficilissimo. Tant'è che alla fine non siamo riusciti a riaprire il tratto dei Navigli». E Moratti?

«Moratti è politicamente molto forte. Può permettersi di governare tenendo a bada le lobby». Nonostante ciò Celentano critica senza appello i progetti messi in cantiere prima da Albertini poi dalla stessa Moratti. «Lo showman non ha tutti i torti— condivide Formentini —. Sui grandi progetti noto che ogni volta che vengono aggiornati sparisce un po' di verde». Più in generale, l'ex sindaco accusa l' amministrazione di scarsa sensibilità ambientale.

«Prendiamo i sottotetti: sono centinaia e centinaia di metri cubi di cemento. Un intervento che si sarebbe potuto evitare».


La Repubblica
14-12-07, pagina 20, sezione MILANO
Gli appuntamenti al Castello Sforzesco
La raccolta Bertarelli festeggia 80 anni e li mette in mostra
CHIARA GATTI


Ottant' anni fa, nel 1927, apriva al pubblico in un' ala del Castello Sforzesco la Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli. Nei suoi cassetti, freschi di catalogazione, c' erano oltre 300mila tavole. Oggi, sono più di un milione. Merito delle acquisizioni e degli altri lasciti, che seguirono quello iniziale del mecenate milanese cui la raccolta deve il nome, e che contribuirono a fare di questo istituto un pozzo di informazioni sulla storia della grafica antica e moderna, al quale attingono professionisti interessati d ogni campo di studio. Dall' arte all' architettura, dalla cartografia al design, dall' arredamento al costume, dalla cucina alla botanica, dall' editoria alla pubblicità. Proprio a questi ultimi due generi, grazie alla donazione (anch' essa del ' 27) del fondo di manifesti appartenuti allo storico dell' arte Guido Marangoni, è legata la fama attuale della raccolta. Da qualche anno la Bertarelli ha messo in moto un meccanismo di auto-promozione fatto di mostre pensate per svelare al pubblico il suo tesoro di riviste rare, tirature limitate, affiche e réclame d' epoca. Per festeggiare il suo ottantesimo compleanno ha programmato una scaletta di eventi tutti nel segno della pubblicità. Si parte oggi con una coppia di esposizioni allestite nella sala del Tesoro e nella sala Castellana. La prima snocciola periodici degli anni Venti, oltre a reperti dell' editoria specializzata e a due mitici "libri bullonati" di Depero. La seconda è dedicata ai manifesti disegnati da artisti come Picasso, Chagall, Folon, Warhol o Schifano per le proprie mostre personali. Seguiranno, a gennaio, un ciclo di conferenze a tema e altre rassegne. Una fotografica, sui luoghi dell' affissione pubblicitaria in città. L' altra (evento clou) ricca di un centinaio di pezzi fra manifesti storici, da Cheret a Dudovich, stampe di primo Novecento, da Cappiello a Sironi, esempi di linguaggio grafico siglati da Veronesi, Huber o Munari e la pubblicità come arte, da Warhol a Rotella. «Inbertarelli.com». Castello Sforzesco, fino al 20 aprile. Orari: mar-dom 9-13/14-17.30. Info 02.88463700.

 

La Repubblica
16-12-07, pagina 48, sezione CRONACA
Una scatola di cerini e un lapis, così nacque Cartesius
MARIO BELLINI


Il mio primo compasso d' oro arriva inaspettato nel 1962, appena uscito dalla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Assegnato alla mia opera prima: un tavolo dalla disarmante semplicità che oggi si definirebbe «minimalista». Un tavolo senza nome che, tornato in produzione con il nome di Cartesius, è tuttora insolentemente contemporaneo. Un altro compasso d' oro al turno seguente, 1964. Il secondo di una serie di otto. Il riconoscimento va alla marcatrice magnetica CMC7-9004, la mia prima macchina disegnata per Olivetti, azienda-mito per la cultura e il design, della quale ero appena divenuto consulente sospinto dal primo successo. L' inizio di un lungo e straordinario rapporto con Roberto Olivetti che mi darà l' opportunità di creare molte icone della nascente industria informatica. Ciò mi darà una carica di energia e una spinta a continuare un percorso che mi ha coinvolto e assorbito per più di vent' anni. Percorso che ho sentito compiersi quando il MoMA, nel 1987, ha dedicato una retrospettiva alla mia opera di designer. Proprio allora comincerà la carriera di architetto che mi vede oggi in piena attività. Quando penso al compasso d' oro 1962 mi torna in mente la visita in fabbrica a passo di carica attraverso le assordanti linee di lavorazione del mobilificio di Sandro Pedretti. Il primo cliente cui ero stato destinato, a venticinque anni, nel corso di una iniziativa in terra di Brianza che abbinava produttori del mobile e architetti per promuovere il «design moderno». Ricordo di aver chiesto con temeraria determinazione carta e matita. Lì su due piedi non si trovò di meglio di una scatola di cerini e un lapis da falegname. E sempre camminando rammento (ma il documento è perso~) di aver tracciato l' idea semplice di un tavolo: elementare e sorprendente nella sua platonica innocenza, perfetto per un premio come il Compasso d' oro dedicato a una disciplina - il design - nutrita, allora più che oggi, da nitidi principi ideali. Quel premio mi valse l' immediata cooptazione come socio dell' Adi, un' associazione elitaria, allora riservata solo a imprenditori illuminati, a qualche intellettuale e a pochi architetti-designer, per lo più milanesi, già celebri e riconosciuti maestri. Rivivo la mia presentazione del tavolo al pubblico ristretto dei soci. In prima fila ci sono i grandi del settore, il talent scout Augusto Morello e tra loro un giovane: il ventiduenne Ennio Brion, già allora curioso e dotato di uno speciale intuito per riconoscere il vero dell' arte e del design. Brion mi viene incontro e mi propone di iniziare una collaborazione con la Brionvega, la società di famiglia, un altro mito del design italiano. Anche il mio incontro con Cesare Cassina, il geniale ispiratore dell' azienda omonima - che mi varrà una lunga collaborazione con la stessa Cassina, B&B, poi con Vitra e tanti altri - è legato a quel primo tavolo da Compasso d' oro. Sandro Pedretti, il mio produttore, per vicende personali chiude quasi subito la sua azienda. E io rimango con quel tavolo in mano. Chiedo allora un appuntamento a Cesare Cassina. Un incontro breve e fulminante: la sua tipica conversazione parsimoniosa in una colorita e spesso maliziosa lingua brianzola contro il mio cauto italiano. Cercavo di ottenere delle opportunità di disegnare per Cassina mentre tentavo di convincerlo anche di intercedere per me con Dino Gavina - imprenditore famoso per aver iniziato la riedizione dei mobili razionalisti di Marcel Breuer - che allora consideravo culturalmente più attraente. Preferivo insomma che fosse Gavina a rimettere in produzione il mio tavolo rimasto orfano. Cassina stette al gioco e con una certa perfidia mi fece ottenere ciò che desideravo, mentre lui otteneva di farmi pentire quasi subito del mio errore di valutazione. La ripresa di produzione da parte di Gavina fu sgradevole e si concluse presto. Ma il rapporto con Cassina, B&B e gli altri sbocciò invece in una appassionante collaborazione che dura ancora da anni, ricca di risultati e di altri Compassi. L' autore è architetto e designer di fama internazionale. Nel 2010 si inaugurerà al Louvre il suo Museo per le arti islamiche.

 

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