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Un Osservatorio EXPO 2015 dell'INU lombardia: mosca cocchiera?

Dal 10.06.2008 al 10.09.2008

Un incontro, lunedì 7 luglio all'Acquario di Milano, per raccogliere le prime valutazioni e prospettive. Assente l'assessore Masseroli

 

L'INU lombardia intende avviare un Osservatorio permanente sulle attività legate all'Expo milanese 2015.
In occasione di questo incontro, avvenuto presso l'Acquario civico lunedì 7 luglio pomeriggio, si sono prodotti spunti e valutazioni su tale iniziativa.
a presidere il Presidente dell'INU nazionale, prof. Federico Oliva, che al termine dell'incontro ha promesso presto altre iniziative di dibattito ed analisi, auspicabilmente coinvolgendo tutti gli attori in gioco.

Nella sua introduzione Fortunato Pagano, Presidente INU Lombardia, dopo essersi complimentato con le Istituzioni, sindaco in testa, per l'indubbio successo, subito ha invitato a non sottovalutare impropri sfruttamenti legati a interventi di dubbia fattura, sollevando quindi alcune questioni relative a governo del territorio, governance e VAS sia del sito che delle infrastrutture, in un regime di mancato esproprio delle aree.

sono quindi intervenuti:

- l'arch. Piercarlo Palermo, Preside della Facoltà di “Architettura e Società” del Politecnico di Milano, che ha sottolineato come, pur in uno spirito riformista, il vero punto sarà il dialogo tra i diversi attori coinvolti, ricordando come 12 anni fa la programmazione dei grandi progetti strategici non abbia di fatto costituito una svolta nella gestione del territorio.
Inoltre esorta a fare attenzione nel glorificare il rilancio di Torino con le Olimpiadi, e con essa delle politiche simboliche, essendo allo stato il Comune più indebitato d'Italia.

- il prof. Guido Martinotti, Docente di Sociologia nell’Università degli Studi di Milano Bicocca, è apparso più ottimista, vedendo invece nell'operazione di Torino Olimpica un rilancio della città depressa dall'avvento postindustriale ed anzi ne ha parlato come di una ricetta da far condividere in modo più allargato.

- Carlo Alberto Barbieri, Docente di Urbanistica nel Politecnico di Torino, ha voluto sottolineare il grande gioco di squadra che ha fatto il successo dell'operazione di Torino olimpionica del 2006, città che da 180.000 operai dell'1982, anno di chiusura del Lingotto, ne conta oggi 32.000, chiudendo di fatto l'era della città fabbrica.
la candidatura vinta nel 1998 ha portato ad un Piano Strategico non territorialista, alla Barcellona olimpica per capirci, che ha fatto nascere diversi nuovi brani di città: la Spina 3, il Villaggio degli atleti -oggi residenza sociale-, il Palavela rivisitato da Gae Aulenti, l'Oval al Lingotto e il Palasport, tutte strutture che ci dice essere state integrate nella vita della città per oltre il 70% delle loro potenzialità, a fronte di altre città -Atene, Sidney, Atlanta, con ancora enormi passivi. Insomma, 1.400 milioni di euro di cui 600 in area urbana spesi bene.
Ha ricordato infine quanto l'INU Piemonte abbia inciso attivamente sia sulla VAS che sul programma.

- Giacomo Vaciago, Docente di Politica Economica nell’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato quanto il problema sia innanzi tutto logistico: 29 milioni di visitatori previsti debbono essere assistiti da una Mobilità ineccepibile. inoltre il tema 'energy for life' deve essere corrisposto da una città coerente a tale proposito, in cui l'aria -bene pubblico primario, non dimentichiamolo- se non di qualità, sia perlomeno non velenosa.

- Augusto Cagnardi, dello studio 'Gregotti e Associati', ha approfittato dell'occasione per illustrare, attraverso la propria diretta esperienza, quali caratteristiche hanno contraddistinto alcune delle ultime edizioni, tralasciando di entrare invece nel merito della Torino olimpica di cui per altro è stato fautore del piano.
1989, Parigi: prevista su grandi aree pubbliche, ad est ed a ovest della città, con Miterrand sindaco: tanto che con Chirac l'Expo non si farà più.
1992, Siviglia: 48 milioni di visitatori previsti, incentrato sul recupero dell'isola alla città attraverso giardini, parchi, aree agricole. Ancora si sottolinea l'obiettivo di recuperare aree depresse alla città pubblica.
1998, Lisbona: proposta nelle degradate periferie a Nord, ancora con l'obiettivo di riqualificare tali brani di città, tanto che il concorso chiedeva esplicitamente elaborati di rappresentazione del dopo Expo.
2010, Shangai: concorso del 2001, all'interno di un area in pieno regime, divisa tra cantieri navali, acciaierie e residenza, in funzione di una pianificazione radicale che prevede il porto fuori dal delta del fiume, attuale porto, innestando un fenomeno strutturale radicale, prevedendo lo spostamento di 20.000 residenze, ma anche 200 milioni di visiste!
insomma, una capacità di scelte politiche e operative formidabili, in cui il disegno finale deve ammettere grande variabilità e senza il valore rappresentativo iniziale, difficile da perpetrare con tutta questa flessibilità.

- Silvano Tintori, Vice Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Milano e docente di urbanistica, ha puntato a problematizzare l'approccio chiedendo un atteggiamento più propriamente culturale nei confronti dei molti argomenti già sollevati: infrastrutture, città-regione, rapporto col contesto, coscienza degli usi ante e post. Ecco di seguito la scaletta del suo discorso.

Il nostro Ordine ha già espresso in sede nazionale presso il Consiglio Nazionale degli Architetti (CNA) una prima opinione sul tema odierno riassumibile (un po’ sbrigativamente) in una coppia di punti.

Il  significato dell’esposizione sta subendo un mutamento radicale in rapporto a fenomeni oramai largamente presenti nell’attualità come:

la disponibilità delle merci lungo sempre nuovi canali di rappresentazione e vendita;

lo scetticismo che sgretola l’idea di progresso, centrale nelle rassegne universali del passato;

la riduzione del distacco fra mondo reale e mondo virtuale, un fenomeno che accelererà i propri effetti nel settennio di attesa dell’Expo.

Il programma “Nutrire il pianeta” del Sindaco Moratti fa un passo avanti, entrando nel conflitto crescente fra sviluppo e alienazione, come brillantemente tratteggiato da Perniola sulle pagine culturali de “La Repubblica”.

Il conflitto si insinua in una visione eurocentrica del sottosviluppo destinata, a nostro avviso, ad andare in controtendenza. In altre parole: se le tensioni che abbiamo esportato nel Terzo Mondo hanno ormai imboccato percorsi di ritorno, che nei prossimi anni incideranno ancora di più sulla vita delle nostre citta’, i demografi prevedono sul medio periodo mutamenti strutturali nella popolazione di quei Paesi in grado di modificare la tendenza in atto e di esigere una nuova visione delle politiche da intraprendere nei loro confronti.

Tutti d’accordo sulla necessità di costruire opere sostenibili e recuperabili, ma è proprio qui che scoppia  il contrasto fra il modo in auge di concepire astrattamente il progetto e il territorio nella sua compromissione o arretratezza, fra Milano e l’area metropolitana e, semmai, la città-regione, fra sviluppo e alienazione su un spazio geograficamente ancora più ampio che deve discernere nello slogan morattiano l’occasionale dal soccorrevole, l’intervento puramente imprenditoriale da quello articolatamente situato.
Con un occhio “al fuori”, ma con un altro occhio “al dentro”, dove aumentano gli squilibri fra la citta’ del potere aziendale e della residenza facoltosa, e gli insediamenti creati od occupati dalle nuove povertà: nella globalizzazione questi squilibri, come annota Sassen, giocheranno ancora per anni una parte che non possiamo continuare a trascurare.
Altrettanto saliente appare il problema delle infrastrutture in un'area che le vede intasate, minacciose nelle loro espressioni più recenti (si vedano TAV e svincoli autostradali), in urto con contesti popolosi e frequentemente disorganizzati, in un quadro dove rientrano problemi che ci propongono il superamento della citta’ funzionalista (della "citta’-concetto” direbbe de Certeau), il dialogo con l’invenzione del quotidiano" (ancora de Certeau), consumata dagli innumerevoli attori che non si riconoscono nell’offerta avanzata loro dal potere, dal mercato e, magari, da noi progettisti e pianificatori, la ricerca di un nuovo rapporto con il suolo che riesca ad aggredire il dislivello in atto fra un sistema sociale, che vive di relazioni sempre più virtuali, e il suo ambiente materiale, umano e fisico.

Il progetto di osservatorio cade in mezzo a queste contraddizioni, entra cioè in crisi come strumento di controllo di un’ipotesi sia pure criticamente condivisa (che è un modo come un altro di dire con Renzo Piano che siamo … Expo-diffidenti): la stessa possibilita’ di offrire contributi mirati e specialistici (il progetto, il territorio) si aggroviglia.
Sembrerebbe necessario un dibattito che confronti assai piu’ le possibilità di interazione fra vincoli e componenti di un sistema rivisitato non convenzionalmente e lo spazio che la politica può o non può oggi consentire a questa rivisitazione.

Come Ordine degli architetti milanesi siamo ovviamente aperti al confronto: dovremmo tuttavia riuscire a dargli una conformazione che, accanto ad argomenti penetranti cui potremmo offrire autonomamente un profilo, abbia uno “spessore attoreo” per ottenere ascolto nel processo decisionale della costruzione dell’Expo.

Il nodo diventa, a nostro avviso, quello di un pur parziale ridimensionamento della città come mercato, implicito ma non nascosto nello stesso illuminato slogan morattiano, a favore della citta’ come entità culturale di mumfordiana memoria o, altrimenti, come specchio di una individualità impregnata del modo di vivere dei suoi abitanti: un antinomia fino a ieri satura di umori ideologici, ma, oggi, da commisurare alle contraddizioni che sono venute assalendo la globalizzazione.

Domandiamoci: contro i fantasmi del funzionalismo e gli idoli dell'appiattimento planetario (la cultura. afferma Geertz, e’ in primis articolazione delle differenze) non sono i nuclei simbolici della cultura della citta’ a offrire un concreto pretesto di riflessione sulle spaccature ( lo “spazio conteso" di Saskia Sassen?) che si stanno aprendo nelle capitali della società' globale e di più matura reazione alle contraddizioni che le attraversano?

Vorremmo essere chiari: non si tratta di discutere di un progetto, che non c’è ancora, ma del suo orizzonte problematico.
Non sottraiamoci a questo appuntamento nel nome di una modernità trincerata nel presente, sradicata da un passato dove così spesso camminiamo ancora, deresponsabilizzata nei confronti di un futuro incalzante, altrimenti diventa difficile la rivisitazione del sistema alla luce  di una “territorialità” più riflessiva, oramai ricca di lucidi e ben documentati apporti (a un paio di essi abbiamo avuto occasione di accennare) e, quel che più conta, di diversissima ispirazione.
Tutto quello che non rientri in  un simbolismo banale (il culto acritico per i modelli più aggressivi dell’edilizia moderna) non deve diventare un problema di ordine pubblico prima di essere valutato come questione culturale e urbanistica.

Ci auguriamo sia nella coscienza di ogni attore in causa fare si che non sia un'altra delle grandi occasioni perse per la nostra città.

Francesco de Agostini

 

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