Caricamento...

Settimana dell'8 Settembre 2008

Dal 15.09.2008 al 17.09.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia

L' appello. L' economista americano presenta la sua «Carta» venerdì alla Biennale di Venezia
Rifkin ridisegna l' architettura
«Niente nuovi edifici che sprecano, meglio riciclare i vecchi»

La terza rivoluzione industriale, quella che dovrebbe coinvolgere direttamente l' architettura, comincerà in maniera ufficiale venerdì prossimo alle tre del pomeriggio nel Teatro Piccolo della Biennale di Venezia. Quando Jeremy Rifkin (l' economista americano presidente della Foundation of Economic Trends nonché responsabile di saggi in cui ha più volte analizzato l' impatto del progresso sull' economia e sull' ambiente) presenterà la sua «Carta per l' architettura del prossimo millennio». Una Carta che per certi versi ricorda l' appello lanciato poco tempo fa dal Nobel per la pace Muhammad Yunus dal Congresso mondiale degli architetti di Torino: «I progettisti si confrontino realmente con quello che c' è nelle nostre città - aveva detto Yunus -. Tutto il resto, per quanto bellissimo, è destinato a rimanere soltanto un esercizio di stile». All' apparenza quasi una contraddizione visto che il curatore di questa edizione, l' americano Aaron Betsky, ha scelto di dedicarsi alla «progettazione dell' utopia». Dopo anni di grattacieli con pannelli solari «ecologicamente corretti», Rifkin ha deciso in qualche modo di fare ordine nel mondo della sostenibilità facendosi promotore, all' inizio dell' anno, di questa «Carta» poi affidata (per la redazione) ad un piccolo gruppo internazionale di architetti particolarmente sensibili alle tematiche dell' ambiente e dell' ecologia, scelti dallo stesso Rifkin: gli spagnoli Enric Ruiz Geli del Gruppo Cloud9 (suoi i giochi d' acqua dell' Expo di Saragozza) e José Luis Vallejo di Ecosistema urbano (esperto soprattutto di «edifici verdi»); l' olandese Jan Jongert di 2012Architecten (tra i suoi progetti anche uno per il riciclaggio dei rifiuti a Napoli); l' italiano Stefano Boeri di Boeri Studio (che firma il Bosco Verticale all' Isola di Milano). La rivista «Abitare», diretta appunto da Boeri, presenterà tra l' altro nell' ambito della medesima Biennale un' installazione denominata «Sostenibili distopie» che si propone di riflettere sulle nuove prospettive del rapporto tra natura e città. Rifkin si propone così di presentare nell' ambito della Biennale di Venezia (il progetto è però «solo ospitato» ed è «autonomo» rispetto alla manifestazione come spiega Emiliano Gandolfi coordinatore del Padiglione Italia e «interfaccia» di Rifkin nella realizzazione di questa «Carta») «un rivoluzionario concetto di architettura in cui case, uffici, shopping center, industrie e parchi tecnologici dovranno essere rinnovati oppure costruiti ex novo come luoghi dove vivere ma anche come fonti di energia». Naturalmente sostenibile. Per questo i nuovi edifici «non potranno soltanto raccogliere ma anche produrre energia dal sole, dal vento, dai rifiuti, dal mare». Proseguendo la sua riflessione sul mondo dopo Internet, Rifkin (autore di libri come L' era dell' accesso o Il sogno europeo editi in Italia da Mondadori) ha individuato proprio nell' architettura «la base» per quella «parcellizzazione energetica» che assicurerebbe il futuro della nostra civiltà. Appunto per questo Rifkin lancia un invito, nemmeno tanto velato agli architetti, in particolare a quelli (o meglio sarebbe dire contro quelli) «che costruiscono edifici magniloquenti di grande impatto visivo ma anche dal notevole dispendio energetico» (chiaro il riferimento alle archistar), invocando invece la costruzione di nuovi edifici o il riciclaggio di vecchi spazi che siano comunque «autosufficienti», «associati in una rete decentralizzata che si ispira al Web» e che dovrebbe rappresentare la base di questa Terza Rivoluzione Industriale. Per giustificare la propria scelta l' economista americano ritrova concetti di cui si è più volte fatto portatore. Ad esempio: «la drammatica crescita delle emissioni di diossina» o «il minaccioso incremento della temperatura terrestre» che mettono a rischio la nostra umanità. Perché se è vero che l' architettura rappresenta un elemento di possibile sviluppo, altrettanto vero è che «gli edifici sono oggi tra i maggiori responsabili dell' assurdo consumo di energia» (come delle emissioni di anidride carbonica) e del «terribile aumento della temperatura terrestre». Rifkin conclude lanciando un appello verso possibili forme di collaborazione tra le industrie e il potere in genere (economico ma anche politico) con l' intenzione di sviluppare forme di energia sostenibile. Ma anche per trasformare «la rete mondiale dell' energia in tante piccole reti secondarie ispirate al modello di Internet» che consentano «alle istituzioni, ai produttori ma anche ai semplici consumatori di produrre energia e di scambiarla attraverso regioni e continenti» (generando al tempo stesso sviluppo e democrazia). Quali saranno le reazioni all' appello di Rifkin? I primi effetti saranno comunque immediati: subito dopo la presentazione sarà già possibile firmare quella «Carta». * * * Il brano La terza rivoluzione dell' industria Anticipiamo un brano della «Carta» che Jeremy Rifkin presenterà venerdì nell' ambito della Biennale di Venezia: «Bisogna dunque riconoscere che le più recenti svolte della tecnologia hanno ormai reso concreta, per la prima volta, la possibilità di riconfigurare gli edifici già esistenti e di disegnarne di nuovi capaci di creare energia in modo autonomo da fonti locali rinnovabili, permettendoci di ridefinire questi stessi edifici come veri e propri "impianti energetici" (...). Questi edifici e la trasformazione di tante "reti" in altrettanti network "intelligenti" in grado di trasformare e distribuire l' energia apriranno di fatto la porta alla terza rivoluzione industriale del 21esimo secolo».
Bucci Stefano
Pagina 43
(9 settembre 2008) - Corriere della Sera


Il caso La rassegna veneziana punta sulle suggestioni e dimentica la città e la sua tradizioneUna Biennale contro l'architettura
Betsky: gli edifici sono morti. La risposta del Padiglione italiano: sbagliato

A prenderla dal lato positivo, si può dire che la Biennale d' Architettura, intitolata Out There: Architecture Beyond Building, curata dall' americano di formazione olandese Aaron Betsky, e il Padiglione Italiano della stessa rassegna, intitolato L' Italia cerca casa, a cura di Francesco Garofalo, docente a Pescara, siano complementari. A prenderla dal lato critico, invece, il secondo sembra il controcanto della mostra stessa: se la rassegna di Betsky vuole andare, come dice il titolo, «oltre l' architettura» perché, afferma l' ex direttore del Netherlands Architecture Institute di Rotterdam, «l' architettura non è il costruire» (per quanto il titolo di una decina di trattati dal XVII al XIX secolo, intitolati Architecture, l' art de batir induca a pensare l' esatto contrario), il Padiglione Italiano «pone al centro della sfida architettonica - afferma Garofalo - la questione della casa». Perché, nonostante quelli costruiti in Italia «siano passati dai 160.000 alloggi del 2000 ai 350.000 del 2007, c' è un' emergenza casa abbastanza inquietante». Non è un caso che il debito privato delle famiglie italiane (circa 300 miliardi di euro), per oltre l' 83% dipende dai mutui casa. E gli affitti siano aumentati negli ultimi anni del 49%. Da qui la proposta di Garofalo (il curatore del Padiglione italiano, per la prima volta, è stato selezionato tra una rosa di cinque architetti individuati da un Comitato di valutazione istituito dal Ministro per i beni e le attività culturali): presentare idee e proposte «per la casa del futuro, ovvero la casa per ciascuno». Un' idea di architettura che è un po' il contrario di quella esposta da Betsky (scelto direttamente dal Cda della Biennale presieduto da Paolo Baratta) per la mostra: «Bisogna orientarsi verso un' architettura liberata dagli edifici, per affrontare i temi centrali della nostra società; invece di tombe dell' architettura, vale a dire gli edifici, bisogna presentare visioni ed esperimenti che ci aiutino a comprendere e a dare un senso al nostro mondo moderno». E ancora: «L' architettura deve porre, ragionare sui problemi, non risolverli». Dal che se ne deduce che per Betsky gli edifici non sono un tema centrale della nostra società; un aspetto, questo, da spiegare però a chi è strozzato dai mutui, ai giovani in attesa di una casa (che pure finanziano attraverso le loro tasse la Biennale) e agli immigrati. Insomma, dalle anticipazioni sulla rassegna (per il giudizio critico si deve attendere), anziché la metafora della «città come foresta» del futuro proposta dal teorico Marc Antoine Laugier a metà Settecento siamo alla metafora della «radura senza edifici» guidati da Betsky. Pur non potendo pretendere dagli architetti che facciano a meno di una «qualche vaghezza», il Padiglione Italiano ha il merito di provare a suggerire qualche risposta. Quella sul tema del riuso, avanzata dallo Studio Albori, è però una metafora macabra dell' eredità di Aldo Rossi (quello del cubo a Pertini di via Manzoni a Milano, per intendersi), che secondo Betsky era un architetto «ricco di immaginazione», ma dire il vero era grande studioso che lavorava sulla riproposta di tipologie tradizionali. Altre proposte del Padiglione italiano suggeriscono temi più strategici, come il modello di co-housing integrale di Andrea Branzi o come la casa da 100.000 euro, per 100 metri quadrati a zero emissioni di CO2, e, «a misura di desiderio», di Mario Cucinella. Più suggestioni che progetti veri e propri sono quelli proposti da Marco Navarra - che cerca di definire spazi per partecipazioni urbane multietniche - e da Italo Rota, che suggerisce l' idea del «mandala» indiano come modello di superamento del concetto di casa collettiva. Quasi paradossale la proposta del gruppo Stalker - Osservatorio Nomade, che suggerisce di «valorizzare le pratiche abitative e costruttive dei Rom e di inserirle in una proposta ammissibile dai non-Rom», una proposta nata da un cantiere-scuola di un mese nel campo Casilino 900. Certo che oggi, a 7 anni dall' 11 settembre 2001, più che andare «oltre» il costruito, o di rispondere all' esigenza abitativa prendendo spunto anche dai campi Rom, ci si poteva interrogare sul destino dei grattacieli e dei loro sistemi di sicurezza, sul rapporto con l' ambiente, sui nuovi materiali, sull' edilizia popolare e sugli spazi multietnici. Ci si poteva chiedere qualcosa sul destino della città! Ma per gli architetti interrogarsi direttamente sulla città sembra ormai poco; si va «oltre». La città e l' edilizia restano così i «convitati di pietra» di una rassegna fatta di video e installazioni «virtuali». Si celebra con gioia il funerale dello spazio fisico. Un po' come quando i filosofi vanno «Oltre il pensiero», verso l' «Oltrepassare».
Panza Pierluigi
Pagina 41
(10 settembre 2008) - Corriere della Sera

Progetto Entro il 2015 sei edifici si trasformeranno in mega schermi
Palazzi «vestiti» da immagini E le facciate diventano spot

Quella di piazza del Duomo coni suoi 487 metri quadri è la più grande d' Europa. L' obiettivo per il 2015, l' anno dell' Expo, è di averne almeno altre cinque. Media-facciate. Ovvero: palazzi che diventano comunicazione. Se ne è parlato ieri all' Ottagono della Galleria in un dibattito tra gli esperti di mediatecture, sintesi lessicale tra media e architecture. Era il 1977 quando Renzo Piano immaginò una superficie a led che rivestisse il Centro Pompidou di Parigi, capace di trasmettere immagini provenienti da tutto il mondo. Il progetto venne poi abbandonato per gli eccessivi costi. Bisognerà attendere ancora un decennio per la completa «medializzazione» di un palazzo con la Torre dei Venti a Yokohama: un caleidoscopio di immagini prodotto da migliaia di lampadine sensibili all' intensità del rumore del traffico urbano e alle variazioni di luce, vento e temperatura dell' aria. L' architettura diventa diventa elemento di rappresentazione della velocità, nuovo elemento del vivere sociale urbano. Negli anni ' 90 il boom definitivo. Oggi la mediatecture è sbarcata in 30 città del mondo diverse. A dicembre 2007 arriva in piazza del Duomo (ideata e realizzata da Urban Screen) la più grande media-facciata italiana, una struttura a led interattivi che garantisce la trasparenza sul retrostante Museo del Novecento, in costruzione. Per regolare l' utilizzo della struttura arriva anche un codice ad hoc sottoscritto dal Comune, titolare del cantiere e del futuro Museo del Novecento: una quota del 25% del palinsesto viene così riservata alla comunicazione istituzionale. Per il resto, la facciata offre un programmazione di cultura, comunicazione e sport. Il 29 gennaio 2008 arriva anche il primo collegamento simultaneo di strutture medializzate nei 7 continenti, attraverso il network internazionale di mediafacciate. Ora l' obiettivo Expo. Con la media-città, dietro l' angolo. Perché come dice Michael Bloomberg, sindaco di New York, «nulla più della città fa comunicazione».
A.Se.
Pagina 8
(10 settembre 2008) - Corriere della Sera


Il Neoclassico nascosto dentro i palazzi nobili
«Nel periodo neoclassico, il momento dei lumi, Milano era una città all' avanguardia per la circolazione delle idee e dei progetti», dice Marco Magnifico abbozzando un itineraio alla scoperta dei gioielli segreti dell' epoca. Un gioiellino architettonico settecentesco poco conosciuto è Palazzo Greppi, in via Sant' Antonio 10, disegnato dal Piermarini, oggi usato dall' università Statale per conferenze e incontri. Nel salone Napoleonico lo stile neoclassico si realizza attraverso monocromi in bianco e nero e con bassorilievi eseguiti da alcuni scultori del tempo su soggetti suggeriti, all' epoca, da Giuseppe Parini. Il poeta dettò anche i soggetti dei bassorilievi della facciata di Villa Reale, altra prova di quanto forte fosse in quel periodo la sinergia tra letterati, scultori e pittori. E sempre del Piermarini è Palazzo Belgioioso in piazza Belgioiso, che usò come modello per questo suo progetto la Reggia di Caserta realizzata da Luigi Vanvitelli, rielaborata e semplificata. Tra le migliori e prime espressioni dell' architettura neoclassica a Milano, oggi l' edificio è in gran parte affittato a studi e uffici. Nel piano nobile, tra stucchi e fregi, conserva un magnifico salone affrescato con temi mitologici cavallereschi dell' artista tirolese Martin Knoller, artefice di molti grandi affreschi perduti di Palazzo Reale.
La Repubblica
11-09-08, pagina 15 sezione MILANO     


Biennale Il sindaco: «Un suo lavoro per la nuova Venezia». Bondi: «Non abbiamo bisogno di star»
Cacciari: «Gehry, l' anti-Palladio dell' architettura»

VENEZIA - Celebrandolo come «anti-Palladio, ma capace come Palladio di esportare il suo segno in tutto il mondo», il sindaco-professore d' architettura Massimo Cacciari ha celebrato l' archistar americana Frank Gehry, in occasione dell' apertura dell' XI Biennale di Architettura inaugurata ieri sera dal ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. E gli ha assicurato che la renovatio urbis veneziana passerà anche per una sua opera: «Accanto al ponte di Calatrava inaugurato l' altro ieri, al museo di Tadao Ando alla Punta della Salute e all' Archivio Vedova progettato da Renzo Piano che dovrebbero essere pronti per il prossimo anno procederemo anche alla realizzazione del Venice Gate all' aeroporto, di Gehry». Perché Venezia, fa capire il sindaco, ha bisogno di architettura contemporanea, se non vuol restare solo «un arcaico museo». Spazio dunque all' «anti-Palladio» a Venezia, «che non è una città palladiana ma di dissonanze, perché non è possibile concepire un ordine senza caos. Per questo l' architettura anticlassica di Gehry è consona a Venezia». È dunque dall' XI Biennale del suo ex studente Aaron Betsky (56 paesi invitati e 25mila visitatori solo nei giorni del vernissage) che riparte la possibilità di ospitare in Italia, a Venezia, un' opera del maestro di Venice (Los Angeles). «Alcuni anni fa mi chiamarono per progettare un gateway a Modena: quando ho presentato il progetto per una semplice porta scenografica, la città si è divisa in due fazioni. L' Italia e anche Venezia sono così: passionali, orgogliose. Ha ragione Cacciari quando dice che da voi c' è caos e non l' ordine tipico di Palladio. Ma io, se devo pensare a dei personaggi della cultura che mi hanno influenzato, più che a Palladio penso a Don Chisciotte e ad Alice di Lewis Carroll». E ieri sera il ministro Bondi ha ulteriormente sottolineato l' importanza che nel nostro Paese venga realizzata architettura contemporanea di qualità. «Oltre a custodire il patrimonio della nostra storia - ha dichiarato - abbiamo il dovere di arricchire queste eredità di nuove opere di bellezza testimonianze della nostra civiltà». Aggiungendo una frecciatina, però, a quelle archistar proprio alla Gehry. «Non abbiamo bisogno di star dell' architettura, ma di architetti colti che conoscano la nostra civiltà e che siano in grado per la loro professionalità e spirito artistico di costruire, con un profondo senso di responsabilità, opere che competano per bellezza, risposte ai bisogni dell' uomo e rispetto dell' ambiente, con le opere del passato». Oltre a Gehry, i Leoni della Biennale sono andati allo storico James S. Ackerman («anche Palladio seppe alternare decoro, al Teatro Olimpico, e licenza, a Villa Capra»), all' americano Greg Lynn per la migliore installazione, alla Polonia per le partecipazioni nazionali e al gruppo cileno Elemental il Leone d' Argento per i migliori giovani. E proprio mentre avveniva l' inaugurazione, a Vittorio Veneto un gruppo di architetti e critici (tra i quali Mario Botta, Philippe Daverio e Howard Burns) teneva un convegno per i 500 anni del Palladio, l' architetto italiano i cui «Quattro libri dell' architettura» furono il bestseller dell' epoca e il cui «codice classico» fu esportato in tutto il mondo.
Panza Pierluigi
Pagina 35
(14 settembre 2008) - Corriere della Sera

 

UN RUDERE DA VIVERE / 'Così trasformeremo l' ecomostro sul naviglio'
Come far posto a nuove abitazioni, in una città che ne ha fame, senza rubare lotti allo spazio pubblico, abbattere vecchie fabbriche con la dinamite o erigere grattacieli controversi? Basta «addomesticare un ecomostro». L' originale proposta, formulata dal milanese Studio Albori, è uno dei 12 progetti riuniti nella mostra collettiva L' Italia cerca casa (a cura di Francesco Garofalo), al Padiglione Italiano della Biennale d' Architettura di Venezia, appena inaugurata. L' ecomostro in questione è milanese e d' autore, cioè la stazione ferroviaria progettata nel 1983 da Aldo Rossi, uno dei maestri dell' architettura del secondo '900, con Gianni Braghieri per l' ampliamento dello scalo di San Cristoforo, al confine con Corsico. L' indirizzo è via Molinello di Lorenteggio, tra la ferrovia per Mortara e il Naviglio Grande. Si tratta di una struttura multipiano (che avrebbe dovuto accogliere le auto da caricare sui vagoni), la cui costruzione si è interrotta più di vent' anni fa, lasciando a specchiarsi nelle acque del Naviglio un deprimente scheletro in cemento. «L' abbiamo scoperto l' anno scorso, su segnalazione di un amico», racconta Giacomo Borrella, che dal '92 dirige lo Studio Albori insieme a Emanuele Almagioni e Francesca Riva. «Quando ci hanno invitati alla Biennale, abbiamo deciso di non ragionare in astratto, ma di ancorarci a un luogo concreto. Uno dei problemi che andrebbero affrontati più spesso è come prendersi cura dell' architettura che già c' è, prima di pensare a quella nuova. La costruzione di Rossi, secondo le valutazioni dei nostri esperti, è ancora in ottimo stato. Per di più, essendo un' opera pubblica, ha strutture portanti particolarmente solide, in grado di reggere nuovi carichi sopra ai solai esistenti, come giardini pensili e altri due o tre piani». Il progetto - un vero e proprio studio di fattibilità, sviluppato rispettando scrupolosamente le normative vigenti, e in armonia con lo spirito "postmoderno" di Aldo Rossi - è un "villaggio" di 46 unità, tutte di colori e forme diverse, suddivise tra abitazioni, laboratori, un piccolo asilo, un bar-trattoria, un ostello, un posto di vendita e riparazione delle biciclette, una sala concerti. Che si misurano col tema del riuso degli scarti anche dal punto di vista dei metodi di costruzione: a Venezia è esposta una porzione di casa e facciata in scala 1: 1, con un' intercapedine in contenitori tetrapak per il latte. «Un materiale balordo da riciclare, perché composto da carta, alluminio e plastica. Lasciandolo invece così com' è e assemblandolo in pannelli, si ottiene un isolamento termico molto buono, più elevato di quanto richieda la norma. E poi, anziché installare nuovi serramenti a doppi vetri buttando i vecchi, si possono raddoppiare le finestre lasciando uno spazio intermedio, come nelle vecchie case di montagna». Il progetto è interessante anche perché l' area in cui sorge sta per cambiare e il Comune, nel quadro degli accordi con le Fs sulle aree ferroviarie dimesse, dovrebbe diventarne proprietario. «La nostra - prosegue Borrella - è una proposta, che mettiamo a disposizione di tutti. Nella zona sembra previsto un parco lineare, ma le due possibilità non ci paiono inconciliabili. Sorgerebbe ai limiti del parco e degli orti che già esistono, senza comprometterli, e senza violare il vincolo di edificabilità sui Navigli, visto che reimpiega una struttura già presente». L' obiettivo degli architetti è anche rompere la divisione tra edilizia abitativa e popolare, affidando la realizzazione a un costruttore "etico" che s' impegni a vendere alcune unità, finanziando col ricavato lo sviluppo di altre, con affitti in parte a canone sociale. «Certo, siamo consapevoli che la nostra è solo una delle mille possibili configurazioni possibili di questo edificio, ma è anche un invito a riconsiderate certe "rovine" urbane. Anche a Milano ce se sono tante, come il "Cementone" vicino allo scalo di Greco, o lo scheletro triangolare in zona Monluè, finanziato coi fondi per i Mondiali e mai finito. Basta un telaio dimenticato e subito si parla di ecomostri. Invece, potrebbero diventare una risorsa».
BARBARA CASAVECCHIA
La Repubblica
14-09-08, pagina 13 sezione MILANO  
   

Boitani: 'Ora serve un piano trentennale'
«Quando si parla di infrastrutture per Milano bisogna pensare ai prossimi venti-trent' anni e a un' area metropolitana che ormai coincide con il territorio della Provincia. Ridurre il discorso ai confini cittadini o a scadenze a breve termine come il 2015 sarebbe un errore gravissimo: l' Expo è un' occasione di sviluppo ma non può diventare il punto di riferimento per le politiche dei trasporti». A parlare è Andrea Boitani, docente di Economia politica alla Cattolica ed esperto di mobilità. (SEGUE A PAGINA III) Professor Boitani, le bocciature della corte dei Conti ai prolungamenti dei metrò 2 e 3 non fanno però ben sperare... «Purtroppo in Italia capita che i progetti per le infrastrutture subiscano critiche e intoppi perché non sono preceduti da adeguate analisi di costi e benefici, che dovrebbero essere svolte da enti indipendenti e non da chi realizza l' opera. Invece si preferisce dare la colpa degli stop agli stessi magistrati contabili o, come ha fatto l' assessore provinciale Matteucci, al governo». Costa meno realizzare una ferrovia che un metrò, dice la corte dei Conti nel caso di Paullo... «Dipende. Se la ferrovia è da costruire ex novo ho i miei dubbi. Ripeto: ogni opera va valutata attentamente. Invece spesso i presupposti sono altri: viene varata una legge che finanzia le metropolitane? Benissimo, mettiamoci tutti a costruire metrò. è successo a Parma, Rimini, Bologna, dove forse non c' era tutto questo bisogno». Ma a Milano è diverso. «Certo. Anzi: servono proprio metropolitane che colleghino l' hinterland col centro. Il problema tecnico è: quanto traffico toglierei, ad esempio, dalla Paullese se prolungassi la linea gialla? L' obiettivo è evitare le "rotture di carico", ovvero risparmiare ai pendolari i cambi complicati di mezzi: dal bus al treno, dal treno al metrò, con tutti i disagi che alla fine spingono centinaia di migliaia di persone a usare l' auto». Qual è il modello? «La Germania: la S-bahn, cioè il metrò extraurbano che attraversa città e hinterland, e l' U-bahn, solo urbano, usano gli stessi binari e stazioni. Cambi e coincidenze non sono più un dramma, la propensione a servirsi del mezzo pubblico aumenta. è un sistema ad alta densità di traffico che, certo, ha i suoi costi e deve fare i conti con lo sprawl, lo sparpagliamento di centri piccoli e grandi in tutta la provincia: non si può arrivare dappertutto». E come si risolve? «Da un lato con una rete di bus collegati alle stazioni, dall' altro favorendo insediamenti residenziali e commerciali lungo le linee del metrò, grandi parcheggi, rimesse per biciclette. Programmazione dei trasporti e urbanistica dovrebbero viaggiare insieme». Siamo realisti: a Milano si può fare? «Finora mi sembra che una cultura di questo tipo sia piuttosto, come dire, latitante. Ma la speranza è l' ultima a morire». Il presidente della Provincia, Filippo Penati, chiede di abolire l' Ecopass e di puntare sul biglietto unico per i mezzi pubblici in tutto il Milanese: che ne pensa? «Mi sembra una posizione demagogica. Giusto parlare di biglietto integrato, ma chi viaggia meno ha diritto di pagare meno. E poi accantonare l' Ecopass "perché tanto non serve a niente" non ha senso: piuttosto va migliorato». In che modo, però? Nel sondaggio del Comune, anticipato da Repubblica, prevale chi vorrebbe estendere l' area, ma molti chiedono invece di aumentare le categorie paganti... «Se si vuole ridurre lo smog bisogna prima di tutto limitare il traffico, non incentivare l' acquisto di auto nuove. L' Ecopass deve diventare una congestion charge: ovvero, ticket per tutti. Non per moto e motorini, però, perché sarebbe un autogol. E poi si può anche estenderlo, a tutta la Provincia e oltre. Non è utopia. Il bollo auto come tassa di possesso è ingiusto, va trasformato in una sorta di pedaggio: si paga solo per quanto si usa effettivamente la macchina». Tornando alle infrastrutture. C' è un altro punto dolente e in questi giorni di estrema attualità, quello dei collegamenti con gli aeroporti. Come si risolve? «Per Linate il problema non esiste. è vicino, ci si arriva con la 73 o col taxi. Piuttosto mi sembra singolare che si pensi a ridimensionarlo mentre è in progetto il metrò 4 che dovrebbe raggiungerlo. Quello di Malpensa invece è un discorso spinoso. Si è scelto di collegarlo a Milano con le Ferrovie Nord e il tracciato è pieno di "colli di bottiglia" che rallentano il tragitto. Bisognerebbe ridurre a mezz' ora la durata del tragitto e creare una linea diretta con le Fs e con la Centrale. Ma il punto è un altro». Quale? «Il bacino naturale di Malpensa è la Lombardia occidentale e il Piemonte orientale. Già se abito a Mantova andrò a prendere l' aereo a Verona o a Bergamo, non certo nel Varesotto. Non si può sperare di alimentare un grande aeroporto internazionale con il treno, non è una questione di trasporto locale. L' hub naturale, centrale per l' Italia, è Fiumicino: ci si arriva da qualunque altro scalo nazionale in un' ora o poco più. Malpensa non può, in ogni caso, essere l' hub di una compagnia "italocentrica". Ma di un vettore europeo di respiro mondiale, sì». Lufthansa? «Non ho preferenze. L' importante è che i voli vengano assicurati. E che non si pretenda di chiudere Linate o di ridurlo alla linea Milano-Roma, perché sarebbe davvero una follia».
ARTURO BUZZOLAN
La Repubblica
14-09-08, pagina 1 sezione MILANO

 

 

 

Potrebbe interessarti

18.07.2024 Ordine

Chiusura estiva uffici 2024

Durante il periodo estivo gli uffici dell'Ordine e della Fondazione saranno chiusi da lunedì 5 a venerdì 23 agosto compresi.

Scopri di più
18.07.2024 Dibattito Aperto

Stop al "Salva Milano": l'Ordine esprime sconcerto e chiede conferma sui tempi di discussione

In seguito alla battuta d’arresto del cosiddetto “Salva Milano”, che la città di Milano attendeva da mesi, protestano gli architetti milanesi che chiedevano chiarezza sulle vicende legate all'urbanistica dopo le inchieste della Procura. Dopo lo stop in Commissione Ambiente alla Camera e il ritiro degli emendamenti, il sottosegretario Alessandro Morelli ha garantito che il “Salva Milano” rientrerà nel decreto legge infrastrutture. E’ seguita una nota da parte dell’Ordine di Milano sul tema.

Scopri di più
15.07.2024 Dibattito Aperto

Dal confronto sul Salva Casa, una nuova richiesta di chiarezza delle procedure e delle norme: l’Ordine di Milano scrive al CNAPPC

Semplificazione, responsabilità della pubblica amministrazione, ruolo dei professionisti nella rigenerazione urbana, queste le parole chiave dell’incontro organizzato l’11 luglio 2024 dall’Ordine degli Architetti di Milano riguardo il nuovo provvedimento del Governo sulle questioni della semplificazione edilizia e urbanistica, il cosiddetto “Salva casa”. Sul tavolo la questione legata ai cambiamenti mirati ad alleggerire i processi di riqualificazione e quella volta alla valorizzazione economica degli immobili e delle unità immobiliari. Tanti gli ospiti della politica e delle professioni che hanno approfondito il testo e gli emendamenti in discussione, con un accento specifico sulla situazione milanese.

Scopri di più