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Una vita da Architetto

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Interessante incontro con Gian Carlo Malchiodi che, introdotto dall'amico Ugo la Pietra, curatore del volume per i tipi di Prearo Editore e da Antonio Monestiroli, racconta la feconda vita professionale all'insegna di un razionalismo della scuola milanese.

Presiede l'incontro il Presidente dell'Ordine Arch. Daniela Volpi.

GIAN CARLO MALCHIODI: UNA VITA DA ARCHITETTO

DANIELA VOLPI
Il Presidente dell’Ordine Daniela Volpi dà il benvenuto e ringrazia per aver scelto la sede dell’Ordine per la presentazione del bel libro su Gian Carlo Malchiodi, uno dei protagonisti della rinascita della città del dopoguerra.

Milano è ricca dei suoi edifici nei quali, ancora oggi si può riconoscere la sua ricerca nel declinare la modernità mantenendola all’interno delle identità storiche della scuola razionalista.
Una modernità “progettata”, sintesi creativa tra passato e futuro.

In quel periodo, la conoscenza delle tecniche costruttive e del cantiere erano elementi fondamentali per la professionalità dell’architetto, elementi che Malchiodi ben conosceva e che seppe portare all’interno della Facoltà, insegnando Tecnologia dell’Architettura.

UGO LA PIETRA
L’Architetto e Artista Ugo La Pietra, curatore del libro prende la parola e racconta di aver accettato il difficile incarico di scrivere questo testo, non come storico, ma come appassionato di architettura.
Con questo approccio, infatti, ha scritto diversi saggi: nel 1985 ha scritto il primo libro su Gio Ponti, fino ad allora autore dimenticato. Successivamente ha scritto di Ulrich e poi stava apprestandosi a fare la monografia di Tomaso Buzzi e del suo maestro, Vittoriano Viganò.

La Pietra ama scrivere di architetti che hanno dato tanto alla città di Milano, che purtroppo si dimostra con loro molto avara nel celebrare i suoi artisti.
Noi tutti passiamo davanti alle case di Malchiodi, senza saperlo. Questo libro dovrebbe portare alla luce queste mirabili opere degli ani 40 e 50. In quegli anni, se ci fossero stati più architetti del suo livello, la città avrebbe oggi un altro aspetto.

Malchiodi è anche fine designer, basti guardare le cassette delle lettere, i corrimano, le maniglie, le lampade e tutti i piccoli dettagli che pazientemente disegna, senza lasciare nulla la caso. La sua architettura è colta e attenta, dal disegno equilibrato e ricco di modulazioni, ritmi, soluzioni spaziali innovative e trasparenze. Le soluzioni progettuali sono rese da arditi accostamenti di materiali, caldi e freddi, colorati o sobri.

Questo libro, oggi ci fa rileggere pezzi di città dimenticati e ci ricorda la tipologia edilizia del palazzo per abitazioni, oggi poco trattata dagli architetti contemporanei, che prediligono le grandi opere come i musei, le stazioni o i grandi complessi polifunzionali.

ANTONIO MONESTIROLI
Antnio Monestiroli inquadra l’opera di Malchiodi nello scenario culturale dell’epoca, che vedeva come protagonisti Gardella, Albini, BBPR, generazione di maestri molto poco conosciuta, forse anche perche’ poco trattata dalle riviste, trascurata dalla storia dell’architettura.

Come mai in questi anni della ricostruzione c’è questa grande comunità con una cultura simile? Muzio, Portaluppi, Palanti sono stati maestri sufficienti? Secondo me questa generazione ha avuto grandi rapporti con l’internazionale. Forse guardava molto le riviste. Non credo fosse frutto della lezione di Ponti.

Il razionalismo è stato un movimento importante quanto maltrattato. Si pensava che esso fosse il punto di vista di una società funzionalista, che non sapesse cogliere le qualità essenziali del mondo.
In relaltà il razionalismo definito da La Pietra “intelligente e consapevole” non ha nulla a che vedere con il funzionalismo. E’ un movimento di cultura, che crede nella ragione e vede anche l’architettura come una disciplina conoscitiva. Sviluppando un progetto, si andava alla radice del problema, cogliendo gli elementi essenziali e organizzandoli in modo razionale.
Il grande amore per la casa in cui si vive bene, in cui vige un buon rapporto con la natura e il sole, l’attenzione verso le condizioni igieniche, la distribuzione spaziale logica, hanno come risultante la semplicità della forma.
Un altro aspetto importante riguarda il rapporto tra la vostra generazione e quella dei progettisti più giovani. Oggi sembra ci sia una riscoperta di forme pure e razionali a voi care.
Intanto si sta abbandonando l’hi-tech, momento di forte ideologia delle macchine architettoniche come il Beaubourg.
Il tema della casa, così poco studiato dagli architetti di oggi, finalmente è ripreso dalla scuola e dalle giovani leve. Se osserviamo le piante degli appartamenti venduti dalle società immobiliari, possiamo rabbrividire. In spazi tanto angusti e privi di sapore, non vi è dubbio che l’uomo soffra e avvizzisca. Il problema è serio, come diceva Ignazio Sardella: la casa è un problema di igiene mentale.
Andando in via Anelli, o in corso di Porta Vigentina ho scoperto tante case di architettura razionalista, tra cui alcune belle di Maffezzoli, la maggior parte di Malchiodi. Edifici con loggiati fieri e distinti, che non si confondono con la casa, ma che da essa si staccano, spesso sembrano quasi appesi alla casa. Grande consapevolezza costruttiva, risultato della maniacale attenzione nei confronti della composizione legata alla sua costruibilità. Solo gli architetti degli anni ‘40 possono pensare di progettare edifici partendo da fuori, dalla facciata, per arrivare ad imbrigliarsi nei problemi della funzionalità.
Invidio agli architetti di questi anni la committenza intelligente e colta. Oggi, invece purtroppo il problema della forma è scambiato con l’immagine. Oggi ci sono queste architetture che non hanno nessun senso, grandi emblemi pubblicitari. Milano è una città così e sarà impossibile viverci a lungo andare. Abbiamo imparato troppo in fretta da Las Vegas.

Questo libro e’ bellissimo e credo che l’editore vada ringraziato: fare un libro di architettura oggi non e’ semplice e anche Ugo La Pietra ha dato un ottimo contributo. Ho un unico appunto: avrei aumentato le foto a colori, per mostrare i contrasti dei colori dei materiali usati da Malchiodi.

GIAN CARLO MALCHIODI
Malchiodi comincia il suo intervento ringraziando tutti gli attori della serata: l’Ordine, l’editore e i relatori.
Quando ha cominciato a progettare in Italia c’era ancora la famosa architettura del regime. Tutte le riviste italiane portavano esempi quali Piacentini, salvo qualche eccezione come Ridolfi. Uno stile che non lo convinceva. Finalmente ha scoperto che a Milano c’era un gruppo di progettisti che facevano architetture ben diverse. Ha scoperto Le Corbusier, e ha cominciato a operare in quel senso li’.
A Milano una volta c’era il Collegio degli Architetti, che allora aveva più peso dell’Ordine stesso.
Una sera era andato ad una conferenza organizzata da loro e si è trovato seduto vicino a Lingeri, che gli ha detto “Noi eravamo stufi di vedere i respingenti dei vagoni ferroviari sotto le finestre, per indicare che quella era una casa dei ferrovieri. Siamo stufi di vedere fiori, frutta e verdura intorno alle finestre. Allora abbiamo fatto piazza pulita di tutto… Forse abbiamo anche esagerato. Adesso tocca a voi trovare il giusto equilibrio.”
E’ da allora che Malchiodi si è messo su quella strada li, anche se durante la sua carriera professionale, siano nati molti movimenti, quali in neo liberty o l’architettura di Viganò, che però non lo hanno mai convinto per cui ha sempre continuato sulla mia strada.
L’Architetto Caccia Dominioni, sfogliando questo libro ha commentato: “Questo non molla…” Infatti io sono convinto che il razionalismo non è morto.
Nella sua vita professionale ha avuto diverse esperienze e anche la fortuna di avere avuto come maestro Gio Ponti e di essere andato a lavorare nel suo studio. Dopo il lavoro spesso Ponti gli parlava di architettura, insegnandogli molti principi che ancora usa. Diceva: “l’edificio deve essere un oggetto finito, completo, composto da base, corpo e coronamento. Se lo progettate così non si potranno attaccare dei pezzi”.
Achille Castiglioni faceva l’esempio dell’uovo, forma naturale perfetta e pertanto intoccabile. Lo stesso Castiglioni diceva che nulla doveva essere lasciato al caso. Se ne è ben accorto Malchiodi, nella professione, quando, omettendo di disegnare dei particolari, essi venivano malamente interpretati dal costruttore. Alle volte basta un particolare sbagliato, per rovinare tutta una composizione.
Malchiodi è sempre partito dalla pianta, cercando sempre di perfezionarla, perchè la casa risultasse funzionale, rispondendo alle esigenze del fruitore. Le sue piante sono come delle macchine e da esse deriva la forma dell’edificio esterno.
Per quanto riguarda i committenti, egli non ha mai avuto clienti ricchi e altisonanti, che lo chiamavano per progettare una villa.
Avevo come committenti le imprese di costruzioni che facevano speculazioni. Erano clienti intelligenti, che si lasciavano convincere dalle sue idee. Per esempio, se vedete gli atrii, potete apprezzare un grande spazio, un sacrificio economico per il costruttore, che ha presto capito l’importanza dell’ariosità dell’androne, che andava a beneficio sulla vendibilità dei singoli alloggi.
La casa di via De Amicis, per esempio è fatta di balconcini, come quella progettata da Viganò in Viale Piave, pannellati, in origine, color carta da zucchero. Malchiodi avrebbe voluto che ogni pannello dei balconi fosse dipinto con un quadro astratto, e che tutti i pannelli insieme formassero un enorme dipinto. Cosa impossibile, se vediamo cosa è venuto fuori. Una delle case che gli piace ancora ora è quella di via Cassolo, una delle ultime. Una casa con un fronte di oltre 60 metri molto stretto. Ha voluto arretrare la casa, progettato un giardino sul fronte e innalzato la casa maggiormente, rompendo questo volume in quattro elementi sfalsati e collegati dai corpi scale e ascensori. Questi edifici avevano perso il loro parallelismo con la strada, che è stato poi recuperato mediante l’allineamento dei balconi.









 

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