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Settimana dal 6 all'11 gennaio 09

Dal 12.01.2009 al 15.01.2010

Rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia. Primo piano: L'Expo 2015.

La Repubblica
06-01-09, pagina 1 sezione MILANO    
Perché non serve il doppio stadio
JACOPO GARDELLA


Serve a Milano un nuovo stadio, uguale e vicino a quello di San Siro? I motivi per cui, di fianco allo stadio esistente se ne vuole costruire un secondo altrettanto grande, appaiono sconcertanti. SEGUE A PAGINA VI Sembra infatti che Milan e Inter, oltre a problemi di equilibrio dei rispettivi bilanci, abbiano difficoltà ad accordarsi sulla suddivisione degli incassi provenienti dalla pubblicità. Per risolvere le loro bizze non hanno trovato di meglio che immaginare la costruzione di un secondo stadio: in un momento di crisi diffusa, un lusso così inutile appare scandaloso. Vi sono altri modi di aiutare il calcio, meno spettacolari e più produttivi. Si potrebbe infatti installare, nelle periferie, un sistema di campi di calcio per ragazzi, dove i giovani appassionati, sotto la guida di allenatori, avrebbero modo di esercitarsi nella tecnica del gioco. L' investimento finanziario sarebbe sicuramente meno ingente e verrebbe ampiamente remunerato dalle tariffe di iscrizione, così come avviene per qualsiasi palestra gestita da privati. Il Comune dovrebbe soltanto assicurare ai giovani più dotati e provenienti da famiglie meno abbienti una borsa di frequentazione gratuita, valevole sia per l' uso del campo, sia per l' addestramento. Se Galliani e Moratti, brillanti ma poco lungimiranti amministratori delle due società, si impegnassero a sostenere i giovani amanti del calcio, e non perseguissero profitti esclusivamente commerciali, diventerebbero oggetto di stima cittadina ben più meritata e riconoscente. Sotto l' aspetto urbanistico il secondo stadio assesta un colpo mortale al verde protetto del vicino Parco Sud; non soltanto per l' ingombro della sua costruzione, quanto per il numero di attrezzature collaterali che esso richiede (parcheggi privati, trasporti pubblici, servizi per spettatori). Inevitabilmente l' unica fascia di campagna sopravvissuta intorno a Milano verrà deturpata dal cemento e dall' asfalto, e verrà mutilato, se non quasi interamente dismesso, lo straordinario complesso ippico di San Siro. La vicenda del secondo stadio presenta una preoccupante analogia con la recente vicenda dei treni ad alta velocità. Mentre si è appena inaugurato, sulla linea Milano-Roma, un lussuoso super-rapido, nello stesso tempo sulle linee tra Milano e il territorio circostante si continua a rimandare il rinnovo dei vecchi treni-pendolari, indispensabili per garantire lo spostamento giornaliero di migliaia di cittadini. Milano manca di una seria rete metropolitana, di efficienti trasporti in superficie, di piste ciclabili; manca di case di basso costo e di alloggi per studenti e per giovani lavoratori; manca di tanti servizi urbani, imprescindibili se si vuole rendere vivibile una grande città. L' unica mancanza che nessuno avverte è quella di un secondo stadio.


 (6 gennaio 2009) - Corriere della Sera – pag 41
Elzeviro Il futuro urbanistico oltre il 2015
UNA CITTÀ IDEALE PER L' EXPO DI MILANO
Un progetto pronto per accogliere anche i cittadini


Un mio carissimo amico diceva che le cose più difficili della vita sono tre: riuscire a salire su un treno in corsa, fare l' amore in piedi e fare il gran signore senza soldi... Mi sembra che almeno due di queste cose «difficili» stiano succedendo all' Expo di Milano del 2015. Dato che il mio amico è riuscito per tutta la vita a superare tutte queste difficoltà, ritengo che anche l' Expo possa superare quelle che la stanno affliggendo. Il treno è effettivamente in corsa e va velocissimo; i soldi, da quanto riportato dai media, non ci sono o, almeno, sono pochissimi. A mio parere, però, anche con pochissimi soldi quella di Milano 2015 potrebbe ugualmente diventare una delle più importanti Expo della storia. L' importante per una vita in comune, e quindi per l' Expo (anche se nessuno sembra aver voglia di dirlo), è poter vivere oggi in maniera adeguata alle nostre conoscenze attuali, risolvendo in primo luogo il problema urbanistico. Anche perché l' urbanistica racchiude in sé i problemi della vita: dal lavoro alla logistica, dalla fame alla cultura e all' ambiente, dall' inquinamento alla capacità di resistere ai sismi, dalla captazione alla produzione di energie alternative. Letizia Moratti Brichetto non può venir meno al vanto e al ruolo della sua famiglia che fin da quando ero bambino era additata come il centro della cultura milanese. Sono quindi certo che come sindaco di Milano saprà, da una situazione difficile, trarre una conclusione straordinariamente importante per il bene di tutti. Mettendo il dito sulla vera piaga che ha già individuato nell' urbanistica attuale. Un' Expo che si rispetti non deve essere semplicemente un' esposizione di prodotti artigianali e nemmeno una «conveniente» occasione per sistemare opere di ordinaria amministrazione: un' esposizione che si rispetti deve essere una voce nel mondo (come lo sono state in precedenza Londra col Palazzo di Vetro, Parigi con la Tour Eiffel, la stessa Milano con la Galleria del Sempione). Sono certo che Letizia Moratti riuscirà da sola a dare all' Expo questo importante valore. Ma se, alle volte, le potessero servire 50 anni di indagini, di studi, di soluzioni vagliate nel progetto finalmente concretizzatosi della mia «Città ideale» (che dopo essere stato esposto a Milano, Pechino e Tokio sta ora continuando il suo giro del mondo), sarei ben felice di darle una mano mettendo a disposizione di lei e della neonata Società di gestione dell' Expo il mio progetto completo di relazioni, disegni, calcoli, plastici. Questo mio progetto potrebbe forse servire come ispirazione alla prossima Expo: per ideare una città avveniristica destinata però a restare un prezioso lascito «emblematico» di una visione urbanistica in grado non soltanto di proporre un modo di costruire, ma di abitare. Come appunto vuole l' architettura intesa come «arte dell' abitare». Sono certo che Letizia Moratti ci riuscirà. Però non posso tacere il mio entusiasmo di questi giorni, sapendo che nessun progetto concreto attualmente sussiste per il territorio Expo e che quel territorio è lo stesso dove ho collocato la mia «Città ideale» intesa come esempio di urbanistica, economica e avveniristica. Una «Città» che consente che l' automobile possa essere parcheggiata sotto casa ed essere usata solo per divertimento in quanto tutti i servizi per le esigenze giornaliere, dal lavoro professionale alla ricreazione, si trovano tutti a pochi passi dall' abitazione. Una «Città» da utilizzare per esigenze future, non da demolire a Expo ultimata. Invece di costruire sul territorio capannoni espositivi da demolire a fine esposizione, l' Expo potrebbe essere la sola struttura della futura città: durante l' Expo potrebbe diventare lo spazio espositivo che si snoda attraverso rampe tanto dolci da poter arrivare a qualsiasi altezza con l' impressione di essere sempre al piano terreno mentre, alla fine della stessa Expo, diventerebbe una vera e propria Città di 25mila abitanti. C' è un proverbio che dice che la fortuna sorride agli uomini di buona volontà. In questo caso la fortuna aiuta moltissimo in quanto il territorio dell' Expo è già servito talmente bene dalle autostrade, dai treni e dalle linee aeree. E che, quindi, non è assolutamente necessario spendere per una logistica a uso dei turisti. Per la logistica interna c' è sempre tempo per realizzarla. Non prima, però, di aver realizzato, per Milano, una «nuova» urbanistica.

Mozzoni Guglielmo

(8 gennaio 2009) - Corriere della Sera pag 41
Il progetto ecologico a sfera di Mozzoni
PER L' EXPO CI VUOLE UNA CITTÀ IDEALE
Una visione utopica che indica una soluzione possibile


C' è voluto lo slancio innocente di un giovane architetto quasi centenario, Guglielmo Mozzoni, per permetterci di sognare una prima immagine della prossima Expo 2015. L' idea di offrire a Milano il progetto della sua «città ideale» concepito e messo a punto nei decenni scorsi, e presentato sul Corriere della Sera dell' altro ieri, risuona per l' osservatore, da un lato, disarmante di fronte alla complessità ed alle incognite di un tale enigmatico evento (di cui Milano è chiamata a rispondere di fronte al mondo) e, dall' altro, si configura preciso e puntuale, semplice ed appropriato. Affronta in un solo intervento progettuale i problemi distributivi e funzionali del tema, con una astuta soluzione per gli spazi espositivi, le loro interrelazioni ed i presumibili flussi dei visitatori. Questa ipotesi di Mozzoni rovescia gli approcci registrati nelle ultime «esposizioni universali» dove si è assistito all' espandersi progressivo delle aree coinvolte e delle relative infrastrutture di servizio. Basterebbe questa considerazione per guardare con grande attenzione alla proposta apparentemente azzardata di interpretare ora, all' inizio di un nuovo millennio, la «città ideale» come manufatto in grado di affrontare le insidie dell' Expo milanese. Proporre un unico grande contenitore (il progetto di Mozzoni prefigura una suggestiva costruzione sferica di 250 metri di diametro, come nella foto qui a fianco e, sotto, nel confronto con alcuni grattacieli) può risultare vincente, al di là delle apparenze del primo impatto, proprio sul piano della sostenibilità ambientale e, nel contempo, offrire un' immagine unica ed affascinante che veicola nel mondo un' utopia: un modello alternativo rispetto agli attuali processi di urbanizzazione. La concentrazione di tutte le attività espositive in un' unica infrastruttura lascerebbe totalmente libere le vaste aree dell' intorno che potrebbero quindi modellarsi con un nuovo ridisegno per riannodare, correggere ed arricchire i quartieri limitrofi interni all' agglomerazione urbana. La «città ideale» verrebbe messa a disposizione nella sua struttura grezza (i singoli Paesi invitati provvederebbero alle finiture espositive del caso) ed essere completamente ri-usata, a evento ultimato, per quelle innumerevoli funzioni (abitazioni per giovani e studenti) che l' idea originaria preconizza. Si eviterebbe il ripetersi delle «disgrazie» urbanistiche che tutte queste manifestazioni hanno trascinato con sé nella ricerca di un successivo riuso delle aree coinvolte. Si configura quindi per Milano un' «utopia concreta» da proporre al mondo, irripetibile al di fuori dell' evento straordinario dell' Expo; un unicum che si allontana con forza dai modelli offerti dall' attuale globalizzazione. Per le generazioni future Expo 2015 potrebbe divenire così il segno di una nuova speranza urbanistica.

Botta Mario

La Repubblica
10-01-09, pagina 12 sezione MILANO
La lezione di Londra
di BARBARA CASAVECCHIA


Facciamo un gioco: fingiamo che Milano prenda esempio da Londra e decida di costruire nel giro di pochi anni, in periferia e a costi ragionevoli, buone architetture di destinazione pubblica come una scuola superiore, un teatro, un centro d' arte contemporanea e un centro sociale abbinato alla sede di Amnesty International; e che non chiami a firmarle archistar d' importazione, ma studi emergenti cittadini. Che si tratti di una strategia capillare e praticabile, prova a dimostrarlo London Calling: Urban Renovation, una mostra curata da Simona Galateo e Luca Molinari allo Spazio FMG per l' Architettura, che illustra i progetti di quattro studi londinesi: Allford Hall Monaghan Morris (Westminster Academy, 2007, in un' area degradata di Westminster); Haworth Tompkins (Young Vic Theatre, 2006, a Waterloo); Ash & Sakula (The Hothouse, 2007, a Hackney) e Witherford Watson Mann (Sede Amnesty UK, 2005, a Shoreditch). Accomunati da una spettacolarità contenuta, ma da un alto tasso di concretezza. Unico limite: i video, dossier e cataloghi in esposizione (insieme alle maquettes) sono tutti in inglese; i non poliglotti possono affidarsi al mini catalogo gratuito, che riassume solo le informazioni basilari. Spazio FMG via Borgognone 27, mar-sab ore 15-20, fino al 18 gennaio, tel. 02.89410320
 


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