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Architettura e management: matrimonio possibile?

Dal 21.03.2011 al 20.04.2011

16 Marzo 2011. Rem Koolhaas ospite d'onore alla Bocconi in occasione della presentazione dei risultati della ricerca effettuata sulla profittabilità di 100 grandi studi di architettura

Il 16 Marzo 2011 la bella aula magna dell'Università Bocconi disegnata da Grafton Architects ha raccolto un pubblico inusuale. Mille architetti, desiderosi di sentire dal vivo le teorie visionarie di Rem Koolhaas, ma anche incuriositi dalla ricerca condotta dalla SDA Bocconi dal titolo: I primi 100 studi di architettura al mondo: risultati di una ricerca esplorativa e temi emergenti.

Paola Dubini, direttore del Centro di Ricerca ASK dell'Università Bocconi, modera la serata cui interviene per primo Alberto Grando, Dean SDA Bocconi, fiero di raccontare che nei passati 15 anni la scuola si è aperta a settori nuovi: Arte, Cultura, Sport, Turismo, Food and Beverage, proponendo corsi di laurea e di specializzazione, che fanno riferimento a centri di ricerca dedicati.
La convergenza odierna tra Architettura e Management - conclude - è una nuova sfida che si fonda su valori forti, è volta a guardare lontano e speriamo conduca ad integrare in azienda un mix di discipline e profili, che aggiungano valore al business.

Daniela Volpi, Presidente del nostro Ordine, affronta il tema partendo da come il mercato italiano si è sensibilmente trasformato, passando da interventi tradizionali a progetti complessi che richiedono una progettazione integrata alla gestione. L'architetto non può più essere solo capace di gestire e controllare il processo creativo, ma diviene una sorta di regista, di coordinatore della complessità.
Lo scenario si fa ancora più complicato se si pensa che l’Italia è il paese degli architetti. Con 1 professionista ogni 470 abitanti, ha il tasso più elevato d’Europa, e in Lombardia la densità è ancora più alta, con 1 architetto ogni 380 abitanti, contro la media mondiale di 1 architetto ogni 3.757 abitanti. E’ per questo che l’Ordine di Milano ha accettato di collaborare con Bocconi a questo progetto formativo, che consente di acquisire un valido insieme di metodologie organizzative applicabili a una pluralità di contesti operativi.

Prende la parola Severino Salvemini, Professore di Organizzazione Aziendale dell'Università Bocconi che, ricordando un recente domenicale di Irace dal tema "Architetti: la sfida che non c'è" ne modifica il titolo per la serata in: "Architetti: il management che non c'è".
Parte da un esempio di progettazione. Quella degli ambienti di lavoro. Mai come oggi un architetto deve attuare un'attenta analisi del business quando si accinge a disegnare gli spazi ufficio per un'Azienda. Oggi siamo ben lungi dagli alveari lavorativi dei primi anni del '900. Tra Marchionne e l'usciere, in Fiat, oggi ci sono 17 livelli. Solo 50 anni fa ce ne erano 100. Nel work-life balance, lo spazio ha grande peso e un architetto ha una responsabilità sociale ed economica, con il suo lavoro.
Il management è una precondizione strategica per gli studi di architettura che vogliono accettare le nuove sfide. Se negli anni '50 e '60 il cliente era un amico, con cui si aveva familiarità e complicità, oggi un architetto lavora per i fondi di investimento immobiliari che, non a caso, sono più avvezzi a lavorare con studi stranieri, con esperienza internazionale e asset patrimoniali solidi.

La parola passa a Leonardo Caporarello e Beatrice Manzoni, docenti dell'Area Organizzazione e Personale della SDA Bocconi e coordinatori del progetto "Architettura e management" per l'esposizione dei risultati di una ricerca esplorativa condotta sui primi 100 studi di architettura al mondo.
Le società sono state analizzate dal punto di vista della performance simbolica (premi, pubblicazioni, riconoscimenti) e di quella economica (risultati operativi). E' risultato subito evidente che parlare di performance in un settore conteso tra arte e business, tra individuo e organizzazione, tra standardizzazione e personalizzazione non è cosa facile.
Un esempio chiarificatore: l'Opera House di Sydney, edificio icona non solo per la città, ma per tutta l'Australia, fu progettato dall'architetto danese Jørn Utzon, che vinse il concorso. A causa del forte aumento dei costi di costruzione, l'architetto non fu mai pagato, ma anzi rinunciò a ultimare i lavori che vennero completati da quattro colleghi australiani.
Quindi, in questo caso, un capolavoro simbolico non si è tradotto in un successo economico.
La ricerca si basa sulla teoria del frame alignment. Le domande che hanno guidato lo studio fanno riferimento alla relazione tra dimensioni di performance e caratteristiche strategico-organizzative degli studi da un lato e dall’altro allineamento tra immagine attesa e percepita. La performance nel settore è un concetto multidimensionale: si parla infatti di performance economica (fatturato) e performance simbolica presso la comunità professionale, (citazioni su riviste internazionali) e alla performance simbolica presso il pubblico (numero di risultati di Google).
Poiché architetti e non architetti "vedono" lo spazio in maniera differente, è importante che i progettisti sappiano trasferire alla committenza messaggi il più possibile congruenti con il percepito.
Analizzando i company profile e i siti web dei primi 100 studi di architettura della classifica “BD World Architecture 100 - 2010” si è definita l'immagine attesa.
Per costruire l'immagine percepita, è stata condotta un'analisi delle parole chiave cui architetti e non associavano i progetti di ciascuno studio preso in esame. L'allineamento si misura nella maggiore congruenza tra immagine attesa e percepita.
Il primo risultato dell’analisi è che la performance economica è positivamente legata alla performance simbolica intesa in particolare come visibilità mediatica. Ma non solo: un buon allineamento tra immagine attesa e immagine percepita presso il pubblico dei non architetti si traduce in risultati economici migliori, mentre non si può dire altrettanto se si osserva l’allineamento con l’immagine percepita dalla comunità degli architetti.
Gli studi con i risultati economici migliori sono contraddistinti da maggiori dimensioni in termini di numero di sedi e di personale (e in particolare di staff di supporto agli architetti), maggiore numero di progetti realizzati, maggior numero di servizi offerti (soprattutto nelle aree engineering, project management e consulting), maggiore concentrazione settoriale ed età media più elevata.
Dei primi 100 studi al mondo 40 hanno origine in Europa, 37 in America, 16 in Asia e 7 in Oceania e si caratterizzano in media per un’età, dall’anno di fondazione dello studio, di 57 anni, 152 progetti realizzati, 821 persone di staff, di cui 273 architetti, e 84 milioni di euro di fatturato.

Dopo questa carrellata di numeri e di analisi la scena passa a Rem Koolhaas (Pritzker Prize nel 2000) che, nonostante non ami l'appellativo di archistar e sia poco attratto dai riflettori mediatici, ha intrattenuto il pubblico per 1 ora e 10 senza interruzione.
Rem Koolhaas presenta l’intero percorso professionale mediante numerose immagini, partendo dagli inizi, da quando era giornalista e sceneggiatore cinematografico, fino al grande successo come progettista; la sua carriera viene sintetizzata in un grafico - strumento chiave della sua presentazione –  che visualizza un percorso sempre in crescita, in sovrapposizione con l’andamento dell’economia.

L’“OMA economy” è scandita in cinque parti: la prima, starving artist è dedicata alla research, e in sostanza è la formazione pre-architetto; la seconda, start-up è concentrata sul learning; la terza, take-off è impregnata di euphoria; la quarta, stararchitect rappresenta il periodo della ¥€$ economy e l’ultima, retreat, è dedicata alla globalisation.
E’ chiaro che il management arriva molto tardi nello studio olandese, tant’è che in una delle prime slide relative agli esordi, impera una grande scritta management barrata di rosso. In effetti, di gestione ce n’era poca agli inizi della carriera negli anni ‘70; è stato il successo e la conseguente moltiplicazione di uffici in tutto il mondo a richiederla in un secondo momento.
“Se dovessi guardare i conti – continua l’architetto olandese – non parteciperei a nessun concorso. Negli ultimi 2 mesi ne ho persi 11, con un mancato introito di 42,2 milioni di Euro”.

Continuando con le tappe fondamentali del suo percorso, vediamo progetti ma soprattutto eventi ispiratori, a cominciare dallo studio dei costruttivisti russi, affrontato all’Architecture Association di Londra insieme alla sua “compagnia di studi” Zaha Hadid. I movimenti radicali di quegli anni – Archizoom, Archigram, Superstudio – costruiscono lo sfondo culturale di base per l’attività architettonica di Koolhaas, i cui studi cominciano precisamente nel 1968. Uno dei primi progetti, del 1972 è “Exodus, or the Voluntary Prisoners of Architecture”, in cui l’architettura del muro di Berlino e le sue stratificazioni diventano materiali di progetto, applicabili all’intera città.
Il 1972 rappresenta una data fondamentale: viene ultimato il World Trade Center, prende il volo per la prima volta il Concorde e si inaugura il Bosphorus bridge a Istanbul; è di questo periodo lo studio "Delirious New York". La copertina ritrae il Chrysler e l’Empire State Building stesi sul lettino, pronti per essere psicanalizzati. Questo saggio, pubblicato nel 1978, cambierà per sempre il modo di guardare la città ed i suoi elementi. Viene messo a nudo il grattacielo come tipo edilizio ed incubatore sociale, con i suoi innumerevoli piani che sono mondi a sé stanti, comunicanti solo tramite il vano ascensori; ciascuno è composto da una sua identità sociale, economica e culturale.

La fase take-off è strettamente connessa all’euphoria. Verso la fine degli anni ’80 si sviluppa in Europa il concetto di Blue Banana, area demografica ed economica che relaziona alla grande scala il territorio che va da Londra a Milano. La città di Lille si trova nel mezzo ed è in questo contesto che nasce il progetto EuraLille, voluto dal governo inglese e francese. Completato nel 1996, rimane ancora oggi un grande intervento urbano con numerose funzioni e attività, forte network di scambio.

Il periodo star-architect è intimamente connesso all’idea della ¥€$ economy: yen+euro+dollaro. Lo studio OMA comincia ad avere progetti in tutto il mondo, molti dei quali in Oriente. Un altro libro importantissimo è S,M,L,XL, pubblicato nel 1995, dove Koolhaas raccoglie i progetti dello studio a diverse scale. Non potendo certo stilare un semplice repertorio di progetti, OMA pubblica una sorta di “Bibbia” dell’architettura, che continua a rimanere un must sui tavoli di molti architetti.

Come è cambiata la figura dell’architetto negli ultimi anni? Sicuramente si è passati da progettisti schivi a professionisti delle pr. Sullo schermo viene proposta un’immagine di Mies Van der Rohe che, austero e silenzioso, fuma un sigaro in un suo edificio, contrapposta a una di Daniel Libeskind che, con un sorriso smagliante, che più smagliante non si può, mostra al pubblico il plastico di un suo progetto.
Un rapporto di lavoro fondamentale è quello che Koolhass ha saputo instaurare molti anni fa con Prada; lo studio OMA (Office for Metropolitan Architecture) progetta le boutique in giro per il mondo e dall’altra parte il gruppo creativo AMO (Architecture Media Organization, costituito nel 2000) si occupa della comunicazione, dell’allestimento e delle sfilate. I negozi non sono semplici boutique di lusso; in realtà ambiscono a ben altro. Eloquente è quello di Beverly Hills, nel quale padroneggia una grande scalinata adatta sia ad esporre la collezione che, se necessario, a ospitare eventi. La metamorfosi e la capacità di cambiare e innovare sono certamente valori comuni tra Miuccia Prada e Rem Koolhaas, ben evidenti nell’ultimo progetto, chiamato appunto “Transformer”, padiglione espositivo in grado di cambiare destinazione d’uso ruotando semplicemente su se stesso.
Non ci resta che attendere la costruzione, qui a Milano, della Fondazione Prada in Largo Isarco, destinata a raccogliere la grande collezione di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli.

Avviandosi verso le conclusioni, Rem Koolhaas presenta la CCTV di Pechino che, oltre a ribaltare il concetto di grattacielo, offre uno skyline curioso, capace di rappresentare la continua instabilità del potere. Una delle ultime immagini raffigura una raccolta di grattacieli progettati da numerose archistar, restituendo un’immagine provocatoria dell’architettura contemporanea, flirtando ambiguamente con la celebre opera ottocentesca di Thomas Cole, “Il sogno dell’architetto”. Sarebbe curioso sapere come Koolhaas intitolerebbe questo mix di grattacieli…

Sono quasi le 9. Il pubblico defluisce attraversando il luminoso atrio e affrontando la cupa serata di pioggia. Noi ascoltiamo alcuni commenti di architetti perplessi.
"Architettura e management? Ma non riusciamo neanche a seguire i concorsi... dobbiamo anche studiare business??" "E poi la classifica di Building Design non è significativa... Sono studi di engineering, nessuno studio particolarmente significativo, che abbia vinto concorsi importanti...."
Alcuni invece sembrano piacevolmente impressionati. "Ero veramente felice di vedere Rem Koolhaas a parlare di un altro aspetto dei suoi progetti, la parte manageriale, che alla nostra universita', il Politecnico, credo sia molto trascurata. Stimo molto la vostra collaborazione con l'Ordine degli Architetti. Era veramente l'ora di iniziare a coinvolgere il settore della progettazione nel mondo del business a livello un po piu' innovativo."
In definitiva, questa serata ha sicuramente gettato un piccolo semino nella testa dei mille architetti intervenuti, attratti sicuramente da Koolhaas, ma comunque desiderosi di conoscere il punto di vista della famosa scuola di business. Il mercato è cambiato. E' necessario che cambiamo anche noi.

 

Susanna Conte e Manuele Salvetti

 

 

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