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Settimana del 10 Novembre 2008

Dal 17.11.2008 al 19.11.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia

Expo, via alla maratona sull'urbanistica
Comincia oggi in consiglio comunale la discussione sullo sviluppo urbanistico della città in vista dell'Expo 2015. Al documento presentato dall'assessore Carlo Masseroli, che dovrebbe anticipare il nuovo piano di governo del territorio, sono già stati presentati 101 emendamenti da tutte le parti politiche. Il centrosinistra chiede più garanzie per evitare l'eccessiva cementificazione della città; il centrodestra, al contrario, vorrebbe alzare ancora l'indice di edificabilità che la giunta propone di portare a 1 metro quadrato di costruito per metro quadrato di terreno (attualmente è 0,65). E la Lega, contrarissima, si mette di traverso con una lettera al sindaco in cui il capogruppo Salvini attacca «chi in nome dell'Expo pensa al cemento». Ma la battaglia, già preannunciata, rischia di inasprirsi ancora di più. Il Partito democratico, infatti, è pronto a bloccare i lavori dell'aula se Letizia Moratti non fisserà la data della seduta straordinaria sull'Esposizione universale promessa lo scorso 16 ottobre, quando il sindaco face il suo secondo discorso ai consiglieri dall'inizio del suo mandato. «Allora la Moratti aveva assicurato - dice Pierfrancesco Majorino - che sarebbe tornata in Consiglio nella prima settimana di novembre per discutere della governance. Ma ancora non abbiamo avuto notizie». Manfredi Palmeri, presidente del consiglio comunale, spiega: «Il sindaco ha ribadito la sua disponibilità a venire in aula. Al più presto sarà fissata la data. Sarà un momento di confronto importante su un tema strategico per la nostra città».
TERESA MONESTIROLI
La Repubblica
10-11-08, pagina 2 sezione MILANO

 

'Due milioni di milanesi? Una favola campata in aria'
«Senta, l'intervista posso cominciarla facendo io una domanda, agli amministratori di Milano? E’ una cosa che mi chiedo da quando ho letto che puntano a riportare la città a due milioni di abitanti: ma hanno dietro degli studi, un'analisi di previsione, uno scenario che faccia pensare a una tendenza espansiva di Milano, con la crisi che c'è e con la disoccupazione che è facile prevedere almeno per il 2009? Perché se così non fosse, le cifre che si fanno circolare lasciano perplessi. Anzi, mi sembrano francamente campate in aria». Gae Aulenti, architetto di lungo corso che ha legato la propria carriera a celebri allestimenti di interni (dalla Gare d'Orsay a Parigi a Palazzo Grassi a Venezia) ma anche a interventi sul tessuto urbano come il piazzale della stazione Cadorna, è a dir poco critica sull'idea di riportare 700mila pendolari dall'hinterland alla cerchia urbana: «Basta pensare alle ragioni per cui sono scappati, che sono i costi eccessivi delle case in città o la loro mancanza. Un prezzo che pagano dormendo troppo poco per venire tutti i giorni a lavorare a Milano. Ma sembra difficile immaginare che lasciando fare al mercato si possa indurli davvero a ritornare». Però un buon motivo per farlo ci sarebbe, no? Meno pendolarismo, meno traffico, meno consumo del suolo... «Certo, è tutto vero. Però con le intenzioni, da sole, non si governa. E allora bisognerebbe pianificare seriamente come riuscirci. Alzando gli indici di edificabilità, al contrario, si finirà solo per replicare la disastrosa esperienza della liberalizzazione dei sottotetti, che hanno prodotto più traffico senza risolvere nulla». Un'idea che sembra ampiamente condivisa è evitare che l'espansione urbanistica dilaghi ulteriormente all'esterno della metropoli. «La condivido in pieno anch'io, sono perfettamente d'accordo con Renzo Piano che parla di tirare una linea verde intorno all'area urbana, e con progetti come il Metrobosco, a cui ha lavorato anche Stefano Boeri, per disegnare una cintura di campi e boschi invalicabile per i nuovi cantieri. Con le previsioni di crisi per lo meno per tutto il prossimo anno, comunque, sarebbe difficile pensare altrimenti. La realtà ben nota è che anche alcuni dei grandi progetti in corso rallentano, quando non si bloccano per mancanza di fondi come Santa Giulia». Resta il fatto che buona parte dei nuovi quartieri e grattacieli sono per uffici, mentre si calcola che servirebbero 40 o 50 mila nuovi alloggi a costo sostenibile. «Infatti sono anche favorevole all'ipotesi ventilata da Boeri l'altro giorno nell'intervista a Repubblica, di riconvertire in residenza parte degli spazi commerciali e per il terziario che di questo passo sono destinati a restare sfitti». Anche il quel caso, non sarà comunque un problema di costo? Costruendoli, le imprese non pensavano certo a canoni sociali... «Badi che già tenere vuoto un ufficio è un costo piuttosto alto, e se si trattasse di ridurre un danno già in atto, qualche intervento di intelligente politica sociale potrebbe rendere quella via praticabile». Pensa al ritorno alla destinazione residenziale di tanti palazzi nobili del centro diventati uffici, o anche alle nuove costruzioni? «Direi proprio ai tanti brutti grattacieli semivuoti che si vedono verso le periferie. Ma naturalmente bisogna anche proseguire a chiudere i tanti piccoli "buchi" nel tessuto urbano lasciati da una programmazione carente. L'importante è farlo stabilendo regole certe, durevoli e uguali per tutti. Per questo non mi convince affatto l'idea di un aumento generalizzato degli indici di edificabilità: ma perché, per donarli a chi, per farci che cosa? Prima bisognerebbe perlomeno fare un'indagine seria per stabilire quanti metri cubi servono davvero alla città. Viene davvero nostalgia dei piani Ina casa degli anni Cinquanta o, per restare a Milano, del progetto QT8». A proposito, lei come giudica la qualità architettonica degli interventi più recenti in città? «Ci sono molte brutture, ma Milano è anche la città della Torre Velasca, del Pirellone, della Triennale di Muzio, e poi dei begli edifici della Bicocca di Gregotti e di quello di Piano in via Monte Rosa». E i nuovi grattacieli? «Non tutti saranno belli. Ma se si parla di Citylife, lì il problema è un altro, è il quartiere che è sbagliato. Cala dall'alto, è poco legato al tessuto circostante, rischia di essere come la vecchia Fiera: un recinto con degli edifici dentro, non un pezzo di città».
MAURIZIO BONO
La Repubblica
10-11-08, pagina 2 sezione MILANO


Come godono gli speculatori
"È un'occasione d'oro non lasciamola ai privati"

Repubblica ha pubblicato la scorsa settimana una accanto all'altra, a diretto e certo non casuale confronto, due pagine di dichiarazioni opposte intorno al possibile futuro di Milano. Su una, le dichiarazioni della volontà dei responsabili dell'amministrazione comunale di aumentare di 700mila abitanti la città e gli indici di edificabilità urbana; sulla pagina accanto un'opinione assai diversa.


Berlusconi benedice il piano-case più vicino l'ok del Consiglio. Il premier riceve ad Arcore Masseroli: "Andate avanti". Fi si adegua al documento della giunta per alzare di un terzo l'edificabilità di Stefano Rossi


"È un'occasione d'oro non lasciamola ai privati". Corritore: l'obiettivo deve essere proporre abitazioni a prezzi accessibili. "Ormai anche la classe media fatica a sostenere i costi del mercato attuale" di Teresa Monestiroli
La Repubblica
11-11-2008
Vittorio Gregotti e AA.VV.
(Dalla rassegna stampa del sito Archiworld.it)


De Lucchi, l'architetto che amava le tempere
Alle origini c'è un disegno. Queste le parole alla base del lavoro dell'architetto e designer Michele De Lucchi. Fino al 17 novembre la Galleria Antonia Jannone di corso Garibaldi 125, specializzata da anni in architettura e pittura legata alla progettazione, mette in mostra quaranta disegni a tempera di grande e medio formato, appunti, acquerelli, realizzati dal 2003 al 2005. Convinto assertore dell'architettura radicale e sperimentale, De Lucchi (classe 1951), ferrarese di origine ma milanese di adozione, è stato tra i protagonisti dei Movimenti Cavart, Alchymia e Memphis.
Luciana Baldrighi
Il Giornale
11-11-2008
(Dalla rassegna stampa del sito Archiworld.it)


Architetti pronti a valorizzare natura e ambiente
Per uscire dalla crisi occorre una nuova architettura ecometropolitana fondata, cioè, su una "nuova alleanza" con la natura. Ne sono convinti gli architetti lombardi riunitisi a Monza nei giorni scorsi. «Spazio e ambiente sono messi a dura prova - sottolinea Ferruccio Favaron, presidente della Consulta regionale - ed è arrivato il momento di parlare di un'architettura in simbiosi con la natura».
Simona Elli
Il Sole 24Ore
12-11-2008
(Dalla rassegna stampa del sito Archiworld.it)

 

Dibattiti Escono in italiano gli scritti del filosofo francese sull'arte di edificare la città
L'architettura processa Derrida
«Cattivo maestro» o «utopista», ha armato la mano delle archistar

La storia dei grattacieli storti, disassati, antisimmetrici - prima invocati per non escludere l'Italia dalla nouvelle vogue architettonica, poi denunciati come edifici alla moda e incompatibili con il contesto urbano della città europea -, ha una data di inizio, che si può fissare nel 1985. È l'anno in cui l'architetto Bernard Tschumi, vincitore del concorso per costruire il Parc de la Villette a Parigi, chiese al filosofo Jacques Derrida di collaborare con lui e con Peter Eisenman. Preso alla sprovvista, Derrida pensò che il suo propagandato «oltrepassamento della metafisica» attraverso la decostruzione della «traccia» potesse sperimentarsi anche in architettura. Dalla collaborazione con Eisenman nacque un abbozzo non realizzato, ma Derrida scrisse la presentazione dell'intervento al parco parigino realizzato da Tschumi intitolandola Point de folie - maintenant l'architecture, poi pubblicata in Psyché nel 1987 (parzialmente tradotta in italiano nell'antologia Estetica dell' Architettura edita da Guerini nel 1996). I «punti di follia» di cui parla Derrida sono rappresentati materialmente dalle folies, ovvero 42 casotti quadrati di colore rosso disseminati nel parco secondo una griglia rigida, uguali di misura ma ogni volta decostruiti, con funzioni d'uso diverse e arricchiti con differenti elementi pop: ora un gigantesco orologio, ora un sottomarino che fa da hall di ingresso, ora la ruota di un mulino (nella foto). L'intervento di Derrida suscitò un dibattito che trovò nuovo esito quando, nel 1988 al Moma di New York, Philip Johnson e Mark Wigley realizzarono una mostra di nuovi progetti intitolandola «Deconstructiviste Architecture». A quel punto il cortocircuito era avvenuto, e le «archistar» misero mano alla matita. Quell'intervento di Derrida, insieme ai dibattiti che ne seguirono, e ad altre riflessioni del filosofo sull'architettura, trovano ora definitiva pubblicazione italiana in un libro a cura di Francesco Vitale (Adesso l'architettura, Scheiwiller, pp. 372, 24). Questi saggi si configurano come un rapsodico commentario teorico all'architettura decostruttivista, non come una teoria. Il filosofo francese, non immune dallo scivolare in contorti esercizi di stile, lancia più che altro spunti di riflessione, argomenti senza però, come suo proprio stile, arrivare a definire un nuovo metodo e, ancor meno, statuti costitutivi di una disciplina. Come evidenzia nel saggio poi raccolto in Psyché, ciò che sarebbe da decostruire per Derrida è l'idea stessa che «l'architettura debba avere un senso, debba presentarlo e significare qualcosa». L'esperienza della decostruzione deve intervenire sul senso dell'abitare, sulla gerarchia dell' organizzazione architettonica, sull' idea che l'architettura debba essere al servizio di qualcos'altro e in vista di un fine. E anche sull' idea che l' architettura rientri nel campo delle belle arti, aspetto quest'ultimo che però, secondo l'antropologo Franco La Cecla, il decostruttivismo «ha invece favorito». «Il concetto di architettura è esso stesso un constructum mentale - scrive Derrida -. Un'assiomatica attraversa, impassibile, imperturbabile, la storia dell'architettura. Un'assiomatica, cioè un insieme organizzato di valutazioni fondamentali sempre presupposte. Questa gerarchia si è fissata nella pietra, informa ormai tutto lo spazio sociale». Per Derrida questa assiomatica, che coincide con l'intera storia del vitruvianesimo, ovvero quella che il critico inglese John Summerson ha definito Il linguaggio classico dell'architettura (1966) è da decostruire. A distanza di una ventina d'anni da queste proposte teoriche, l'uscita in italiano di questi testi è l'occasione per una prima verifica della stagione alla quale hanno fornito supporto teorico, prima che tutti gli studenti di architettura si mettano a laurearsi solo su edifici storti. Questa stagione è fatta di «oggetti» riusciti (Guggenheim di Bilbao di Gehry), parzialmente riusciti (Museo ebraico di Berlino di Libeskind), falliti (uffici al Mit di Gehry), in arrivo (grattacieli storti di Libeskind, Isozaki e Hadid a Milano), edifici riusciti e altri mostruosi nella provincia italiana. Decostruire il vitruvianesimo ha voluto dire superare la storia della trattatistica, dimenticare abdicare di fronte a metodi, tipologie, logiche urbanistiche per aprirsi a alla «chance», all'heideggeriano «far spazio». Una direzione scelta ancora da Aaron Betsky nell'ultima Biennale di architettura, nella quale si vuole «andare oltre l'edificio perché gli edifici ormai sono tombe», afferma Betsky, che vede in Derrida una carica di utile utopismo. Si tratta di una dimensione nella quale il relativismo nichilista si presenta come alternativa alla costruzione razionale. Il gioco, prende il posto della meccanica razionale e la dimensione nietzschiana della Gaia scienza e del dionisiaco il posto dell'illuministico «rigorismo» architettonico. Tanto che un teorico che punta tutto sulla geometria, come Nikos Salingaros, boccia senza mezzi termini Derrida come «cattivo maestro»: «Le sue sono parole vuote. Derrida ha decostruito prima la letteratura e la lingua, tagliando i legami tra significati che formano la base della comunicazione. Poi, ha voluto applicare lo stesso metodo distruttivo all'architettura. Solo che non era nemmeno capace di farlo, perché non sapeva niente di geometria. Il suo discorso con Eisenmann per il Parc de la Villette è assurdo. Senza volerlo, Eisenman ha mostrato che le idee di Derrida sono un metodo per distruggere, non per costruire». Il critico: Suggestioni utili, penso che i processi di analisi e le allusioni contenuti nei libri di Derrida siano stati utili per l'architettura, nel senso che danno il senso della realtà. Al di là delle allusive e retoriche espressioni di cui sono fatti, i testi ci attraggono perché fanno capire che possiamo costruire ambienti diversi - sia palazzi che «discorsi» - come è attraente la sua tecnica di «invaginazione» della realtà. Ma non posso dire di aver mai visto il lavoro di Derrida veramente «applicato» all'architettura con soddisfazione. Il matematico: parole senza senso Derrida ha decostruito la filosofia, poi ha voluto applicare lo stesso metodo distruttivo alla architettura. Non era capace di farlo, ma ha trovato seguaci contenti di adottare una filosofia esoterica. La conversazione tra Eisenman e Derrida è assurda: l'architetto gli chiede di disegnare un'idea e lui rifiuta, perché le sue sono parole vuote. Eisenman ha mostrato involontariamente che le idee di Derrida sanno solo distruggere, non costruire.
Panza Pierluigi
Pagina 47
(15 novembre 2008) - Corriere della Sera


Chinatown, lunedì a rischio il Comune schiera i vigili
Dieci pattuglie di vigili e cinque telecamere - vigileranno da domani mattina che tutto funzioni al meglio per l' esordio della zona a traffico limitato in via Paolo Sarpi. Gli agenti della polizia locale, dislocati ai varchi d' accesso dell' attesa quanto problematica isola pedonale, saranno pronti a dare indicazioni a chi ancora non conosce tutte le novità della viabilità e delle regole su sosta, carico e scarico nella zona. Ma anche, blocchetti alla mano, saranno pronti a dare multe a chi infrangerà i divieti. Settanta euro a chi entrerà nella ztl senza avere uno degli oltre mille pass distribuiti ai residenti. Ventidue per chi circolerà sulla carreggiata con i carrellini per trasportare merce fuori dagli orari consentiti. Una multa che sembra ritagliata sui commercianti cinesi della zona, e del resto il vicesindaco Riccardo De Corato su questo punto è stato chiaro: «L' operazione ha un solo obiettivo, spostare altrove i 350 grossisti cinesi». Ed è chiaro, alla vigilia della partenza dell' isola, anche su un altro punto: «Se dovessero esserci problemi ognuno si assumerà le proprie responsabilità: alla base di questo provvedimento ci sono due mozioni del consiglio comunale e oltre duemila firme di residenti stanchi della situazione attuale. Quindi se la comunità cinese dovesse creare tensioni ne risponderà nelle sedi opportune». Da parte sua Palazzo Marino assicura di aver studiato nei dettagli tutti gli aspetti di quella che è stata presentata come un' esperienza unica in Europa, con la chiusura parziale al traffico di una zona molto popolata, con 1.200 residenti. La prova del fuoco arriverà quindi domani ben prima dell' alba: dalle 6 alle 7,30, infatti, l' accesso alle vie Sarpi, Albertini, Signorelli, Messina (nel tratto da via Sarpi a via Fioravanti), Arnolfo di Cambio e Braccio da Montone sarà consentito ai veicoli commerciali di edicole, alimentari e ristoranti. Più tardi, dalle 10 alle 12.30, il carico e scarico sarà consentito a tutti gli altri commercianti, nella maggior parte, quindi, i grossisti asiatici che hanno negozi e depositi a Chinatown. Poi, per tutto il resto della giornata, stop tassativo a tutte le consegne: potranno circolare e fermarsi sulle 200 strisce gialle solo i residenti dotati di regolare permesso. Tutti gli altri dovranno fermarsi fuori dalla ztl, parcheggiando magari sulle 356 strisce blu disegnate nel piazzale davanti al Cimitero Monumentale, in attesa della cinquantina di posti aggiuntivi che il Comune sta approntando davanti alla Fabbrica del Vapore, tra via Nono e piazza Coriolano. E sul tema parcheggi, interviene il consigliere comunale dei Verdi Maurizio Baruffi che ricorda: «In via Crispi angolo piazzale Baiamonti c'è un autolavaggio ormai vuoto, è proprietà demaniale: in quell'area si potrebbero recuperare facilmente almeno altri cento posti auto».
ORIANA LISO
La Repubblica
16-11-08, pagina 4 sezione MILANO


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