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Settimana dell'8 Dicembre 2008

Dal 15.12.2008 al 17.12.2008

Questa settimana, in primo piano sulla nostra rassegna stampa, la mostra London Calling allo spazio FMG e la serata presso l'Ordine

Fmg Scuole, musei e teatri ecosostenibili, realizzati in quartieri periferici, testimoniano il rinnovamento inglese
Milano chiama, Londra risponde
Quattro opere recenti per avvicinare due città che guardano al futuro

Milano e Londra: due città in profonda trasformazione urbanistica, l'una proiettata verso l'Expo del 2015, l'altra verso le Olimpiadi del 2012. In rapporto a questa ideale «corrispondenza» lo Spazio Fmg per l'Architettura, dedicato alla cultura del progetto, presenta oggi «London Calling - Urban Renovation». Una rassegna intorno a quattro interventi recenti, testimonianze del movimento in atto sulla scena londinese, dovuti ad altrettanti studi emergenti inglesi. Le opere in mostra, innovative anche dal punto di vista sociale, sono state realizzate in quartieri periferici «densi», cioè storici e stratificati negli anni. La prima è un edificio scolastico, la Westminster Academy, ideato nel 2007 dallo studio Allford Hall Monaghan Morris. La seconda è il centro d'arte contemporanea The Hothouse, di Ash e Sakula, realizzato a partire dal 2003 ad Hackney. In esposizione anche lo Young Vic Theatre di Haworth Tompinks, realizzato a Waterloo nel 2006, e la sede di Amnesty International a Shoredich, progettata nel 2007 da Witherford Watson e Mann. Quali siano i possibili elementi di contatto tra le due città lo racconta Simona Galateo, curatrice della mostra con Luca Molinari. «L'intenzione è di avvicinare, non di paragonare. Londra infatti è molto più avanti, una megalopoli globale dove si vive e si lavora su un'altra scala - spiega Galateo -. Ma anche Milano è in piena crescita: verso il meglio se i progetti, come sembra, si svilupperanno in modo strutturato. Certamente, qui e là, i nuovi edifici presentano due temi caldi che li accomunano: l'ecosostenibilità e l'attenzione alla qualità urbana». La mostra è aperta da oggi al 18 gennaio con ingresso libero in via Bergognone 27 (martedì-sabato, ore 15-20, tel. 02.89.41.03.20), presentazione stasera alle ore 21.15 all'Ordine degli Architetti, via Solferino 19.
Chiara Vanzetto
Pagina 19
(10 dicembre 2008) - Corriere della Sera


Le nuove architetture raccontate da Biondillo
Viaggio in venti tappe nella nuova architettura lombarda. Lo propone la rivista Domus, diretta da Flavio Albanese, nel fascicolo allegato al numero 920 in edicola. Introdotto dall' architetto scrittore Gianni Biondillo, il viaggio comincia a Milano, dove si trovano dodici degli edifici segnalati: dalla nuova Bocconi delle irlandesi Grafton Architects alle case del Portello di Cino Zucchi, dal Teatro Armani di Tadao Ando al quartier generale Pirelli Re alla Bicocca di Vittorio Gregotti. Ma per gli appassionati di architettura contemporanea, più che questi e altri edifici già molto noti (la sede "Sole 24 ore" di Piano, la Fiera di Fuksas) saranno interessanti quelli situati in diverse località minori: come la Biblioteca comunale di Nembro (BG) di Archea Associati, il Lido di Eupilio (CO), sul lago del Segrino, di Marco Castelletti, la fabbrica Living Divani di Anzano del parco (CO) di Lissoni Associati e il parco scientifico Kilometro Rosso di Stezzano (BG) dell' archistar francese Jean Nouvel.
La Repubblica
09-12-08, pagina 14 sezione MILANO


Le dieci regole dell´architettura di domani Per scongiurare le crisi del terzo millennio
Hi-tech ed eco ecco come sarà la casa del futuro
Edifici immersi nella natura, con pareti trasparenti ma nel rispetto della privacy
LONDRA
dal nostro corrispondente

Una casa fatta come la crisalide di una farfalla. Una casa bozzolo. Una casa immersa nella natura. Si chiama Butterfly House, è stata creata nel sud-est dell´Inghilterra da Laurie Chetwood, uno degli esponenti della nuova generazione di architetti che si ritrovano oggi a fare i conti con tre crisi che hanno trasformato il mondo e il nostro modo di viverci: la crisi energetica, la crisi ambientale, la crisi economica. Il risultato è un´abitazione trasparente, con pareti di vetro, tende al posti dei muri, piogge di luce dall´alto, dove il "dentro" e il "fuori" non hanno più un confine rigidamente stabilito, in cui l´esterno è visibile da ogni angolazione ma preservando la riservatezza dell´interno. Una casa ad alta tecnologia ma a basso consumo energetico, una casa ecologica ma completamente computerizzata, antica e moderna, tradizionale e rivoluzionaria. Una casa da sogno. Così la definisce Clive Aslet, direttore della rivista Country Life (Vita di campagna), autore di "The English House" (La casa inglese), autorità in materia di nuova urbanistica, che prendendo lo spunto da questa "casa di farfalla" formula un decalogo della casa del futuro: i dieci comandamenti di come sarà la dimora di un domani che sta già cominciando. Qualcosa era già noto: sono anni che si parla di case che sfruttano fonti energetiche alternative e che applicano tutte le norme per la conservazione dell´ambiente. Ma Aslet, in un lungo articolo sul Financial Times, amplia lo sguardo, immaginando una casa non soltanto "verde" e sostenibile, ma un nuovo concetto di residenza. Gli esempi non mancano, dal progetto di villa nella foresta di Barvikha, ai sobborghi di Mosca, presentato da Zaha Hadid all´ultima Biennale di Venezia, alla Minarc House, costruita a Los Angeles sui resti di una casa dilapidata da due designer islandesi. Come sarà dunque la casa del futuro? Per prima cosa, sarà a prova di privacy. In un mondo sovrappopolato e in cui grazie alla tecnologia tutti dialogano con tutti, si sentirà maggiormente l´esigenza di un rifugio sicuro. Secondo, e questo è scontato: sarà verde. Il primo ministro Gordon Brown vuole ridurre le emissioni di carbonio dell´80 per cento entro il 2050 in Gran Bretagna, dove sono iniziati i lavori per nuove "città ecologiche". Terzo: sarà raggiungibile senza bisogno dell´auto, sia utilizzando mezzi pubblici, sia riducendo le distanze, come nelle città-mercato dell´Inghilterra vittoriana o nel villaggio di Poundbury, edificato vicino a Dorchester dal principe Carlo, dove si può andare a piedi da qualsiasi parte. La quarta regola prevede che sia costruita - per rispondere al cambiamento climatico - come si faceva una volta: pareti spesse e finestre piccole, per tenere fuori il freddo d´inverno e il caldo d´estate. Quinto: avrà un orticello in cui coltivare un´agricoltura "fai da te", sufficiente per il fabbisogno di chi ci abita. Sesto: non avrà niente di plastica, con un ritorno al legno e all´arredamento riciclato. Il settimo comandamento recita: riscoprirà la semplicità estetica, il minimalismo, l´essenziale, come risposta agli eccessi del terremoto finanziario. Ottavo: si mescolerà con la natura, mettendo i suoi residenti a contatto diretto con piante, alberi, giardini. Nono, e anche questo era ovvio, sarà computerizzata, basterà toccare con un dito uno schermo per far funzionare tutto. Decimo e ultimo comandamento: sarà una casa che diffonde e respira cultura. Ce ne sarà bisogno, per realizzare la metamorfosi dalla casa di oggi a quella di domani.
ENRICO FRANCESCHINI
MARTEDÌ, 09 DICEMBRE 2008
Corriere della Sera Pagina 38 - Cronaca

 

E' sempre verde il colore della qualità della vita
I recenti provvedimenti in materia di urbanistica potrebbero essere rubricati o come reati per pubblicità ingannevole o come reati di falso ideologico. SEGUE A PAGINA VII In ogni caso è reato contro la fede pubblica dire che la densificazione in quanto tale - il costruire di più sulla stessa superficie di territorio comunale - migliori sempre la qualità della vita. Pubblicità ingannevole perché si attribuiscono alle proprie delibere in materia di urbanistica qualità che esse non hanno; falso ideologico perché si afferma cosa non vera inducendo nei terzi giudizi errati. Dimostrare reati in materia di qualità della vita è cosa ardua mancando una definizione universalmente condivisa: per una mamma qualità della vita è la scuola materna dei figli, per Salvatore Ligresti è far soldi. Ma su di una cosa si è tutti d' accordo: nella qualità della vita il verde pubblico gioca una parte predominante. Qui ci muoviamo meglio perché il verde pubblico si misura in metri quadrati per abitante e l' ha insegnato a noi per tanto tempo il vicesindaco De Corato ricordandoci sempre che il verde pubblico era in continuo aumento: l' ultimo suo dato parlava di 17 metri quadri per abitante. Dimenticava, però, di dirci che la diminuzione della popolazione giocava a suo favore: stesso verde ma meno abitanti. Calcoli più realistici come quelli fatti dal professor Antonello Boatti, escludendo cimiteri, aiuole spartitraffico e altre frattaglie, ci portano a dire che i metri sono solo 10 contro i 65 di Berlino o i 24 di Londra, città spesso citata dai nostri amministratori negli ultimi tempi. Ma voglio essere generoso: quei 17 metri quadri mi stanno bene. Diciassette metri quadri per abitante per 700mila nuovi residenti vuol dire che Milano, prima che arrivi l' auspicata valanga demografica, deve dotarsi per tempo di 12 milioni di metri quadri di nuovo verde. Il doppio di quello oggi realmente esistente. Di verde urbano che serva ad anziani, mamme e bambini, cittadini che vogliono godersi l' aria aperta senza fare chilometri. Dunque 12 milioni di metri quadrati rispetto ai soli 9 milioni di aree disponibili il cui vincolo è decaduto (dato Assimpredil Ance), aree già destinate a standard - servizi collettivi, servizi d' interesse generale, parchi intercomunali e verde pubblico - aree che l' amministrazione comunale vorrebbe rendere invece edificabili per edilizia residenziale, come dice, con il fine di migliorare la qualità della nostra vita. Rendere edificabili queste aree è follia e dire che è un' operazione per migliorare la qualità della vita è sbagliato; oggi è solo il caso di rinnovare in qualche modo i vincoli per avere spazio di manovra. Già è del tutto insensato dismettere per edilizia privata scali ferroviari e caserme sottraendoli all' uso pubblico: quel che se ne ricava in denaro - destinato a enti notoriamente scialacquatori - è nulla rispetto a quel che perde la collettività urbana per i suoi bisogni. A Milano, la città che dovrebbe attrarre giovani coppie, oggi le mamme si domandano: «è meglio avere le auto in sosta vietata ma finanziare con le multe il Comune o rinunciare alle materne perché non ci sono i soldi?» Questa è oggi la sola qualità della vita milanese: poter scegliere il meno peggio.
LUCA BELTRAMI GADOLA
La Repubblica
09-12-08, pagina 7 sezione MILANO


Quel mondo solido tra affari e politica
E´ tutto da vedere se la città che si espande senza limiti rappresenta un´opportunità di crescita o una fonte di costi alla lunga insopportabili per qualsiasi comunità
L´edilizia è la principale forma di imprenditoria che entra immediatamente a contatto con le amministrazioni locali: e queste possono spostare ingenti valori e ricchezze
L´edilizia è il solo settore che oggi riesce a resistere alla crisi. Ma cosa comporta costruire e a che prezzo per la città e i suoi abitanti? Una lunga storia fatta di sogni e di corruzione

Fino a qualche mese fa l´emergenza erano i rifiuti a Napoli; poi c´è stato il caso vistoso della sanità in Abruzzo; infine l´annosa vicenda fiorentina di un recupero urbanistico, legato all´area della Fondiaria e al costruttore Ligresti, che ha messo in seria difficoltà l´amministrazione comunale di Firenze.
In una parola: in un´Italia fatta di città, il problema si chiama cemento. Perché il cemento è il punto di incrocio fra procedure amministrative locali, politica sul territorio e affari. Non è un caso che le esperienze migliori di organizzazione urbanistica risalgano ormai agli anni Settanta, sotto la spinta progettuale di critici come Antonio Cederna, ma grazie anche alla capacità propositiva di architetti come Pier Luigi Cervellati e Leonardo Benevolo, ispirati da un´idea di città legata al senso della comunità più che all´interesse privato.
A quell´epoca, sotto il profilo economico e politico, l´aspetto critico principale era la rendita, a cui si connettevano possibilità speculative impressionanti; e le amministrazioni progressiste, con i progetti legati alla cultura del recupero e della riqualificazione urbana, rappresentavano un argine, non soltanto ideologico bensì materiale ed effettivo, alla progressiva espansione cementificatrice delle città.
Non è facile da stabilire che cosa sia cambiato dall´epoca in cui i centri storici costituivano il fiore all´occhiello delle giunte più illuminate (non soltanto di sinistra, perché la pianificazione bresciana di Benevolo avviene sotto una giunta democristiana), insieme con la tutela ambientale delle aree immediatamente extraurbane, come la collina bolognese. Ma in primo luogo c´è da riconoscere che l´edilizia è la principale forma di imprenditoria che entra immediatamente a contatto con le amministrazioni territoriali: non l´unica, perché anche sanità, energia, smaltimento dei rifiuti, servizi di welfare locale, sistema dei trasporti incrociano necessariamente la politica; ma senz´altro il settore in cui le potenzialità di profitto in seguito a una decisione politica possono mutare in modo esponenziale. Tutto questo vale in misura assai minore per l´imprenditoria industriale o dei servizi, che al massimo offre qualche chance di sostegno politico ed elettorale attraverso contributi e favori, ma è estranea alla stratosferiche possibilità di rendita offerte dal variare delle coalizioni d´interessi fra politica e settore delle costruzioni.
Si intuisce senza difficoltà, infatti, che un nuovo piano regolatore, con le inevitabili varianti contrattate con le corporazioni economiche, può spostare volumi ingenti di risorse e di ricchezza, e che quindi il ruolo del ceto politico risulta decisivo nell´orientare futuri flussi di profitto. Accade qualcosa di simile in tutte le opere infrastrutturali (strade, ponti, edifici pubblici, tratti ferroviari, metropolitane), ma con gli interventi nel tessuto urbano gli incrementi di valore possono risultare colossali.
Non è una condizione inedita, ma oggi c´è da considerare la fame di suolo e di volumetrie suscitata dalle trasformazioni metropolitane. C´è da mettere insieme un quadro che contempla la metamorfosi demografica, che moltiplica i nuclei famigliari, il proliferare delle strutture di servizio, l´abbandono di stabilimenti industriali storici. Tutto questo vale sia per i centri minori sia per le grandi città. A Trento, il recupero di alcuni insediamenti industriali dismessi ha portato l´amministrazione comunale a progettare, in modo quasi visionario, la città del prossimo secolo; a Modena il recupero della Manifattura Tabacchi amplierà significativamente l´offerta di appartamenti e uffici nel centro storico, con effetti ancora imprecisati sul mercato. Nell´area metropolitana di Milano, si pensi alle "quote di città" spostate dalle operazioni sulla Bicocca e la Fiera, anche in relazione all´Expo del 2015. A Torino, è risultata di buona qualità l´opera di riconversione urbana determinata dai finanziamenti per le Olimpiadi invernali. A Roma, il piano regolatore di Veltroni è apparso come un progetto contrattuale fra l´establishment politico e l´élite dei "palazzinari", destinato a stabilizzare per decenni l´equilibrio fra la politica e il sistema degli affari capitolino (poi le cose sono andate diversamente, ma l´idea su cui si era mosso Giuseppe Campos Venuti era decifrabile: un compromesso con le richieste dei costruttori, che consentiva buoni volumi di affari limitando ragionevolmente le cubature).
Tuttavia c´è un altro aspetto da considerare. Perché se è vero che gli animal spirits dell´economia guardano con strenua attenzione alle possibilità di reddito offerte dall´intervento urbanistico, sul fronte opposto è la politica a guardare con interesse analogo alle opportunità offerte dal cemento. Il fatto è che non esiste nella tradizione amministrativa italiana la concezione secondo cui il volume di spesa degli enti pubblici va verificato a ogni bilancio e tarato sulle future esigenze effettive. Si tende piuttosto a considerare ogni capitolo di spesa come un dato da aggiornare in via progressiva: e nel momento in cui le risorse vengono ridimensionate dal governo centrale, le amministrazioni territoriali si trovano nella necessità di aumentare i propri introiti. Molte di esse lo hanno fatto incrementando la tassazione, contando sulla sopportazione dei cittadini; altre hanno valorizzato il patrimonio pubblico mettendolo sul mercato, o gestendolo in combinazione con i privati. Ma la tecnica prevalente consiste ormai da tempo, senz´altro prima dei problemi determinati dall´abolizione dell´Ici, nel variare quei parametri urbanistici, come le destinazioni d´uso, che possono modificare in modo rilevante il valore di immobili e terreni.
Tutto questo ha una sua razionalità economica, e talora anche motivazioni tutt´altro che ignobili (ad esempio, il comune "vende" cubature ai privati in cambio di edifici pubblici, scuole, asili), ma si scontra innanzitutto con una preveggente azione sull´ambiente, perché se prevale il bruto interesse economico, tutto il resto rischia di passare inevitabilmente in secondo piano. In secondo luogo il rapporto, o finanche la coalizione, con settori economici identificabili tende a stratificare un insieme di scambi e concessioni che fa riferimento ai partiti, alle maggioranze, ma via via anche alle correnti e ai circuiti di potere afferenti alle singole personalità politiche. Talora questo gioco di alleanze interessate giunge a provocare serie distorsioni nel mercato, a cominciare dalla trasparenza e correttezza degli appalti; può determinare quindi effetti negativi sui costi delle opere progettate, e interconnessioni opache fra responsabili tecnico-politici e imprese (o rappresentanze delle imprese).
Infine è tutto da vedere, e meriterebbe approfondimenti da parte degli economisti, se la "città infinita", che si espande senza limiti oltre le periferie, è un soggetto economico in equilibrio o è fonte di costi che graveranno in modo insostenibile nel lungo periodo, per i servizi che implicano, i trasporti, le opere di urbanizzazione. Cioè se quella che Cervellati ha chiamato ironicamente "Villettopoli" è occasione di profitto o alla lunga un aggravio di spesa: insomma se l´economia del cemento, all´ultima riga del bilancio, non rappresenti una perdita per tutta la comunità.
EDMONDO BERSELLI
MARTEDÌ, 09 DICEMBRE 2008
Corriere della Sera Pagina 40 - Cultura

 

Forza Italia: l'assessore Masseroli spieghi il progetto
Ippodromo Stop rinviato per le attività ippiche

Stop al piano di trasferimento delle attività ippiche da San Siro. A chiedere un rinvio («a dopo le festività natalizie») dell'accordo di programma che il Comune si prepara a firmare con Regione e Provincia è il gruppo di Forza Italia. «Questione di metodo - assicura il capogruppo Giulio Gallera -. Alleanza Nazionale ha già avuto un incontro con l'assessore Masseroli, vogliamo che i contenuti del progetto siano illustrati anche a noi». Ieri dalla riunione del direttivo è uscita una posizione comune: «L'assessore deve spiegare». Oltre al metodo, il merito. Gallera è favorevole all'ipotesi di un trasferimento delle attività ippiche. «Su quell'area dovrà nascere una grande zona verde con poca edilizia residenziale e di pregio. Ma ripeto: quello che conta in questo momento è conoscere i contenuti dell'accordo di programma. Non credo che nel merito ci saranno problemi». Ieri, intanto, in Consiglio è mancato il numero legale proprio sul maxi-documento di urbanistica che traccerà le linee-guida per i futuri piani integrati d'intervento. L'opposizione aveva chiesto il ritiro della delibera e un'ulteriore discussione del documento in Commissione. Di fronte al no della maggioranza, il centrosinistra ha fatto mancare il numero legale. In discussione rimangono ancora una trentina di emendamenti. A. Se.
Senesi Andrea
Pagina 2
(10 dicembre 2008) - Corriere della Sera


Urbanistica: voto tra le polemiche in Consiglio
Via libera al raddoppio delle costruzioni

L'indice di edificabilità passa dallo 0,65 all'1 per cento. Tradotto: si può costruire quasi il doppio. «Puntiamo a favorire il rientro di 700 mila abitanti». Obiettivo: due milioni di residenti nel 2030. Sono i pilastri del documento di inquadramento delle politiche urbanistiche comunali (un anticipo del piano di governo del territorio) approvato ieri sera dal consiglio comunale. La delibera è passata con il voto compatto della maggioranza e il «no», altrettanto unitario, della minoranza di centrosinistra. Due visioni antitetiche. L'accusa al Comune è di rappresentare il partito del mattone e del cemento. La replica, secca, è: «Noi siamo per il rinnovamento». Queste le posizioni. Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Pd: «Non c'è chiarezza, nel documento manca chi si dovrà occupare di infrastrutture e servizi. La politica della giunta è carente dal punto di vista abitativo». Replica l'assessore allo Sviluppo del territorio, Carlo Masseroli: «Credo che si sia data eccessiva enfasi a questo provvedimento. Che, però, ha un grande significato positivo: vuole sbloccare il mercato dell' affitto e immettere in città nuova edilizia convenzionata sotto i duemila euro al metro quadrato, con particolare attenzione agli studenti». Il piano, da settimane, divide politici, architetti, urbanisti, uomini e donne di cultura. Il «Sacco di Milano» ha titolato Il Riformista in prima pagina, sostenendo la tesi del regalo servito su un piatto d' argento da Palazzo Marino agli immobiliaristi. «Falsità», replica Masseroli: «Se la città avrà più infrastrutture e verde, servizi e case in affitto a prezzi accessibili, le persone ancora giovani potranno scegliere di restare o tornare a Milano. Questa è la sfida».
Pagina 4
(11 dicembre 2008) - Corriere della Sera


'La grande Milano esiste già è fatta di reti, non di palazzi'
Per descrivere Milano, il sociologo Aldo Bonomi usa un' immagine: «è una città spugna, capace di attrarre e assorbire per poi però liberare forze, energie, idee, abitanti. E crescere. Una città aperta che non si può pensare di amministrare con logiche da condominio, o pensare di rinserrare all' interno delle mura. La nostra forza non sta nei numeri dei residenti, ma nelle reti». Una visione opposta a quella di Palazzo Marino che vorrebbe far crescere di 700mila i milanesi. Che cosa pensa della delibera di urbanistica della giunta Moratti? «Le rispondo partendo dall' Expo di Shanghai del 2010: progettando il padiglione, si ragionava se presentarci con una logica competitiva tra megalopoli o rivendicare un' identità contrapposta del nostro Paese. Io credo sia necessario essere presenti con le nostre quattro porte sulla globalizzazione che sono Roma, Firenze, Venezia e Milano. Assumere fino in fondo il processo di metropolizzazione dolce che ci contraddistingue». Perché Milano non dovrebbe avere due milioni di abitanti? «Capisco che ci sia un desiderio competitivo da un punto di vista statistico, ma Milano due milioni di abitanti ce li ha già. Anzi, ne ha quasi quattro. è un po' Varese, Como, Bergamo, Lodi, è una "città regione", una "città infinita". Dobbiamo capire, ad esempio, che una serie di operazioni immobiliari apparentemente ai margini sono in realtà centrali, perché non possiamo considerare periferia la Bovisa, Rho-Pero, ma neppure Busto Arsizio e Orio Al Serio. A volte, invece, ho l' impressione che certi ragionamenti siano affetti da una patologia che chiamo sindacalismo istituzionale». Che cosa intende? «è la malattia che coglie il piccolo Comune che si pone contro la città media, che è contro la Provincia, opposta alla città metropolitana. Quello che più conta, in questi tempi in cui si discute tanto di federalismo, è avere il peso e i numeri per valere sul mercato del sindacalismo istituzionale. Ma la realtà è andata oltre: bisognerebbe riconoscersi in questo spazio più vasto che è già nei fatti. Ma attenzione: la cosa peggiore è trasformarlo in una Los Angeles». L' assessore Masseroli rivendica la volontà di creare case per i giovani e i meno abbienti e per farlo dà la possibilità di costruire anche su aree un tempo pensate per verde o servizi. è giusto? «è vero che emergono nuovi bisogni. Servono alloggi per gli studenti, che però non è detto debbano trasformarsi in residenti. C' è la necessità di piani casa per i migranti, ma a Milano città verranno le badanti, mentre chi lavora nell' industria vivrà a Brescia. Non si può concentrare tutto all' interno della città». Il Parco Sud ha deciso di far costruire su una parte delle aree di confine. Il cemento può arrivare a togliere verde alle città? «Non sono un fondamentalista né di un partito né dell' altro, il dibattito va affrontato alzandosi dal suolo. Anche la progettazione del verde va vista in ottica metropolitana e quel poco che è rimasto, dentro e fuori la Cerchia, va tutelato». Che cosa succederebbe se Milano avesse davvero due milioni di abitanti? «Non ci starebbero! Quello che invece dovremo fare è prepararci ad accogliere i milioni di visitatori di Expo, ma avendo chiaro che Milano deve continuare a svolgere una funzione di "città regione" leggera».
ALESSIA GALLIONE
La Repubblica
11-12-08, pagina 7 sezione MILANO

 

Il riconoscimento
Il premio Nobel è diventato cittadino onorario
Al Gore: Milano sarà la capitale per la sfida in difesa dell'ecologia

Finalmente ci sono riusciti. Al Gore, premio Nobel per la Pace, ex vicepresidente degli Stati Uniti, è diventato cittadino onorario di Milano. La cerimonia, prevista in un primo tempo agli inizi di maggio, è stata celebrata ieri a Palazzo Marino con il sindaco, Letizia Moratti. «Grassie Milano» ha detto il vice di Clinton nel suo breve intervento (proibite le domande dei giornalisti, problemi di esclusiva con la DinerClub). Al Gore ha ringraziato il sindaco e la città per l'impegno ambientale. Non era la prima volta. Al Gore che è stato uno dei testimonial principe di Expo 2015 aveva sostenuto la candidatura di Milano con parole alate e impegnative: «Milano sta mettendo in pratica politiche per diventare una delle città più amiche dell'ambiente». Ieri lo ha ribadito: «Milano è diventata una delle prime città per la sfida del riscaldamento globale». Ha anche ribadito il suo impegno per l'Expo del 2015: «Sarà un evento mondiale che potrà ispirare tutto il mondo. Per questo sono molto contento di essere stato nominato consulente onorario per l'Expo». Da parte sua il sindaco ha ribadito che la cittadinanza «viene da tutta la città, è stata votata dal Consiglio e quindi è una scelta di tutti i milanesi». Alla cerimonia hanno partecipato anche i consiglieri comunali che hanno votato la cittadinanza onoraria per Gore. Tra questi, Milly Moratti, che ha regalato al premio Nobel per la Pace l'ultimo disco di Adriano Celentano, «Sognando Chernobyl» e una lettera con le proteste dei comitati ambientalisti. «È stato Celentano - ha affermato Milly Moratti - a chiedermi di donare ad Al Gore il suo ultimo disco: perché parla per metà di amore e per l'altra metà di ambiente». E proprio ai temi dell'ambiente, in particolare alla qualità dell'aria e ai nuovi progetti di densificazione urbanistica a Milano, è dedicata la lettera che la moglie del patron dell'Inter ha consegnato ad Al Gore. «Con questa lettera - ha spiegato Milly Moratti - i comitati si augurano che le motivazioni che hanno spinto Al Gore a sostenerci per l'Expo siano uno stimolo a impegnare il Comune a favore dell'ambiente, visto che sulla qualità dell'aria a Milano siamo ancora messi male». «Le battaglie che Adriano fa da sempre coincidono con quelle di Al Gore - ha detto la moglie del Molleggiato, Claudia Mori -. Spero che la cittadinanza onoraria non si limiti solo a una cerimonia, anche se ho forti dubbi su questo visto che, al di là dei proclami, in città vedo poco la presenza di chi ha davvero a cuore lo sviluppo di Milano».
Maurizio Giannattasio
Pagina 3
(11 dicembre 2008) - Corriere della Sera


La discussione Presentato a Milano il progetto per il nuovo giardino. Fondi europei, pronto fra due anni
Utopia Gibellina, l'arte nel deserto
Stefano Boeri: simbolo di presunzione. Francesco Bonami: mancano i turisti La critica Lucrezia De Domizio Durini: meglio sarebbe restaurare l'esistente. E comunque, facciamo lavorare i giovani

«Spero che non diventi come il Giardino delle Civiltà che, nello Zen di Palermo, avrebbe dovuto raccogliere le "zolle" di tutte le civiltà e che oggi è soltanto un cumulo di macerie e spazzature». Lo scenario proposto da Stefano Boeri, architetto e direttore di «Abitare», è inquietante: «Gibellina, con le sue piazze e i suoi porticati grandiosi, è la dimostrazione concreta del fallimento e della presunzione di cui può essere capace l'architettura italiana. Tranne il Cretto di Alberto Burri tutto il resto è invivibile, vuoto, decadente». Ci sarà pure un modo per salvarla? «Privatizzare gli spazi pubblici». Cronache da una piccola Brasilia in miniatura. Con gli stessi problemi della città creata sull'altopiano del Planalto Central, tra il 1956 e il 1960, da Oscar Niemeyer (con Lúcio Costa e Roberto Burle Marx), un insediamento urbano fin troppo pianificato per poter essere davvero vivibile. Questo è Gibellina (Te la do io Brasilia. La ricostruzione incompiuta di Gibellina era anche il titolo del libro pubblicato nel 2004 da Mario La Ferla per Nuovi Equilibri): il piccolo centro a 70 chilometri da Palermo, completamente distrutto dal terremoto del 1968, trasformato nel luogo dell'arte e dell'utopia (l'appello l'aveva lanciato Leonardo Sciascia nel 1970) grazie ad una ricostruzione che porta la firma di architetti quali Francesco Venezia, Giuseppe Samonà, Vittorio Gregotti, Alessandro Mendini, Ludovico Quaroni. E di artisti come Mimmo Paladino, Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro, Carla Accardi. Ieri Gibellina ha lanciato la sua nuova sfida. A Milano è stato presentato il «Giardino delle religioni e del dialogo» (progettato da Fabio Sergio Rotella, nipote di Mimmo): una superficie verde di 17.400 metri quadrati; un «fiore» con otto petali (ciascuno simbolo delle otto religioni più professate); otto percorsi prima tortuosi e poi dritti «come la via di fede del pellegrino»; otto «archi-abbracci» e una torre (alta 22 metri rivestita con i differenti emblemi religiosi) che vuole essere un «imbuto aperto verso l'universo». Attualmente il progetto è in fase d'approvazione al Genio civile di Trapani. Poi toccherà al comune di Gibellina chiedere il finanziamento europeo utilizzando il Por 2006: otto milioni di euro da sfruttare entro due-tre anni. La prima pietra dovrebbe essere posta entro il prossimo anno, il sì della Regione Sicilia dovrebbe essere praticamente scontato. Dunque, un progetto importante. Ma ne vale davvero la pena? O meglio, in un momento di crisi, non sarebbe meglio dedicarsi a restaurare le opere d'arte già esistenti (in estate partirà intanto il restauro del Cretto)? Di questa opinione è, ad esempio, Lucrezia De Domizio Durini (curatrice di mostre, editore, mecenate da tempo dedita «a far conoscere poetica di Joseph Beuys» indicata come possibile curatrice artistica dell'iniziativa): «Il progetto è sublime - dice - ma forse sarebbe meglio mettere a posto quello che già c'è». E prosegue: «Non vorrei che poi si sistemassero solo gli artisti amici degli amici e non si avesse il coraggio di scegliere i giovani o chi vale davvero anche se fuori dal giro». Insomma, conclude: «Speriamo che, in Italia, per una volta ci siano meno parole è più fatti». A lei rispondono i progettisti (come Filippo Cannata che si occuperà dell'illuminazione): «Con il nuovo giardino si cercherà di rendere vivibile l'intera città». Francesco Bonami (quello di Italics a Palazzo Grassi a Venezia) è stato appena nominato curatore della 75ª edizione della Biennale di arte americana che si aprirà al Whitney Museum di New York nel marzo 2010. Di arte moderna, insomma, se ne intende: il suo giudizio sull'esperienza di Gibellina è (al contrario di Boeri) globalmente positivo. Anche se, più che pensare a un nuovo giardino, Bonami sembra ipotizzare altre strade: «Credo che bisognerebbe investire in strutture, centri culturali o musei che siano, capaci di assicurare un flusso turistico continuo visto che il Cretto e le altre opere non hanno ancora avuto la visibilità che si meritano» (a proposito dell'intera a proposta artistica dice: «Bella ma discontinua»). Un ultimo dubbio: non è che Gibellina è fisicamente troppo fuori dal «giro» dell'arte? «Falso - risponde Bonami -. Negli anni 60-70 non erano altrettanto defilati due musei che facevano tendenza come la Kunsthalle di Berna o il Nationalmuseum di Stoccolma?».
Bucci Stefano
Pagina 55
(12 dicembre 2008) - Corriere della Sera


Case e uno stadio bis un accordo per San Siro
Il trasloco dei cavalli per far sorgere un nuovo quartiere residenziale da un lato, la richiesta delle squadre di calcio di avere un secondo stadio dall'altra: sul futuro dell'area strategica intorno a San Siro e agli ippodromi - oltre un milione di metri quadrati di terreno - si gioca una partita doppia che intreccia interessi pubblici e privati. I due progetti che finora viaggiavano su due binari distinti, ora potrebbero incontrarsi in un unico grande accordo. O, al contrario, ostacolarsi a vicenda se i protagonisti dell'affare non dovessero trovare una mediazione. Il prossimo mese sarà decisivo. "L'operazione Ippodromo", sponsorizzata dall'assessore all'Urbanistica Carlo Masseroli ma momentaneamente stoppata a Palazzo Marino dalla stessa maggioranza che vuole vederci chiaro, incontra un nuovo freno. La riunione di venerdì scorso fra Comune (gli assessori Masseroli e Terzi), Massimo Moratti e Adriano Galliani in cui si è discusso dell'ipotesi di un Meazza-bis possibilmente vicino all' attuale stadio, potrebbe dare il via a nuove trattative che rallenterebbero ancora la firma dell'accordo di programma da cui dipende il trasferimento dell'ippica nel Parco Sud e la riqualificazione di tutta l'area della Snai (la società che gestisce le corse dei cavalli). Un'operazione immobiliare delicata (e redditizia) che prevede la costruzione di un quartiere residenziale di lusso, servizi commerciali, parcheggi e verde e che ha già sollevato un gran polverone. La questione ruota tutta intorno a un piccola, ma fondamentale, fetta di territorio: l'ippodromo del trotto. è qui, a due passi dal Meazza, che potrebbe sorgere il nuovo stadio. Entrambe le squadre vorrebbero restare in zona - anche se inizialmente Moratti aveva detto che sarebbe andato in una zona periferica, purché servita dai mezzi pubblici - e il trotto è il solo spazio libero. Non solo. La soluzione risponderebbe anche all'idea dell'assessore allo Sport Giovanni Terzi di costruire una cittadella dello sport che metta in collegamento tutte le strutture della zona: «Sarei felice se i due stadi fossero all'interno della Città dello sport, un'area molto estesa che terrà insieme il Palasharp, il Vigorelli, il XXV Aprile, il Lido, lo stadio di San Siro e l'Ippodromo». Nessuno si sbilancia dicendo che il secondo stadio verrà costruito sul trotto, ma basta guardare la mappa per rendersi conto che lì non c'è altro posto. Se non sconfinando nel Parco Sud. A frenare la trattativa però potrebbe essere l'altro progetto che piace all'assessore Masseroli. Lo porta avanti Roberto Losito, consulente immobiliare che ha un'opzione di acquisto con la Snai, che ha commissionato uno studio urbanistico in cui il trotto dovrebbe diventare solo uno spazio polifunzionale al servizio dell'attuale Meazza. «Non sono al corrente delle richieste delle squadre - spiega Losito - e mi pare un metodo discutibile quello di fare i conti senza l'oste, che in questo caso è la Snai. Se vogliono fare uno stadio sul trotto sappiano che noi non ci stiamo». Da un lato quindi c'è l'intenzione di riqualificare l'ippodromo restituendo, come ha più volte spiegato Masseroli, un pezzo di verde alla città e rimettendo a posto l'area intorno allo stadio con parcheggi sotterranei, negozi e verde. Dall'altro la volontà delle due società di calcio di avere due stadi. Il Milan resterebbe a San Siro ristrutturandolo per farlo diventare uno stadio a cinque stelle. L'Inter invece si sposterebbe, ma dove? L'ultima ipotesi sembrava Rho-Pero, dove ci sarà l'Expo, ma ora sembra sfumata anche questa. Anche Moratti preferisce il centro.
TERESA MONESTIROLI
La Repubblica
14-12-08, pagina 3 sezione MILANO




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