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Deposito ATM di Famagosta

Anno: 1989 - 1999

Località: Milano, Stadera

Indirizzo: Via San Paolino 7, Milano

Destinazione d'uso: Autorimesse, depositi, edifici per lo stoccaggio

Progettista: Ludovico Magistretti

“Io credo che tutto sia condizionato (…) ma una delle caratteristiche peculiari dell’architettura nonché uno dei suoi principali alimenti è il concetto di realtà: l’architettura è conseguenzialmente tutto quello che è l’architetto e la sua affascinante attività, ha sempre e comunque una realtà con la quale confrontarsi” racconta Ludovico Magistretti in un dialogo pubblicato circa vent’anni fa. Il deposito MM costruito nella periferia sud-ovest di Milano può essere descritto proprio a partire da questo punto di vista, dalla relazione, cioè, che esso instaura con la realtà circostante. Ci troviamo in una zona prettamente industriale di Milano, in prossimità dell’imbocco di una autostrada e quindi caratterizzata dall’intersecarsi di una serie di svincoli stradali. Un luogo senza alcun carattere speciale, se non quello, appunto, definito dall’infrastruttura e dalla costruzione sparsa di capannoni e piccole fabbriche.

 

L’idea che sta alla base del progetto di Magistretti è quella di dare una forma riconoscibile all’ennesimo “capannone” che in quel luogo dovrà essere realizzato: una forma che ne rappresenti il ruolo all’interno della città e allo stesso tempo ne renda evidente la funzione: quella di autorimessa e officina per i treni. La scelta di ridurre il progetto alla composizione di due unici elementi, uno dei quali ripetuto quasi ossessivamente, va in questa direzione. Un’infilata di shed metallici di dimensioni particolarmente accentuate (circa 8 x 8 m) e disposti linearmente a costruire una serie di navate parallele, definiscono la forma dell’edificio visibile dalla strada, e il luminoso ambiente interno del deposito. Gli shed si appoggiano su un basamento dall’aspetto impenetrabile, una sorta di zoccolo la cui superficie viene disegnata dalla struttura composta da travi e pilastri in cemento armato precompresso e dal tamponamento in mattoni.

 

“La tecnologia è per me uno strumento, esattamente uguale a un martello: per questo io non mi emoziono mai per la tecnologia e soprattutto non ritengo che la tecnologia fornisca da sola la garanzia di fare un oggetto contemporaneo. L’oggetto contemporaneo nasce da un uso corretto e opportuno degli strumenti che abbiamo a disposizione, il primo fra tutti il cervello. (…) La vera tecnologia è il cervello”, continua, nello stesso dialogo, Magistretti. Il progetto del deposito MM per la sua costruzione non si affida all’esibizione di ardite scelte tecnologiche, propende piuttosto, per la rappresentazione di un modo di costruire tradizionale: la realizzazione di una sorta di telaio strutturale prefabbricato – dagli anni ’70 la ricerca sugli elementi prefabbricati da utilizzare nell’edilizia è ricorrente – tamponato attraverso il materiale più consono alla cultura milanese, il mattone. Sono i grandi lucernari a shed attraverso cui s’illumina la grande aula recintata del basamento, quelli su cui l’attenzione dell’architetto si sofferma con più insistenza: di essi sarà necessario definire la forma, la geometria e la misura perché saranno proprio loro, giustapposti al grande basamento, a conferire carattere e a rendere riconoscibile l’edificio anche da coloro che si troveranno a percorrere velocemente le strade adiacenti.

 

Martina Landsberger

BIBLIOGRAFIA SULL'EDIFICIO:

 

AA.VV.

Progetti a Milano

in “Domus”, n. 712, 1990

 

E. Faroldi, M.P. Vettori

Dialoghi di architettura

Alinea, Firenze, 1995