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Zaha Hadid e la parametrica malleabilità delle forme

Dal 19.04.2011 al 20.05.2011

Report dell'evento che ha ospitato Zaha Hadid e Patrik Schumacher al Politecnico per la presentazione del numero speciale di Abitare Being Zaha Hadid

Uno spazio Patio della Facoltà di Architettura e Società del Politecnico pieno come lo era nel pomeriggio del 12 aprile 2011 si rivedrà raramente. In realtà lo si poteva immaginare osservando i manifesti appesi nei dintorni: dialogo tra Zaha Hadid, Patrik Schumacher e Stefano Boeri, in occasione del numero speciale di Abitare, Being Zaha Hadid.

Il lavoro che è stato fatto per arrivare a produrre il numero è lo stesso compiuto per il primo speciale dedicato a Renzo Piano e il secondo a Norman Foster, un lavoro da "segugi" pedinando giorno e notte l’archistar prescelto.

Gli ospiti invitati al tavolo - Alessandro Balducci, Neil Barrett, Cini Boeri, Romeo Gigli, Ross Lovegrove, Pier Carlo Palermo, Franco Raggi, Vittorio Sun Qun, Marina Terragni, Lea Vergine, Cino Zucchi - si mimetizzano  tra la folla; forse lo spazio Patio molto adatto non è ad ospitare o tenere lezioni, dato che è organizzato su più livelli ed è in realtà anche abbastanza buio.

Dopo una breve introduzione da parte di Boeri, l’evento si articola fin dall’inizio mediante domande e risposte a Zaha Hadid e Patrik Schumacher, evitando purtroppo descrizioni di progetti, che avrebbero reso la conferenza più interessante e didattica. Ciò che di fatto emerge da questi eventi, è l'approccio mediatico e spettacolare, che purtroppo spesso non va oltre la mera superficialità di circostanza.

Zaha Hadid, avendo insegnato nel corso di tutta la sua carriera, riesce comunque a trasmettere agli studenti parecchie riflessioni; oltre a varie lectio magistralis, tiene infatti un corso – si mormora tra i più duri – all’Università di Arti Applicate di Vienna, mantenendo così il rapporto con gli studenti, a detta sua molto importante, perché mantiene fresco il pensiero. Ciò che manca nelle università di Architettura nel Regno Unito, è invece il legame tra insegnamento e professione, relazione invece molto serrata in quelle americane.
Per Patrik Schumacher il rapporto con il mondo accademico è fondamentale; finché si è studenti si può lavorare su tutto, sperimentare alle diverse scale e senza limiti, mentre la professione obbliga ad avere molti paletti.

Giovanna Silva, la fotografa che ha seguito la Hadid nel corso del "pedinamento", le chiede se il gruppo l’abbia disturbata. "All’inizio neanche me ne accorgevo" risponde ironicamente, sottolineando che in realtà quello che il team di Abitare ha percepito è stato solo una minima parte della sua giornata piena di impegni.
La parola passa a Patrik Schumacher. In seguito ad alcune domande sul metodo di lavoro,  egli ribadisce l’importanza della tridimensionalità. E' negli anni ’70 che comincia l’attività progettuale, periodo  in cui il moderno entra in crisi: "inizialmente si lavorava molto con la carta e con la fotocopiatrice per costuire i modelli - spiega Schumacher - poi la tecnologia ha implementato il lavoro sulla forma".

Paura e terrore aleggiano sul volto di Zaha Hadid, dopo l'intervento di Franco Raggi.
"Negli anni ’80 Zaha, ragazza determinata, mi ha invitato come visiting professor alla AA di Londra. Dopo avermi introdotto al gruppo di studenti fortemente indisciplinati se ne va e mi lascia nelle pesti a gestire il caos. Al suo rientro in aula è bastato un minuto per risatabilire la quiete
". Raggi ricorda il lavoro di Zaha Hadid in quegli anni: "Lavorava molto su un disegno che era quasi una scultura; era spazio sculturalizzabile tra suprematismo e costruttivismo". L’importanza delle avanguardie di inizio ‘900 sono infatti fondamentali per la sua formazione, così come per quella di Rem Koolhaas, suo compagno di studi. "Erano gli anni di Cedric Price e della Walking city di Peter Cook e l’architettura si faceva dinamica. Per finire Raggi interroga infine i due architetti sull’evoluzione tra l’AA concettuale e l’architettura concepita dallo studio, chiusa in sé stessa e concentrata sull’oggetto architettonico".
Alla provocazione sull’insegnamento, Zaha Hadid risponde che preferisce sempre lasciare soli i suoi ospiti, per non influenzarli nel rapporto con gli studenti. La fama da "professore cattivo" è usata effettivamente per estrapolare il meglio dagli allievi. "Il professore non deve solo incoraggiare ma anche porre ostacoli che permettano allo studente di arrivare allo step successivo; bisogna spingerli a qualcosa a cui non pensano da subito, ma a cui devono ambire, mixando quindi incoraggiamento, paura e terrore" .

Lea Vergine, critica d’arte, pone in seguito una domanda sulla dimensione estetica delle architetture dello studio, ricollegandosi in parte alle riflessioni introdotte da Raggi: "Lei pensa che le sue opere si pongano come luogo della pura visibilità e percezione oppure sul piano dell’impossibilità della geometria instabile e conflittuale di cui parlava Derrida?". La domanda ricalca forse un clichè contemporaneo, riprendendo una critica troppo comune alle opere di Zaha Hadid, etichettate come esempi di geometria instabile o edifici-sculture.

Zaha Hadid rifiuta la critica decostruttivista, definendosi lontana da questa corrente. Il suo interesse va piuttosto verso il frammento; "si è riusciti a rompere il blocco isolato e chiuso, costruendo edifici porosi e permeabili". Rifiuta inoltre la critica sull'uso di pura geometria riconoscendo l’importanza delle avanguardie russe. Patrik Schumacher risponde invece sottolineando che la loro architettura punta certamente alla percezione - quale non lo fa? - e al godimento, non per rimanere fine a se stessa ma per creare spazi ad "alta performance", attraenti e fruibili.

Verso le conclusioni, Cino Zucchi sommerso tra gli studenti, parla del Maxxi a Roma, chiedendo come sia stato lavorare su un tessuto urbano difficile come quello romano. La complessità del sito, risponde Schumacher, nel caso del Maxxi era ancora più particolare ed ha contribuito ad arricchire l’intervento. Egli prosegue quindi con l’idea del parametricismo, metodo di lavoro utilizzato dallo studio, ben espresso nello scritto "La città parametrica" contenuto nella rivista. Questa approccio progettuale deve sostituire il modernismo: "esso consiste nella parametrica malleabilità di tutti gli elementi architettonici e urbani". Essenziale è il carattere malleabile della materia architettonica, da adattare al contesto. Un'immagine interessante di questa visione è quella emerge da "Hadidcity", ricostruendo con un collage di progetti dello studio Hadid in una città parametricizzata e immaginaria. Curiosa, da vedere.

Manuele Salvetti

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