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Maria Giuseppina Grasso Cannizzo a 7x7

Dal 04.06.2013 al 25.06.2013

Vi proponiamo il resoconto dell'ultimo incontro di 7x7 con la straordinaria architetto siciliano. La passione rigorosa nel controllo del processo di progettazione attraverso 3 esempi di architettura felice

Ultimo incontro di 7x7, ciclo dedicato al dialogo tra 7 architetti di caratura europea e 7 architetti milanesi, in cui la presentazione dell’opera dei primi attraverso le domande dei secondi vuole essere stimolo a coinvolgere l’esperienza e le domande del pubblico. 
Un modo per confrontarsi attraverso esempi del fare, con scrupolo, nel quotidiano del nostro mestiere.

Organizzato dalla Fondazione dell’Ordine con la collaborazione di Federico Tranfa, a chiusura mercoledì 12 giugno si propone una tavola rotonda finale con i 7 discussant milanesi, che cercheranno insieme al pubblico di tirare le fila di quanto Ricardo Bak Gordon, Jonatan Sergison, Giacomo Borella, Cristoph Mayr Fingerle,  Kersten Geers, Pia Durisch e Aldo Nolli, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo ci hanno mostrato e raccontato.

Di seguito un sintetico report dell’incontro con l’architetto siciliana che ha presentato 3 lavori con dovizia di dettagli soprattutto legati al processo progettuale.
Qui invece potete trovare il video dell’intera serata.


Mercoledì 29 maggio 2013 abbiamo avuto l’onore di ospitare presso la nostra sede l’architetto Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Siciliana di Vittoria, laureatasi nel 1974 a Roma, dove svolge attività di ricerca in materia di Restauro con il prof. Franco Minissi fino al 1980. Successivamente a Torino per Fiat Engineering si occupa del recupero di alcuni borghi in Basilicata. Dall’86 ritorna in sicilia, dove vive e lavora.

Franco Raggi nel presentarla  ammette di conoscere il suo lavoro da poco trmpo, come molti, emblematico del sistema della comunicazione, spesso lontana dalla qualità.

Massimo Curzi invece, che per questioni di famiglia la conosce da anni, definisce il loro rapporto come olio e aceto, in cui ogni tentativo di dialogo finisce in discussione. Ma avendo avuto la fortuna di vivere gli spazi da lei creati non può che esprimerne l’alta qualità dell’abitare, definendo il suo un approccio poco tradizionale e di avanguardia.

Maria Giuseppina Grasso Cannizzo presenterà 3 progetti mai raccontati a Milano, e a suo avviso mal illustrati dalle riviste che li hanno pubblicati in questi anni.
Il primo, del periodo 2000/04, è la ristrutturazione –sarebbe meglio dire rifacimento, come poi vedremo- di una villetta in un’area di espansione di Ragusa, caratterizzata da piccole palazzine di recente costruzione, in cui la principale domanda posta dall’anziana coppia committente di fruire direttamente il giardino, che di fatto non c’è.
Originariamente disposta su due livelli, la zona di servizio al piano terra e di abitazione al primo piano, il contatto con l’esterno è di fatto inesistente e filtrato da balconi e velette in cemento armato. Ma la subitanea proposta di demolire e ricostruire non trova il favore del committente.
Data l’articolazione del volume decide di lavore su un modello, poichè da foto e rilievi l’edificio e il suo contesto risultava poco comprensibile soprattutto nelle sue logiche generative.

Le numerose immagini che mostra sono dunque frutto  della ricostruzione del processo immaginativo e costruttivo compiuto nella decostruzione del volume, scattate su un modello appositamente ricostruito in occasione della mostra a lei dedicata al MAXXI. Un processo durato 8 mesi, in cui il modello viene lentamente smontato, secondo un processo di alterazione e riorganizzazione del volume dell’edificio esistente, nel tentativo di trovarne la logica di costruzione, tentativo di fatto strenuo.
Rimuove l’inutile, gli ostacoli, compreso il tetto a falda –andava compiuta anche una azione di alleggerimento, poichè la struttura risultava sottodimensionata staticamente.
Una produzione di macerie in continuo aumento, vincolato anche dal fatto che non può aggiungere altra volumentria. Processo sofferto, che giunge una notte a capire finalmente che addossando le macerie prodotte all’edificio avrebbe ottenuto il contatto cercato col giardino al primo piano, risolvendo per altro anche il problema della loro costosa rimozione. Per il resto svuota, chiude, e solo una volta definito il volume incomincia a lavorare sulla distribuzione interna e alle relative bucature. Nel suo lavoro, afferma, piante e sezioni generano i prospetti. introduce falsi volumi in grigliato d’acciaio, smagliature le chiama, arrivando così alla definizione del progetto finale.

Quindi il cantiere: finite le demolizioni la situazione era demoralizzante. Lentamente, attraverso le foto di cantiere si assiste alle diverse fasi di costruzione: ingresso in trincea, terrazzo grigliato esterno alla cucina, con le maglie di rete a modi pergolato per sostenere la vegetazione.
Per l’intonaco, l’unico colore da lei ammesso era il nero, non apprezzato dalla proprietà. Sceglie allora di intonacare con una miscela tipicamente catanese, con la nera sabbia di lava “Azolo”. Un effetto molto bello ma che può sembrare non finito...
Infine le foto fatte negli anni successivi all’insediamento della proprietà mostrano un verde talmente ricco da isolarne il volume all’intorno, e l’abitare della casa fa tutto il resto.
‘Anche in un piccolo lavoro va controllato l’intero processo, tutti hanno un peso’, non vi sono soluzioni preconfezionate, e l’obbiettivo è uno spazio come se ci si fosse sempre stati.
Garutti dice ‘il minimalismo è mettere in evidenza il processo’, afferma Massimo Curzi, ricordando come negli anni ’70 e ‘80 fosse vicino all’ambiente artistico Torinese. Ogni opera è diversa, come insegnano Boetti, o Lewitt, risponde, teorici dell’avanguardia di cui la Grasso Cannizzo è stata amica.

La mia non è architettura minimalista, afferma MGGC, ma, ribadisce, un processo attento a ogni suo passaggio: non è mania del dettaglio ma controllo delle parti. Il cantiere per questo è fondamentale, per cui studia spesso dettagli 1:1, poi di fatto sporcati dal cantiere. L’importante è che i pezzi del meccano si incastrino tra loro, a prescindere dalla loro pulizia di esecuzione.

Il secondo progetto presentato, a Noto, è del 2009. Un programma apparentemente più semplice –una piccola casa per vacanze su una collina a pochi chiometri dal mare di Vendicari, in mezzo ad una oliveta. Identificato il luogo di costruzione insieme alla proprietà in loco, si sviluppa su un programma preciso: oltre al trilocale di base, sono richieste un paio di stanze per gli ospiti, con particolare attenzione alla sicurezza nei mesi di inutilizzo e di esposizione alle piogge, invasive su terreno argilloso. Il tutto con locali alti almeno 3 metri e in 100mq di costruzione.
Un luogo difficilmente raggiungibile, 2 km e mezzo di sterrato allargati necessariamente di 50cm per renderlo accessibile, con una cubatura normativamente vincolata. Per questo si è proceduto a immaginare una sezione diagonale, con servizi ad altezza minima di 2,40m, privilegiando i locali principali, tutti esposti verso il mare.
A questo volume minimo aggiunge un elemento mobile contenente i locali per gli ospiti, scorrevole su binari che chiude, quando inutilizzato, la veranda del soggiorno. Una risposta chiara ad ogni punto di programma.

La costruzione è povera, di tipo industriale: fondazioni a vista prefabbricate, pacchetto di tamponamento perimetrale prefabbricato, composto da diversi strati di fibrocemento e montanti scatolari in alluminio.
La struttura scorrevole viene realizzata dopo più di un anno, una costruzione leggera, anch’essa con struttura in alluminio e tamponamenti fibrocemento e legno a vista di produzione altoatesina, come la proprietà.

Massimo Curzi sottolinea la potenza della composizione e la fragilità dell’involucro: perchè il legno?
MGGC richiama le esigenze del committente, che aveva facilitazioni riguardo il materiale ligneo, per lei valido tanto quanto il cemento armato.
Piuttosto importante è stato conservare l’orsogrill del solaio della veranda, a sottolineare con la sua trasparenza la sospensione del volume da terra. All’interno i pavimenti sono esito di un errore di cantiere, per cui per rispettare le altezze si è utilizzato un semplice rasante autolivellante successivamente protetto con resina trasparente.

Terzo progetto proposto è la torre di controllo della marina di Ragusa, frutto di una variante ad un progetto originario piuttosto anonimo.
Nell’idea originale si intende evocare le strutture e le attrezzature del porto, carrelli mancine gru e strutture tecniche. Una staffa su cui viene appoggiata una ‘lanterna’, costituita dai locali di controllo sotto cui è sospeso il locale per il custode. Per far questo necessitano fondazioni importanti. Ma che solo successivamente emerge che erano già esistenti.
Nella realizzazione quindi molte cose cambiano, coompresa l’intrusione di pilastri in c.a. centrali che riprendono la struttura esistente, e i vetri antiriflettenti al posto che trasparenti, stante la necessità di proteggere chi vi lavora all’interno. Il rosso segnale è l’unico colore usato,  con il legno a vista del locale sottostante. All’interno l’aggetto verso il mare è ulteriormente sottolineato dal solaio in vetro, come richiesto dal committente, un ulteriore senso di sospensione, come di effetto navigazione.

Siamo alle domande, Franco Raggi rompe gli indugi chiedendo come funziona tecnicamente l’innesto dei servizi igienici dell’elemento mobile della casa di Noto, un problema non da poco.
MGGC descrive la soluzione adottata come empirica, veerificata ed approntata in cantiere.

Massimo Curzi rievoca l’utilizzo di objet trouvè, se si tratta di un riferimento artistico. MGGC fa presente, prosaica, che vive in un piccolo paese e l che ogni cosa dista 30 chilometri: conservando tutto, ha disponibilità di molti materiali in casa. Più in generale non crede nel ridisegno di ogni cosa, consapevole di vivere in un epoca industriale e uso quanto questa produce.

È contestuale la tua architettura? Domanda a bruciapelo Massimo Curzi.
Non ama le etichette, MGGC, non ha questo problema, provenendo dal restauro sente l’esigenza che ogni cosa sia trasformabile. Gli anni di lavoro con Minissi le hanno insegnato questo, oltre che l’attenzione al luogo in cui si progetta “ogni cosa removibile” era la prima regola.

Beppe Finessi dal pubblico nota come stia prendendo grande libertà di azione nei suoi progetti più recenti, la profonda diversità tra ognuno. Un governo dell’inconveniente il suo agire.
MGGC afferma di aver sempre avuto paura del linguaggio. Porta gli esempi di Alighiero Boetti, sempre diverso nei pensieri così come gli igloo di Merz alla fine molto simili tra loro.
Ogni progetto pone condizioni diverse. Non parto mai dall’involucro, facendo invece miliardi di ragionamenti e diagrammi, secondo strategie che danno risultati diversi. Quando inizia da sempre come condizione la possibilità del fallimento. Quando sperimenti sai che vi è la possibilità di fallire.

Chiude sollecitata da Curzi sul suo rapporto con la storia.
Risponde stizzita: “La storia fa parte della nostra vita, non c’è bisogno di replicarla”.
Grande.

Francesco de Agostini

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