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Settimana del 2 Marzo

Dal 09.03.2009 al 11.03.2009

Come ogni settimana ecco la rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali.

Collegare i parchi alla città questo deve essere l'obiettivo
Francesco Borella, architetto, paesaggista e urbanista, artefice del Parco Nord, che pensa del concetto di biodiversità applicato al verde pubblico? «È l'etichetta del momento. Ma la buona pratica di giardini, e noi un tempo eravamo i migliori al mondo a farli, non ha mai avuto bisogno di usarla». E i Raggi Verdi? «Per me sono un primo piano di piste ciclabili per l'area milanese. Che lungo le piste mettano piante va bene, ma la battaglia principale è la continuità. Le piste ciclabili o sono in rete o non sono. Oggi sono brandelli e i Raggi Verdi costituiscono il primo tentativo di introdurre a Milano una rete vera per le piste ciclabili». Andreas Kipar la considera un maestro: va bene l' idea del verde attorno alle piste? «Lui ha questa convinzione, usare i Raggi per dar continuità al sistema del verde, in particolare alla cintura verde dentro il tessuto urbanizzato. Io mi accontenterei di arrivare alla rete di piste ciclabili. Non è un obiettivo da poco, siamo in ritardo di 50 anni sulla media europea. E poi di inserire alberie arbusti ovunque sia possibile, senza scomodare il concetto di biodiversità. Ma se le piste diventano l' occasione per riqualificare il verde a Milano va benissimo. Però non è l' obiettivo principale». Anche il verde deve essere connesso? «Il verde o fa parte di un sistema o resta solo parco urbano. E più questa connessione entra dentro la città, più il verde si autoconserva, è vivo. Da questo punto di vista il tentativo di Kipar di portare dentro Milano i Raggi è positivo». Per la prima volta Milano si è dotata di un piano del verde: come lo giudica? «Nessuno lo ha visto. Quando e se uscirà, valuteremo. Ma penso sia positivo questo primo tentativo di mettere a sistema il verde milanese, di non leggerlo come somma di singole aree, di superare la frammentarietà, il "verde morbillo". Io, comunque, con Kipar condivido il discorso della cintura verde esterna». È così importante? «È l' unica strategia che può cambiare la vita a Milano: una cintura connessa col Parco Sud e la dorsale Nord, con il sistema di verde regionale e sovracomunale e che entra in città con i Raggi Verdi. È estremamente importante: partire dal verde per innescare un processo di riqualificazione urbanistica complessiva». Non si pensa mai di partire dal verde? «Parlo per esperienza. Fare il Parco Nord è stato prendere aree degradate della periferia e trasformarle in un sistema verde che ha innescato un processo di qualificazione di quello che ci stava intorno. Ora anche le case valgono di più ed è migliorato il livello di vivibilità di quella zona. Era un retrobottega, oraè il Parco Nord». Una cosa che si dovrebbe fare subito? «Realizzare le teste di ponte urbane del Parco agricolo sud Milano. Cioè piccoli parchi identificabili, con verde fruibile per i cittadini, punti di raccordo con piste ciclabili che vanno verso la città e entrano nelle zone agricole. Oggi se uno vuole andare al Parco Sud non sa dove andare».
Anna Cirillo
La Repubblica
02-03-09, pagina 3 sezione MILANO
    


Il progetto Percorsi protetti e marciapiedi condivisi con i pedoni. Piace il bike sharing: «Oltre 6.600 iscritti, sono per lo più manager e imprenditori»
Ciclabili, dossier al Comune. «Nuove piste per Milano»

Lo studio di Ciclobby: bastano interventi semplici e poco costosi. Palazzo Marino: pronto un piano Le corsie virtuali nelle strade del centro Il Comune: 120 chilometri di corsie per le due ruote entro il 2011. «Ma prima vanno ricuciti tutti i moncherini esistenti» In centro Ogni giorno prelevate 1.250 bici in condivisione
Una pista rossa in Foro Bonaparte, il logo stilizzato delle due ruote per dire attenzione, questa è una corsia riservata: «Si potrebbe realizzare facilmente sul marciapiedi, basta una linea per dividere ciclisti e pedoni...». È il primo esempio di un dossier intero: da una parte fa un'analisi dell'oggi - la mancanza di piste - dall'altra immagina il domani al computer, prospetta una rivoluzione fatta di «interventi semplici e poco costosi». Tipo: due alberi e il percorso ciclabile in via Cadamosto. Oppure: una striscia arancione che taglia binari del tram e traffico di viale Regina Giovanna. Lo studio è dell'associazione Ciclobby, si chiama «Un sogno per Milano» e vuol essere un segnale di collaborazione con il Comune. «È inutile fermarsi alle critiche, lavoriamo per migliorare la situazione», dice il presidente Eugenio Galli: «Bisogna passare dalla mappa sfilacciata e non connessa delle piste che c'è a una rete estesa e fruibile». Il censimento dei «moncherini» è partito, finirà a ottobre. I ciclo-scettici sostengono che le strade del centro storico siano troppo strette per far convivere macchine, moto, bici e pedoni, «e così vinca il più forte (a motore)». Verdi e ambientalisti se la prendono con il «partito dell' auto». Il sindaco Letizia Moratti ha ribadito ancora di recente il suo «impegno a rafforzare la rete. Ho trovato 67 chilometri, oggi sono più di 75 e saranno 120 entro il 2011». Gli amanti delle due ruote hanno deciso di lasciar perdere polemiche e promesse, e di far parlare solo le proposte. Lo fanno stasera, in un convegno nella sede di Ciclobby («La coperta scucita», via Borsieri 4, ore 21) e dedicato alla memoria di Gigi Riccardi, il presidente Fiab scomparso nel 2008. «Il progetto parte dall'esigenza di conoscere cos'è Milano per chi si muove in bicicletta», attacca Galli: «Vogliamo sapere dove e quante sono le piste, verificare il loro stato di manutenzione, la loro qualità». E questo è il motivo del censimento... «Poi diremo la nostra, al Comune, su come ottenere l'effetto network». Eliminando ostacoli, gradini e intersezioni inutili, smussando le curve a gomito, scegliendo i materiali («Niente porfido!») e indicando i punti che necessitano di asfalto, vernice o cartelli: «Noi ci ostiniamo a volere una Milano più facile da percorre in bicicletta». Sono oltre trentamila, ogni giorno, i milanesi sui pedali. Chiedono più piste, sì, ma anche limiti di velocità più bassi per le auto, parcheggi protetti, stalli e accesso libero con il ferro su treni e tram. A questi 30mila, dal 17 novembre, si sono aggiunti gli iscritti a BikeMi, il servizio di bike sharing: 6.640 abbonati che prelevano una media di 1.250 bici al giorno da 72 stazioni. «È già un vero sistema di trasporto pubblico», osservano da Clear Channel, la società che gestisce gli scambi: «L' utilizzo è molto più intenso nei giorni feriali che nei weekend». Tradotto: la bici a tempo funziona più per i lavoratori che per i pedalatori della domenica. L'identikit? «Quasi sette abbonati su dieci sono uomini». Età media: 40 anni. Professioni: impiegati (28%), imprenditori (27), manager (27), studenti (9). Il residuo 5 per cento di pensionati è un appello: bastano «interventi semplici e poco costosi» per favorire la bici, tipo una pista rossa in Foro Bonaparte, una striscia in viale Regina Giovanna. Magari funzionano.
Armando Stella
Pagina 7
(3 marzo 2009) - Corriere della Sera


Deroghe Solo Milano eviterà i vincoli urbanistici. Bocciato il piano d'area per Malpensa
Edilizia, scorciatoia per le opere dell'Expo Scontro sugli emendamenti in Regione

Le modifiche alla riforma urbanistica da ieri sono legge e i Comuni avranno un anno di tempo per approvare i Pgt (piani di governo del territorio), che sostituiscono i vecchi piani regolatori. Passa l'emendamento Boni (Lega), che nella fase di proroga sospende il ricorso ai Pii (piani integrati di intervento), perché «rischiavano di diventare pericolosi strumenti-scorciatoia per edificare nella fase di transizione dai Prg ai Pgt», spiega l' assessore leghista all'Urbanistica. Che ha però dovuto accettare una non piccola modifica: esenti dal divieto ad utilizzare gli strumenti eccezionali saranno Milano e i Comuni interessati dalle opere per l'Expo. Per tutti gli altri, se entro 6 mesi non avranno avviato le procedure per i Pgt, è previsto l' intervento di un commissario ad acta. Ma durante il lungo consiglio regionale di ieri, la tensione all'interno della maggioranza di centrodestra è tornata a salire. La Lega Nord ha mostrato di nuovo i muscoli fino a dare prova di forza bocciando («Non da sola», come sottolinea il capogruppo Stefano Galli) l'emendamento Cattaneo (FI), che chiedeva una proroga sul piano d'area per Malpensa, in scadenza il prossimo aprile: 50 voti contrari, 20 favorevoli. Con votazione segreta che di segreto ha ben poco: 23 i voti dell'opposizione, 13 quelli della Lega. «Per arrivare a 50, basta fare i conti - dice Galli -. Forse Cattaneo ha problemi anche dentro al suo gruppo». Nessuno, certo, fa riferimenti espliciti al problema ancora irrisolto delle candidature per le provinciali. La Lega ha già detto nei giorni scorsi che non si accontenterà di un piatto di lenticchie (delle 11 Province, se ne è viste offrire 3). E ieri, non è stato sufficiente il lungo tete a tete a Palazzo Pirelli tra il dirigente della Lega, Giancarlo Giorgetti, e il coordinatore regionale degli Azzurri, Guido Podestà, a riportare la serenità nel centrodestra. In attesa dell'incontro, forse risolutivo, tra i leader maximi Bossi e Berlusconi, appena usciti dal Pirellone i due coordinatori dei partiti di maggioranza, ieri pomeriggio è proseguita la politica spicciola dei dispetti. Che sono riusciti a scomporre anche il capogruppo degli Azzurri, Paolo Valentini: «Lega scorretta e irresponsabile. Dice di voler condurre una battaglia per la difesa di Malpensa e si oppone agli interventi di rilancio dell'area che interessa l'hub».
Paola D'Amico
Pagina 10
(4 marzo 2009) - Corriere della Sera


Palazzi, quartieri e grattacieli l'hinterland aspetta le ruspe

UNA nuova città a sud di Milano. Ottomila nuovi abitanti tra Segrate e Milano 2. Colate di cemento a Vittuone. Al partito del mattone la nuova legge urbanistica regionale, prevedono gli ambientalisti, non gli farà un baffo. Un po' perché i buoi sono già scappati, nel senso che i «piani integrati d' intervento» già adottati (70 dall' inizio del 2008 in provincia di Milano)e le varianti allo sportello unico (33) sono davvero tanti e non si possono toccare. Un po' perché la legge, per dirla con Damiano Di Simine, di Legambiente, «è così piena di bizantinismi» che non sarà difficile trovare la scorciatoia. In particolare, nel passaggio in cui si accetta che si possa andare in variante «nei casi di piani integrati che prevedano infrastrutture pubbliche o di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione dell' ambito territoriale». Non dovrebbe subire stop - forse qualche rallentamento - la colossale operazione che il gruppo Cabassi ha in serbo tra Rozzano e Assago, completando - meglio dire raddoppiando- il complesso Milanofiori Nord, già in costruzione. Milanofiori Sud, questo il nome del progetto, occuperebbe una superficie complessiva di 1,1 milioni di metri quadri. Una grande area integrata nel verde del vicino Parco Sud, a sette chilometri da Milano e a due passi dal casello autostradale e dalla tangenziale. Esiste già un masterplan, un progetto generale, elaborato dallo studio 5+1AA, che sarà affiancato «da altri importanti studi di architettura italiani e stranieri». Prevede, tra l' altro, l' edificazione di un grattacielo da record: 212 metri d' altezza, tre meno della torre di Isozaki prevista a Citylife. «Un consumo di suolo eccessivo - commenta Emilio Guastamacchia, docente a contratto del Politecnico ed ex assessore al Comune di Rozzano, incarico dal quale si è dimesso proprio in dissenso sulle scelte urbanistiche - più di quanto si costruirà per l' Expo e tre volte il Cerba». Il progetto di Milanofiori Sud è contemplato nel documento di inquadramento, preliminare al Piano di governo del territorio, approvato dal Comune a fine 2006. Una via più rapida del Pgt sarebbe il Pii, il piano integrato di intervento. Che ora, con la nuova legge, è più difficilmente praticabile. Il progetto potrebbe essere rivisto, eliminando la possibilità di costruire case accanto agli uffici. A meno di trovare, ipotizza Guastmacchia, «le scappatoie previste dalla nuova legge». L' intervento, inoltre, è solo uno dei tanti nel cassetto del Comune di Rozzano. «Oggi il paese - spiega il docente - ha quasi 40mila abitanti. Se si attuassero tutte le previsioni del documento di inquadramento, che prevedono decine di Pii, supererebbe tranquillamente i 50mila. In proporzione, è quello che succederebbe a Milano se si avverasse il sogno dell' assessore Carlo Masseroli dei 700mila nuovi residenti». Il sindaco di Rozzano, Massimo D' Avolio, preferisce tacere. Matteo Cabassi, invece, si sente tranquillo: «La nuova legge approvata dalla Regione non ci crea problemi: stando a quello che ho letto sui giornali, gli emendamenti presentati non riguardano casi come il nostro. Noi possediamo dei terreni edificabili. E gli effetti della norma non dovrebbero riguardare i Comuni della cintura Expo. Ad ogni modo, stiamo aspettando la programmazione definitiva». Per Legambiente è uno dei tanti casi che dimostrano quanto in Lombardia si stia cementificato oltre il limite: «Secondo l' Istat - spiega Di Simine - nel decennio 1997-2006 si sono costruiti, ex-novo, edifici per un totale di 1.500.000 stanze: abbastanza per dare un tetto a 1.800.000 abitanti lombardi in più. Oltre il doppio dell' incremento demografico realmente registrato». La Provincia di Milano, intanto, comincia a discutere oggi il suo Piano territoriale: «Servirà - spiega l' assessore Pietro Mezzi - ad arginare gli effetti dei Pii, quasi 200 dal 2005 a oggi nel Milanese. Una legislazione regionale così permissiva non ci aiuta».A Segrate, però, la nuova legge potrebbe ridimensionare il progetto del "golfo agricolo", previsto su 687mila metri quadrati di proprietà del senatore Pdl Giampiero Cantoni. Sempre che il Comune non trovi una via d' uscita tra le pieghe della legge. PER SAPERNE DI PIÙ http://urp.provincia.milano.it/schede/PTCP http://www.parks.it/parco.sud.milano/
Davide Carlucci
La Repubblica
05-03-09, pagina 5 sezione MILANO


Incontri Il più grande progettista spagnolo: «Non capisco questa voglia di distruggere e rifare interi quartieri. La città nasce edificio dopo edificio»
L'errore dell' Italia: avete costruito troppo
Rafael Moneo, l' architetto del nuovo Prado

MADRID - Rafael Moneo è un uomo tranquillo. Tutti i giorni, alle nove, esce da casa per raggiungere il suo studio in una palazzina degli anni Trenta alle spalle del glorioso stadio Santiago Bernabeu («l'ho comprata nel 1989, ma non ho ancora avuto il tempo per restaurarla») e qui rimane a lavorare fino a sera («una volta al mese vado in America per le mie lezioni alla University School of Design di Harvard, è un po' faticoso, ma mi aiuta a rimanere attento ai cambiamenti»). Vicino a lui, una quarantina di collaboratori (australiani, svizzeri, americani, un italiano): «È il numero massimo per poter controllare tutto personalmente». Sugli scaffali non ci sono foto ricordo con clienti illustri o con star del cinema o dello sport; non ci sono opere d'arte esibite con compiacimento («però a casa ho un piccolo paesaggio di Giorgio Morandi»); non ci sono continui squilli di telefonini né segretarie ansiose di «mantenere le distanze». Il suo tavolo da lavoro è semplicissimo, quasi monacale (ad arricchirlo c'è ora soltanto una piantina del Teatro romano di Mérida fermata con delle puntine da disegno). Eppure Josè Rafael Moneo Vallés (nato a Tudela, nel Sud della Navarra, il 9 maggio 1937) è un grande di Spagna, il più grande architetto spagnolo vivente, premiato con il Pritzker nel 1996 («è stata una vera sorpresa, non ha cambiato la mia vita e nemmeno il mio modo di progettare, ho solo capito di aver lavorato bene»). Insomma una vera archistar nonostante l'understatement. Basta scorrere la lista dei suoi lavori: la stazione di Atocha a Madrid, la Biblioteca universitaria di Bilbao, la cattedrale di Nostra Signora degli angeli a Los Angeles, il recupero dei suk di Beirut («una sfida affascinante e difficile, per ricostruire uno spazio politico e di convivenza dove adesso c'è il vuoto»), il nuovo building della Columbia University a New York, il Lise (Laboratory for interface of science and engineering) ad Harvard («mi piace l'atteggiamento degli studenti americani: per loro lo studio è un'occasione, non un obbligo verso i genitori»). E poi ci sono i musei, una decina in tutto: la Fondazione Thyssen-Bornemisza ancora a Madrid, il Museo d'arte moderna di Stoccolma e quelli di Houston, Valladolid, Providence. Ma soprattutto Moneo (il suo primo maestro è stato Jørn Utzon, quello dell' auditorium di Sidney) è l'architetto che, nel 2007, ha rinnovato il Prado. Con successo («i visitatori sono immediatamente cresciuti»), ma anche con qualche polemica: «Me le aspettavo, il Prado è un simbolo di Madrid e della stessa Spagna, era come toccare il cuore del Paese». Un'idea chiave per fare un buon museo? «Creare uno spazio aperto e mai pensare a valorizzare una sola opera, sia anche la Gioconda». Logica la domanda sulla pensilina di Isozaki per gli Uffizi (tra i suoi preferiti in Italia insieme a Brera e al Nazionale di Palermo): «C'era senz'altro la voglia di fare bene, ma si è fatta troppa retorica, da una parte e dall'altra». Quando si parla di archistar Moneo si infastidisce, per lui è un fenomeno irrimediabilmente destinato ad esaurirsi. E poi aggiunge: «Spesso le amministrazioni pubbliche chiamano i grandi nomi non per la qualità del loro lavoro, ma come specchio per le allodole per nascondere operazioni di semplice speculazione edilizia. Sarebbe molto meglio chiamare gli architetti locali». Eppure una manifestazione come la Biennale di Venezia continua a puntare su queste archistar: «Non ho visto l'ultima edizione, ma ho l'impressione che queste manifestazioni servano solo a mostrare un'avanguardia che non esiste più, quasi che i curatori volessero sembrare più intelligenti degli stessi visitatori». In Italia (dove viene almeno una volta all'anno) Moneo non ha mai lavorato: «Nel 1991 ho vinto il concorso per il nuovo Palazzo del Cinema di Venezia che poi non è stato mai costruito. Stessa sorte per un altro progetto per un'abitazione alla Giudecca. Adesso mi hanno chiesto di progettare il nuovo edificio per la Fondazione Cassamarca di Treviso... Staremo a vedere». A proposito dello stato dell'architettura in Italia l'opinione di Moneo è precisa: «Passata la grande generazione del dopoguerra, gli Albini, i Gardella, i Quaroni, i Ridolfi, i BBPR, l'architettura italiana si è messa al servizio del potere, è diventata troppo politica, ha perso il gusto del progetto. Ma ho molta fiducia nelle prossime generazioni». E i grandi progetti come l'area ex-Fiera di Milano? «Non capisco questa idea di distruggere e ricostruire interi quartieri delle città, le metropoli non possono crescere bene in modo così drastico, ma edificio dopo edificio». E la crisi: «Servirà. Si era costruito fin troppo, al di là del bisogno della gente, ancora una volta solo per speculazione». Una crisi che ora sembra toccare anche la Spagna, spesso guardata con invidia dai professionisti italiani: «Probabilmente hanno ragione, la voglia di libertà del dopo-Franco ha molto aiutato l' architettura». Visitare il Prado con Moneo è un' emozione (meglio ancora se con lui c' è un altro maestro come il catalano Oriol Bohigas). Innanzitutto perché fa capire quanto sia famoso tra gli spagnoli: i visitatori lo indicano in continuazione, ti aspetti solo che chiedano un autografo a quel signore così «normale» dai capelli grigi e dagli occhi azzurri spesso nascosti dietro occhiali leggerissimi (una situazione che si ripeterà al ristorante). Ma anche per capire lo spirito del progetto di Moneo: spazi aperti, senza percorsi obbligati e senza bookshop o cafeterie troppo ingombranti. Il rosso pompeiano della prima sala, poi, è un dichiarato omaggio all' Italia come le statue delle Muse che facevano parte della collezione di Cristina di Svezia (che a Roma è a lungo vissuta come lo stesso Moneo, vincitore in gioventù di una borsa di studio per l' Accademia di Spagna). E le passioni dell' architetto: da buon spagnolo ama soprattutto Velázquez, a cominciare da Las Meninas («guarda tutti i suoi personaggi con grande affetto, non li deride mai») e poi Goya della Famiglia di Carlo IV (che invece «mette a nudo i nostri demoni») e Zurbarán (davanti all' Agnus Dei e al ritratto di Santa Isabella da Portogallo dice: «lascia che sia lo spettatore a creare il mondo attorno alle sue figure»). Tra le sue passioni c' è naturalmente Pedro Almodóvar («ci ha fatto vedere di quali orrori sia capace la gente comune») ma anche tanti italiani: l' Antonioni de “L' Avventura” («nessun regista mi ha dato quell' emozione»), Calvino, Pavese, il Vittorini delle “Conversazioni in Sicilia”, l'Eco di “Il nome della rosa”. Quando si torna a parlare di architettura (quella che Moneo preferisce è quella «sensuale», non quella «piena di spigoli» di Karl Friedrich Schinkel) tra i suoi maestri troviamo ancora tanta Italia: Bernini, Borromini, Scamozzi, Carlo Scarpa (anche se «la sua è un' architettura autoritaria»). E soprattutto Aldo Rossi: «Un grande poeta, peccato che Milano non gli abbia fatto costruire qualcosa all' altezza del suo valore». E oggi? «Mi piacciono Alvaro Siza, anche se non è più giovane, Steven Holl, Kazujo Sejima». Ai suoi colleghi più ammirati ha dedicato addirittura un saggio (Inquietudine teorica e strategia progettuale nell' opera di otto architetti contemporanei) pubblicato in Italia da Electa. Renzo Piano? «Preferisco quello della Morgan Library e della Fondazione Beyeler». E che ne pensa dei grattacieli e di quelle architetture forti come il Guggenheim di Bilbao? «Non ho mai costruito un grattacielo e penso che queste architetture che si impongono sulla città non sempre abbiano un senso. Credo sia meglio lavorare sul tessuto urbano in modo molto più leggero». Certo apprezza «edifici-simbolo» come la Torre Velasca di Milano, il Chrysler Building di New York e lo stesso Guggenheim («non a caso dalla mia nuova biblioteca di Bilbao è la prima cosa che si vede»). Ma se dovesse pensare ad un sogno da progettare penserebbe al Colonnato del Bernini (e non alla Cupola di Michelangelo): «Perché è un luogo unico, dove l'architettura riesce davvero a diventare tutt'uno con l'uomo».
Bucci Stefano
Pagina 39
(6 marzo 2009) - Corriere della Sera


Il vertice a Palazzo Marino, nasce il «master plan»
La Moratti richiama la giunta: basta polemiche, lavoriamo uniti

Il sindaco Letizia Moratti chiede di «evitare polemiche politiche e essere coesi» e di ritrovare «lo spirito del fare per il bene comune». Il direttore generale Giuseppe Sala annuncia che si cambia metodo: un master plan definirà pochi e chiari obiettivi programmatici e su questi non ci saranno sconti per nessuno. L' obiettivo di sindaco e dg è condiviso: rendere più incisiva ed efficace l' attività amministrativa nella seconda e ultima parte di mandato. Lavorare meglio e di più, insomma. Queste le conclusioni del seminario che si è svolto ieri a Palazzo Marino: una giornata di confronto fra sindaco, assessori e dirigenti. La Moratti ha molto richiamato alle responsabilità dell' amministrazione. Dare risposte ai cittadini, ascoltare le istanze anche quando possono sembrare contrapposte fra loro, comunicare in modo costruttivo quanto viene realizzato. Con una chiave politica in più: «Capisco le posizioni di tutti i partiti di questa maggioranza - è il senso del messaggio della Moratti - ma le necessità dei cittadini vengono prima». Un discorso fatto non a caso nel momento in cui si apre un lungo periodo di campagna elettorale, durante il quale gli interessi di ciascuno potrebbero far perdere di vista quello dell' amministrazione nel suo insieme. Sala ha invece cercato di rimettere un po' di ordine nella gestione dei progetti. Nel giro di due mesi verrà definito il master plan, cioè il documento che certifica scrupolosamente le priorità: «A quel punto, però, bisogna lavorare e rispettare tempi e impegni presi», ha ribadito il dg, alla ricerca di un metodo rigoroso per togliere le nebbie che spesso hanno avvolto il palazzo e i progetti del programma elettorale di Letizia Moratti. Anche a questo scopo, il sindaco annuncia «incontri periodici su specifiche tematiche e verifiche che ogni tre mesi permetteranno di fare il punto sulle attività "in progress». Soddisfatti anche gli assessori che hanno fatto il punto sulle attività svolte fin qui e sulle prospettive. Con Bruno Simini, responsabile dei Lavori pubblici, a ricordare che «va bene volare alto, ma i cittadini da noi si aspettano che ripariamo buche e sistemiamo giardini». Filosofia a lungo sostenuto dal vicesindaco Riccardo De Corato, che ieri ha invece insistito sulla necessità di «lavorare per aumentare la percezione di sicurezza dei milanesi». Altro tema, quello dello sviluppo del territorio, anche in vista dell' Expo 2015. L' assessore all' Urbanistica, Carlo Masseroli, sottolinea che il piano di governo del territorio «per la prima volta nella storia non dirà che si consuma più suolo ma inventerà un parco agricolo». Ora tocca a Sala: bisogna mettere ordine per andare oltre il libro dei sogni.
Elisabetta Soglio
Pagina 3
(6 marzo 2009) - Corriere della Sera

 

Il vertice Incontro tra sindaco e Pdl. «Progettiamo la Milano del 2030»
Comune, via al nuovo piano regolatore

Inizia il percorso del piano di governo del territorio, il maxi-documento che andrà a pensionare il vecchio piano regolatore. Domani ne discuteranno il sindaco Letizia Moratti, l' assessore all' urbanistica Carlo Masseroli e i vertici locali dei partiti del centrodestra. Regole e criteri che formeranno la cornice dentro la quale dovrà muoversi la trasformazione urbanistica della città dei prossimi vent'anni. «La Milano del 2030» è non a caso uno dei titoli con cui il documento sarà portato al conclave di domani. «Introdurremo il sistema della perequazione come strumento che regola l'uso di suolo pubblico», aveva detto Masseroli nei mesi scorsi. Gestazione lunghissima quella del Pgt milanese. Nel frattempo è arrivato il soccorso della Regione che ha prorogato al 2010 l'obbligo per i Comuni di dotarsi del nuovo strumento. «La dilazione non è una buona notizia», dice Enrico Fedrighini, consigliere verde pronto però a un' apertura di credito nei confronti del nuovo verbo dell'assessore. «La densificazione di cui parla Masseroli è impossibile senza uno strumento forte di governo. E Milano soprattutto in vista di Expo ha bisogno di regole e di sviluppo sostenibile». «Da parte nostra vogliamo che siano indicate con chiarezza le aree che rimarranno destinate a verde», dice dal fronte opposto il presidente forzista della Commissione Urbanistica, Milko Pennisi.
Senesi Andrea
Pagina 7
(8 marzo 2009) - Corriere della Sera


Strutture a pezzi, fondi scarsi La giunta non ama lo sport
MILANO è nemica dello sport. Lo sostengono le 450 associazioni della Uisp, riunite ieri nell' assemblea annuale. La foto che ne esce è disarmante: strutture fatiscenti, prezzi troppo alti, la mancanza ormai più che ventennale di un vero palazzetto. L' obiettivo polemico è il Comune, «che nell' anno in cui Milano è capitale europea dello sport - attacca Antonio Iannetta, presidente dell' Unione italiana sport per tutti - continua a investire nel settore un misero due per cento del proprio bilancio». Un grido d' allarme che è anche un giudizio pesante sui due anni e mezzo di lavoro di Giovanni Terzi, fino all' altroieri assessore allo Sport della giunta Moratti. Ma Terzi, sostituito dal consigliere comunale Alan Rizzi e ora a capo del Commercio, non accetta il processo. «È un attacco politico - dice - abbiamo investito il doppio di quanto speso dal Comune dal 1989 al 2006. In 32 mesi abbiamo stanziato 30 milioni»: il piano per restaurare le piscine di Milanosport, i 6,6 milioni per ridare vita all' Arena civica e gli 11 (in project financing) che dovrebbero trasformare in palazzetto l' ex velodromo Vigorelli. Proprio il destino del Vigorelli è al primo posto tra le grane che si troverà ad affrontare il nuovo assessore. Poi ci sono il centro sportivo Saini, dove su nove stanze degli spogliatoi del tennis una sola è agibile, e il Kennedy, al centro di una contesa fra vecchi e nuovi gestori che ne ha paralizzato l' attività. Ancora, il centro di via Cardellino, dove a parte i campi da calcio tutto è vecchio e malmesso e il Palasharp, dove i soldi ci sono (almeno in parte) ma si attende il bando per iniziare i lavori che lo trasformino da cattedrale nel deserto a struttura sportiva. Per ultimo il Forum, che ancora nonè collegato con la metropolitana. Gli impianti che necessitano di restauro a Milano sono 24 e a bilancio ci sono 10 milioni l' anno fino al 2011. «Non bastano», taglia corto Manfredi Palmeri, presidente del consiglio comunale. Uno spiraglio viene dalla possibilità di investire parte dei soldi che Palazzo Marino incassa dalla vendita di immobili. «La corte dei Conti ha chiarito che i Comuni possono usarei proventi delle dismissioni per le opere pubbliche e quindi anche strutture sportive», dice Palmeri. Per Rizzi, che guiderà il settore nel periodo di avvicinamento a Expo, è una boccata di ossigeno. Sull' operato di Terzi interviene anche Filippo Grassia, presidente provinciale di Coni. Se da un lato ammette che «portare eventi sportivi internazionali a Milano è ancora difficile per mancanza di spazi», dall' altro riconosce all' ex assessore «l' avvio di una nuova era». Fra gli interventi per cui Grassia ringrazia c' è il rinnovo delle concessioni alle società sportive, la fideiussione comunale di 30 milioni per consentire agli operatori l' accesso al credito e l' impegno a inserire un centro sportivo in ogni piano di trasformazione urbanistica. Le cifre: 350mila GLI SPORTIVI il totale di chi, a Milano e provincia pratica sport a livello amatoriale. 60mila I TESSERATI Sono gli iscritti alle 450 società della Uisp in provincia di Milano. 10 milioni. IN BILANCIO Gli euro stanziati ogni anno da qui al 2011 per ristrutturare gli impianti. 24 DA RISTRUTTURARE Gli impianti sportivi comunali che hanno bisogno di interventi
Franco Vanni
La Repubblica
08-03-09, pagina 2 sezione MILANO




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