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Munari oltre il design

Dal 17.02.2017 al 17.03.2017

Il 16 febbraio Paola Antonelli - curatrice al MoMa di New York - ha tenuto al MUBA una lezione sulla figura di Bruno Munari in rapporto alla contemporaneità. Ecco alcune suggestioni

Cosa avrebbe progettato Bruno Munari se fosse vissuto oggi nell’era di internet e dei social network? E’ questo l’interrogativo da cui prende spunto Paola Antonelli – curatrice del MoMa di New York – per la sua brillante conferenza tenuta il 16 febbraio 2017 alla Rotonda della Besana, a chiusura del ciclo di incontri Munari oltre Munari, ospitata nell’ambito della mostra Vietato Non Toccare, Bambini a contatto con Bruno Munari, dal 22 gennaio al 1 maggio 2017 al MUBA, Museo dei bambini di Milano.

Qual è la lezione che ci ha lasciato il grande designer? Munari è riuscito ad arrivare a tutti, dai più grandi ai più piccini, attraverso un linguaggio puro che mirava all’essenza delle cose, è stato idolo e mentore per il percorso di tanti designer, architetti, studiosi. Anche per Paola Antonelli, che nel 1994, a 31 anni, risponde ad un'inserzione di lavoro sul giornale ed arriva al MoMa di New York, dove inizia una carriera di curatrice che la porta nel 2004 ad essere inserita dalla rivista Art Review tra le 100 persone più potenti del mondo dell'arte. Attualmente è curatrice del Dipartimento di Architettura e Design del MoMa di New York e Direttore della Ricerca e Sviluppo. Munari è stato una delle figure chiave per la sua formazione,"era un donatore universale, come il gruppo sanguigno 0 che dona a tutti". Per la conferenza milanese Paola Antonelli ne offre così un ritratto attuale, esplicitando il suo insegnamento in esempi di design contemporaneo. 

L'opera ‘The free universal construction kit’ di Golan Levin è un progetto open source che attraverso una stampante 3d permette di produrre pezzi d’unione tra Lego e Duplo, una metafora della rottura delle barriere che vietano l’ibridazione tra cose diverse. Le opere di Munari - dall’Abitacolo del '71 ai libri illustrati fino alle sculture portatili - sono infatti figlie di un atteggiamento che interpreta il design come un qualcosa di disponibile a tutti e in grado di creare sinergie e connessioni; ricordiamo il libro 'Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale'. Nonostante Munari muova i primi passi proprio nell’arte partendo dal futurismo, passando per l'arte concreta etc... sperimenta nel corso del tempo sia i meandri artistici che quelli del design. Ciò non significa che i due ambiti siano interscambiabili, l'arte è uno strumento di comunicazione e il design è a servizio dell’uomo. Esemplificativi secondo Paola Antonelli sono gli arredi di Donald Judd, impensabili e scomodissimi se messi in produzione come oggetti di design ma provocatori se declinati in campo artistico in quanto pezzi d’arte su cui sedersi.

Quali sono allora i confini del design? La mostra Are clothes modern? allestita nel 1944 al MoMA da Bernard Rudofsky giocava appunto sul rapporto tra design e altro, in quel caso la moda. Che rapporto c'è tra enormi gonne o forme esagerate con il corpo umano? Ecco che l’arte arrivava in soccorso e le sculture di Constantino Nivola realizzate sui disegni di Rudofsky rappresentano le fattezze dei veri corpi che risulterebbero sotto risicati Dior anni '40.

Questa promiscuità di significati è una condizione ben presente nella società contemporanea. La nostra è l’epoca della fluidità tra i sessi, della mescolanza tra le razze e tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. In questo contesto si colloca il lavoro Act of Sitting di Gabriel Ann che attraverso le sue performance ha ricreato nel corso del tempo le diverse modalità di sedere dell’uomo e della donna, strizzando l'occhio alla campagna social #menspread dove tutti sono invitati ad immortalare nei metrò gli uomini che si fanno invadenti nelle sedute dei vicini. 

La contaminazione tra diverse etnie dà così origine ai bambini di oggi i cui profili genetici sono talmente variegati da raccogliere allo stesso tempo il Giappone, l’India, il Canada e la Germania.
La parola d’ordine mixitè era avanguardia nel lessico munariano, ed è oggi leitmotiv di lavori come quello di Martino Gamber, 100 sedie in 100 giorni costruite attraverso materiali di scarto trovati in giro per Londra, o come quello di Naoto Fukasawa, designer di Muji che in una borsa bianca - Sneaker Footprint Bag - fonde la suola di una calzatura al tessuto per poterla appoggiare a terra senza sporcarsi. Questo atteggiamento in America è chiamato Thinkering, spiega Paola Antonelli, una parola che riunisce il pensare con il modellare con le proprie mani, senza buttare via niente. In tal modo l’approccio manuale si fonde con il mondo digitale e origina per esempio le protesi per bambini personalizzabili di Carlos Arturo Torres, oppure il gioco digitale Minecraft.
La scimmietta Zizi di Munari diviene così l’emblema della curiosità che è anche educazione per i più piccoli: un semplice animale che nella sua malleabilità di gomma Pirelli può fare tantissime cose, dal camminare all’arrampicarsi.

E con il biodesign e organic design? Chissà cosa ci avrebbe fatto Munari. Pensiamo alle alle carpe giapponesi ibridate e sterili oppure alla giacca di carne senza cuciture, Victimless Leather di Oron Catts & Ionat Zurr, cresciuta in un ambito tecnoscientifico.
La domanda sorge spontanea, dove sta andando il design? La conferenza si chiude, anzi si apre con due estremi: da un lato il Supplemento al dizionario italiano di Munari, abbinato al dizionario Corraini – il design per eccellenza, quello per comunicare -  e dall’altro il lavoro del britannico Thomas Thwaites che stanco nel produrre oggetti ha prototipato delle protesi per assomigliare ad una capra e avvicinarsi al mondo animale. Un’immagine forte ma che contiene il ruolo del design in quanto esperienza di vita.

La chiusura dell’incontro spetta ad Alberto Munari, presente tra il pubblico - sua è stata la prima conferenza del ciclo - che ringrazia e si commuove per la bellissima lezione, capace di raccontare di Munari aprendo al futuro anziché chiudersi a ciò che è stato. Del padre ricorda la spinta a porsi domande "La necessità è la madre dell’ingegno" ed un altro anedotto di quand’era bambino – non è un caso che Munari sia prezioso per l’apprendimento dei più piccoli e siamo nel Museo dei Bambini – quando giocava il padre suggeriva spesso "Bello, ma si potrebbe fare anche in un altro modo?". E’ proprio questa una delle tante lezioni di Bruno Munari, un modo di pensare quel tanto diverso per arrivare a spiazzare con un punto di vista inaspettato. 
Perché in fondo la rivoluzione si deve fare senza che nessuno se ne accorga. Chapeau.


Manuele Salvetti
 

 

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