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Settimana dal 29 dicembre 08 al 6 gennaio 09

Dal 07.01.2009 al 09.01.2009

In primissimo piano il ricorso al Tar presentato dalla nostra Presidente sul museo progettato da Daniel Libeskind e la riflessione sul progetto di densificazione di Milano

Gli architetti attaccano il Comune "Che errore il piano cemento"
"Le infrastrutture sono insufficienti, bisogna pensare a reti allargate"

È una riflessione critica quella che l'Ordine degli architetti di Milano fa sulla politica di urbanistica della giunta Moratti. Una delibera appena approvata in consiglio comunale dopo accese polemiche, che fa salire l'indice di edificabilità con lo scopo di riportare la città a due milioni di abitanti. Che non saremmo in grado di sopportare, avvertono però dall'Ordine. «Un vistoso programma d'intervento, 70 milioni di metri cubi: poco meno del volume destinato alla residenza a Bologna e a Firenze - dice la presidente Daniela Volpi - che l'amministrazione ha cercato di nobilitare con due tesi: il concetto di densificazione e l'housing sociale». Ma che trascurerebbe i problemi della città che deve guardare all'Expo e che si riassumono nella «inadeguatezza infrastrutturale». A dimostrarlo c'è l'esperienza quotidiana: «Il traffico selvaggio, l'inefficienza dei mezzi pubblici, l'inquinamento, le strade e i marciapiedi a pezzi, come le pozzanghere nei giorni di pioggia e neve dimostrano».
Si punta al 2015. Ma la preoccupazione è per la «Milano di oggi, a cui viene attribuita una posizione marginale nella cerchia delle grandi città: quando si tira in ballo l'Expo sarebbe opportuno ragionare (soprattutto dopo il flop di Saragozza) con meno trionfalismi e maggiore lucidità». Sull'ipotesi di aggiungere altri 700mila abitanti: «Né il capoluogo né la sua provincia hanno la spinta per reggere naturalmente il ripopolamento ipotizzato dall'amministrazione, cui dovrebbero dare invece apporto i rientri, una popolazione giovane e presumibilmente straniera». E allora eccoli, i dubbi: «Basterà la casa a basso costo per trasformare i nuovi arrivati in cittadinanza? Non si pone un problema di attrezzature (il verde, ma anche la scuola) sacrificate con disinvoltura al dio cemento e di infrastrutture esteso alla Milano lontana dai quartieri alti?».
Gli architetti hanno una ricetta: Milano dovrebbe pensare alle reti invece di aggiungere nuovi «insediamenti». Non dovrebbe ragionare sempre in una «visione immobiliaristica e milanocentrica» come il piano parcheggi ha dimostrato. Avere un'ottica metropolitana. Tenendo conto anche «della città altra che il piano di governo del territorio sembra trascurare. E senza dividere artificiosamente e irresponsabilmente il destino degli insediamenti privilegiati da quello che attende l'altra città a Milano e nel suo hinterland».
Alessia Gallione
La Repubblica
23-12-2008


Museo Libeskind va al Tar
Il comune deve indire una gara per riprogettarlo

Il museo d'arte contemporanea non sarà un secondo caso Arcimboldi, tanto che ieri l'Ordine degli architetti ha fatto sapere di aver presentato ricorso al Tar contro il comune perché non ha provveduto, come invece prevedono le norme nazionali e comunitarie, a indire una nuova gara per la progettazione del museo d'are contemporanea. Quello che Daniel Libeskind ha riprogettato, su incarico della giunta Moratti, sulle ceneri del museo del design che avrebbe dovuto vedere la luce all'interno del progetto immobiliare CityLife. L'Ordine degli architetti di Milano contesta la decisione del comune di procedere senza gara, come invece prevede la normativa europea, pur avendo spostato la localizzazione dell'edificio fuori da CityLife, e avendo chiesto la modifica del progetto per trasformarlo da museo del design a museo d'arte contemporanea con terme e spa in sotterranea. E per questo ha presentato ricorso al Tar contro la delibera di approvazione della variante del Programma integrato di intervento (Pii) relativo al quartiere storico della Fiera di Milano. Il ricorso riguarda la parte della convenzione che accompagna il Pii dove si prevede l'affidamento della progettazione dell'edificio destinato a ospitare il museo d'arte contemporanea, già museo del design, senza procedura di gara. In questo modo, spiega la presidente dell'Ordine, Daniela Volpi, l'Ordine esegue il proprio compito istituzionale di vigilare sulla correttezza e sul rispetto delle norme che regolano il mercato della professione, e alle quali sono sottoposti sia gli operatori privati e i progettisti sia le amministrazioni pubbliche. «Tali norme», prosegue il documento, «impongono nel caso in questione l'affidamento dell'incarico di progettazione tramite una procedura di evidenza pubblica, ossia un concorso di progettazione oppure una gara per titoli e offerta economica. Né può essere richiamata in sostituzione di una simile procedura l'asta indetta dalla Fondazione Fiera per l'alienazione dell'area: gara alla quale furono presentati diversi progetti planivolumetrici d'insieme, fra i quali solamente quello presentato dal consorzio CityLife conteneva la proposta di un edificio da destinare a museo del design».
Sulla questione l'Ordine milanese aveva presentato al comune un'osservazione contro la variante al Pii adottata, segnalando l'illegittimità della procedura ma la decisione di Palazzo Marino di rigettare l'osservazione non lascia altra strada che il ricorso ai giudici amministrativi. Per l'Ordine si tratta di un atto dovuto per «un'opera pubblica finanziata con risorse che sarebbero altrimenti entrate nelle casse del comune e quindi con denaro pubblico, 40 milioni. L'obiettivo», conclude il documento, «non è impedire la costruzione del museo ma difendere l'applicazione di leggi comunitarie».
Angelica Ratti
Italia Oggi
24-12-2008


Museo del design, ricorso degli architetti: «Gara irregolare»
Appalto per i progetti, l’Ordine si rivolge al Tar: «Incarichi da assegnare con procedura pubblica»

Secondo Daniel Libeskind strizza insieme l’occhio alla milanesità perché coperto come il Duomo dal marmo di Candoglia e perché ispirato ai nuovi «stili di vita» made in Milano, con tanto di Spa termale, caffetteria, giardino pensile e bookshop.
Lettura che il griffatissimo architetto fa di qualcosa come 18mila metri quadrati spalmati su cinque piani, con una forma che si sviluppa con torsioni: il quadrato alla base diventa un cerchio alla sommità e salendo forma facciate a gradinate inclinate.
Particolari di un concept, la quadratura del cerchio, liberamente ispirato ai disegni di Leonardo e, quindi, ancora testimonianza di milanesità.
Tuttavia il neonato progetto del Museo d’arte contemporanea a Citylife non avrà vita facile. Infatti, l’ordine degli architetti ha presentato al Tar un ricorso contro «la delibera di approvazione della variante del programma integrato d’intervento relativo alla Fiera di Milano». Ricorso che, in dettaglio, riguarda la parte della convenzione dove si prevede «l’affidamento della progettazione dell’edificio destinato ad ospitare il Museo senza procedura di gara». In soldoni, l’Ordine degli Architetti richiama «al rispetto delle norme che regolano il mercato della professione e alle quali sono sottoposti sia gli operatori privati che i progettisti e le pubbliche amministrazioni». Norme che, carta alla mano, impongono «l’affidamento dell’incarico di progettazione tramite una “procedura di evidenza pubblica“» ovvero tramite un «concorso di progettazione oppure una gara per titoli ed offerta economica».
Un atto - chiosa Daniela Volpi, presidente dell’Ordine degli Architetti - al quale «sarebbe stato impossibile sottrarsi trattandosi di opera pubblica finanziata con risorse (quaranta milioni di euro, ndr) che, altrimenti, sarebbero entrate nelle casse del Comune di Milano». Naturalmente, l’obiettivo del ricorso al Tar «non è impedire la costruzione del Museo cioè danneggiare la città e privare i milanesi di una grande opera» bensì «difendere l’applicazione di leggi comunitarie» e di fatto «permettere a tutti di accedere, con pari opportunità, alla progettazione di opere di grande interesse collettivo». Il consiglio comunale di Milano ha però già respinto in passato un’osservazione sull’illegittimità della procedura che gli architetti avevano presentato.
Che, adesso, (ri)attaccano il Comune. E con i tempi del Tar è a rischio la possibilità di vedere il Museo finito entro il 2011.
Gianandrea Zagato
Il Giornale
24-12-2008 pag. 2


La polemica Impugnata al Tar la delibera sul via libera al Museo d'arte contemporanea
Gli architetti: ricorso contro CityLife

Ad opporsi a CityLife non sono più i comitati cittadini ma l'Ordine degli architetti. Ieri la minaccia di impugnare al Tar la delibera che ha dato il via all'intervento urbanistico è diventata realtà. Come era accaduto per il teatro Arcimboldi — progettato da Gregotti e realizzato a scomputo d'oneri di urbanizzazione ma senza una gara, per l'intervento nuova Bicocca —, così accade oggi per il Museo d'arte contemporanea, già Museo del Design: progetto Libeskind, scomputo oneri, niente gara.
L'Ordine, attraverso il suo presidente, Daniela Volpi, precisa che «nel compiere questo passo, non è mosso da valutazioni di merito riguardanti il progetto del museo o la scelta del progettista, nè è spinto da valutazioni sulla qualità del progetto ». Invece, è un atto dovuto. Perché è compito dell'Ordine «vigilare sulla correttezza e sul rispetto delle norme che regolano il mercato della professione che impongono l'affidamento dell'incarico di progettazione tramite "procedura di evidenza pubblica" ossia un concorso oppure una gara per titoli e offerta economica». Atto dovuto, aggiunge l'architetto Volpi, anche perché «si tratta di un'opera pubblica, finanziata con risorse che altrimenti sarebbero entrate nelle casse del Comune e quindi con denaro pubblico (40 milioni di euro), e in considerazione della sua unicità e della pubblicità che le è stata data sui mezzi di informazione ».
Non si vuole impedire la costruzione del Museo, danneggiando la città e privando i cittadini di una grande opera pubblica, precisa l'Ordine. «Ma siamo chiamati a difendere l'applicazione delle leggi comunitarie e ribadire il valore culturale di un concorso di progettazione che permette a tutti i professionisti di accedere, con pari opportunità, alla progettazione di opere di grande interesse collettivo».
Grande l'irritazione dell'assessore allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli: «Sono deluso. Molto deluso. Milano deve dimostrare di essere matura nel grande sviluppo che l'aspetta — dice l'assessore —. L'Ordine degli architetti deve decidere se fare giurisprudenza dell'architettura o giocare la partita e aiutare i giovani progettisti a crescere. Certo, si torna indietro al ricorso contro gli Arcimboldi. Allora lo vinsero. Stavolta l'avvocatura comunale ha seguito un percorso che spero sia privo di rischi. Da un lato sono tranquillo, dall'altro veramente molto amareggiato ».
Paola D'Amico
Corriere della Sera - MILANO
data: 2008-12-24 num: - pag: 3


Citylife, ricorso degli architetti contro il museo di Libeskind
La denuncia: "Ci voleva un concorso aperto a tutti"
La presidente dell´Ordine "Si tratta di 40 milioni di fondi pubblici"

L´ultimo tassello era stato messo a ottobre, con il via libera della giunta alla variante urbanistica di Citylife. Ma i possibili ostacoli ai grattacieli di Hadid, Libeskind e Isozaki aumentano: dopo i comitati dei residenti, anche l´Ordine degli architetti presenta un ricorso al Tar contro la delibera di Palazzo Marino. E lo fa convinto che l´affidamento della progettazione del Museo di arte contemporanea (che ha preso il posto di quello del design) a Libeskind avrebbe avuto bisogno di una gara. «È un atto dovuto - annuncia la presidente Daniela Volpi - perché si tratta di un´opera pubblica finanziata con risorse che altrimenti sarebbero entrate nelle casse del Comune: 40 milioni di euro». Ma i cantieri procedono a ritmo serrato: dopo via Senofonte si sta lavorando per ripulire l´area dai resti dell´ex Fiera anche in via Spinola. A gennaio, la presentazione dei primi permessi per costruire. Poi si inizierà la scalata verso l´alto dei palazzi. Con un obiettivo chiaro: terminare il progetto nel 2014.
I residenti, con in testa il comitato "Vivi e progetta un´altra Milano", stanno conducendo la loro battaglia: un´opposizione dura, che chiede la «revisione totale» del piano. Diversa, ma ugualmente decisa la posizione dei professionisti milanesi. Nessuna «valutazione di merito sul disegno o la scelta del progettista, collega di fama internazionale», precisano. Né sulla «qualità complessiva del progetto». L´Ordine «vuole soltanto difendere l´applicazione delle leggi comunitarie e ribadire il valore culturale dei concorsi». E nel farlo richiama un precedente: dodici anni fa il Comune arrivò di fronte alla Corte di giustizia europea per aver affidato il progetto del teatro Arcimboldi a Vittorio Gregotti senza passare per un nuovo bando di gara. Anche allora era stato l´Ordine degli architetti a muoversi. E la spuntò, accontentandosi però «della vittoria sul piano morale e giuridico».
La presidente dell´Ordine non risparmia una stoccata al Comune: «Perché l´amministrazione invece di mobilitare con modalità corrette le grandi potenzialità culturali e professionali, insiste nell´adottare procedure confuse e contrastanti con la legislazione nazionale e le normative europee?». Per Palazzo Marino non era necessario indire un nuovo concorso perché il Museo nascerà su un´area concessa dalla Fiera, che non fa parte ufficialmente del Piano integrato d´intervento. L´assessore all´Urbanistica, Carlo Masseroli, ha sempre dichiarato di aspettarsi ricorsi, ma ha anche sempre accompagnato questa consapevolezza con un appello «alla responsabilità della città».
ALESSIA GALLIONE
La Repubblica
Mercoledì 24-12-2008 – pag IX – sezione Milano

 

Il crepuscolo dei grattacieli
Tendenze: Parigi e Londra non rinunciano, ma il ripensamento è già cominciato. La svolta in Qatar
Erano un antidoto alle crisi, ora si studiano «città più compatte»

Il 2008 si chiude, in architettura, con un dubbio: che fine faranno i grattacieli? Proprio i tracolli finanziari degli ultimi mesi rischiano di incrinare un modello considerato «scaccia-crisi» per la capacità di attirare investimenti e produrre nuova tecnologia in stagioni di recessione economica. E anche la «sfida culturale» non appare più così convincente: i parigini hanno bocciato i piani di «sviluppo verticale» voluti dal sindaco Delanoë; Pechino - che pure immagina il nuovo «Shanghai Center» come il grattacielo Chrysler di New York dopo il 1929 - ha cominciato a disegnare secondo uno «sviluppo orizzontale»; Londra ha faticato un poco - soprattutto per le enormi questioni di sicurezza - a digerire la nuova «scheggia» di Renzo Piano; Massimiliano Fuksas ha dovuto incassare la bocciatura della Regione Liguria; e un mostro sacro come I. M. Pei ha disegnato il nuovo museo di arte islamica in Qatar come una successione di cubi. L' ultimo caso clamoroso in Italia riguarda proprio lo stop al progetto di Massimiliano Fuksas per il porto turistico della Margonara e del Faro di Savona (già soprannominato la «Banana», 124,9 metri di altezza) perché «non sarebbero state rispettate le prescrizioni del ministero e della stessa Regione». Ma le polemiche erano iniziate subito. E adesso Fuksas dichiara: «Quello che mi è successo è la metafora della difficoltà di fare architettura in Italia». Se già in marzo un convegno internazionale a Ferrara lanciava il XXI secolo come il secolo della demolizione dei grattacieli a favore di «nuove città compatte», il problema non è certamente soltanto italiano. A Londra, dove la competizione elettorale per l' elezione del sindaco ha visto anche il confronto tra due modelli di sviluppo architettonico, quello «verticale» di Ken Livingstone e quello «tradizionale» del vincitore, Boris Johnson, orientato alla qualità anche ecologica degli edifici, iniziano ora i lavori per la realizzazione della «Shard of Glass», la «scheggia» di Renzo Piano: 310 metri che dovrebbero trasformare in qualcosa di finalmente vivibile quello che il Times ha definito «una delle più orrende stazioni mai costruite» («l' importante non sono i grattacieli in sé ma tutto quello che viene costruito intorno» tiene comunque a precisare l' architetto genovese). Dall' altra parte della Manica, a Parigi, il 63% dei cittadini (forse bruciati dall' esperienza di quella Torre Montparnasse, anni Sessanta, considerata tra i 100 edifici più brutti mai messi in piedi) si sono detti invece contrari all' innalzamento, oltre gli attuali 37 metri, del limite di altezza per i nuovi edifici. Non si tratta di un semplice quesito teorico: alcuni dei palazzi pensati per le aree di Porte de la Chapelle, di Massena-Bruneseau, di Percy-Poniatowski (tra gli architetti impegnati gli studi Sauerbruch-Hutton e Brenac-Gonzales) supererebbero addirittura i 120 metri «stravolgendo l' intero skyline della capitale». Viene da chiedersi, a questo punto, che cosa diranno i parigini quando nel 2012 sarà consegnato «Le Phare» di Thom Mayne che dovrebbe arrivare a 300 metri (la Torre Eiffel è alta solo 320). Il problema dei grattacieli è politicamente «trasversale»: a Parigi è il sindaco Bertrand Delanoë (socialista) ad aver commissionato gli undici progetti per la nuova Parigi verticale (comunque con il beneplacito di Sarkozy). A Roma è Gianni Alemanno (centrodestra) a dirsi contrario alla «Casa di Vetro» (non proprio un grattacielo) e a volere, al contrario, preservare le Torri del ministero delle finanze perché il nuovo edificio (ancora Piano) sarebbe «fuori contesto» e «comprometterebbe l' unità architettonica dell' Eur». Eppure c' è chi dice che solo «chi non conosce la storia spara sui grattacieli» e, soprattutto in Cina, si parla spesso dei grattacieli come «simbolo dell' inizio di una ripresa» (il nuovo Shanghai Center è alto 632 metri e ha 120 piani), anche se, nel dubbio, il Paese ha deciso di espandersi anche in orizzontale. Certo, i possibili motivi della crisi sono evidenti: i problemi di sicurezza «post 11 settembre»; gli elevati costi energetici e di mantenimento (sarà per questo che la maggior parte dei progettisti ama ricordare che i loro edifici sono «ecologicamente corretti»); l' innegabile impatto ambientale soprattutto in Italia (non a caso Isozaki ha pensato e vinto il concorso per la nuova stazione di Bologna con un progetto «piatto e senza grattacieli»). Italia Nostra, in un appello contro la Torre del San Paolo a Torino (anche questa di Piano) ha messo in guardia da tutti gli «inserimenti estranei che potrebbero compromettere l' intera immagine della città» (la torre è stata poi ridimensionata, diventando più bassa della Mole Antonelliana). Ma per la «nuova» Rimini, accanto a progetti che riqualificano il lungomare con «collinette artificiali» e «dune nel verde», c' è anche il progetto di Norman Foster che prevede un mega albergo a Piazzale Kennedy che sembra guardare al modello dei «grattacieli Disney», comunque ancora lontani da quello, annunciato, di Dubai, che dovrebbe sfiorare i mille metri di altezza: 200 piani per una vera e propria città di centomila abitanti sospesa in aria. Forse, più che di altezza, sarebbe meglio parlare di qualità, ma certo può colpire il fatto che l' archistar I. M. Pei (lo stesso della Piramide del Louvre) per il suo nuovo Museo d' arte islamica, in Qatar, abbia voluto un cubo «che fosse solo l' espressione di una progressione geometrica», che fosse «austero e semplice». E che, soprattutto, non fosse più alto di 164 piedi («nemmeno» 50 metri).
Bucci Stefano
Pagina 59
(30 dicembre 2008) - Corriere della Sera


Moratti: aspetto il maestro Abbado I 90 mila alberi? Li pianteremo insieme
E in gennaio vertice in prefettura sui graffiti. «Non c' è pena, così continuano a imbrattare» Il sindaco: i cittadini ci devono dare una mano Siamo pronti, l' Expo non è lontano Dobbiamo collaborare Tornerei alla Scala ma solo per un cachet fuori dall' ordinario: 90 mila alberi da piantare a Milano
«Aspetto il Maestro Abbado a Milano. Pianteremo alberi insieme». Il sindaco Letizia Moratti risponde al grande direttore d' orchestra che chiede, come condizione di un suo ritorno alla Scala, un cachet «in natura»: «Novantamila alberi a Milano». «Abbiamo già - rilancia il sindaco - un piano per il verde e anche con il dossier per l' Expo siamo impegnati a realizzare grandi polmoni naturali. Ma se i cittadini ci daranno una mano, potremo anche accelerare i tempi di attuazione di questi progetti». In sintesi, si tratta di copiare l' esperienza di New York, dove l' istituzione mette un dollaro per ogni dollaro speso dai privati a favore dell' ambiente. «Chiedo ai milanesi - prosegue la Moratti - di organizzarsi nelle piazze, nelle vie, nei quartieri. Se daranno la loro disponibilità economica, il Comune farà altrettanto e questo ci consentirà di accelerare i tempi di un piano che già esiste». Il piano, per intenderci, è quello che ha già regalato ventimila alberi a Milano e che ne ha promessi 25 mila per il prossimo anno. Intanto, il sindaco può sbandierare i dati di Legambiente, secondo i quali «la media di verde per abitante è 16 metri quadrati, il doppio della altre città italiane». Questo per dire che la città non è solo fatta di cemento, «anche se - ammette il sindaco - probabilmente abbiamo molti giardini condominiali o aiuole che non rendono l' idea di queste cifre». C' è poi il progetto per Expo. «La metà dei 110 mila ettari di terreno su cui sorgerà il progetto Expo dovranno essere destinati a verde. Realizzeremo - prosegue il sindaco - il più grande parco urbano del Nord Ovest, che sarà accessibile dalle due vie di acqua e di terra, lunghe ciascuna 22 chilometri». E, come ricorda sempre la Moratti, «quello che è scritto nel dossier, approvato dai commissari del Bureau, dovrà essere realizzato». Di certo, il sindaco concorda con Abbado, «che ringrazio per la provocazione costruttiva», sulla necessità di «fare sempre più bella Milano». Cominciando a coinvolgere gli studenti di 200 scuole elementari e di 200 medie: «Vogliamo sensibilizzare i nostri ragazzi sul senso estetico per un' educazione al bello, all' ordine, al pulito». E si arriva inevitabilmente a parlare di graffiti: «Il 14 gennaio faremo un vertice in prefettura - annuncia il sindaco - perché in questi mesi i vigili del Comune hanno fermato 33 writers colti in flagranza di reato. Ma nessuno ha dato seguito a questo fermo con provvedimenti effettivamente repressivi». Il tema è quello di «garantire un collegamento stretto fra le azioni di tutti» facendo in modo che «ciascuno si prenda le proprie responsabilità». Il resto è la chiamata in causa dei cittadini: «Se non capiamo - conclude la Moratti - che tutti dobbiamo collaborare a tenere pulita la città, continueremo a spendere decine di milioni di euro che altrimenti potremmo usare per i servizi sociali, per gli aiuti alle famiglie bisognose, per affrontare la crisi economica».
Elisabetta Soglio
Pagina 2
(31 dicembre 2008) - Corriere della Sera


Il futuro urbanistico oltre il 2015
UNA CITTÀ IDEALE PER L'EXPO DI MILANO
Un progetto pronto per accogliere anche i cittadini

Un mio carissimo amico diceva che le cose più difficili della vita sono tre: riuscire a salire su un treno in corsa, fare l' amore in piedi e fare il gran signore senza soldi... Mi sembra che almeno due di queste cose «difficili» stiano succedendo all' Expo di Milano del 2015. Dato che il mio amico è riuscito per tutta la vita a superare tutte queste difficoltà, ritengo che anche l' Expo possa superare quelle che la stanno affliggendo. Il treno è effettivamente in corsa e va velocissimo; i soldi, da quanto riportato dai media, non ci sono o, almeno, sono pochissimi. A mio parere, però, anche con pochissimi soldi quella di Milano 2015 potrebbe ugualmente diventare una delle più importanti Expo della storia. L' importante per una vita in comune, e quindi per l' Expo (anche se nessuno sembra aver voglia di dirlo), è poter vivere oggi in maniera adeguata alle nostre conoscenze attuali, risolvendo in primo luogo il problema urbanistico. Anche perché l' urbanistica racchiude in sé i problemi della vita: dal lavoro alla logistica, dalla fame alla cultura e all' ambiente, dall' inquinamento alla capacità di resistere ai sismi, dalla captazione alla produzione di energie alternative. Letizia Moratti Brichetto non può venir meno al vanto e al ruolo della sua famiglia che fin da quando ero bambino era additata come il centro della cultura milanese. Sono quindi certo che come sindaco di Milano saprà, da una situazione difficile, trarre una conclusione straordinariamente importante per il bene di tutti. Mettendo il dito sulla vera piaga che ha già individuato nell' urbanistica attuale. Un' Expo che si rispetti non deve essere semplicemente un' esposizione di prodotti artigianali e nemmeno una «conveniente» occasione per sistemare opere di ordinaria amministrazione: un' esposizione che si rispetti deve essere una voce nel mondo (come lo sono state in precedenza Londra col Palazzo di Vetro, Parigi con la Tour Eiffel, la stessa Milano con la Galleria del Sempione). Sono certo che Letizia Moratti riuscirà da sola a dare all' Expo questo importante valore. Ma se, alle volte, le potessero servire 50 anni di indagini, di studi, di soluzioni vagliate nel progetto finalmente concretizzatosi della mia «Città ideale» (che dopo essere stato esposto a Milano, Pechino e Tokio sta ora continuando il suo giro del mondo), sarei ben felice di darle una mano mettendo a disposizione di lei e della neonata Società di gestione dell' Expo il mio progetto completo di relazioni, disegni, calcoli, plastici. Questo mio progetto potrebbe forse servire come ispirazione alla prossima Expo: per ideare una città avveniristica destinata però a restare un prezioso lascito «emblematico» di una visione urbanistica in grado non soltanto di proporre un modo di costruire, ma di abitare. Come appunto vuole l' architettura intesa come «arte dell' abitare». Sono certo che Letizia Moratti ci riuscirà. Però non posso tacere il mio entusiasmo di questi giorni, sapendo che nessun progetto concreto attualmente sussiste per il territorio Expo e che quel territorio è lo stesso dove ho collocato la mia «Città ideale» intesa come esempio di urbanistica, economica e avveniristica. Una «Città» che consente che l' automobile possa essere parcheggiata sotto casa ed essere usata solo per divertimento in quanto tutti i servizi per le esigenze giornaliere, dal lavoro professionale alla ricreazione, si trovano tutti a pochi passi dall' abitazione. Una «Città» da utilizzare per esigenze future, non da demolire a Expo ultimata. Invece di costruire sul territorio capannoni espositivi da demolire a fine esposizione, l' Expo potrebbe essere la sola struttura della futura città: durante l' Expo potrebbe diventare lo spazio espositivo che si snoda attraverso rampe tanto dolci da poter arrivare a qualsiasi altezza con l' impressione di essere sempre al piano terreno mentre, alla fine della stessa Expo, diventerebbe una vera e propria Città di 25mila abitanti. C' è un proverbio che dice che la fortuna sorride agli uomini di buona volontà. In questo caso la fortuna aiuta moltissimo in quanto il territorio dell' Expo è già servito talmente bene dalle autostrade, dai treni e dalle linee aeree. E che, quindi, non è assolutamente necessario spendere per una logistica a uso dei turisti. Per la logistica interna c' è sempre tempo per realizzarla. Non prima, però, di aver realizzato, per Milano, una «nuova» urbanistica.
Mozzoni Guglielmo
Pagina 41
(6 gennaio 2009) - Corriere della Sera

   
Perché non serve il doppio stadio

Serve a Milano un nuovo stadio, uguale e vicino a quello di San Siro? I motivi per cui, di fianco allo stadio esistente se ne vuole costruire un secondo altrettanto grande, appaiono sconcertanti. SEGUE A PAGINA VI Sembra infatti che Milan e Inter, oltre a problemi di equilibrio dei rispettivi bilanci, abbiano difficoltà ad accordarsi sulla suddivisione degli incassi provenienti dalla pubblicità. Per risolvere le loro bizze non hanno trovato di meglio che immaginare la costruzione di un secondo stadio: in un momento di crisi diffusa, un lusso così inutile appare scandaloso. Vi sono altri modi di aiutare il calcio, meno spettacolari e più produttivi. Si potrebbe infatti installare, nelle periferie, un sistema di campi di calcio per ragazzi, dove i giovani appassionati, sotto la guida di allenatori, avrebbero modo di esercitarsi nella tecnica del gioco. L' investimento finanziario sarebbe sicuramente meno ingente e verrebbe ampiamente remunerato dalle tariffe di iscrizione, così come avviene per qualsiasi palestra gestita da privati. Il Comune dovrebbe soltanto assicurare ai giovani più dotati e provenienti da famiglie meno abbienti una borsa di frequentazione gratuita, valevole sia per l' uso del campo, sia per l' addestramento. Se Galliani e Moratti, brillanti ma poco lungimiranti amministratori delle due società, si impegnassero a sostenere i giovani amanti del calcio, e non perseguissero profitti esclusivamente commerciali, diventerebbero oggetto di stima cittadina ben più meritata e riconoscente. Sotto l' aspetto urbanistico il secondo stadio assesta un colpo mortale al verde protetto del vicino Parco Sud; non soltanto per l' ingombro della sua costruzione, quanto per il numero di attrezzature collaterali che esso richiede (parcheggi privati, trasporti pubblici, servizi per spettatori). Inevitabilmente l' unica fascia di campagna sopravvissuta intorno a Milano verrà deturpata dal cemento e dall' asfalto, e verrà mutilato, se non quasi interamente dismesso, lo straordinario complesso ippico di San Siro. La vicenda del secondo stadio presenta una preoccupante analogia con la recente vicenda dei treni ad alta velocità. Mentre si è appena inaugurato, sulla linea Milano-Roma, un lussuoso super-rapido, nello stesso tempo sulle linee tra Milano e il territorio circostante si continua a rimandare il rinnovo dei vecchi treni-pendolari, indispensabili per garantire lo spostamento giornaliero di migliaia di cittadini. Milano manca di una seria rete metropolitana, di efficienti trasporti in superficie, di piste ciclabili; manca di case di basso costo e di alloggi per studenti e per giovani lavoratori; manca di tanti servizi urbani, imprescindibili se si vuole rendere vivibile una grande città. L' unica mancanza che nessuno avverte è quella di un secondo stadio.
JACOPO GARDELLA
La Repubblica
06-01-09, pagina 1 sezione MILANO


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