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Settimana del 15 ottobre 2007

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008



La Repubblica
15-10-07, pagina 36, sezione CRONACA     
A dieci anni dall' inaugurazione del Museo Guggenheim viaggio nell' ex centro industriale che oggi vive di arte e design
Bilbao Quando l' architettura trasforma le città
'Oggi il rischio è che l' opera di Frank O' Ghery nasconda le altre cose belle' - 'Nell' ottobre 1997 nella città spagnola si respirava un' aria dickensiana'
DENNY LEE

Un leggero picchiettio si ripercuote attraverso le scaglie in titanio del Museo Guggenheim di Bilbao ogni qualvolta un autobus di turisti si ferma a ridosso di Puppy, il terrier di Jeff Koons alto tredici metri e fatto interamente di violette fresche. Un flusso di turisti sciama attraverso la piazza in pietra calcarea, preciptitandosi a immortalare l' istante con le cineprese. Poi si dirigono lungo una scalinata inclinata che conduce al cuore del museo, e per entrare a visitare la mostra di un artista di cui non hanno mai sentito parlare sborsano 10,50 euro. Questo rituale si ripete identico parecchie volte ogni ora, come in un cinema multisala ben organizzato, ed è così che Bilbao, assonnata città portuale situata sulla costa settentrionale della Spagna, grazie a un museo si ritrova prepotentemente inserita nella cartina geografica culturale. «Non sappiamo nulla di Bilbao, tranne che c' è il Guggenheim» dice Luigi Fattore, analista finanziario di 28 anni mentre scatta fotografie alla sua ragazza posizionata sotto il terrier. La forza di attrazione della creazione architettonica di Frank O' Gehry è enorme e suscita applausi a scena aperta a dieci anni di distanza da quando colpì per la prima volta l' immaginario dell' opinione pubblica quasi fosse una nuova stellina di Hollywood. Quella struttura iridescente non era soltanto un nuovo edificio: era un vero e proprio evento culturale. Philip Johnson lo definì «il migliore edificio della nostra epoca». La sua sagoma stravagante iniziò a comparire ovunque, dagli spot pubblicitari per le automobili ai filmati rap su Mtv. In alcuni ambienti artistici il pellegrinaggio a Bilbao divenne di rigore e la domanda "Ci sei mai stato?" una specie di gioco di società da cocktail party. «Dieci anni fa negli Stati Uniti nessuno aveva sentito parlare di Bilbao né sapeva dove fosse» ricorda Terence Ridley, direttore del Museo d' Arte di Miami, ex architetto e curatore del Museo di arte moderna di New York. «Nessuno sapeva nemmeno come si scrive "Bilbao"». Il Guggenheim trasformò istantaneamente ogni cosa. Microsoft Word, continua Ridley, aggiunse il vocabolo "Bilbao" all' elenco di parole del dizionario di controllo dei testi, e quando iniziarono a diffondersi le voci sul Guggenheim turisti da tutto il mondo iniziarono ad affluire nella piccola città industriale. Questa città è diventata sinonimo della gara scatenatasi tra gli urbanisti di tutto il mondo per erigere edifici-trofeo nella speranza di trasformare le loro città di secondo piano in mete di attrazione del turismo internazionale. Il cosiddetto "effetto Bilbao" è stato oggetto di studio nelle università di tutto il mondo come esempio da manuale da seguire per conferire alle città un nuovo look tramite un' architettura fenomenale e sbalorditiva. A mano a mano che varie città, da Denver a Dubai, hanno seguito le tracce di Bilbao, Gerhy e gli architetti suoi pari sono stati elevati al ruolo di messia urbani. Ma che cosa ha implicato per Bilbao l' "effetto Bilbao"? Ho visitato la città spagnola per la prima volta nel 1999, stimolato dalla lettura di un articolo di copertina del New York Times Magazine. Scattai foto alle curve sinuose del museo, sfiorai furtivamente con la mano il rivestimento di titanio e mi stupii per la mancanza di angoli retti nelle gallerie. Oh, e poi c' era l' arte: le alte colonne di led di Jenny Holzer, una raccolta di schizzi da Albrecht Durer a Robert Rauschenberg, nonché una delle Ellissi di Richard Serra, pronta per essere esposta da lì a poco. Ma a impressionarmi maggiormente, più ancora della splendida architettura, fu un orrendo fetore. Ero lì in un museo magnifico, il capolavoro d' architettura più osannato di un' intera generazione, e il fiume che gli scorreva sotto era di un marrone scuro, maleodorante come una fogna a cielo aperto. Un museo di importanza mondiale galleggiava in acque a rischio biologico da terzo mondo. Il Guggenheim - venni a sapere più avanti - era stato edificato nel punto esatto in cui sorgeva un ex cantiere navale affacciato sul fiume Nervion, che attraversa serpeggiando tutta la città di Bilbao fino alla Baia di Biscay, vera e propria via di collegamento della rivoluzione industriale spagnola. Ricca di montagne di ferro, dotata di ferrovie e di un porto eccellente, Bilbao si era espansa e aveva prosperato alla fine del XIX secolo grazie alle sue officine metallurgiche e i suoi cantieri navali. Ma un intero secolo di scarichi industriali aveva trasformato il possente Nervion in un lurido corso d' acqua. Le miniere di ferro pian piano si esaurirono. I cantieri navali si trasferirono in Asia. E quando nell' ottobre 1997 il Guggenheim aprì i battenti, ciò che rimaneva della prosperità di Bilbao era un lungofiume dickensiano disseminato di arrugginite piattaforme per i cargo e di spettrali magazzini fatiscenti. È vero, qualche altro accenno di design qua e là c' era - gli ingressi alla rete della metropolitana a forma di bruco, disegnati da Norman Foster, un ponte pedonale panoramico progettato da Santiago Calatrava - ma in realtà facevano sembrare ancora più tetra e squallida la città, come accade quando si appoggia una forchetta ben lucidata su un vassoio di posate d' argento ossidate. Eppure nel primo anno di vita il Guggenheim ha attirato circa 100 mila visitatori al mese. In seguito, invece di calare bruscamente come accade a un blockbuster estivo, il tasso delle presenze si è assestato a «una velocità di crociera di quasi un milione di visitatori l' anno»: lo assicura Juan Ignacio Vidarte, direttore del Guggenheim. Alla fine del 2006 avevano reso omaggio al miracolo di Gehry oltre 9 milioni di visitatori. L' impatto del flusso di turisti su questa città di 354.000 abitanti è stato spettacolare. Gli albergucci senza fascino né pretese e le pensioncine ammuffite sono state sostituite da alberghi di tendenza. Gli arrugginiti cantieri navali accanto al Guggenheim sono stati rasi al suolo, e al loro posto si è fatto spazio per una curatissima cintura verde di giardinetti, piste ciclabili e caffè affacciati sulla sponda del fiume. Un tram giallo-verde passa adesso lungo il Nervion. Il gotha dell' architettura internazionale ha lasciato il proprio nome impresso nella skyline in costante evoluzione di Bilbao: alvaro Siza (gli edifici dell' università), Cesar Pelli (un grattacielo di uffici di 40 piani), Santiago Calatrava (il terminal dell' aeroporto), Zaha Hadid (il piano generale), Philippe Starck (la conversione delle distillerie di vino), Robert A. M. Stern (un centro commerciale) e Rafael Moneo (una biblioteca), per nominarne soltanto alcuni. Oggi il processo di rinnovamento e imbellimento si è allargato interessando tutta la città, e persino il fiume Nervion non puzza più. Eppure, ciononostante, Bilbao resta ancora una città con un' unica attrattiva. Una domenica mattina di qualche settimana fa, con un cielo limpido e sgombro di nuvole, il Museo de Bellas Artes - che ospita importanti opere di El Greco, Francis Bacon e Eduardo Chillida - era pressoché deserto, nonostante un' ala aggiunta nel 2001 e il fatto di trovarsi a pochi passi dal Guggenheim. Ma almeno era aperto: la città - ristoranti, negozi di alimentari, bar e caffè - la domenica è tutto chiuso, fuorché il Guggenheim. Javier Gimeno Martinez-Sapina, proprietario della Photogallery20 aperta da un anno dice sconsolato: «Non credo che il Guggenheim abbia aiutato più di tanto. Ancor oggi è molto difficile per un artista vendere le sue opere qui. Se vuole davvero vendere qualcosa è costretto ad andare a Madrid e Barcellona». Non stupisce che molte guide dedichino tuttora lo stesso numero di pagine al Guggenheim e al resto di Bilbao. E' come se la città fosse priva di quella massa di attrazioni che le possano consentire di passare dal livello di cittadina post-industriale di provincia a città cosmopolita globale. E nel frattempo è come se quel suo aspetto un po' trasandato, quella patina che in passato le aveva conferito un certo fascino, stesse svanendo. La concentrazione di opere architettoniche di prima categoria è strabiliante, anche senza contare il capolavoro in titanio di Gehry. Ciò nondimeno da sola l' architettura non fa una città. Bilbao è benvestita ed elegante, ma non ha capito ancora in quale direzione andare. «La nostra cultura non si è ancora integrata con il Guggenheim» dice Alfonso Martinez Cearra, general manager di Bilbao Metropoli-30, una società in joint-venture tra pubblico e privato incaricata di decidere il processo di rinascita della città. «Questa è ancora una città industriale» conclude. Il divario tra la Bilbao immagine e la Bilbao reale è risultato palese un sabato sera, quando le stradine di Casco Viejo si sono riempite ancora una volta di giovani frequentatori di locali e bar. Su un gruppetto di ragazzi fuori da un bar di Calle de Somera aleggiava un effluvio di marijuana. Mentre l' automezzo addetto al lavaggio delle strade iniziava a ripulire le macchie di urina e di birra dal selciato, Ikel, un giovane di 22 anni che all' università frequenta ingegneria per calcare le orme del padre, tra una boccata di fumo e l' altra, ha confidato: «No, non sono mai stato al Guggenheim~è un posto da turisti». Copyright 2007, The New York Times (Traduzione di Anna Bissanti)

La Repubblica
15-10-07, pagina 36, sezione CRONACA     
L' intervista
Siamo un volano per l' economia ecco perché ci chiamano
Massimiliano Fuksas: sempre più diffuso il turismo architettonico
IRENE MARIA SCALISE

ROMA - Architetti sempre più taumaturghi in grado, con un tocco di master plan, di ridare vitalità a zone degradate da troppi anni nel dimenticatoio. L' Italia è in questi giorni un cantiere a cielo aperto. I lavori in corso sono spesso diretti dalle "archistar" che rifanno il look alle piccole realtà di provincia. In Sardegna gli architetti svizzeri Herzog & De Meuron e Zaha Hadid, a Siena Jean Nouvel, a Nuvoli Odile Decq e a Pisa David Chipperfield. Tra i più talentuosi c' è sicuramente Massimiliano Fuksas che, proprio in questi giorni è alle prese con il restyling delle Terme di Montecatini. Allora architetto, come saranno queste terme? «Potenzialmente potrebbero diventare meglio di Baden Baden anche se, per anni, sono state lasciate andare. Il mio intervento prevede inizialmente un rilancio della parte storica e la totale rimessa a nuovo della zona salute e benessere. In un secondo momento sarà riattivata anche la parte industriale di Montecatini. La cosa quasi commovente, per noi progettisti, è percepire quello che le piccole realtà si aspettano da un intervento di questo tipo. Ci chiamano convinti che la loro vita grazie a noi potrà effettivamente cambiare». Ma l' architettura può effettivamente rilanciare una città o è pura utopia? «Nessuna utopia, le aspettative sono ben riposte perché è sempre più diffuso un turismo architettonico. Si va in un luogo per vedere un aeroporto, un museo o uno stadio e per ammirare il lavoro di chi lo ha costruito. Anche viaggiare è diventato più accessibile e oggi, molto più di prima, c' è chi può permettersi un aereo per un fine settimana culturale». Tutti pazzi per l' architettura dunque? «L' interesse per il bello è per fortuna molto forte. Del resto non è una novità, anche nella storia era così: la gente partiva per visitare i sassi di Matera o le chiese della Cappadocia». E cosa cambia, nei fatti, per l' economia locale? «Si attiva un motore che serve a rilanciare l' indotto e quindi aprono alberghi, negozi e locali ma soprattutto c' è un incontro con persone diverse. Insomma una nuova vita per chi da anni non vedeva nessuno». Dei luoghi sperduti in cui ha lavorato quali lo ha sorpreso più piacevolmente? «Sicuramente le "Bolle"della distilleria Nardini dove, ancora oggi, si organizzano mostre ed eventi con incredibile entusiasmo. Poi, in una sperduta località nei Pirenei, un pazzo visionario della provincia mi ha commissionato il restauro delle Grotte di Niaux ed è stato un boom di visitatori. Nessuno si aspettava tanto successo».

La Repubblica
16-10-07, pagina 17, sezione MILANO     
Architettura
Lo storico Ackerman in Bovisa e in Triennale


Doppio appuntamento milanese per James S. Ackerman (San Francisco, 1919) uno dei più autorevoli storici dell' arte e dell' architettura del mondo, già docente a Berkeley e Harward. Questa mattina al Campus Bovisa del Politecnico (via Durando 10, ore 10.30, ingresso libero) Ackerman tiene una lezione sull' «India e noi», domani alla Triennale (viale Alemagna 6, ore 18.30, ingresso libero) partecipa alla presentazione del libro La Divina Proporzione. Triennale 1951 (Electa) dedicato allo storico convegno che si svolse alla Triennale e al quale partecipò, con alcuni dei più importanti artisti, architetti e storici del tempo (Wittkower, Le Corbusier, Fontana, Rogers e Zevi tra gli altri), lo stesso Ackerman. Il volume, a cura di Fulvio Irace e Anna Chiara Cimoli, contiene gli atti di quel convegno e nuovi saggi di Guido Canella, Gillo Dorfles e Vittorio Gregotti, presenti all' incontro.


Sezione: varie - Pagina: 043
(16 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
ESTETICA Un dialogo-intervista su architettura ed emozioni tra il progettista Mario Botta e lo psichiatra Paolo Crepet
Spazi, forme e colori: perché una bella città ci fa sentire meglio

Anche se il connubio tra un architetto e uno psichiatra può apparire stravagante, il rapporto tra architettura e medicina è antico e già presente nel trattato De re aedificatoria di Leon Battista Alberti del 1452. La buona architettura è una forma di «salus» per i cittadini scrive l' umanista, così come la bellezza («concinnitas» in Alberti) ha un fine etico ed è pure strumento difensivo, poiché di fronte all' armonia il nemico frena la mano. Sebbene non tutto il libro Dove abitano le emozioni. La felicità e i luoghi in cui viviamo di Mario Botta e Paolo Crepet intervistati da Giuseppe Zois (Einaudi, pp.180, 12.50) sia immune da qualche ovvietà (del tipo «Ci vorrebbe davvero un nuovo Rinascimento »), nel complesso lo possiamo considerare come un settecentesco dialogo erudito (alla Algarotti) di Estetica dell' architettura, ove per Estetica si debba intendere - come voleva il suo fondatore Baumgarten - «Scienza della sensibilità» e dunque una disciplina che studia anche l' incidenza di spazi e colori sulla psiche e sui comportamenti dei fruitori. Dal libro emerge che l' aver cura della città è una «cura preventiva» per gli individui; del resto, costruire è abitare, e abitare è «prendersi cura», come scrive Heidegger nel noto Costruire, abitare, pensare. Non si può fare una scienza deterministica dei luoghi dell' esperienza umana e nemmeno offrire delle statistiche esatte della ricezione di vari luoghi; l' intento del libro è solo quello di evidenziare una fenomenologia di situazioni ricorrenti. Ne emerge, ad esempio, che la città storica ha una influenza ben più positiva anche delle periferie meglio realizzate di nuova architettura, perché si presenta come «una enciclopedia inesauribile» (Botta). «In un quartiere periferico anonimo - tematizza questa Crepet - si annida il paradosso della solitudine: non sei solo, ma ti "senti" solo». Un altro tema curativo è quello del rapporto tra architettura e identità, un altro ancora quello dell' idea di casa come rifugio protettivo. «La casa è l' utero della madre - scrive Botta - ed è anche il nesso che ricollega al passato». Ribadisce Crepet: «Se consideriamo la casa da una angolazione psicologica tre sono i basamenti. Il primo ruota intorno al sapere chi sei oggi, prodotto da chi sei stato: ovvero le tradizioni e le radici. La sommatoria di questi due aspetti produce il chi sarai».

Panza Pierluigi


Sezione: varie - Pagina: 016
(17 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
ARCHITETTURA
Triennale 1951 L' età dell' oro

L' età dell' oro dell' architettura, quando alla Triennale s' incontravano Le Corbusier e Bruno Zevi, viene raccontata in un volume «La Divina Proporzione. Triennale 1951» a cura di Annachiara Cimoli e Fulvio Irace. La presentazione stasera con gli autori e James Ackerman, Guido Canella, Gillo Dorfles e Vittorio Gregotti. Triennale, viale Alemagna 6, ore 18.30

Sezione: varie - Pagina: 041
(17 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
POLEMICHE Il progettista americano attacca: da Ground Zero al Vecchio Continente troppe speculazioni
Eisenman: «Cari italiani, così rovinate l' architettura»

L' autore del Monumento all' Olocausto: il denaro annulla la creatività
«Certo in Italia la politica condiziona l' architettura. Ma ha visto cosa succede in America? Lì sono sempre i soldi a imporre i progetti. È per questo, per far piacere agli investitori, che la ricostruzione del World Trade Center si è ormai ridotta ad una semplice operazione di speculazione edilizia. Ed è proprio così che, negli Stati Uniti di George W.Bush, il denaro ha finito per annullare la creatività». Peter Eisenman è da sempre «un grande architetto controcorrente» (non a caso è stato direttore di una rivista chiamata Oppositions), un architetto che ama il confronto, la discussione, la polemica, la provocazione. Fin dai tempi dei «Five Architects» (la definizione venne coniata da Kenneth Frampton nel 1969 tra le mura del MoMa di New York): cinque architetti (assieme a lui c' erano Charles Gwathmey, John Hejduk, Richard Meier e Michael Graves) a lungo impegnati nella ricerca dell' «impatto sociale del progetto» e di cui Eisenman è stato inequivocabilmente l' anima teorica. Un personaggio scomodo, dunque, che ha firmato progetti importanti: lo stadio degli Arizona Cardinals a Phoenix, la Città della Cultura della Galicia a Santiago de Compostela, la Fine Arts Library della Ohio State University a Columbus, la sede centrale della Koizumi Sangyo Corporation a Tokyo, gli edifici popolari al Checkpoint Charlie di Berlino. Fino al recente progetto per la nuova stazione di Pompei e per la ristrutturazione di quella di Villa dei Misteri (con tanto di «interconnessione» fra le aree degli scavi e del santuario). Eisenman è davvero sicuro che la politica non faccia male all' architettura: «La politicizzazione del progetto è sempre esistita. Oltretutto Bassolino e Veltroni amano la buona architettura e sanno scegliere. Piuttosto il problema è che nelle commissioni che in Italia giudicano i progetti ci sono troppi ingegneri, troppi tecnici, troppi vecchi che penalizzano la creatività, la novità, i giovani». Il presidente della Regione Campania e il sindaco di Roma vanno così ad aggiungersi idealmente agli altri grandi amori italiani di Eisenman (nato nel New Jersey nel 1932, cugino di un' altra superstar dell' architettura come Richard Meier) che ha scoperto il nostro Paese con il più classico dei Grand Tour nel lontano 1961: la Chiesa di Santa Maria del Priorato di Malta di Piranesi, Sant' Ivo alla Sapienza e San Carlino alle Quattro Fontane di Borromini e soprattutto Santa Maria in Campitelli. E poi Palladio, Scamozzi, Vignola, Giulio Romano, Bernini, Bramante («mi piace perché conosceva le regole e sapeva come trasgredirle») e Giuseppe Terragni (a lui aveva dedicato un bel volume edito nel 2005 da Quodlibet). Oltre al Neorealismo, a Bertolucci, alle Mani sulla città di Francesco Rosi, a Manfredo Tafuri e Aldo Rossi («Frank Lyold Wright? Non mi piace»). E naturalmente al calcio: «Tutto è cominciato a Madrid nel 1982 quando ho visto Paolo Rossi e gli azzurri vincere i Mondiali; oggi mi piacciono Totti, Inzaghi, Iaquinta». In architettura, invece, trova che oggi il nostro Paese «viva un momento di decadenza» mentre Spagna e Olanda rappresentano «realtà ben più attive e intraprendenti». Il nome di Eisenman è stato legato, di recente, soprattutto al suo Monumento alle vittime dell' Olocausto realizzato nel 2005 a Berlino, costato 27 milioni di euro (la Freedom Tower in onore delle vittime dovrebbe invece costare oltre un miliardo di dollari) e finito questa estate sui giornali tedeschi per colpa delle sue crepe e della sua umidità. «È stata una tempesta in un bicchier d' acqua, i tedeschi hanno una disposizione naturale per creare problemi quando si parla di Olocausto - questa è l' opinione di Eisenman -. Per lo stesso motivo, in fondo, quando qualche tedesco scopre che io sono ebreo, arrivano subito le giustificazioni: "la mia famiglia non ha avuto niente a che fare con lo sterminio degli ebrei"». Tornando poi ai problemi tecnici del suo Monumento Eisenman chiarisce: «Quando ho scelto il cemento tutti sapevano che le crepe erano fisiologiche, inutile anche cercare di tamponarle perché l' effetto sarebbe esteticamente terribile». Logico chiedere all' ebreo Eisenman quale sia il significato del suo Monumento: «Il mio non vuole essere un luogo della memoria, non vuole ricordare le vittime, non vuole denunciare nessun orrore perché quel tipo di orrore è irrappresentabile, ogni descrizione è comunque inadeguata» («trivial», insignificante, è il termine preciso). Così Eisenman ha scelto di creare uno spazio che non fosse «né ebreo né cattolico» dove però fosse possibile in qualche modo «immedesimarsi», «provare lo stesso orrore dei deportati». Il meccanismo che l' architetto americano ha voluto suscitare nel visitatore nasce da un ricordo personale o, meglio, familiare: «Un amico di mia madre, un ebreo di Budapest, raccontava che, appena arrivato ad Auschwitz, era stato separato dalla madre. Si era così trovato solo, perduto nello spazio. Ecco, voglio che chi entra nel mio monumento provi quella stessa sensazione di solitudine, che si senta anche lui "lost in the space"». Eisenman non è particolarmente osservante in materia di religione. Ma parlando di Auschwitz finisce per commuoversi. È solo un attimo e poi torna il solito Eisenman ironico e divertente che insegna architettura a Yale: «I colleghi della della mia generazione, da Gehry a Isozaki, da Graves a Meier, hanno occupato e continuano ad occupare quasi tutto lo spazio disponibile. Quello che restava è andato ai cinquanta-sessantenni come Zaha Hadid, Nouvel o Koolhaas. Ai giovani non è toccato quasi niente anche perché, da parte dei committenti, non c' è quasi mai voglia di cercare nomi nuovi». Ma anche il successo ha, in fondo, i suoi risvolti negativi: «Le superstar dell' architettura sono diventati dei veri e propri "marchi", delle "firme" come quelle della moda. Ed a loro viene chiesto, in qualche modo, di ripetersi: Gehry, insomma, sarà condannato a rifare sempre il Guggenheim di Bilbao». * * * LA REPLICA «Le crepe di Berlino? Colpa del cemento» Il Monumento alle vittime dell' Olocausto realizzato a Berlino da Peter Eisenman nel 2005 è un labirinto di 2711 blocchi di cemento che occupano quasi 20 mila metri quadrati nei pressi della Porta di Brandeburgo, un labirinto visitato in un anno da oltre tre milioni di persone. Questa estate il Monumento è finito nel mirino dei giornali tedeschi per le crepe e per l' umidità che sembravano averlo attaccato. Eisenman definisce questo «un non-problema» o meglio un evento «fisiologico» legato alla scelta del cemento. Per ora nessuna soluzione è stata presa: «In realtà - spiega Eisenman - una soluzione ci sarebbe, un silicone spagnolo che sarebbe perfetto, ma i tedeschi vogliono solo materiali made in Germany».

Bucci Stefano


La Repubblica
18-10-07, pagina 1, sezione MILANO     
Le idee
Fermate lo sviluppo della città
JACOPO GARDELLA

Quando si parla di Milano e della sua urbanistica vi è una parola che rimbalza di continuo dall' uno all' altro membro della giunta comunale: è la parola "sviluppo", che viene pronunciata con la stessa cieca convinzione con cui si obbedisce a una parola d' ordine. I nostri amministratori sostengono categoricamente che a Milano nei prossimi anni occorre favorire, incrementare, accelerare lo sviluppo. In realtà sviluppo è una parola a doppio esito: da un lato prelude a un progressivo miglioramento; dall' altro preannuncia una imminente catastrofe. Se è organico e disciplinato lo sviluppo è segno di salute; se è patologico e incontrollato è segno di malattia. Il più tragico esempio di sviluppo è dato dal cancro degli organi vitali, dalla metastasi delle cellule viventi. Lo sviluppo urbanistico, così com' è auspicato dagli amministratori comunali, è paragonabile a un cancro maligno che mina la vita della città. Con la compiacenza degli uffici comunali, sordi e indifferenti alla salute dei cittadini, si sta assistendo a una crescita edilizia incontrollata che conduce al soffocamento delle principali funzioni cittadine; occupa inesorabilmente ogni angolo del territorio e invade tutte le aree rimaste ancora libere. Se si vuole garantire la salvezza della città e se si intende assicurare alla popolazione un futuro decente, non di sviluppo occorre oggi parlare ma di pausa, di sosta, di arresto, per prendersi un momento di riflessione e di chiarimento. All' interno della cerchia urbana non vi è più posto per nuovi volumi. La città è ormai satura. La densità edilizia non è più incrementabile. Tutti gli spazi verdi vanno salvati; tutte le aree non ancora costruite devono diventare spazi verdi. Le nuove costruzioni non sono più da realizzare all' interno della città, ma fuori dal suo perimetro; nel territorio che le sta intorno; al di là di una estesa fascia verde che dovrebbe circondare, proteggere e delimitare il nucleo storico ormai fittamente edificato. SEGUE A PAGINA XII Tale fascia perimetrale, collocata tra città antica e insediamenti nuovi, funge da ampia riserva di verde, creata a beneficio dell' intera popolazione urbana, perché facilmente raggiungibile percorrendo le varie radiali in uscita dal centro abitato. Se l' attuale amministrazione comunale, che si riempie la bocca di paroloni altisonanti come "crescita verticale" e "governo del territorio", avesse una visione illuminata e lungimirante del futuro urbanistico milanese, non strombazzerebbe ai quattro venti l' insensato invito a costruire grattacieli, ma si accingerebbe a pianificare un sistema anulare di centri minori, collegati con la città-madre da una rete di rapidi e continui mezzi di trasporto. è la proposta di sviluppo urbano tracciata da Leonardo da Vinci all' inizio dell' era moderna. è la soluzione adattata dalla Grande Londra dopo la seconda guerra mondiale. La Lombardia possiede già, dislocate intorno a Milano, un insieme di vivaci cittadine storiche che si presterebbero ottimamente a diventare fulcri generatori di future espansioni regionali. A partire da queste cittadine, e intorno a loro, va orientata l' urbanistica dell' avvenire, abbandonando una volta per sempre il progressivo allargamento a macchia d' olio che caratterizza l' amorfa e deprimente periferia attuale. Come il cavallerizzo abile, quando si lancia al galoppo, non fissa lo sguardo sul collo del cavallo ma lo proietta verso la via che gli sta davanti, così l' urbanista competente, quando pianifica lo sviluppo urbano, non lo comprime all' interno di una città già satura e congestionata, ma lo orienta al di fuori e lo estende verso il territorio che sta intorno.

Sezione: traffico urbano parcheggi - Pagina: 001.004
(18 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
Protestano centinaia di acquirenti: il Comune ci fa curare aree verdi grandi anche il triplo degli autosilo
«Giardini sopra i box, i proprietari paghino le spese»

Compri il box sottoterra e tieni curato il verde che ci sta sopra. È questa, per effetto delle convenzioni comunali, la condizione di centinaia di cittadini che hanno acquistato un parcheggio per residenti costruito su suolo pubblico. Ma spesso, una volta comprato il garage, si scopre che il verde a carico dei concessionari (e quindi, di fatto, dei cittadini acquirenti) è anche il doppio o il triplo della superficie del parcheggio, con inevitabile lievitazione delle spese. Per dirla con l' ulivista Aldo Ugliano, che apre il caso a Palazzo Marino, «il Comune si fa pagare dai cittadini una manutenzione del verde non dovuta». PIANO PARCHEGGI Box interrati, protestano i proprietari «Paghiamo per i giardini sovrastanti» L' esempio più clamoroso è forse quello di via Pessano, parcheggio di 3.050 metri quadrati a due passi da San Siro in funzione da otto mesi. I cittadini, in questo caso, si dovranno accollare la manutenzione di un' area di 9.600 metri quadrati. «Ci è stato spiegato che in base alle carte spetta a noi la manutenzione di tutto il parco - dice Luigi Tarantino, portavoce dei residenti -. Dovremmo occuparci di innaffiare comprando l' acqua dal Comune e persino di garantire l' acqua dalla fontanella a disposizione della cittadinanza. A nostro carico anche tagli e potature. Una cosa assurda». Tarantino segnala inoltre l' aggravante della vicinanza con lo stadio: «Quando ci sono partite o manifestazioni - racconta - sul verde succede di tutto». In situazioni analoghe, cioè con aree verdi sul groppone molto più ampie della superficie occupata dal parcheggio, ci sono i posteggi di via Balilla, Betti, Broggini, De Pretis, Graf, Leone XIII, Piana, Po. «Ma anche tanti altri - assicura Ugliano, invitando i cittadini a segnalargli in Comune i casi discutibili -. L' amministrazione deve modificare le convenzioni». Per questo il consigliere dell' Ulivo ha presentato un' interrogazione al sindaco. Nel mirino c' è l' articolo 13 della convenzione tipo, che stabilisce che «per quanto riguarda la manutenzione ordinaria e straordinaria della sistemazione superficiale del parcheggio, il concessionario si impegna ad eseguirla sino alla scadenza del diritto di superficie, relativamente al verde e alle opere di arredo urbano». «Persino lo svuotamento dei cestini - chiosa Ugliano - è a carico dei proprietari dei box».

Verga Rossella
 

Sezione: fiere - Pagina: 003
(19 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
IL SINDACO
«Sarà l' esposizione dell' ambiente. Lasceremo ai milanesi il 90 per cento delle opere»

Sarà l' Expo dell' ambiente e del verde. Ma sarà anche l' Expo che lascerà un' eredita importante ai milanesi «che deve rimanere un esempio positivo per tutto il mondo». Parola di Letizia Moratti, ma soprattutto di Legambiente e di altre associazioni ambientaliste che hanno raccolto la sfida di Palazzo Marino e hanno aderito come partner alla candidatura di Milano. «Lasceremo in eredità ai milanesi il 90 per cento delle opere dell' Expo - attacca la Moratti - Tutta la zona dell' Expo sarà un' area a bassa emissione. Sarà un modello per quanto riguarda le costruzioni, tutte a basso impatto ambientale e i trasporti». Anche perché la zona sarà off limits alle auto. «Solo il 17% dei visitatori - spiega l' assessore all' Ambiente, Edoardo Croci - raggiungerà la manifestazione in auto. Ma anche questi si dovranno fermare in parcheggi di corrispondenza e poi trasportati nel sito con delle navette ecologiche. All' interno saranno permessi solo veicoli elettrici, navette a idrogeno o biciclette». Il verde giocherà un ruolo fondamentale. Non solo nell' area dei padiglioni, ma anche nel resto della città. «Nell' area dell' Expo la metà sarà destinata a verde. Il 35 per cento intorno ai padiglioni, il resto intorno all' area». Inoltre verrà realizzato un collegamento con la città: la Via d' acqua. Venti chilometri di percorso pedonale lungo i Navigli che collegherà la Darsena a Pero-Rho. «La Via d' acqua - spiega la Moratti - con il parco di 800 ettari resterà alla città». Nel nuovo sito non verrà utilizzato petrolio o gasolio. Raffreddamento e riscaldamento saranno garantiti sfruttando il fotovoltaico, l' energia solare, e altri strumenti puliti e così anche per le risorse idriche. Il sito sarà esemplare sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista energetico. «Dobbiamo fare tutti quanti il tifo per l' Expo - attacca l' assessore all' Urbanistica, Carlo Masseroli - perché accanto all' Expo c' è un grande progetto di città. Che grazie all' Expo avrà una velocità molto maggiore». Nascerà anche una Consulta ambientale che vaglierà, per tutta la durata del progetto Expo, l' impatto che ogni infrastruttura avrà sull' ambiente e sullo sviluppo sostenibile. Dentro c' è anche Legambiente. «Accettiamo la sfida - chiude il vicepresidente degli ambientalisti, Andrea Poggio - Siamo convinti che sia possibile utilizzare un grande evento come l' Expo per migliorare la qualità della vita e rendere la città più bella».

Giannattasio Maurizio

La Repubblica
20-10-07, pagina 11, sezione MILANO     
L' architetto spagnolo Josep Llinàs Carmona ha vinto il concorso per la ricostruzione del chiostro di Sant' Eustorgio
Un Diocesano tutto d' oro
Ecco come sarà il nuovo museo d' arte sacra al Ticinese Fulcro del progetto una gigantesca struttura di ottone dorato a forma di tenda, costo previsto 11 milioni
CHIARA GATTI

Dimenticate il parcheggio polveroso e l' ingresso prefabbricato colore bianco-roulotte. Finalmente il Museo Diocesano avrà un' entrata degna delle sue collezioni d' arte sacra. Un' entrata letteralmente nuova di zecca, visto che il progetto per la ricostruzione del quarto lato del Chiostro di Sant' Eustrogio, crollato sotto i bombardamenti bellici del '43, vedrà la realizzazione di una sorta di gigantesca tenda dorata, ottenuta con una struttura a vele di ottone irregolari che dovranno evocare l' effetto di un tessuto leggero steso su una superficie di circa 3.800 metri quadrati (più 700 di servizi interrati) che si aggiungeranno ai 3600 attuali, raddoppiando di fatto il museo. Autore del progetto, vincitore del concorso internazionale bandito lo scorso anno dal Comune, è l' architetto spagnolo Josep Llinas Carmona, classe 1945, originario di Barcellona, che per l' esecuzione del piano di lavoro si è appoggiato allo studio milanese dell' ingegner Carlo Valagussa e, per la consulenza museografica, a suo figlio, lo storico dell' arte Giovanni Valagussa, direttore dell' Accademia Carrara di Bergamo. Insieme hanno messo a punto un' idea di spettacolare impatto visivo ma che, allo stesso tempo, armonizza bene col contesto circostante. Incastonata fra il corso di Porta Ticinese, il parco delle Basiliche e l' antico chiostro restaurato su tre lati una decina d' anni fa dallo Studio Belgiojoso, la "tenda aurea" di Llinas Carmona ha ottenuto - grazie alla sua iconografia cara alla tradizione cristiana e al "grande impatto" estetico, urbanistico e sociale - il consenso di una giuria composta, fra gli altri, dal direttore del Diocesano Paolo Biscottini e dagli architetti milanesi Luigi Caccia Dominioni e Umberto Riva, battendo gli altri nove finalisti (su 98 in gara), fra cui spiccavano i nomi di Antonio Citterio (che si è piazzato secondo) e David Chipperfield, già vincitore nel '99 del concorso per la Città delle Culture nell' Area ex Ansaldo. Adesso resta da stabilire il programma di realizzazione dei lavori e soprattutto la disponibilità dei finanziamenti da parte del Comune e di sponsor privati che dovranno coprire una spesa di circa 11milioni di euro. I tempi restano dunque per il momento un' incognita, che a detta del direttore Biscottini «si spera di sciogliere al più presto, per poter procedere con i lavori e allestire finalmente la nuova area del museo destinata a ospitare le collezioni del Novecento».

Sezione: musei - Pagina: 010
(20 ottobre, 2007) - Corriere della Sera
Via al progetto di recupero. Auditorium, bookstore e caffetteria aperti al pubblico
Laboratori, gallerie e negozi Rinasce il Museo Diocesano

Previsti più spazi espositivi. «L' architettura dialogherà con il monastero»
A guardare il plastico sembra una sfoglia di lasagna. Appoggiata sul chiostro di Sant' Eustorgio, ruvida, dorata e ondulata. L' architetto che l' ha disegnata, Josep Llinás Carmona, preferisce la metafora delle ali di farfalla o meglio ancora della tenda, simbolo dell' iconografia cristiana. L' architettura non è legge, qualcuno la battezzerà. Di certo, il Museo Diocesano rinascerà sotto questa sfoglia di metallo e vetro, dopo aver abbattuto lo steccato bianco che è provvisorio fin dall' inaugurazione nel 2001. L' esplanade coperta farà da collegamento tra corso di Porta Ticinese e il Parco delle Basiliche e servirà da nuovo ingresso alle sale: qui saranno sistemati bookstore, giftshop e caffetteria (aperti anche fuori dagli orari del museo). Uno scalone scenderà dal chiostro del monastero ai nuovi spazi ricavati nel piano interrato: magazzini, laboratori, gallerie, loft e auditorium ospiteranno congressi ed esposizioni multimediali. Il progetto d' ampliamento del Museo Diocesano colma il cratere lasciato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale in Sant' Eustorgio. Il gruppo vincitore del concorso internazionale (organizzato dal Comune con 98 candidati e 500mila euro d' investimento) è stato annunciato ieri dal direttore del museo, Paolo Biscottini, e dall' assessore allo Sviluppo del territorio, Carlo Masseroli. Capocordata è l' architetto spagnolo Carmona, autore della Biblioteca Jaume Fuster e dell' Ecoparc a Barcellona. nella squadra ci sono il paesaggista francese Gilles Clément e l' ingegnere Carlo Valagussa, che spiega: «Il segno architettonico dialoga con la storia di Sant' Eustorgio», insomma non stride con la Cappella Portinari sullo sfondo e «non cede alle tentazioni discutibili del gusto contemporaneo». Alla giuria, presieduta dall' architetto Giovanni Oggioni, è servita una due-giorni di clausura in albergo per scegliere il progetto tra una short list di dieci candidature. Alla fine, voto all' unanimità. Le motivazioni: «Il progetto sviluppa in modo mirabile il concetto della tenda caro alla tradizione cristiana e capace di stabilire relazioni importanti con il pubblico, con il percorso delle Basiliche e con il preesistente chiostro di Sant' Eustorgio». Questo intervento «ci consente un' attività culturale più ampia, non ristretta solo alla conservazione delle opere», spiega Biscottini. Quanto agli spazi, una balconata garantirà la vista sul chiostro, che sarà arricchito da un tappeto di graminacee basse con riflessi argentati e dorati. E se non sono previsti percorsi fissi per i visitatori (liberi di muoversi senza linee guida), è sulla carta la riqualificazione del cuore del Parco con un giardino d' acqua sovrastato da ponticelli. Il progetto sarà definito entro giugno 2008. Di lì, apriranno i cantieri. Due anni di lavori, senza che sia ridotta l' attività del Museo Diocesano. La nuova ala e l' ingresso coperto, una superficie 4mila metri quadrati, costeranno 10,7 milioni di euro. Problema: chi mette i soldi? «Serviranno finanziamenti pubblici e privati, noi collaboreremo», sottolinea Masseroli. Sui privati, si vedrà. Di certo, la Diocesi farà la sua parte. Intanto, osserva l' assessore, «il Comune ha sbloccato un' opera arenata e creduto nello sviluppo d' una eccellenza di Milano». L' obiettivo lo fissa Biscottini: «Allargare il Museo alla città, per rispondere meglio alla domanda di partecipazione». Ma l' incognita è sotto terra: cosa uscirà dagli scavi in Sant' Eustorgio? Storia. E problemi. 10,7 *** I MILIONI DI EURO tra fondi pubblici e privati, necessari alla costruzione del nuovo ingresso coperto e della nuova ala del Museo Diocesano di corso di Porta Ticinese

Stella Armando
 

La Repubblica
20-10-07, pagina 4, sezione MILANO     
In Consiglio passa mozione bipartisan per la cessione a Cabassi
Si costruirà a Rho-Pero solo se verrà sconfitta Smirne
La decisione
ANNA CIRILLO

Con i dovuti aggiustamenti è stata approvata in consiglio comunale la delibera per la cessione (temporanea) al Comune di due aree su cui si svilupperà Expo 2015, di proprietà della società Belgioiosa, gruppo Cabassi, e della Fondazione Fiera. La delibera è passata con un accordo bipartisan: a favore hanno votato 41 consiglieri, 4 i contrari (i consiglieri del Prc Vladimiro Merlin e Patrizia Quartieri, del Pdci Francesco Rizzati, e Basilio Rizzo della Lista Fo), un astenuto (Giuseppe Landonio). Così quando domani arriveranno in città gli ispettori del Bie per verificare in tre giorni se Milano ha le carte giuste per ospitare l' Expo o se è meglio la concorrente Smirne, il sindaco potrà mostrare una disponibilità di spazi già ben definita. L' accordo è stato possibile grazie ad un maxiemendamento sul quale maggioranza e opposizione avevano trovato giovedì un' intesa e approvato ieri all' unanimità: togliere dalla delibera i riferimenti ai preaccordi presi a giugno tra Comune e i proprietari delle aree, e vincolare l' approvazione della variante urbanistica alla effettiva designazione di Milano come sede dell' Expo. Infatti i terreni da agricoli diventeranno edificabili dopo essere stati prestati per l' esposizione internazionale, questo l' accordo che il Comune ha fatto con i privati. Il maxiemendamento ha voluto precisare in maniera chiara che ciò avverrà solo dopo l' approvazione della candidatura. «Si voleva condizionare il piano delle aree anche per il dopo Expo, prefigurando scelte urbanistiche vantaggiose per i privati; ma il Consiglio ha deciso in modo diverso», così Marilena Adamo, capogruppo dell' Ulivo in Consiglio. Applaudito da tutti il forzista Aldo Brandirali: «Se sindaco e giunta pensano che il Consiglio sia loro disposizione, si diano una regolata». E Carlo Fidanza, An: «In questo dibattito è mancata la presenza della giunta».


La Repubblica
20-10-07, pagina 4, sezione MILANO     
Dai Mondiali bis alla naumachia gli eventi in progetto per il 2015
Expo, le navi tornano all' Arena
Maxi mostre su Leonardo e Caravaggio, sport, moda, concerti: settemila appuntamenti a metà tra libro dei sogni e realtà Le iniziative
RODOLFO SALA

Un concertone da fare impallidire quello di Woodstock, con il meglio delle band internazionali ad alternarsi sul palco per due settimane, e mezzo milione di partecipanti. La rivincita della finale dei Mondiali di calcio che si disputeranno l' anno prima, nel 2014. Due grandi mostre su Leonardo e Caravaggio. E poi un festival del cinema, un' edizione speciale delle Giornate della moda, il raduno mondiale dell' editoria, l' Arena che sarà riallagata per ospitare le antiche naumachie... Tutto in sei mesi, tutto a Milano e dintorni, tutto attorno all' Expo. Fra otto anni, se tutto andrà bene. Un libro dei sogni, ma solo perché prima deve arrivare il sì dal Bie, l' organismo internazionale che a marzo deciderà se assegnare a Milano o a Smirne la grande esposizione internazionale del 2015. Domani arrivano i sette ispettori per passare la città ai raggi X da lunedì, ed è proprio alla vigilia di questo sbarco che il Comune sforna un programma che, se realizzato, trasformerà Milano in una specie di Città del Sole: settemila eventi, una quarantina al giorno, che spaziano dall' arte allo sport, dal teatro alla musica, dalla creatività al cinema. Occasioni allettanti per un esercito di visitatori: 29 milioni, dicono le previsioni, e una media di 160mila presenze giornaliere a cominciare dall' inaugurazione 1° maggio del 2015. Presenta il tutto, a Palazzo Isimbardi, l' assessore comunale Giovanni Terzi (Letizia Moratti è ko per un febbrone) insieme al presidente della Provincia Filippo Penati: battute scherzose e l' ennesimo auto-applauso per il «grande gioco di squadra» che stanno mostrando le litigiose istituzioni locali, il governo e anche la Presidenza della Repubblica. C' è l' ottimo viatico dell' ambasciatore degli Stati Uniti Ronald Spogli, che due ore prima al sindaco ha rivolto parole graditissime: «Milano ce la può fare». E c' è pure l' impegno dell' Enit, l' ente del turismo rappresentato dal presidente Umberto Paolucci: «Cercheremo di portare a Milano più del 25% di visitatori stranieri, sono già in corso contatti con gli albergatori per convincerli a offrire pacchetti turistici di alto livello. Ma ecco le portate più ghiotte del programma di eventi presentato ieri. Arte: Non solo Caravaggio e Leonardo, ci sarà la quarta edizione di «Babele», festival a cavallo tra pubblicità, design, architettura, fotografia, moda; poi la mostra «Milano patria del futurismo» con esposizioni dedicate a Balla e Boccioni. Sport: la rivincita della finale mundial, ma anche un anticipo delle Olimpiadi del 2016 e il Tour de France con partenza da Milano. Teatro: «Le città dell' Expo alla Scala», con la creazione di un' opera multimediale commissionata a un compositore contemporaneo; poi la danza con Pina Bausch e il coreografo francese Fréderic Flamand. Musica: il concertone concluderà la «Campagna del millennio delle Nazioni unite», poi edizioni speciali del Milano jazzin festival e del Mi-To. Creatività: collezioni «etniche» alla Settimana della Moda, Gran Galà della pubblicità. Cinema: edizione speciale del Festivall, rassegna del cinema di documentazione.

La Repubblica
20-10-07, pagina 1, sezione MILANO     
Le idee
Non fermate lo sviluppo in città
LUCA BELTRAMI GADOLA

Per una volta non sono d' accordo con Jacopo Gardella, l' amico di una vita. Il problema non è fermare, anche solo per una pausa, lo sviluppo di Milano, il problema è governare lo sviluppo. E governare lo sviluppo non vuol dire solo parlare di urbanistica, anzi. La parola "sviluppo" che lui cita come parola d' ordine dei membri della giunta è forse una parola che non esiste più, se non accompagnata da una perifrasi che ne spieghi quale significato le dà chi la pronuncia. Se per sviluppo si intende una crescita urbana purchessia, come forse la intende la maggior parte dei membri della giunta, allora sarei ancora più drastico di Gardella: nessuna ulteriore crescita, né ora né mai. Ma so di aver detto una cosa impossibile e dunque inutile. Dobbiamo imparare a governare lo sviluppo prima che la sua forza interna, spesso becera e sempre cieca, ci travolga, senza negare però che solo attraverso lo sviluppo possiamo pensare di sopravvivere e ripianare le ingiustizie sociali del nostro tempo. E qui dovremmo parlare di sviluppo compatibile, non una ma due parole ormai prive di senso se non unite insieme. Ma restiamo nel campo dell' urbanistica. Prima di muoverci dobbiamo fissare alcuni paletti: il principio della parsimonia, direi persino dell' avarizia, nell' uso del suolo inedificato è uno di questi. Ma contemporaneamente dobbiamo dire che la qualità della vita in città non è inversamente proporzionale alla densità edilizia: ci sono parti di Milano che potrebbero ammettere densità anche superiori, come in molte città straniere. (SEGUE A PAGINA XI) Dobbiamo invece affermare che la qualità della vita è legata alla quantità di spazi sociali di cui può godere ogni singolo cittadino ma per spazi sociali si deve intendere la somma delle superfici lastricate e pedonalizzate e di quelle verdi, realmente a portata di mano; forse è anche arrivato il momento di fare un discorso serio sulle piazze milanesi. Dobbiamo distinguere con chiarezza tra verde di vicinato e verde con funzione ecologica e qui sono d' accordo con Gardella quando sollecita la creazione di cinture verdi, non solo a scopo ecologico ma di interruzione del costruito. Appunto per non lasciare spazio, neanche culturale, ai sostenitori della città infinita, una delle storture sociologiche che ha colpito la fantasia di qualcuno ed entusiasmato gli immobiliaristi d' accatto, quelli del mordi e fuggi, quelli secondo i quali la qualità della vita non ha valore perché non ha prezzo. Ma se tutti questi discorsi li facciamo per Milano, ogni altro centro abitato, piccolo o grande che sia, ha diritto al medesimo rispetto ed ai medesimi principi. La nostra tendenza a scaricare altrove i nostri problemi è stupida e proverbiale. Milano ha in sé le sue opportunità di sviluppo, senza occupare altro territorio inedificato, deve saper crescere ottimizzando le sue risorse esistenti, tutte le risorse. Certo è più difficile: è un obbiettivo per raggiungere il quale occorre la somma di molti saperi e l' impegno comune di molte forze economiche e sociali. Vuol dire inventare una nuova disciplina che si occupi della città. L' urbanistica tradizionale non basta.




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