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Bocconi, studenti e prof contro Celentano

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Polemiche sulle critiche in tv all'università. La sede della Bocconi. Prevale la difesa delle scelte architettoniche e la ricerca della modernità che caratterizza la città


MILANO — « Mr Celentano?
I know ». Shelley McNamara ha progettato la nuova sede dell'università Bocconi a Milano. Del molleggiato non ha mai ascoltato le canzoni. In compenso da ieri conosce il Celentanopensiero sull'architettura. «So che il vostro showman ha criticato il progetto. Peccato. Se potessi fargli vistare l'edificio di persona... Sono certa che cambierebbe idea». Insieme con Yvonne Farrell, Shelley McNamara è l'anima di Grafton Architects, la società che si è aggiudicata la progettazione della nuova Bocconi. Il fortino della ricerca di viale Bligny sarà inaugurato in primavera. Celentano e i milanesi per ora l'hanno visto solo dall'esterno. Quello che ha colpito i più è la quasi assenza di finestre. «La nostra esigenza era creare un ambiente protetto, in cui si lavori senza distrazioni», spiegano all'università.
Celentano non vuole aggiungere nulla al suo pensiero catodico. La moglie, Claudia Mori, si permette una sottolineatura: «Il fatto che si stia parlando di un'università non è un dettaglio.
La nostra responsabilità è formare i giovani al bello». Dal canto suo l'università Bocconi ha già ribattuto ieri attraverso il rettore: «Quello di Celentano è un parere tra tanti — ha detto Angelo Provasoli —. Mi sarei preoccupato se l'edificio non fosse stato funzionale ai bisogni degli studenti». Meno distaccato Severino Salvemini, direttore del corso di laurea in Economia per le arti: «La nuova sede è rock, peccato che Celentano non l'abbia capito — punzecchia il professore —. Questa costruzione è quanto di più avanzato ci si poteva aspettare dalla Milano degli anni '90».
A sorpresa Mr Azzurro trova un alleato nell'assessore alla Cultura del Comune di Milano. Anzi, Vittorio Sgarbi va oltre: «Sulla Bocconi Celentano ha ragione. Tutti i nuovi progetti, da Citylife a Milano Porta Nuova, sono figli della vanità del modernismo architettonico. Per non parlare della Bicocca. E dell'arredo urbano: dalla distruzione di corso Garibaldi all'illuminazione di corso Como. A Milano l'ultimo progetto degno di nota è il Pirellone».
A difesa delle scelte architettoniche della Bocconi si schiera il consiglio d'amministrazione dell'ateneo. «Non ha senso nessun giudizio estemporaneo — taglia corto Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio cittadina (oltre che di Confcommercio) —. Anche perché abbiamo a che fare con una realtà che da sempre offre un contributo inestimabile alla modernizzazione del Paese». «Il bello e il brutto architettonico cambiano rapidamente e sono sempre opinabili – aggiunge Bruno Ermolli, presidente di Promos —. La Bocconi è invece una certezza, il che supera qualsiasi recente qualunquismo». L'ultima imprevista difesa arriva dagli studenti. «Bocciare la nuova sede? Non è il caso — smorza Giampaolo Lecce, rappresentante degli universitari in consiglio di amministrazione —. Bisogna dare una chance anche al bello che va oltre l'architettura più tradizionale».
Rita Querzé

Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Cronache - data: 2007-11-28 num: - pag: 26/27
categoria: REDAZIONALE

Fuksas: solo qui sanno cogliere la modernità

MILANO — «Là dove c'era l'erba ora c'è una città»: e questa città è la Milano diffusa, spesso mal costruita. Ma il pezzo di città con la quale l'altra sera Adriano Celentano se l'è presa nel suo show televisivo non è questa, frutto anche di speculazione, ma quella che c'era prima di lui, ovvero la città dentro le mura o prossima ad esse e i nuovi interventi che qui si stanno conducendo.
C'è molta nostalgia in Celentano per la «vecchia Milano» e nessun sforzo di comprensione per quella che «cambia per farsi migliore» (Pier Paolo Pasolini, Il pianto della scavatrice,
1956). «Ci sono molte amenità e ingenuità nel discorso di Celentano — afferma Massimiliano Fuksas, una delle nostre firme più conosciute nel mondo, progettista a Milano della nuova Fiera di Rho-Pero e politicamente collocato in area progressista —. La nuova Bocconi è un'opera moderna piuttosto interessante. Nel discorso di Celentano ci sono molte genericità contro gli architetti».
Ma a lei la Milano che si va costruendo piace? «Ho letto che il sindaco di Tel Aviv parlava di opere a Milano che fanno parte della cultura internazionale. Intorno alla mia nuova fiera c'è molto consenso, è un luogo dove si sta bene. Milano sta facendo uno sforzo enorme di modernizzazione. È l'unica città italiana che può cogliere il moderno. Le altre città devono trasformarsi, Milano può provare a dare risposte». E le risposte sono «fatte di economia e di architettura. L'unico difetto è che Milano deve superare la fase dell'immobiliarismo e coniugare meglio pubblico e privato; si deve trovare una nuova sintesi economica».
Il linguaggio formale delle nuove architetture che si contesta è, per Fuksas, «il linguaggio tipico della contemporaneità. Quella di Celentano è nostalgia, lui guarda a ieri. Inutile criticare all'infinito le uniche tracce che si propongono. Meglio criticare i grandi quartieri nati senz'anima dall'utilizzo di aree dimesse». Forse pensa alla Bicocca, ma non lo dice. Anche se siamo di fronte a un'architettura che è diventata quasi design. «Possiamo criticare i tre oggetti di Libeskind, Isozaki e Hadid, quelli di Cesar Pelli a Garibaldi, la Bocconi o quello di I.M.Pei per la Regione fin che vogliamo, ma fanno parte del linguaggio contemporaneo». Insomma, è inutile sognare città alla Oxford e Cambridge, «che poi sono dei falsi storici del periodo vittoriano» e quindi la costruzione di una città in stile vecchia Milano; magari con vere o finte riaperture dei Navigli.
Il problema non è il moderno in centro, «ma come si costruisce fuori, ai margini della città: e lì che si costruisce su grande scala». E si costruisce male «anche per il groviglio di leggi. Le leggi italiane non permettono di fare nulla: bisogna sfoltire la giungla delle norme. Questa sì è scandalosa».
❜❜ Ci sono molte amenità e anche ingenuità nel discorso di Celentano P.Pan.

Dorfles: grattacieli balordi in una città senza coraggio

MILANO — L'ultima stroncatura l'ha distillata al Piccolo Teatro, davanti agli studenti delle università, in anticipo su Raiuno e Celentano. «Milano è rimasta indietro, ferma a quando era capitale morale, culturale e finanziaria, il riferimento dell'Italia moderna. La morale è scomparsa, la cultura è trascurata: ci resta la finanza. Ma i nostri mecenati sono un disastro, la città è disordinata, la classe politica non ha coraggio e i sindaci degli ultimi anni sono stati uno peggio dell'altro. Oggi, senza fare paragoni con Barcellona e Berlino, sono più attrattive Roma, Torino e Genova…».
Non sta di qua né di là, Gillo Dorfles: lui Celentano non l'ha visto perché non guarda la tv e Letizia Moratti non l'ha mai chiamato per sentire un suo parere, al contrario di altri sindaci europei. Ma a 97 anni è il testimone storico di una città che dal Dopoguerra ha attraversato in ogni sua fase, come pittore, critico, esteta, filosofo dell'arte e del design. E quando legge sui giornali di Celentano che predica contro i progetti «che stanno rovinando Milano» dice che in qualche modo ha ragione, perché i parcheggi si fanno in periferia, in corrispondenza dei metrò, e i box in Sant'Ambrogio «sono una follia», ma non si può additare ad un sindaco la sommatoria di errori che viene da lontano, «come il teatro Arcimboldi », quello che per due anni è stato l'altra Scala e oggi appare una cattedrale nel deserto del quartiere Bicocca «nato nel posto meno indicato con una programmazione sbagliata».
E i grattacieli, professor Dorfles, sono anche quelli un errore della Milano di oggi?
«Di grattacieli Milano ha bisogno, ma non ne serve uno più balordo dell'altro come quelli progettati nell'area della vecchia Fiera, nel centro della città».
D'accordo con Celentano?
«No, i grattacieli vanno bene in certe zone. Possono stare nell'area Garibaldi- Repubblica, dove lo spazio è tanto. O nel quartiere di San Siro. La città ha bisogno di una nuova skyline, di un'impronta di modernità. Milano però non è Shanghai».
Anche lei vede troppo cemento nel futuro di Milano?
«Vedo tante distrazioni, tante cose inutili, la mancanza di una visione generale. Per esempio, a Milano manca un piano regolatore. Una volta gli stranieri venivano qui a studiare l'architettura. Oggi siamo noi ad andare fuori.
La critica di un cantante può servire a qualcosa?
«Quel che ha detto Celentano lo dicono da anni in molti, senza cadere nel catastrofismo. Ma nessuno li ascolta. È triste vedere la città che hai conosciuto per la sua vitalità cadere nella routine, nel conformismo. Eppure la Milano di oggi è così: invisibile, nascosta, clandestina».
Allora l'allarme c'è?
«Milano ha tutto per essere grande. Non è chiusa come Torino, non è estesa come Roma, non è disordinata come Napoli. Ma sta perdendo la sfida. A parte quel poco Naviglio stracarico, è triste vedere che non ci sono posti dove andare la sera. Non per gozzovigliare, ma per vedere quell'entusiasmo che trovi a Barcellona, o a Berlino, o a Parigi».
Eppure le offerte culturali sono infinite, la programmazione teatrale è ampia, ci sono mostre, gallerie...
«Milano offre una serie infinita di opportunità culturali. Ma nessuna di queste esplode veramente. Avvengono molte cose, ma restano lì. Milano è clandestina come nei suoi vizi, come nel consumo di cocaina: c'è ma non si vede. Il male è che è clandestina anche la cultura».
Con tutto il can-can che fa Vittorio Sgarbi?

 
 
 
 

 

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