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Dal piano Beruto ai giorni nostri....

Dal 18.04.2009 al 18.05.2009

Resoconto della serata del 16 aprile 2009 con Elena Balsari Berrone e Maurizio Boriani introdotti da Daniela Volpi, Presidente dell’Ordine e di Antonio Borghi, Consigliere

Serata inaugurale, presso la sede dell’Ordine, di un nuovo ciclo di conferenze sul tema del Paesaggio. L’Ordine degli Architetti, che da pochi anni è anche Ordine dei Paesaggisti, non ha voluto mancare all’appuntamento con un dibattito molto sentito ed attuale.

L’arch. Volpi, introducendo la serata, mette subito l’accento su come sia necessario oggi correre ai ripari per quell’ambiente che è stato enormemente compromesso negli ultimi 50 anni, a causa delle speculazioni edilizie e sull’importanza, a questo scopo, della pianificazione urbana. La bellezza paesistica è una risorsa di cui se ne è capita l’importanza solo recentemente e i progettisti devono diventare il riferimento per gli organi legislativi a tutti i livelli, dai Comuni alle Regioni, fino al Governo centrale.

Ora si sta a poco a poco facendo strada la consapevolezza di quanto già accaduto, che sta facendo crescere la volontà di tutelare l’ambiente e di conoscerne la sua complessa struttura.

Fortunatamente c’è anche una Risoluzione del Consiglio d’Europa che favorisce e/o obbliga gli Stati membri a seguire una politica comune di tutela del paesaggio e a mettere in atto azioni efficaci volte alla pianificazione.

Antonio Borghi presenta come si svolgerà questo ciclo di conferenze che si vuole concentrare sui temi introdotti da Daniela Volpi, applicati però al nostro contesto urbano di Milano.

Si inizia quindi da questa serata con un excursus storico di Maurizio Boriani, professore ordinario di Restauro del Politecnico di Milano dove insegna Restauro Urbano e che si occupa da tempo di problemi di tutela, conservazione e riuso del patrimonio architettonico e paesaggistico diffuso.

A Milano il verde urbano non appare come una necessità imprescindibile fino al Piano Beruto del 1884, e fin qui troviamo solamente un episodio di progettazione da parte del Piermarini che realizzò i Giardini Pubblici come pubblico passeggio, importandone l’idea dall’estero (in particolare da Francia e Inghilterra) con guardie e cancelli di ingresso.

Nel 1844 il confine militare delle mura spagnole diviene principalmente il confine daziale della città, ma viene piantumato, diventando così un primo vero progetto di decoro urbano milanese. Altro punto interessante nella Milano dell’epoca è la Piazza d’Armi, lasciata inedificata davanti al Castello Sforzesco, che diviene luogo di incontro per il divertimento e lo sport per i giovani del popolo.

In epoca post risorgimentale il giardino pubblico assume varie funzioni didattiche: diventa il contorno ideale alle statue dei Padri della Patria, viene inserita la flora esotica importata dai Paesi dell’Europa imperialista e viene ribadita la supremazia del potere dell’uomo sulla natura attraverso realizzazioni di boccette finte e tronchi artificiali. Leggermente più tardi, fanno la loro prima apparizione anche gli zoo.

Nel 1881 entra in campo il capitale finanziario e viene proposta l’edificazione di Piazza d’Armi. La proposta viene bocciata, ma la conseguenza è che viene proposto un nuovo piano regolatore per il quale viene incaricato Beruto. E’ del 1884 la prima versione del nuovo PRG, dall’impianto molto impacciato, che prevede quartieri molto ampi, una circonvallazione alberata scandita da piazze e slarghi di 40 mt. di ampiezza che circonda tutta la zona di nuova edificazione, l’abbattimento dei bastioni e un grande parco pubblico a sud di Milano in una zona molto insalubre. Al posto dei bastioni (ad eccezione della zona dei giardini pubblici, dove il terrapieno alberato viene conservato) è previsto un doppio anello stradale con un’edificazione regolata da un’apposita normativa, che prevedeva giardini privati.

Nella seconda versione (quella della Commissione Pirelli) le cose cambiano: mentre l’impianto stradale complessivo resta praticamente immutato, mantenendosi l’ampia dimensione degli isolati, il sistema del verde risulta radicalmente trasformato e migliorato.

La Commissione nominata dal Collegio degli Ingegneri ed Architetti critica la mancanza di giardini pubblici, spazi e aree aperte destinandone la loro ubicazione e la loro estensione nei singoli quartieri. Nella terza e definitiva versione del 1889 è ancor più precisa l’organizzazione del sistema del verde: ridotte le dimensioni degli isolati per l’opposizione dei proprietari privati, gli spazi verdi appaiono più organici soprattutto nel settore est della città. Nell’insieme il Piano è più modesto del precedente ma ugualmente distribuito e con una novità: viene realizzata una nuova circonvallazione intermedia tra le due principali.

Dopo la grande impronta di Beruto sul verde pubblico milanese, viene ribadita la sistematicità della rete del verde anche dopo la rivoluzione industriale, quando il verde viene portato nei quartieri esattamente come le altre reti cittadine di acqua, corrente elettrica, fognatura ecc… Questa distribuzione porta in tutti i quartieri la diffusione di elementi ripetitivi identici (fontanelle verdi, lampioni, panchine ecc… con lo stemma della città) che ne identificano il governo.

Boriani completa poi brevemente la carrellata storica con gli altri Piani per Milano, alcuni mai realizzati, altri, come ad esempio il Piano Albertini del 1934, che ha portato alla perdita della forma urbana di Milano.

Un’ultima immagine, presa oggi in Viale Romagna, illustra come si siano recuperati alcuni elementi dei viali post rinascimentali ristrutturando le panchine con le finte rocce alle spalle.


Chi ha vissuto lavorando sul paesaggio degli ultimi 50 anni è l’architetto Elena Balsari Berrone che narra ai presenti in sala un’intensa attività progettuale di giardini disegnati al fianco dei più importanti nomi dell’architettura del dopoguerra: Giò Ponti, Gardella, Zanuso, Magistretti, Caccia Dominioni e tanti altri.

Mentre le poche ma preziosissime foto d’epoca scorrono proiettate in sala, l’arch. Balsari racconta di volta in volta quali sono state le soluzioni progettuali e anche alcuni aneddoti legati ad ogni giardino.

Si inizia con il Montestella, conosciuto a Milano come “La Montagnetta”, che viene realizzato con le macerie nell’immediato dopoguerra. Il nome deriva da un omaggio alla moglie Stella dell’architetto Bottoni che commissionò il progetto. Ci vollero anni e anni prima che venne ultimato ma, fortunatamente, la buona base di partenza con un diametro molto ampio, ha permesso di innalzarlo parecchio nel corso del tempo e, finalmente, di coprirlo con terra buona di coltivo per trasformarlo a verde. Il progetto rientrava ai margini del più ampio progetto del quartiere QT8 per il quale l’arch. Balsari aveva l’incarico.

E’ del 1955 un progetto per un albergo ad Arenzano degli architetti Gardella e Zanuso, mentre nel 1960 l’arch. Balsari si occupa del giardino della mensa dell’Olivetti a Ivrea.

Arriva anche a progettare, tra mille difficoltà logistiche e climatiche, un giardino privato in Iran il cui edificio era stato realizzato da Giò Ponti. In quella circostanza le essenze arboree furono portate in aereo dall’Italia.

Nel 1960 vediamo la prima scalinata realizzata con pedate a prato e alzate in legno e uno dei primi giardini botanici a Sesto san Giovanni. Quest’ultimo, purtroppo, ora giace in uno stato di pessima manutenzione e la Balsari si augura possa essere presto riqualificato. Lo scorrere dei progetti ci porta fino al restauro del 1997 dei giardini di Piazza della Repubblica sponsorizzato dai due alberghi prospicienti, ed al verde di una lottizzazione a sud di Milano del 2003.

Stasera Milano è stata quindi vista sotto un altro aspetto: non solo antica città d’acqua ma anche di verde. Il 14 maggio il dibattito prosegue con la pianificazione attuale del verde pubblico milanese.

14 maggio 2009, Via Solferino 19, Milano ore 21,15

Progettare il paesaggio

Boschi, raggi e cinture: i nuovi temi del verde a Milano

Invitati: Flora Vallone, Franco Giorgetta, modera Laura Truzzi

 


Laura Truzzi


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