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Condominio in via Lanzone

Anno: 1949 - 1951

Località: Milano, Duomo

Indirizzo: Via Lanzone 6 angolo via Ghislieri 2

Destinazione d'uso: Edifici residenziali

Progettista: Gustavo e Vito Latis

Il complesso viene realizzato in una zona centrale della città, che fu colpita pesantemente dai bombardamenti del 1943. I due studi ai quali le società immobiliari si rivolgono per risolvere la ricostruzione dell’intero lotto, compreso fra le vie Circo, Lanzone e San Pio V, sono quello dei fratelli Latis e quello Asnago e Vender. L’intervento del Latis è situato all’incrocio delle due vie, al suo fianco si colloca l’edificio di Asnago e Vender.

 

L’intervento dei Latis si articola in due edifici con strutture in cemento armato, uno di quattro e l’altro di otto piani, arretrati rispetto al filo stradale e inseriti in un giardino. Il corpo più basso (18 m) si pone in relazione con le dimensioni di alcuni edifici preesistenti nell’intorno e più in generale con la tradizione di questo angolo di Milano i cui insediamenti possono essere ricondotti, nella memoria storica, alle più antiche epoche della vita della città; inoltre assolve una funzione di mediazione nei confronti del volume retrostante. Le abitazioni del corpo basso erano destinate all’affitto ed erano di piccole dimensioni, tre per piano che diventano due nell’ultimo; mentre quelle dell’edificio alto erano destinate essenzialmente all’uso da parte dei proprietari. Si tratta di una tipologia di ville sovrapposte, ciascuna che occupa un intero piano. Le differenze nella composizione e negli interventi sulle facciate portano il complesso a presentare un effetto globalmente dinamico in cui nessuna delle due parti predomina sull’altra. Se nel corpo alto prevale la dinamicità e la leggerezza, data soprattutto dal reticolo metallico, in quello basso prevale invece la compattezza delle superfici murarie, rivestite in pietra bianca di Vicenza e la regolarità e tranquillità delle aperture in cui acquistano straordinario rilievo gli inserimenti dei pannelli di Lucio Fontana. Sui balconi in ferro sono presenti parapetti e fioriere ornati da lastre di ceramica orizzontali con figurazioni astratte, in forme ispirate a motivi organici, nei toni del rosso, verde cupo, giallo e blu. Le forme sono fluide e morbide, incise e a rilievo in gres. Come nota Paolo Campiglio, tali composizioni alludono a forme primordiali, provenienti da altri mondi o suggeriscono code di comete interplanetarie: “astrattismo, surrealismo, spazialismo, nuclearismo, paiono convivere in queste opere, ove la materia è magmatica per definizione, in contrasto alle algide superfici dell’architettura: nel dibattito allora in corso a Milano tra astrattismo e realismo, Fontana è convinto che il linguaggio della modernità sia quello astratto, ribadendo il potere di suggestione della materia, secondo la nozione Informale” (da Paolo Campiglio, (a cura di), Itinerari di Lucio Fontana a Milano e dintorni, Charta, Milano 1999, p.40). Questi inserimenti cromatici rompono con il nitore del fronte e conferiscono all’edificio quella “festosità” di cui Piero Bottoni parla nella sua Antologia: il “senso moderno di abitabilità” (da Piero Bottoni, Antologia di edifici moderni in Milano, Editoriale Domus, Milano 1954, p.164) è intimamente costruito tramite l’unione degli elementi tecnico-costruttivi con gli elementi plastico-coloristici della decorazione.

 

Il corpo arretrato è strutturalmente assai più dinamico in quanto è caratterizzato da una griglia di metallo, un leggero diaframma tra l’esterno e l’interno che a ogni piano si sposta e crea un ordine apparentemente casuale di logge o bow-window, sottolineando così la singolarità individuale di ogni piano e di conseguenza dell’abitazione. L’alternanza dei bow-window e la trasparenza dei parapetti, oltre a uno studio differenziato delle aperture, determina un effetto di movimento del reticolo, che diventerà in seguito una costante della ricerca espressiva dei Latis. L’edificio presenta uno sviluppo verticale molto importante (32 m) che rimane tuttavia come nascosto e ridimensionato all’interno dell’ampio giardino. Questa preminenza delle aperture ha fatto scrivere a Ponti: “una facciata leggera davanti alla facciata: la facciata delle terrazze, della vita all’aperto, della vita sospesa” (da Gio Ponti, Una casa d’abitazione: esterni e interni, in “Domus” n. 273, Settembre 1952, p. 23).

 

Claudio Camponogara
Elisabetta Dulbecco