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Settimana del 4 Febbraio 2008

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia.

Pagina 3
(4 febbraio 2008) - Corriere della Sera
La città: Le proteste
«Caos Navigli, subito la grande isola pedonale»

Gli abitanti: via le auto, più agenti, nuovi parcheggi. Referendum sulla qualità della vita: no ai dehors «Lo stop al traffico con i pilomat non basta». Navigli, primo bilancio a dieci mesi dall' avvio della sperimentazione
Fuori le auto, più controlli, isola pedonale subito, ma tavolini e dehors fuori dai locali solo d'estate. Gli abitanti dei Navigli avevano accolto l'avvio della Ztl (zona a traffico limitato) tra mugugni e proteste. A dieci mesi dall' avvio della sperimentazione con la chiusura del traffico di passaggio attraverso i pilomat, che si abbassano 5 ore al giorno solo per il carico-scarico, all' alba e nelle prime ore del pomeriggio, c' è un cambio di marcia: «Bisogna trasformare al più presto questa zona in area pedonale - dice Augusto Scacchi, dell' associazione Residenti sui Navigli -. Il divieto di transito non ha impedito alle sponde di diventare una discarica abusiva di auto. I pilomat non bastano contro i furbi». Chiedono di ampliare l'isola ambientale i cittadini, «chiedono le telecamere, perché c'è ancora troppo caos e c'è qualche abusivo che ha clonato il telecomando per i pilomat ed entra indisturbato», conferma Massimo Girtanner, presidente di zona 6, che ha raccolto il parere dei cittadini, inviando alle 3.300 famiglie che vivono nell'«isola» un corposo questionario. Dossier alla mano, Girtanner informa di aver chiesto un tavolo urgente al Comune per discutere anche il problema dell'isola estiva: «I commercianti hanno già chiesto le autorizzazioni per partire addirittura a marzo». Tema caldo, destinato, come ogni anno, allo scontro con i comitati e la gente esasperata dalla movida notturna. «Le sponde della Ripa sono un unico parcheggio dalla Darsena a via Valenza - aggiunge Anna Brala, del comitato di Ripa Ticinese -. Ci liberino dalle auto ma non per mettere i tavolini con dehors tutto l'anno. Quelli basta averli sotto le finestre d'estate». Dai risultati dell'indagine, che misura la «Qualità della vita» nell'area dei Navigli, emerge un dato con chiarezza: il 70% di chi vive lungo i due corsi d'acqua si sposta a piedi, in bici, con i mezzi pubblici (40%). Il 33% non possiede auto. E solo il 30% di chi la possiede è costretto a parcheggiare per strada. Gli altri hanno box o garage. Il 55% di chi ha risposto ha un'età compresa tra i 30 e i 60 anni. Un intervistato su due consiglierebbe ad un amico di trasferirsi a vivere sui Navigli. Tutti concordi nell'elencare le priorità per rendere più vivibile la zona: ampliare l' isola, togliere le auto dalle sponde, migliorare l'illuminazione, arredi e verde e più presenza di forze dell'ordine. «Si è detto sin dall'inizio che la Ztl era un passaggio intermedio - commenta l'assessore al Traffico, Edoardo Croci -. Perché isola pedonale vuol dire poter riqualificare l' area, con verde e arredo e piste ciclabili. Credo che entro fine anno potremo far partire il progetto per l'isola-Navigli». Quanto al metodo di coinvolgimento dei cittadini: «Sui Navigli c'è un comitato ogni tre isolati. Ero stanco di mediare tra associazioni e commercianti - spiega Girtanner -. Per questo ho pensato al questionario, distribuendone 3.300 a tutti coloro che vivono nell'isola ambientale, dalla Darsena a via Fumagalli. Lamentano anche scarsa presenza di vigili. Ci sono divieti di sosta che non vengono fatti rispettare. Il Comune dovrebbe investire in vigili urbani per sei mesi, obbligando gli "abusivi" a parcheggiare, per esempio, negli spazi appositi in Porta Genova». * * * 52% Gli abitanti Uno su due boccia la pulizia *** 53% *** I residenti che chiedono di ampliare l' isola *** 40% *** Le richieste di più controlli con le telecamere *** 65% *** La domanda di controlli ai venditori abusivi * * * Multe telecamere e divieti La vigilanza Gli abitanti dei Navigli chiedono al Comune di ampliare l' isola ambientale, «con controlli più severi, cioè attraverso telecamere, e di passare al più presto alla pedonalizzazione»


D' Amico Paola

Quando a Milano si progettava
Un dialogo a distanza tra Vittorio Gregotti e Umberto Eco sul senso del costruire
Il Giornale
04-02-2008
Luciana Baldrighi

 

Il volume «Il territorio dell'architettura» di Vittorio Gregotti (Feltrinelli, pagg. 190, euro 11), scritto 40 anni fa, oggi ripresentato con un'introduzione ad hoc di Umberto Eco, riflette più che mai la tematica dell'architettura specifica legata al territorio.

«Non si può rivoluzionare la società per mezzo dell'architettura. Però potremmo comunque risolvere quest'ultima. Questo è il nostro compito come architetti». Con queste parole Vittorio Gregotti cercò di spiegare che cosa fosse la «cosa» in cui si incarna l'architettura e come il progettare si inserisse in quel discorso che riguarda il sociale, la comunità il nostro modo di essere.

Il volume rimane di interesse assoluto perché negli anni Sessanta si cercava, anche ingenuamente con grande fervore intellettuale, di trovare una risposta alla modernità, a come le città si dovessero evolvere in un'Italia che passava improvvisamente dalla società agricola a quella industriale. Non è un caso che il testo, quarant'anni dopo il problema, rimane sul tappeto, posto esattamente come lo fu nel 1966, e che uno studioso del calibro del professor Vittorio Gregotti, docente di progettazione architettonica prima a Milano, poi a Palermo e infine a Venezia, ex direttore di Casabella e di Edilizia Moderna e noto architetto di fama internazionale, abbia recuperato quel suo testo.

Nel volume, come sottolinea nella prefazione Umberto Eco, «Gregotti cerca disperatamente di resistere ai bilanci e spera di riuscire a vivere abbastanza a lungo per fare esperienze nuove e diverse, capaci di dare un senso più preciso alle cose e ai sentimenti (persino quelli legati all'abitare)»: un filosofia condivisa con il noto scrittore e semiologo.

 


La Repubblica
04-02-08, pagina 33, sezione AFFARI FINANZA
E il futuro dell'architettura si mette in mostra a MilanoGrandi firme, progetti, dibattiti culturali a MadeExpo: 'Abbiamo detto molti no: le richieste di spazi hanno superato le nostre disponibilità'

RENATA FONTANELLI


Da Bologna a Milano, con obiettivi ambiziosi. MadeExpo comincia questa settimana, il cinque febbraio, alla fiera di Rho. L'esordio è accompagnato dalla mostra "SkinSuperfici d' architettura, viaggio tra le architetture del mondo", dove vengono esposti quattordici progetti di architetti provenienti da tutte le parti del globo con l' utilizzo di materiali italiani. Made è l' acronimo di "Milano Architettura Design Edilizia", ed è una manifestazione "figlia" della bolognese Saie2. Per ventisei edizioni Bologna ha ospitato la fiera, legata prevalentemente all' architettura e al design di interni. Un anno fa la decisione di trasferirsi a Milano. Come spiega il presidente Andrea Negri: «La fiera sarà anche l' occasione di dibattiti e riflessioni sul futuro dell' architettura che mai quanto oggi è davvero piena d'innovazione». Milano si appresta quindi a ricevere 1600 espositori. Come spiega l' amministratore delegato di Made: «Le richieste di aree espositive sono state superiori alla disponibilità degli spazi stessi, tant' è che l' organizzazione non ha potuto raccogliere tutte le richieste pervenute. Secondo le nostre previsioni dovrebbero arrivare oltre 150.000 visitatori». Secondo Negri «l' edilizia italiana, dopo una fase di boom, adesso sta incominciando ad affrontare un periodo più buio. Noi continuiamo però ad avere grandi aspettative e a dimostrarlo saranno le centinaia di espositori». La fiera sarà aperta dall' evento "Building&Grow", dedicato ai temi dell' innovazione e della sostenibilità, coniugati alle differenti scale dell' architettura, dall' edificio alla città. Si discuterà di sostenibilità, di nuovi materiali e di innovazione. «Nell' edilizia di nuova produzione saranno molti gli aspetti da considerare: l' influenza degli abitanti nelle nuove politiche di scelta per la casa, il loro livello di soddisfazione verso gli obiettivi di sostenibilità, l' incidenza dei costi di costruzione per la realizzazione di edifici sostenibili». Ai dibattiti parteciperanno architetti da tutto il mondo, e ciascuno di loro riferirà le proprie esperienze. Gli organizzatori hanno deciso di puntare, oltre che sugli aspetti più tecnici legati alle nuove frontiere dell' architettura e della costruzione, anche sul lato artisticoculturale. Da qui la decisione di interpellare architetti provenienti da Usa, Inghilterra, Francia, Germania, Sud Africa, India, Cina, Giappone, Spagna, Italia Russia, Messico, Arabia Saudita e Marocco. Ciascuno di loro ha fatto un progetto che verrà esposto nella mostra "SkinSuperfici di architettura". «E' stato difficile raccogliere le idee di tutti, ma siamo riusciti a ricostruire un viaggio alla scoperta di interessanti aspetti architettonici e culturali. Si potranno scoprire diverse culture del mondo e anche la straordinaria varietà di stili nati dalla declinazione locale di materiali altamente performanti dal design esclusivo».

 

La Repubblica
04-02-08, pagina 40, sezione AFFARI FINANZA
Architettura e hitech insieme per l'ambiente


Nel mondo delle costruzioni è in atto una vera e propria rivoluzione con la scelta di prodotti ad elevato tasso d' innovazione che nemmeno si notano ma che fanno la differenza al momento di pagare le bollette e di ridurre le emissioni di anidride carbonica


VALERIO GUALERZI


Il vecchio, austero simbolo, è il quartier generale del Rmi, l' influentissima fondazione ambientalista "business oriented" americana. Un edificio costruito con il meglio delle ormai superate tecnologie dei primi anni '80, che permettono però di coltivare banane senza l' aiuto del riscaldamento nel piccolo giardino interno, malgrado lo stabile sorga a Snowmass, tra le Montagne Rocciose del Colorado, a oltre 2000 metri di altitudine. In tanti, tra chi si occupa di edilizia ad alto contenuto di tecnologia e dal design innovativo, continuano ad ispirarsi a questo edificio dall' aspetto rustico costato circa 1.400 dollari al metro quadro, più o meno il prezzo standard del mercato Usa dell' epoca, ai quali fu aggiunta una spesa di seimila dollari in dispositivi per l' efficienza idrica ed energetica, ammortizzati con i risparmi sui costi di gestione in appena dieci mesi. Un simbolo, dunque, che per il futuro sembra destinato a cedere il passo. Tra i candidati alla successione di icona del sodalizio tra architettura e high tech, spicca sicuramente, se non altro per la sua bellezza, il "Wind Shaped Pavillon" disegnato da Michael Jantzen. Un palazzo, pensato per il momento solo come un prototipo, organizzato su più livelli autonomi realizzati in materiali leggerissimi e in grado di ruotare sotto la pressione del vento attorno un perno centrale, trasformando questo moto in energia elettrica. Dai grattacieli progettati a Dubai a quelli in costruzione a Miami, di esempi super futuristici la cosiddetta "Dynamic Architecture" ne sta sfornando uno dietro l' altro, ma a muovere i grandi numeri quando si parla di edilizia "high tech" sono edifici molto meno spettacolari, dalle innovazioni più banali che puntano al sodo, ovvero innanzitutto al risparmio e all' efficienza energetica. Nuovi materiali ad elevatissimo isolamento termico, impianti di geoscambio per il condizionamento dell' aria, infissi dalle prestazioni superefficienti e sensori dall' altissima flessibilità e affidabilità, solo per citare alcuni esempi. Accorgimenti che spesso un osservatore esterno non nota neppure, ma che quando si tratta di pagare le bollette ed evitare emissioni di anidride carbonica fanno la differenza. Provvedimenti che lo scorso anno sono stati codificati nella norma ISO 21930: 2007, risolvendo l' esigenza di uno standard internazionale reso sempre più urgente mano a mano che la crisi ambientale obbliga a stringere le viti degli sprechi anche nel settore delle abitazioni, un settore che incide per un 40% del consumo energetico globale e per una stessa percentuale nelle emissioni di CO2. Impossibile quindi non coinvolgere l' edilizia nel grande sforzo imposto dall' Ue per il 2020 con l' obiettivo di aumentare del 20% l' energia da fonti rinnovabili e l' efficienza energetica e ridurre le emissioni della stessa percentuale. Anche in Italia da inizio anno sono entrati in vigore i nuovi regolamenti edilizi che alzano i livelli minimi delle prestazioni energetiche invernali degli edifici, e dal 2010 i limiti - che alcune regioni come la Lombardia hanno deciso di anticipare - saranno ancora più severi. Il combinato di queste pressioni dovrebbe riuscire a smuovere una situazione che sino ad oggi si è dimostrata poco attenta alle novità. «Nel campo dell' innovazione, rispetto al resto d' Europa siamo decisamente nelle retrovie, spesso ci limitiamo a videocitofoni e cancelli elettrici», spiega Lorenzo Bellicini, direttore generale del Cresme, il centro ricerche e statistiche sul mercato dell' edilizia. «In questi anni - aggiunge - le costruzioni hanno conosciuto un autentico boom che solo nel 2007 ha iniziato a dare segnali di frenata, ma dei 40,4 miliardi di euro investiti nella nuova edilizia residenziale, solo un 5% scarso è andato a progetti innovativi e tecnologie mature come le caldaie a condensazione faticano ancora a sfondare». Gianni Silvestrini, presidente del Kyoto Club e consulente del ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, è convinto però che anche in Italia si stia iniziando a voltare pagina. Alcuni primi esempi sono il nuovo quartiere bresciano di San Polino, dove sono in via di realizzazione quasi 2000 abitazioni "sostenibili" a prezzi che oscillano attorno ai 1.200 euro al metro quadrato. Oppure le iniziative di alcune aziende come Ikea, che nel nuovo negozio di Corsico ha previsto un sistema di geoscambio a circuito chiuso per sfruttare la temperatura costante del sottosuolo. L' impianto, uno dei più grandi d' Europa, è costituito da 160 sonde geotermiche che arriveranno sino a 150 metri di profondità. Innovazione costata un investimento che il colosso svedese dei mobili definisce "rilevante ma ripagato nel medio/lungo termine" grazie a una riduzione del 30% dei consumi energetici del negozio. Ad obbligarci a cambiare decisamente passo, secondo Silvestrini, saranno gli stimoli che arrivano dall' estero e in particolare dalla Gran Bretagna che si è data una road map molto ambiziosa. Nel Regno Unito, ricorda, «sono stati proposti nuovi limiti progressivamente più severi sui fabbisogni energetici. Entro il 2010 si dovranno ridurre i consumi del 25%, per passare poi a un taglio del 44% nel 2013 e raggiungere l' obiettivo finale di edifici carbon neutral dal 2016, con riferimento non solo alla climatizzazione estiva e invernale, ma anche alla produzione di acqua calda, all' illuminazione e agli elettrodomestici». «E' stata fatta un' analisi economica per valutare l' impatto di questi obiettivi - ricorda Silvestrini - con una stima di extracosti pari al 47% per raggiungere i livelli previsti al 2013, mentre si confida sulla riduzione dei costi legati alla produzione di larga scala di tecnologie come la minicogenerazione e all' introduzione di nuove soluzioni progettuali per gli edifici carbon neutral». Stretta tra le esigenze di un mercato in evoluzione e i diktat di Bruxelles, anche in Italia c' è da attendersi insomma la partenza in grande stile dell' edilizia high tech. «Primi segnali importanti - dice ancora Silvestrini - stanno arrivando dall' industria dei laterizi, che sta finalmente puntando su prodotti dalle elevate prestazioni termoisolanti e dai crescenti investimenti nella ricerca dei materiali per la coibentazione».

 

La Repubblica

04-02-08, pagina 33, sezione AFFARI FINANZA


La casa secondo Cucinella Bella, ma a basso consumo
'Voglio rompere un tabù: l' abitazione non può essere considerata solo un problema'


IRENE MARIA SCALISE


Una casa di cento metri quadri a centomila euro. Non solo. Una casa a basso costo bella e in grado di produrre energia pulita con cui pagare, almeno in parte, l' investimento per acquistarla. In tempi in cui un terzo delle famiglie non arriva a fine mese, e il mutuo rischia di far perdere il sonno, l' idea non è affatto male. A proporla è Mario Cucinella, architetto cresciuto alla scuola di Renzo Piano, e ora eternamente diviso tra il suo studio di Parigi e quello di Bologna: il "Mario Cucinella architects". La casa ideata da Cucinella è la prova che costruire con una logica economica è possibile. Anzi, è meglio. «Si tratta di usare una prefabbricazione leggera e flessibile - spiega Cucinella - che risponde all' uso degli spazi e alle abitudini di chi vive la casa». Naturalmente il progetto (che per il momento non è ancora stato realizzato) prevede una sorta di condominio che sfrutti un apparato energetico collettivo, un sistema d' aspirazione e magari di smaltimento rifiuti centralizzato. Balconi e terrazzi che garantiscono il rapporto con la natura esterna. Abitazioni monofamiliari che consentono a ognuno di elaborare il proprio ambiente domestico ma, soprattutto, consentono di dividere le spese collettive. Di più. Permettono di guadagnare 230 euro al mese, di energia pulita, con cui crearsi un micro reddito per pagare il tormentoso mutuo. Una sorta di nuova economia in piccola scala: da edifici consumatori a edifici produttori di energia. «Ci siamo impegnati per rompere il tabù che la casa sia solo un problema e abbiamo proposto un nuovo concetto di pubblico; purtroppo in Italia manca la visione dell' aggregazione, l' allontanarsi dal concetto di privato, il voler soddisfare i desideri di tutti quelli che non hanno grandi disponibilità. Diciamolo, bisogna smettere di pensare che siamo solo il regno del lusso». La casa ipotizzata dal progettista è estremamente malleabile: «Una struttura rettangolare che può essere trasformata in loft, abitazione di design o tipica casa per famiglia. Una dimora componibile che si adatta ad aspirazioni e stili di vita diversi». Ma l' idea non è certo una novità per Cucinella. Il suo lavoro è stato da sempre caratterizzato da uno speciale interesse per i temi legati alla progettazione ambientale e alla sostenibilità in architettura. Fin da giovanissimo ha partecipato a vari concorsi e s' impegna costantemente su ricerche tecnologiche, pubblica spesso studi sulle strategie ambientali per il controllo climatico e ha in attivo parecchi lavori in grandi progetti urbani. Tra le sue opere più significative ci sono il Sino Italian Ecological Building a Pechino, la nuova sede del comune di Bologna, the Koo Lee Institute (Centre for Sustainable Energy Technologies in Cina), il nuovo quartier generale dell' Agenzia Regionale per la Protezione dell' Ambiente a Ferrara. E ancora il Mae, padiglione Itinerante per il Ministero Affari Esteri, la stazione VillejuifLeo Lagrange della metropolitana di Parigi, la Stazione Marittima di Otranto e la sede di iGuzzini Illuminazione a Recanati. Un' esperienza internazionale, quella di Cucinella, che gli permette di raccontare le posizioni, in fatto di attenzione all' ambiente, dei diversi paesi: «La Francia per molti anni non è stata sensibile al risparmio energetico anche perché ha sempre sostenuto il nucleare ora però la situazione è cambiata e il rispetto per gli architetti è altissimo. L' Inghilterra rimane il paese più all' avanguardia e nel 2020 sarà realizzato il primo parco residenziale con zero emissioni Co2. La Cina ha una crescita esponenziale che difficilmente si accorda con l' ambiente, però ci stanno provando come dimostrano le nuove quattordici linee della metropolitana realizzate a Pechino». Per Cucinella un'architettura veramente ecologica può anche essere bella: «E' una grande opportunità creativa, la possibilità di concepire l' estetica con una sua solida base, bisogna capire che un edificio ben orientato per l' energia permette di realizzare un' architettura complessa in cui il valore estetico non è il solo fine e che la bellezza ha una sua utilità». Insomma, solo se passerà il concetto che l' ecologia non è un qualcosa di vagamente naif ma un valore concreto più simile alla scienza allora, a sentire il progettista, «si aprirà una nuova stagione per l' architettura». Purtroppo anche le belle idee si scontrano con una realtà burocratica e fumosa. Cucinella, che ha vinto il concorso per la realizzazione, a Roma, di un edificio destinato alla nuova sede Istat in grado di consumare cinque volte in meno di uno tradizionale, non riesce a realizzarlo. Un progetto che s' integra perfettamente con il Cucinella pensiero: «Ideare strutture che rispondano ai più semplici criteri di efficienza e di riduzione delle emissioni, in grado di interagire con il contesto ambientale nel rispetto delle risorse naturali». «La costruzione di edifici di nuova generazione s' impantana a causa di mille interessi personali. Purtroppo non è facile riuscire a far capire che solo mettendo le mani sulle periferie, e sulle disgraziate costruzioni degli anni '70, si riuscirà ridurre l' inquinamento delle case che è molto più dannoso di quello delle auto. Che non ha senso bloccare il traffico se gli edifici inquinano ancora di più. Naturalmente la rivoluzione andrebbe concepita senza badare ai propri interessi personali, ma pensando ad un disegno futuro di più ampio respiro internazionale». E la rivoluzione per lo studio Mario Cucinella Architects parte dall' interno: utilizza infatti una strategia di lavoro basata sulla formazione di gruppi multidisciplinari in cui l' incrocio e la somma delle diverse conoscenze consente un approccio integrato alla progettazione. Anche questo un modo

 

La Repubblica
05-02-08, pagina 1, sezione MILANO

Incompiute, la ricetta per la svolta
Svizzeri e inglesi esempio da imitare

 

Il sindaco Letizia Moratti ha deciso di mettere fine alla soap opera dei parcheggi sotterranei in città: "Il naufragio". Finalmente deciderà una volta per tutte cosa si fa e cosa non si fa più, ma con quale criterio? Il suo predecessore, Gabriele Albertini, tanto ansioso di passare alla storia come sindaco milanese, ci passerà invece come il più straordinario dei commissari straordinari: quello nominato per porre rimedio a una emergenza, il traffico, che emergenza non era ma cronica malattia, e che dopo dieci anni di poteri speciali ha lasciato in eredità una situazione irrisolta. L' ultimo caso è quello del parcheggio di fronte al liceo scientifico Vittorio Veneto di piazzale Zavattari, del quale si è parlato nell' assemblea di genitori di fine gennaio scorso, conclusasi con la decisione di inviare una lettera all' impresa costruttrice, al Comune e alla Provincia, con una diffida a non cominciare i lavori di un cantiere che costituirebbe pericolo per la scuola, ridotta senza spazio disponibile in caso di forzata evacuazione: un' area recintata dall' agosto 2005 per un cantiere mai realmente iniziato. è da quell' ormai lontano agosto del 2005 che il preside, il professor Michele D' Elia, lotta contro questo cantiere e la lettera di diffida non è che l' ultimo atto di uno scontro: forse spera con questa mossa che il sindaco accantoni anche questo parcheggio insieme ad altri. Ma perché nessuno al momento di autorizzare la costruzione del parcheggio si è domandato quali problemi avrebbe creato al Vittorio Veneto? E magari non solo a lui? Perché l' amministrazione pubblica italiana è potenzialmente autoritaria, non potendo essere autorevole, e così anche Milano, soprattutto nell' era Albertini. Eppure c' è chi sa utilizzare bene le opinioni ed i suggerimenti altrui anche solo per evitare errori. A un passo da noi, in Canton Ticino, la legge prevede che se un Comune fa dei lavori o rilascia un permesso edilizio (da una nuova costruzione fino alla ritinteggiatura della facciata), del fatto debbano essere avvertiti frontisti e confinanti e addirittura, se si tratta di un nuovo edificio, chi richiede l' autorizzazione deve erigere delle antenne a simularne l' ingombro: sono dati termini per le eventuali opposizioni e termini all' amministrazione per accoglierle o respingerle. Ma niente abusi perché i danni per un inutile ritardato avvio vanno pagati. Durante i periodi nei quali ho abitato a Londra notavo ogni tanto, attaccati ai lampioni o affissi in appositi pannelli, avvisi per i residenti sull' intenzione delle autorità di dar corso a lavori grandi o persino minimi, come l' asfaltatura di un marciapiede e vi si indicava a chi rivolgersi per delucidazioni e si davano tempi per eventuali opposizioni od osservazioni. Da qualche giorno siamo compiaciuti di aver copiato da Londra, e con successo, il pedaggio per l' area centrale della città. Ma volendo c' è anche altro da copiare, a cominciare dal rapporto coi cittadini. Gli svizzeri, gli inglesi sono solo più democratici di noi? Forse, ma spero di no: sono certo più abili nel gestire. La loro tecnica è quella di "sminare il campo" prima di andarci dentro. Se ci assegneranno l' Expo 2015 con quel che c' è da realizzare e per non fare la fine dei parcheggi, forse sarà meglio ancora copiare in casa altrui.


LUCA BELTRAMI GADOLA

 

Sirica: più programmazione e concorsi di progettazione

Italia Oggi
06-02-2008
Jan Pellissier

 

 

«Nel nostro paese i tempi e i costi di realizzazione di un'opera pubblica non sono rispettati perché generalmente dominano le varianti, dunque i tempi di realizzazione si moltiplicano, e i costi lievitano impunemente, anzi, talvolta l'opera non viene conclusa», ha denunciato Raffaele Sirica, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori (Cnappc). «A pagare le conseguenze di questa situazione è prima di tutto la progettazione, i cui tempi sono più stretti e i ribassi spesso oltre i limiti della decenza, soprattutto dopo il decreto Bersani», ha aggiunto, «prezzo più basso e offerta economicamente più vantaggiosa non garantiscono la competizione tra i progetti che nel nostro paese avviene perciò solo nei concorsi». Si lascia andare a un commento nel giorno della relazione della Corte dei conti sulla corruzione nel sistema degli appalti pubblici il presidente nazionale degli architetti e dei professionisti, che, tiene a sottolineare, è una categoria che «non vuole criminalizzare ma essere propositiva, molto propositiva». La colpa è della «corruzione diffusa» secondo la Corte dei conti, che ha lanciato l'allarme nella sua relazione annuale presentata ieri.

Uno scenario da prima repubblica, che sarà il tema principale su cui discuteranno gli oltre mille architetti italiani, in rappresentanza dei 130 mila professionisti, distribuiti nei 103 Ordini provinciali che da domani e fino a sabato convergeranno a Palermo in occasione del Congresso nazionale intitolato: «Conoscenza, competitività, innovazione, verso una democrazia urbana per la qualità».

Altrettanto importante la scrittura di nuovi regolamenti edilizi, multidisciplinari e dinamici; la sicurezza nei cantieri. «E poi dei temi strategici della qualità come motore di innovazione», ha sottolineato Sirica, «ovvero: protocolli prestazionali, formazione e aggiornamento professionale, il tirocinio, tempi e i costi della qualità, deontologia».

La scintilla per questa rivoluzione, secondo Sirica, potrebbe essere il XXIII Congresso dell'Uia (International union of architects) di Torino dal 29 giugno al 3 luglio. «La presenza in Italia delle organizzazioni di 120 nazioni», secondo il presidente del Cnappc, «è un'occasione unica e irripetibile per innescare anche nel nostro straordinario paese quel processo virtuoso di riqualificazione urbana e ambientale, per mezzo di trasformazioni sostenibili, come molla per la nostra economia, e fonte principale di occupazione e di sviluppo».

 


LA «SUA» MILANO
Genio dell' architettura
Il «padre» del Pirelli

 

Gli ottant' anni di «Domus» rappresentano qualcosa di più della commemorazione di una rivista di grande importanza. Questa creatura di Gio Ponti è stata forse, tra le sue opere, quella che ha avuto più riscontro in Italia e all' estero. Non dimentichiamo che Ponti è una delle figure leggendarie dell' architettura italiana, anche se spesso nei trattati non viene preso in considerazione come meriterebbe. Per una ragione curiosa: era uno degli architetti più noti tra gli anni 30 e 60, ma la sua fama era all' infuori delle grandi correnti rivoluzionarie che facevano capo a Terragni, Lingeri, Pagano. Venne considerato come il continuatore dell' architettura tra le due guerre, non come il rivoluzionario che, a distanza di anni, possiamo considerare che sia stato. Quando si pensa al suo edificio per la Sapienza di Roma, l' Istituto di Matematica del 1934, o al palazzo milanese della Montecatini, del ' 38, si vede come senza giungere agli eccessi modernisti dei funzionalismi di allora, Ponti aveva imboccato una strada che ben rappresenta l' architettura italiana del tempo. Quel che fa di Ponti una figura del tutto particolare è la sua attività da artigiano: ha dedicato molto tempo alle industrie Richard Ginori, e le sue produzioni ceramiche sono state famose nel mondo. Ha lavorato molto come grafico compositivo: basterebbe ricordare i suoi «auguri natalizi», ne conservo alcuni, che sono un esempio della sua capacità inventiva (qualità che poi è discesa «per li rami» anche in sua figlia Lisa, ottima disegnatrice). Tra le grandi opere di Ponti, molte sparse a Milano, c' è il Pirelli, l' ultimo grattacielo di spicco della nostra città, avara di edifici verticali. E una delle opere importanti in un Paese, come l' Italia, povero di architetture in «carne e ossa», ovvero in mattoni e cemento. Per questo «Domus» è capitale: anche adesso, a 80 anni dal primo numero, resta la rivista italiana di architettura più importante nel mondo. Nata dall' alleanza di Ponti con il grande editore Gianni Mazzocchi, divenne subito centrale nel dibattito culturale e architettonico. Ha avuto vicende alterne. Dopo la guerra, e un breve periodo di stasi, venne affidata all' architetto Ernesto Rogers, per poi tornare nelle mani di Ponti. Io stesso vi collaborai a lungo, e per un anno o due ne fui anche vicedirettore: cosa che mi inorgogliva. I miei rapporti con Ponti e le sue figlie erano, più che di lavoro, di amicizia. Aveva una squisita capacità di entrare in sintonia con il pubblico, e la sua amicizia era piacevole. Era un uomo lontano dall' intellettualismo: non una persona cerebrale, ma sentimentale. Coniava molti aforismi, molte battute. Per esempio: «L' architettura è un cristallo». Non ho mai saputo bene che cosa voglia dire, penso che per Ponti un' opera debba riflettere come un cristallo ed essere anche trasparente nel suo presentarsi, non nascondere nulla.


Dorfles Gillo


Pagina 1 e 15

(7 febbraio 2008) - Corriere della Sera


Los Angeles Ogni autore avrà a disposizione 24 metri per 50 aperti.
«Si scenderà dall' alto a terra a colpi di opere, come in un flipper»
Alluminio e un mega Jeff Koons, l' ultimo museo di Piano
L' architetto firma il palazzo per il contemporaneo: «Spazi semplici, non è una gara con gli artisti»

 

DAL NOSTRO INVIATO GENOVA - Renzo Piano interviene nel modo più concreto e reale, con l' inaugurazione di un suo nuovo grande museo di arte contemporanea, nel dibattito che coinvolge l' arte e l' architettura contemporanee. Piovono accuse sugli archi-star autori dei musei per l' arte di oggi: sarebbero «colpevoli» di volersi sovrapporre ai prodotti per i quali sono stati convocati. L' architetto ha un' idea puntuale e insieme anarchica dell' arte contemporanea: «Se io penso a Klee o a Matisse, per scegliere tra i grandi dell' arte moderna, vedo due geni ormai consacrati. Invece l' arte contemporanea tutto è tranne che consacrata. Perché è in movimento. Perché gode, e nello stesso tempo soffre, di quello stato d' ansia, di attesa, di ricerca di qualcosa che non ha ancora trovato la propria stabilità. L' arte contemporanea, insomma, si sta ancora struggendo. Ed ha bisogno di spazi liberi. Di mancanza assoluta di ostacoli, anche fisici». Piano è dunque schierato nella polemica: «Io credo che un architetto non debba mettersi in gara con gli artisti. Proprio perché l' arte contemporanea è in movimento, ha bisogno di un contenitore non indifferente ma che abbia caratteristiche ben precise: generosità, flessibilità, trasparenza. E tutti gli artisti adorano gli spazi semplici». Ne sanno qualcosa Jeff Koons, Richard Serra, Chris Burden, Bob Irwin, John Baldessarri, coinvolti nell' operazione Piano. Ovvero il nuovo Lacma, il Los Angeles County museum of art. Un edificio che collega la sede museale del 1965 a un' altra costruzione già usata come grande magazzino. Al centro l' ultima creazione di Piano: tre livelli, diecimila metri quadrati coperti, esterno in romanissimo marmo travertino estratto a Tivoli e tagliato da Campolonghi a Massa Carrara, quattro anni di lavoro e 150 milioni di dollari di spesa, suddivisa tra la mano pubblica e la fondazione del filantropo Eli Broad, collezionista d' arte contemporanea. All' esterno una scala esterna (lontana citazione del Beaubourg) condurrà al terzo piano: «Chi arriverà dalla pianura dovrà abbandonare l' auto, mutare velocità anche interiore, scoprire la città salendo fin lassù. Per poi ridiscendere a terra, a colpi di opere d' arte, come in un flipper». Piano sorride: «Il Lacma è vissuto dalla gente di Los Angeles come qualcosa di molto legato alla città e alla pianura. Lì sull' acropoli c' è il Getty Museum. Più lontano, distante...». Altre caratteristiche: il pianterreno avrà luce radente naturale, il secondo illuminazione artificiale, il terzo farà i conti col sole: «Ma nessuna opera potrebbe tollerare i raggi diretti di una terra del Sud. Così ho inventato una schermatura in alluminio. La luce arriva ma viene fermata, poi si riflette su un altro schermo e infine arriva alla sala». Caratteristica comune dei tre piani, la mancanza di pilastri e altri ingombri: «Gli artisti avranno a disposizione 24 metri per 50 completamente aperti». Entro un anno, Jeff Koons piazzerà accanto all' ingresso una mega-installazione che già si annuncia da Guinness: una gru impegnata a sostenere una locomotiva in attività. Per il pianterreno sono già pronte due opere di Richard Serra. Le pareti esterne del nuovo edificio diventeranno sfondi per tre mega-opere su tela leggera di John Baldessarri: «Così le facciate in travertino respireranno, vivranno, mostreranno il loro lato mobile e insieme effimero». Nel parco Chris Burdin allestirà la sua collezione di lampioni in stile Novecento ritrovati a Los Angeles, Pasadena e in tutta la California meridionale. Bob Irwing firmerà un allestimento botanico: una fila di palme rare, il simbolo di Los Angeles. E qui si chiude il cerchio: «Tutto questo ci riporta all' idea di fabbrica. Una straordinaria fabbrica a disposizione dell' arte contemporanea dove i generi sconfinano tra loro, si fondono, ritrovano la via del contatto con la natura... Bella scommessa, no?».


Conti Paolo

 

Pagina 25

(7 febbraio 2008) - Corriere della Sera
Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Cronache - data: 2008-02-08 num: - pag: 20
categoria: REDAZIONALE
La norma L'architetto: anche una buona legge può diventare un handicap

Fuksas: il certificato antimafia ci ostacola

 

PALERMO — Se è vero che uno dei mali maggiori che affliggono l'architettura italiana (e non solo) è quello della burocrazia, persino la richiesta del certificato antimafia può contribuire ad aggravare la situazione, «facendo perdere ancora più tempo». Massimiliano Fuksas non è certo critico della legge antimafia, piuttosto la considera in certi casi un problema in più per chi progetta. Insomma, per lui (ma la sua è un'opinione condivisa anche dal sindaco di Castellammare di Stabia Salvatore Vozza, eletto in una lista civica di centrosinistra, e da altri tecnici), persino la «buona legge» antimafia può trasformarsi in un handicap in una situazione difficile come quella dell'architettura italiana. Insieme alla legge Merloni che definisce le regole degli appalti pubblici («da abolire senza possibilità di appello, meglio la vecchia legge del Regno d'Italia»), ai concorsi di idee («una via di uscita quando non si vuole far niente»), al disinteresse quasi totale della politica («l'unico che ha fatto qualcosa è stato Lunardi con la Legge obbiettivo »), ai concorsi dove decidono i funzionari e non i committenti.

L'occasione per parlare dei mali dell'architettura è stata la tavola rotonda tenutasi ieri durante la prima giornata del Congresso nazionale degli architetti in programma (fino a domani) a Palermo. «Democrazia urbana » è stato il motto della tavola rotonda, dietro cui si nasconde l'intenzione «di trasformare le periferie in città — come ha detto Raffaele Sirica, presidente del Consiglio nazionale degli architetti — superando quell'urbanistica del dopoguerra che ha prodotto il disastro dei condoni» (Fuksas ha però specificato: «Un Paese non può essere democratico solo in una sua parte, lo è in tutto oppure non lo è»). Gli architetti si dicono pronti «a una sorta di rivoluzione culturale» per ricollocare la loro professione «all'interno di nuovi meccanismi economici, politici e sociali». E proprio la riqualificazione urbana può diventare «una molla di occupazione e di sviluppo». I dati di una ricerca del Cresme, presentata ieri nell'ambito del congresso, parlano chiaro: in Italia ci sono 76.041 studenti di architettura (in Germania 45 mila e nel Regno Unito 7.948) e 123.083 architetti registrati (50 mila in Germania, 30 mila in Spagna) ma tra i primi cinquanta maggiori studi d'Europa per numero di persone impiegate e per fatturato non c'è però niente (e nessuno) di italiano.

Sulla legge Merloni

«Da abolire senza possibilità di appello, meglio la vecchia legge del Regno d'Italia»

Sui concorsi di idee

«Una via di uscita quando non si vuole far niente. I politici?

Disinteresse quasi totale»


Stefano Bucci

 

CONVEGNO ALLA FIERA RHO-PERO
La città del futuro tra design e cultura


Il bello, in tutti i suoi aspetti e in particolare come principio ispiratore per costruire una città. Questo uno dei temi centrali del convegno «La città di fondazione, oggi. Città possibile o provocazione culturale?» che si terrà oggi pomeriggio alle 17.30, alla Fiera di Rho, durante Made expo, Milano Architettura Design Edilizia. Tra i relatori anche l' assessore all' Urbanistica Carlo Masseroli, il critico d' arte Philippe Daverio, il filosofo Giacomo Marramao e l' imprenditore Carlo De Albertis. L' appuntamento espositivo dedicato all' edilizia e all' architettura si chiuderà domani. La manifestazione presenta agli operatori il meglio della filiera edile, dal progetto ai servizi, presente sul mercato italiano e internazionale.

 

Pagina 10
(8 febbraio 2008) - Corriere della Sera


Protesta I consiglieri Pd: attese e abusi edilizi. Quei parcheggi sono una beffa, chiusi da 15 anni»
«Via Olona, sì ai box. Stop a Sant' Ambrogio»

 

A cento metri da piazza Sant' Ambrogio, a venti dall' omonima fermata del metrò c' è un parcheggio interrato da 520 posti auto, la metà dei quali dovevano essere ceduti al Comune. Peccato che la struttura di via Olona-angolo via Carducci, alle spalle del Museo della Scienza e della Tecnologia, sia chiusa al grande pubblico - vi accedono solo pochi privati - da quando è stata terminata. Almeno 15 anni. Storia che ha anche scandalosi aspetti - «è nata con un abuso edilizio, hanno fatto un piano in più di posti auto senza permesso, sanato solo 3 anni fa», precisa l' assessore al Territorio, Carlo Masseroli, che ha sciolto la farraginosa matassa, ereditata dalle passate amministrazioni -, e conseguenze «devastanti». Come precisano i residenti indicando lo scavo, solo archeologico per il momento, dinanzi alla basilica, dove saranno realizzati altri seicento posti auto. «Si apra via Olona e si rinunci ai box di Sant' Ambrogio», è l' ultimo appello al sindaco Moratti da parte di Francesca Castelbarco. Le fanno eco i consiglieri del Pd, Aldo Ugliano e Pierfrancesco Maiorino. «I box sono nati con la palazzina uffici vicina nell' area che ospitava i magazzini della Rinascente - spiegano -. Al Comune, per convenzione, spettavano 260 posti auto». Chiuso dietro una cancellata anche un ampio terreno, lastricato, «che dalla verifica fatta all' urbanistica ci risulta essere pubblico». L' intero complesso, palazzo, uffici e box interrati, è passato di proprietà in proprietà. Il portiere ha la bocca cucita: «Parlate con i titolari», dice seccamente. L' assessore Masseroli assicura che «la questione è stata risolta da noi, dopo quindici anni che si trascinava. Perché quel box è nato con un abuso edilizio e per sanarlo questo è il tempo che si è reso necessario. Hanno scavato un piano in più (il sesto) senza permesso». Non senza problemi di allagamenti causa falda acquifera. Quindici anni per sanare l' abuso. E pochi mesi fa «il via libera dei vigili del fuoco che spiana la strada alla nuova convenzione».


D' Amico Paola


Pagina 6
(9 febbraio 2008) - Corriere della Sera

 

La Repubblica

10-02-08, pagina 4, sezione MILANO
Carlo Masseroli, l' assessore che ha voluto l' iniziativa
Quelle torri sono il simbolo del futuro
Tra dieci giorni il via libera finale a Citylife. Poi un' assemblea pubblica con i residenti della zona e un voto in consiglio comunale L' ex Fiera


L' ultima notizia sul fronte dei grattacieli è che entro una decina di giorni i giochi saranno fatti anche a Citylife: la road map, con un ritardo di qualche mese rispetto alla previsione di chiudere già nel 2007, prevede la delibera per dichiarare di interesse pubblico l' area acquisita da Milano Fiera per allargare il parco tra ex Fiera e Portello, una assemblea pubblica con i residenti che non si annuncia delle più tranquille, l' approvazione della variante in giunta e infine «un passaggio in consiglio, ancorché non dovuto», dice l' assessore all' urbanistica Carlo Masseroli, «proprio perché vogliamo condividere il più possibile il percorso». Che resta quello programmato: allargamento del verde da 80 a 150 mila metri quadri, collegamento pedonale e ciclabile con le colline artificiali del Nuovo Portello, spostamento dell' edificio di Daniel Libeskind destinato a Museo d' arte contemporanea dal fianco dei grattacieli d' autore all' area nordovest, dove si affaccerà su una piazza pubblica. Piccolo abbassamento come promesso dei volumi nelle aree residenziali, nessun ripensamento (anche se gira voce di qualche ritocco progettuale) sulle altezze dei grattacieli. Sui dettagli del museo di Libeskind si riserva di parlare direttamente, più avanti, il sindaco. E intanto l' assessore ha avuto l' idea della mostra di modellini all' Urban Center, perché «il palazzo alto, dalla torre al grattacielo, è davvero diventato un simbolo della città. Milano ne ha avuti in passato, altri ne avrà presto e li pensa come un segno della propria identità, come ha dimostrato anche il sondaggio fatto da Repubblica un paio di mesi fa». Ma a suo modo "La Milano che sale" chiude anche un ciclo, con l' avvio dei grandi progetti in gestazione fin dall' era Albertini e la partenza della miriade di cantieri più modesti nelle 140 aree vincolate sbloccate lo scorso autunno. Mentre le torri crescono, l' ordine del giorno passerà al Piano di governo del Territorio che dovrà guidare le trasformazioni degli scali ferroviari e, se tutto va bene, la preparazione della città per l' Expo.

 

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