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Settimana del 24 Novembre 2008

Dal 01.12.2008 al 03.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia

Polo per la ricerca nelle bolle di Benini
Un nuovo polo d'eccellenza per la ricerca nascerà nel 2010 nell'area Navigli di Milano, dove sorgeva agli inizi del '900 l'ex Sieroterapico, che fu uno dei centri di maggior prestigio per la ricerca medica. Nell'area di 34.200 mq, proprietà del Gruppo Cabassi, sono già stati ristrutturati i vecchi edifici, che ospitano la sede della nuova Accademia di Belle Arti e attività terziarie.
L'ultima tranche dell'area, a ridosso di via Borsi, corrisponde al nuovo progetto di riqualificazione studiato dall'architetto Dante Oscar Benini, come un'«architettura contemporanea che possa convivere con lo storico secondo un'integrazione naturale», che comprende tre edifici che saranno dedicati al terziario e alla ricerca su una superficie di 13 mila mq. Tre «bolle» di vetro e acciaio, come le definisce l'architetto, progettate su piani inclinati a creare una prospettiva dinamica, tagliate da solai che si inseguono planimetricamente nell'area e che saranno collegate fra loro da un percorso pedonale alberato di un chilometro: uno di 2.300 mq su tre piani, uno di 7.500 mq e uno di 4.200 mq entrambi su cinque piani.
Cristina Ciusa
Italia Oggi
26-11-2008
(Articolo tratto dalla Rassegna Stampa del sito archiworld.it)

Il critico Daverio
«Non serve sognare, aggiustiamo quel che c'è»

«Non è più possibile riscoprire il Naviglio interno né tantomeno lo spirito di quel passato». È andato, storia chiusa, pensiamo piuttosto a riportare il decoro dove s'è perso, attacca il critico d'arte Philippe Daverio (foto): «La condizione della Darsena, per dire, è impressionante. È più urgente ripulire i Navigli, gli infiniti orrori che ci sono, dalle casupole alle barcucce-ristorante, e aggiustare ponti e parapetti che crollano, invece che insistere con progetti irrealizzabili». Non la affascinano, eh? «Dico solo che lo stato dei Navigli, oggi, è impresentabile persino per una città del terzo mondo, figuriamoci per la metropoli dell'Expo». Eppure il piano di riscoperta della Cerchia piace ai milanesi. «I milanesi sono così, vogliono tutto subito dopo aver ottenuto niente per anni. Lo dico in latino: in medio stat virtus. Accontentiamoci di eliminare la mediocrità straziante dei Navigli. Il mondo di una volta è stato eliminato, distrutto. Intendiamoci: è romantico e dimostra amore per Milano chi rivuole il passato: ma un ritorno a quella città è improponibile». La sua scaletta di priorità? «Cancellare il progetto del parcheggio sotterraneo nella Darsena, che è infausto e antiestetico, mentre la zona è diventata un deposito triste. E poi riordinare l' arredo, le aiuole, i marciapiedi. Dare la giusta attenzione a quel che c'è, non a quel che è stato. Concentrarsi sulle possibilità di miglioramento della qualità urbanistica». Niente progetti da sognatori? «I progetti valgono quando possono essere realizzati. La riapertura della Fossa interna è un'ipotesi meravigliosa, ma è e resterà un'ipotesi. Se ne parla da trent'anni, no?». Se ne parla e basta... «Sì. Se ne parla e basta. Le pare possibile distruggere la città per ritrovare un canale?».
Stella Armando
Pagina 15
(27 novembre 2008) - Corriere della Sera


Dibattiti Divide il nuovo libro del progettista. Dorfles: «Ripartiamo dall'invenzione»; Campos Venuti: «No, dalla politica»
Ma l'architettura non è feticcio

Gregotti: «Impossibile costruire se tutto è immagine o evento» Particolarità «La nostra pratica artistica è caratterizzata da tempi lunghi di realizzazione e richiede autonomia del progetto»
Più e più volte i solerti seguaci di Hegel hanno annunciato la «morte dell'arte», che poi l'ha sempre scampata. Ma di recente, in Italia, è il De profundis dell'architettura a tener banco, a man sinistra con l'antropologia apocalittica di La Cecla (Contro l'architettura) e l'ambientalismo mistico-pop di Celentano; a man destra con la difesa identitaria anti-grattacieli di Berlusconi e del «ritorno ai valori» dei conservatori. Se La Cecla aveva diagnosticato il male dell'architettura nella sua «riduzione a griffe», e il curatore della Biennale, Aaron Betsky, aveva già liquidato la disciplina con un paradossale «gli edifici sono tombe», Vittorio Gregotti lancia invece un appello Contro la fine dell'architettura (Einaudi, pp.134, 10), l'arte alla quale ha dato una vita. Il cardiogramma che Gregotti fa alla disciplina ricorda in parte quello di La Cecla: il sistema delle comunicazioni ha fagocitato il vitruvianesimo, l'architettura è stata ridotta a oggetto d'arte, l'immagine prevale sulla composizione, lo stile formale sull'istanza sociale. Oggi il carattere di rappresentazione - pubblicitario e comunicativo - travalica l'analisi territoriale (la cosiddetta indifferenza al contesto) e ciò porta a una liquidazione generale dell'idea di opera. «Oggi è la riproducibilità alla diffusione dell'immagine, la moltiplicazione del suo valore espositivo» che conta, «e questo è precisamente il contrario di un atto di scelta politica. Sono questi valori che decretano il successo mediatico», denuncia. Al valore culturale, sociale e religioso delle opere si è sostituito «il solo valore espositivo che vanifica in modo diverso le specificità disciplinari», anche se bisogna sottolineare che già nel Settecento e nell'Ottocento l'attività espositiva era propria dell'arte. «Oggi le pratiche artistiche tentano di far coincidere con la nozione di comunicazione il tutto» (a dire il vero identificava l'architettura con la comunicazione il «semiologo» Umberto Eco in La struttura assente del ' 66) invece la nozione di comunicazione «è solo una componente». Tutto ciò spinge alla feticizzazione dell'architettura, dalla quale pensavamo di esserci liberati con L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin del 1936. Ma come uscire da quello che appare a Gregotti un territorio di liquefazione? Partendo dalla definizione dell'identità disciplinare. L'architettura è «una pratica artistica del tutto particolare», afferma, «che vive sul crinale di diverse discipline», è caratterizzata «da tempi lunghi di realizzazione» e «richiede autonomia del progetto», punti cardinali del vitruvianesimo, questi, messi in crisi dal consumo «evenemenziale». La rifondazione va effettuata partendo da un «punto interno», che deve poi aprirsi verso le altre discipline (specie le tecniche assunte criticamente all' interno del progetto) mantenendo una sua autonomia. E' una prospettiva possibile? «Una disciplina - diceva Michel Foucault in una Lezione al Collège de France nel 1970 - si definisce per un dominio di oggetti, un insieme di metodi, un corpo di proposizioni considerate come vere, un gioco di regole e di definizioni, di tecniche e di strumenti che si costituisce come una sorta di sistema anonimo»: ma oggi è ancora pensabile un recinto disciplinare fatto di invarianti e non di contaminazioni dissolutorie? Si possono pensare l'architetto come garante della genesi dell'opera; il labirinto, la capanna o il ponte come archetipi e l'edificazione come luogo del «disvelamento» grazie alla tecnica? «Io credo che il lavoro di fantasia sia ciò che salva l' architettura e ciò da cui ripartire - afferma Gillo Dorfles -. Anche se talvolta scade come nei casi di Gehry. Liberarsi dal dogma della Razionalismo, ad esempio dal vetro e cemento come sua espressione, è stato positivo, come dimostra la Fiera di Milano realizzata da Fuksas, dove elementi come la tecnologia e la comunicazione hanno avuto ruoli fondamentali per differenziarsi dalla tradizione. Credo che sia possibile anche continuare a confrontarsi con gli elementi pubblicitari, ma solo nell'architettura transitoria». E aggiunge il 97enne Dorfles: «Anche il sovrapporsi della figura dell'architetto a quella dello stilista non mi disturba: il sapere sul quale non bisogna dimenticarsi di rifondare una disciplina come l'architettura è quello dell'inventiva». «Sono totalmente d'accordo con Vittorio Gregotti - afferma invece l'urbanista Giuseppe Campos Venuti -: comunicazione e pubblicità hanno rovinato il mondo dell'architettura. Ma quello che più di ogni altro lo ha distrutto è la speculazione, alla quale l'architettura ha fornito anche una copertura, come dimostra ancora oggi il grottesco progetto City Life a Milano: l'architettura talvolta copre la speculazione e ciò avviene, naturalmente, anche per la comunicazione». E aggiunge: «Non mi disturba la ricerca formale: Zaha Hadid ha grande forza; ma poi la disciplina risulta sempre subalterna sul piano pratico alla forza dell'economia, di un capitalismo che ormai punta solo sui valori d'uso e di scambio e mai sulla qualità: è così che un ipermercato diventa una pubblica piazza». Ma se si dovesse passare dalla diagnosi alla cura, Campos Venuti non pensa possibile alcuna rifondazione della disciplina: «Si deve combattere la patologia caso per caso sul piano politico e anche su quello comportamentale: basta con le archistar che si "prostituiscono"».
Panza Pierluigi
Pagina 57
(28 novembre 2008) - Corriere della Sera

 

Padiglioni, piazze e collegamenti così l' Expo cambierà Rho-Pero
La «Via d'acqua» è l'opera decisamente meno economica della lista della spesa per l'Expo: 331 milioni di euro. Non a caso è anche quella che più di tutte rischia di non vedere mai la luce. SEGUE DALLA PRIMA DI MILANO Sul canale per far andare i visitatori del 2015 in piroscafo sui Navigli, in realtà, si potrebbe alla fine soprassedere. Anche perché ancora non c'è uno studio di fattibilità e nessuno può dire davvero alla fine quanto potrebbe costare. Non si potrà proprio invece fare a meno dei 230 milioni di euro per costruire la grande piazza e porta d'accesso all'Expo a ovest, dei 251 per i padiglioni e le piazze tematiche. Dei 220 milioni necessari solo per fare tutti quegli uffici e spazi pubblici che dovevano finire nella torre di 200 metri d'altezza affossata, subito dopo la vittoria, dal sindaco Moratti che anche senza grattacielo da qualche parte bisognerà pure mettere. Ma soprattutto non si potrà fare a mano di spendere 1,3 miliardi di euro per permettere ai 29 milioni di visitatori previsti di arrivarci, al recinto espositivo a Rho-Pero. Messe tutte insieme le opere minime per fare l'Expo, attrezzando l'area che lo ospiterà, costeranno 3,2 miliardi di euro. Eccola, la lista della spesa del 2015. Quella che dal dossier di candidatura è diventata l'allegato ufficiale al decreto-Berlusconi sugli "Interventi necessari per la realizzazione dell'Expo Milano". Quello che manca, però, sono le certezze su come trovare tutti quei soldi. Formalmente ci sono (1,48 miliardi dallo Stato, 851 milioni dagli enti locali), ma sostanzialmente sono tutti soldi virtuali. Impegni messi a bilancio negli anni a venire che poi dovranno essere confermati in assegni veri. E poi: 891 milioni dovranno metterceli i privati, e qui impegni per ora non ce ne potevano essere e difatti non ce ne sono. Anche qui, si dovrà aspettare. Già sapendo del resto che la lista della spesa di 3,2 miliardi per Rho-Pero è solo una parte della faccenda: per arrivare preparati al 2015 è previsto che sia realizzato anche quel mare di opere pubbliche che non sono direttamente collegate all'Expo ma che serviranno per accogliere la gente. Le autostrade Brebemi, Pedemontana e Tem, le nuove metropolitane 4 e 5 di Milano. Un pacchetto da oltre 11 miliardi di euro, con un buco di 2 miliardi. Almeno il decreto però c'è, anche se la Moratti l'ha dovuto aspettare per sei mesi, tra liti su poteri e poltrone nella società speciale Soge, che dovrà gestire quei 3,2 miliardi di euro di finanziamenti e cantieri. L'attesa infinita finirà lunedì, con il suo battesimo dal notaio. L'operazione-Expo, seppure in clamoroso ritardo, può dunque ripartire dalla lista della spesa a Rho-Pero. Alto il capitolo reti di ultima generazione: 73 milioni per gli impianti interrati, 60 milioni per telecomunicazioni e digitalizzazione, 136 milioni per la stazione elettrica. Importante la spesa per creare l'ambiente che vedranno i visitatori: 72 milioni solo per il parco e il boulevard che lo attraverserà, 251 milioni per i padiglioni espostivi e le piazze tematiche, 15 milioni per l'auditorium e l' anfiteatro. E ancora, 220 milioni per gli uffici e gli spazi pubblici (quelli che dovranno restare anche dopo che l'Expo sarà finito, anche se ancora non si sa come verranno riutilizzati), 34 milioni per allestire l' area di smistamento delle merci. La voce più economica sono i parcheggi: 8 milioni in tutto a Rho-Pero, riservati del resto ai bus navetta ecologici che faranno la spola con i veri autosilo a Rho, Baranzate e Arese che saranno lontani dai padiglioni. Questi sì che costeranno 63 milioni. Gli interventi stradali, da soli, sono la voce di spesa più forte: 1,3 miliardi di euro, con i parcheggi già citati, i 376 milioni per collegamenti stradali con un nuovo svincolo sull'Autolaghi alla nuova Fiera, nuove strade tra Molino Dorino e Cascina Merlata alle spalle della sede espositiva, un ulteriore potenziamento della Statale del Sempione. E soprattutto, altri 870 milioni di euro per la cosiddetta linea 6 della metropolitana, che sarà una nuova linea sotterranea ibrida: il tracciato da via Castelbarco in zona Sud a Pagano servirà a ricucire, e dunque potenziare, la Rossa, la Verde, la Gialla e la futura M4.
GIUSEPPINA PIANO
La Repubblica
28-11-08, pagina 1 sezione MILANO

 

Appello anti-cemento consegnato al sindaco
Dopo l'annuncio, è stato consegnato ieri al sindaco Letizia Moratti l'appello di cinquecento intellettuali milanesi contro i grattacieli. Primi firmatari Luca Beltrami Gadola, Carlo Montalbetti e Marco Vitale. Tra i tanti che hanno aderito all'iniziativa, Guido Artom, Giampaolo Artoni, Paolo Biscottini, Fiorello Cortiana, Rolando Matrodonato, Anita Sonego, Roberto Del Giudice, Damiano Di Simine, Ugo Targetti, Vittorio Gregotti, Guido Martinotti, Michele Sacerdoti, Carla Fossati Bellani, Francesca Zajczyk e Marco Zanuso. «Nel progresso c'è la qualità della vita - sta scritto nella lettera al sindaco - Crescita e sviluppo, queste idee passepartout, sono solo due dei molti strumenti del progresso e, se non hanno per fine il progresso stesso, sono mine vaganti che abbagliano e distraggono l'intelligenza. Si propone oggi, nel nome della crescita e del progresso, di aumentare in misura enorme il volume costruito nella nostra città e di cercare di attrarre ad essa un numero altissimo di nuovi abitanti, e ciò senza indicare una strategia seria, realizzabile e che tenga conto in modo appropriato dei rapporti tra la grande Milano, dove abitano e presumibilmente continueranno ad abitare tanti cittadini, e la nostra città. è assente invece ogni indirizzo e pensiero su come organizzare la grande Milano secondo l'impostazione urbanistica chiamata Città di Città che è stata oggetto di seri studi anche nella nostra città». Prosegue la lettera-appello: «L'edificabilità dei suoli, bene collettivo, è una risorsa finita e non rinnovabile. Siamo dunque preoccupati che un uso disinvolto di questa risorsa ci impoverisca e renda il futuro della città, già poco rassicurante, ancora più incerto e complesso».
La Repubblica
29-11-08, pagina 11 sezione MILANO


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