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Ritratto di un architetto: Sir Norman Foster

Dal 05.11.2010 al 05.12.2010

Report dell'incontro con Sir Norman Foster alla sala Dino Buzzati del Corriere della Sera di mercoledì 3 Novembre in occasione del numero di Abitare dedicato all'architetto

Dopo la prima esperienza con Renzo Piano, Abitare sceglie Sir Norman Foster come seconda archistar da analizzare, ed è proprio lo stesso termine archistar – che o lo si ama o lo si odia – al centro della questione. Seguire un architetto impegnato su più fronti e su più progetti come lo è Norman Foster, è il compito che si prefiggono Matteo Poli e Paolo Rosselli, costruendo un racconto composto da interviste/visite/spostamenti. Il presupposto di Abitare appare quindi eloquente: enfatizzare ancora di più la figura dell’architetto in quanto archistar.

Nell’incontro è stato usato il termine pedinamento, intendendolo appunto come “assidua frequentazione di un architetto”. Stefano Boeri sostiene questa attività come una possibile strategia di conoscenza personale e professionale del soggetto indagato. Il presupposto appare quindi costruire un personaggio, così come emerge dall’impaginazione della rivista, che offre grandi primi piani dell’architetto e disegni (forse) un po’ piccoli di aeroporti infiniti.

Secondo Paolo Rosselli, il fotografo che ha lavorato insieme a Matteo Poli nel reportage, Norman Foster si può accostare a Jean-François Lyotard, filosofo autore de “La condizione post-moderna” il quale, nella  sua ricerca, ricrea mappe in cui i diversi saperi e le culture del mondo contemporaneo cominciano a “migrare”, non sono cioè chiusi e isolati ma riescono a navigare dall’Europa alla Cina all’America. In questo senso Foster è visto come un personaggio globale, che assimila il mondo circostante, capace di progettare in contesti opposti rispondendo con innumerevoli soluzioni.

Matteo Poli è rimasto invece affascinato dalla sua passione per la precisione che parte dallo schizzo ed arriva al progetto costruito; una coerenza che permette a Foster di disegnare sia oggetti di design che sterminati aeroporti. Il progetto alle diverse scale è il punto chiave; c'è uno stretto legame tra i propri interessi privati e il modo in cui si opera. Sono essenziali quindi stimoli continui, interessi e passioni che spaziano in tutti i campi: sport, arte, natura, tecnologia.

Interessanti sono i contenuti che emergono dalle parole stesse di Norman Foster. Per l’architetto inglese la passione per le cose e il fare architettura sono un tutt’uno; si forma così un unicum di pensiero dal quale nascono progetti innovativi nel loro contesto e totalmente differenti tra di loro. Ne sono un esempio edifici come quello che ospita il suo stesso studio, tra i primi esempi di mixed use a Londra, oppure il Millennium Bridge, posto sull’asse della cattedrale di Sant Paul e capace, con la leggerezza di un ponte sospeso, di collegare le due sponde del Tamigi, offrendone nuovi scorci urbani e contribuendo anche alla rigenerazione del quartiere di South Bank.

Estetica e funzionalità nella sua opera sono inscindibili, in totale fusione, come nella natura, fonte costante di ispirazione da cui prendere spunto. Questa visione olistica caratterizza anche la sua visione della professione, nella quale non è possibile separare oggi (il progetto de) le infrastrutture, il planning, l’architettura e il product design. Nel mondo industrializzato, dice, un terzo dell’energia è spesa per gli edifici, un terzo nei trasporti e il restante nelle altre sfere: ai fini della sostenibilità – tema cardine per Foster, ereditato da Buckminster Fuller, personaggio per lui fondamentale con cui ha avuto la possibilità di collaborare negli Anni Settanta – non si può tralasciare nessuno di questi elementi.

Il suo interesse verso "Bucky" è uno dei temi che compaiono nel numero monografico di Abitare: proprio nel periodo di pedinamento ha inaugurato una mostra curata da lui stesso e da sua moglie Elena sull'architetto americano per cui Foster ha curato la ricostruzione filologica della Dimaxion, auto utopica disegnata e realizzata in tre esemplari nel 1933.

Nel corso dell’incontro Foster espone molti progetti; da quelli a scala più ampia - come la città di nuova fondazione Mazdan, pensata per centomila abitanti a zero emissioni e zero rifiuti, obiettivo per il quale egli ha ristudiato e rivisitato l’architettura tradizionale del deserto integrandola con il più alto tasso di tecnologia oggi raggiunto – a quelli a scala più minuta – come l’edificio per appartamenti a St Moritz Chesa Futura, progetto-manifesto della densità contro lo sprawl della “suburbia alpina”. Quest’ultimo riflette in particolare sull’uso dei materiali locali naturali come il rivestimento in scandole di legno di larice il cui colore varia dall’oro al grigio materico delle parti esposte alle intemperie, e, visto dal lago mimetizza la copertura dell’edificio nelle rocce delle montagne circostanti.

Manuele Salvetti
Carlo Venegoni

Presentazione Being Norman Foster. Part 1 from Abitare Web on Vimeo.

 

Presentazione Being Norman Foster. Part 2 from Abitare Web on Vimeo.

Presentazione Being Norman Foster. Part 3 from Abitare Web on Vimeo.


 

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