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Settimana del 16 febbraio

Dal 23.02.2009 al 23.02.2010

L'Expo al centro della nostra settimanale rassegna stampa

Un quarto d' ora da Linate alla Fiera nel dossier 2015 entra il maxitunnel
Un tunnel lungo quasi quindici chilometri che dall' area Expo porta all' aeroporto di Linate passando sotto il centro città. Un' opera mastodontica, il cui costo è stato stimato intorno a due miliardi di euro, che il Comune ora cerca di far rientrare fra le infrastrutture previste per la grande esposizione del 2015. SEGUE A PAGINA III In realtà nel dossier di candidatura con cui il sindaco Moratti conquistò la fiducia del Bie non se ne parla. Ma prima di Natale la rivisitazione del vecchio progetto di tunnel Certosa-Garibaldi, licenziato nel 2006 dall' allora sindaco Gabriele Albertini, è entrato nell' elenco delle opere complementari all' Expo, che annovera una serie di lavori secondari che dovrebbero aggiungersi ai già precari interventi principali, quelli legati al sito vero e proprio e tutte le infrastrutture in carico alla Regione come Brebemi, Pedemontana e nuovi collegamenti ferroviari. In pieno caos Expo, con la società impantanata nel braccio di ferro tra sindaco e governo e nessuna certezza sui finanziamenti promessi, al lungo elenco dei lavori che la città dovrà sostenere da qui al 2015 se ne aggiunge un altro. I tecnici ci stanno lavorando da settimane, con simulazioni, studi di fattibilità e analisi economiche. La prossima settimana si riuniranno intorno a un tavolo gli uomini dell' assessore all' Urbanistica Carlo Masseroli e quelli del collega ai Lavori Pubblici Bruno Simini - entrambi sostenitori del progetto - per iniziare a mettere a punto una proposta definitiva. Ma già un' idea di massima c' è, come si legge in una valutazione fatta da Infrastrutture Lombarde (società della Regione) a cui è stata passata la pratica dopo un parere non del tutto favorevole dell' Ama (società del Comune). Il tracciato del tunnel, si legge nel rapporto, dovrebbe collegare l' area Expo con la tangenziale Est all' altezza dello svincolo di viale Forlanini, per un totale di 14,5 chilometri. Rispetto al primo progetto, quello che Albertini in un' ordinanza aveva definito «di interesse pubblico», si sono aggiunti cinque chilometri e nove uscite: Console Marcello, Nuova Strada interquartiere, l' autostrada A4, la Fiera, Cascina Merlata, Bovisa, Monteceneri, Zara, piazza della Repubblica, Garibaldi, piazzale Susa e viale Juvara. Non solo. Il tunnel che collegava l' autostrada dei Laghi a Garibaldi doveva essere tutto in project financing, ripagato con il pedaggio in 60 anni (concessione già di per sé più lunga del previsto). Ora sempre lo stesso gruppo di imprenditori - capeggiati dalla Torno - propone un' opera che la stessa Infrastrutture Lombarde sostiene necessitare «di un contributo pubblico in conto investimenti, a fondo perduto, di circa 750-800 milioni di euro». Una cifra enorme, in un periodo di magra come questo, per un intervento su cui oggi, alla luce del futuro poco roseo che si prospetta per l' aeroporto di Linate, potrebbero essere sollevata più di una perplessità. La prima: dove trovare i soldi? Il Comune non nasconde la speranza che nella partita rientri anche la Regione. «è un' opera che ha una portata molto più che cittadina - spiega l' assessore Bruno Simini - , di importanza strategica per Milano. Fosse per me sarebbe una priorità assoluta al di là dell' Expo. Permetterebbe finalmente di alleggerire le tangenziali, oggi completamente intasate, e di far scomparire sotto terra milioni di auto l' anno. Questo gioverebbe non solo dal punto di vista della mobilità, ma diminuirebbe anche l' inquinamento». Il progetto, che con Albertini si era arenato perché gli imprenditori non avevano trovato un garante finanziario come previsto dagli accordi, è tornato alla ribalta con la nuova giunta Moratti. Il Comune ha chiesto delle modifiche, come l' allungamento del percorso, e nuove simulazioni. L' idea originale aveva sollevato qualche perplessità soprattutto dal punto di vista finanziario. Così i privati, tornati alla carica e appoggiati dai due assessori di Forza Italia Simini e Masseroli, hanno presentato un nuovo progetto che ora si prepara a essere varato. Sempre che il Comune trovi i soldi per realizzarlo. Ma pare che una delle intenzioni di Palazzo Marino sia iniziare comunque con una prima tranche (Certosa-Garibaldi) che costerebbe 700mila euro. «Realizzare quest' opera significa creare un indebitamento di fronte al quale quello dei derivati è niente - commenta critico il consigliere dei Verdi Enrico Fedrighini - . Invece di procedere con una politica di potenziamento del trasporto pubblico per liberare la città dalle auto, col tunnel si va nel senso opposto. In periodo di crisi bisognerebbe dare assoluta priorità alle metropolitane». E ancora: «Ho presentato un' interrogazione per sapere se l' ordinanza di Albertini è ancora valida, visto che chiedeva la nomina di un garante finanziario entro 90 giorni e i privati non sono mai stati in grado di trovarlo».
TERESA MONESTIROLI
La Repubblica
16-02-09, pagina 2 sezione MILANO


I progetti Legambiente: ogni giorno nelle strade tante auto come 2.250 campi di calcio, va ripensata l' urbanistica. Catella: un patto per la città «sostenibile»
Porta Nuova, l' eco-quartiere: nasce la galleria sotterranea antitraffico

Provate a immaginare un super-stadio con 2.250 campi da calcio uno accanto all' altro, poi dividete questi 16 milioni di metri quadri in rettangoli 2x5 e riempiteli d' auto. Ecco: ogni giorno Milano ha un parcheggio grande così per le vetture di pendolari e residenti, il 10 per cento del suo territorio. Ora dovreste vedere alcuni quartieri del nord Europa, dal Nordmanngasse di Vienna allo Slateford Green di Edimburgo: sono car free, concepiti senza traffico, e c' è una bella differenza. «Milano è in ritardo ma l' Expo è l' occasione per un rinnovamento radicale delle politiche per la mobilita», sostiene Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente. In attesa del sito dell' Esposizione - interamente pedonale e servito dai mezzi - Milano sperimenta un primo modello di quartiere eco-sostenibile: è Porta Nuova, nell' area Garibaldi-Repubblica. È stato progettato e cresce tra 7 fermate del metrò, con 160 mila metri quadrati di aree verdi e pedonali e un tunnel sotterraneo di 650 metri che farà scivolare il traffico da viale della Liberazione alla stazione (pronto entro l' anno). Per Comune, Legambiente e Manfredi Catella, ad di Hines, la società che coordina i lavori in Porta Nuova, è la direzione giusta per l' Expo: «Un' alleanza tra amministrazione, docenti, ambientalisti, cittadini e imprenditori immobiliari». Fondazione Riccardo Catella, zona Isola. Il dibattito si svolge qui, ieri mattina, al convegno Costruiamo città senz' auto organizzato da Legambiente nella «casa» dei costruttori di Porta Nuova. Un evento, a modo suo, storico e simbolico, che sancisce la fine della contrapposizione verde/cemento e l' inizio di una riflessione comune. Poggio lancia il progetto «Green Life» per l' Expo: «Vogliamo sperimentare nuovi modi di abitare», svincolati dall' auto e collegati al mezzo pubblico e alla bicicletta. Che si possa fare è dimostrato, gli esempi ci sono, all' estero: «L' urbanistica può essere una risposta alla crisi». Milano ha 1,3 milioni di abitanti e «soffre» 5 milioni di spostamenti al giorno, metà interni e metà da e per l' hinterland (400 mila vetture sono «ospiti»). Sei viaggi su dieci si fanno in auto. Altri tre in treno, bus, tram e metrò. La rivoluzione, almeno in potenza, è già nei numeri: negli ultimi 9 anni le vetture immatricolate in città sono calate di 60 mila unità (meno 7,6%) e oggi c' è un rapporto di 741 veicoli ogni mille abitanti. «La città senz' auto è la direzione giusta», chiosa l' assessore Edoardo Croci: «Bisogna restituire lo spazio urbano ai cittadini, garantire più qualità della vita. Per questo tutti i nuovi quartieri, da Porta Nuova a CityLife, nascono intorno al trasporto pubblico. Diamo un' alternativa concreta alla macchina». Roma, per dire, sta messa peggio. Ma il tasso di motorizzazione di Manhattan è comunque cinque volte sotto. Al futuro serve un patto, si diceva. Un' alleanza. Catella accetta e rilancia la sfida: «Il tavolo di lavoro con Legambiente è un dato su cui riflettere e scommettere», nella progettazione della città «bisogna lavorare su regole chiare». Porta Nuova, in questo, è un paradigma: l' intervento è stato presentato, discusso, ridefinito, «migliorato» in corsa. Ma per il futuro, per l' Expo, la regia del Comune nel dialogo è imprescindibile, conclude Catella: «Ci vuole un' amministrazione più consapevole che sul territorio scriviamo il futuro». Al tavolo, in Fondazione, ci sono anche lo Ied, l' istituto AmbienteItalia e il Politecnico, con il professor Fabio Casiroli. Che dice: «D' accordo i grandi progetti, le promesse... Ma Milano può prendere subito piccole misure d' efficacia immediata». Tipo tirare una striscia sull' Autolaghi per Malpensa e riservare la corsia a bus e taxi, e ripensare il trasporto ferroviario: «Dall' ora di cena Milano è irraggiungibile da fuori con i mezzi pubblici». In queste condizioni, si voglia o no, l' auto è un obbligo. A. St . La scheda Il quartiere Porta Nuova, il progetto per l' area tra Garibaldi e Repubblica, è il più grande intervento di riqualificazione urbana mai realizzato nel centro di Milano: circa 340mila metri quadrati Gli interventi Oltre agli edifici residenziali, agli hotel e agli uffici, sono previsti 160 mila metri quadri di aree verdi e pedonali, un centro espositivo, il Modam, il laboratorio per gli artigiani e la Casa della Memoria
Stella Armando
Pagina 6
(17 febbraio 2009) - Corriere della Sera

Il nome della cosa. Dietro il gioco della torre i giudizi sulla città
Come si chiamerà? Non ha ancora un nome e nemmeno un soprannome il grattacielo della Regione che in via Melchiorre Gioia si va costruendo e che per comodità viene denominato Pirellone bis. Ma anche Furmiga, El Furmigon, il Ciellone, il Longobardo o il Gran Lombardo, secondo alcune idee scaturite dei lettori del sito di Repubblica, che si sono impegnati per battezzare quello che sarà nel 2010 il più alto edificio italiano, sbizzarrendosi con proposte e provocazioni. E la scelta di un nome è importante, avvertono coloro che ne hanno fatto un mestiere. «È una maniera affettiva di sottolineare una appartenenza, quasi una proprietà popolare, si potrebbe dire - spiega Omar Calabrese, semiologo, inventore di alcuni celebri nomi Fiat come Ritmo o Fiorino - . E nel caso di un' opera pubblica, meglio di un battesimo dall' alto è una denominazione spontanea, dal basso, perché accentua la riconoscibilità. Come è successo per il Pirellone, chiamato così dalla voce popolare». Stavolta, però, la voce popolare, ancor prima di vedere la fine dei lavori, chiamata al confronto ha detto la sua esprimendo anche un certo dissenso polemico: lo Sprecone, l' Inutile, Ciste, Cementificio... «Capita, a volte, con le denominazioni che partono dal basso, pensiamo alla Ca' Brutta per indicare l' edificio di Giovanni Muzio. E spesso sono appellativi più durevoli di quelli inflitti da uno sponsor, da Mazdapalace al Palatrussardi, o di quando si finisce semplicemente per qualificare il palazzo con il cognome dell' architetto» dice Annamaria Testa, consulente per la comunicazione che ha realizzato il logo Wind. Contrariamente a quel che succede per grattacieli e palazzi, spiega ancora Testa, oggi è impossibile pensare ad un prodotto di largo consumo che entri sul mercato senza un nome. «Il nome è una componente strategica e posiziona il prodotto. Per Wind, per esempio, l' azienda aveva indicato quali caratteristiche doveva esprimere: internazionalità, modernità, movimento, velocità, leggerezza. Io ho preparato una trentina di alternative e loro hanno scelto. Per i palazzi, invece, in Italia il nome strategico si usa meno, forse perché c' è scarsa esperienza di urbanistica partecipata. È ben diverso per i centri commerciali, le cui fortune dipendono anche dal nome. Le strutture che hanno un nome, hanno una forte presenza nella mente delle persone e quindi anche nel paesaggio fisico urbano». A volte, però, i nomi di certi prodotti entrano così profondamente nel quotidiano che dopo un po' si perde il loro senso. «Per anni ci siamo messe senza brividi magliette intime che si chiamavano Ragno, nessuno si stupisce di un olio che si chiama Sasso, non certo indice di leggerezza, o di un riso denominato Scotti, che potrebbe far pensare ad un errore di cottura» conclude Annamaria Testa. Per dire che alla fine anche il più malizioso dei nomi suggeriti per il Pirellone bis, se funziona davvero potrebbe perfino portargli fortuna.
ANNA CIRILLO
La Repubblica
17-02-09, pagina 17 sezione MILANO

 
MILANO, UN FUTURO SENZA RETORICA
Elzeviro Aspettando l' Expo del 2015
La crisi ci impone di rinunciare alle aspettative di cambiamenti troppo grandi

Le esposizioni universali (Expo nel gergo attuale che ne segnala il rientro nella quotidianità), dopo quelle nazionali tra la fine del XVIII secolo ed il 1849 si inaugurano sotto la spinta del commercio con l' Esposizione Universale di Londra del 1851. Di essa restano, nella storia dell' architettura, il Palazzo di Cristallo di Paxton, la discussione per la costituzione di un progetto di forme degli oggetti d' uso coerente con la produzione industriale, la discussione sui dazi delle merci e le prime collaborazioni di Marx al «New York Daily Tribune». Nel 1855 anche Parigi apre una propria «grande esposizione universale», di cui conosciamo il commento di Charles Baudelaire. Del 1876 è l' esposizione di Philadelphia ed una seconda parigina (con la celebre Galerie des Machines) e la Tour Eiffel del 1889; tre anni prima quella di Vienna con la sistemazione del Prater. Poi nel 1893 quella di Chicago, fiera colombiana commemorativa del quattrocentenario della scoperta dell' America. Alla fine del secolo vi è una diffusione larga di esposizioni internazionali o universali. Anche in Italia nel 1902 a Torino e nel 1906 a Milano si celebrano esposizioni internazionali. Poi Parigi nel 1925, Stoccolma nel 1930, Chicago nel 1933, Bruxelles nel 1935, ancora Parigi nel 1937, New York nel 1939, ed infine quella fallita di Roma del 1942. Per ricordare le più importanti recenti si deve ancora citare la «South Bank Exhibition» a Londra nel 1951, poi Bruxelles, Torino, Losanna, New York e così via. Dalla fine degli anni ' 60 la loro importanza comincia a declinare in funzione del loro infittirsi, sino a confondersi con le fiere e con le manifestazioni sportive internazionali, sino a diventare uno strumento premoderno con la diffusione degli strumenti di comunicazione immateriale in grado non solo di regolare meglio e più rapidamente scambi commerciali e finanziari ma anche di suscitare intorno ad uno specifico tema l' interesse civile: ed anche quello speculativo, così anche l' esposizione universale si è trasformata in «evento» che, come ogni cosa nel mondo contemporaneo, vive come evento temporaneo. Anziché di modificazioni strutturali, solo di processi strumentali. Io credo perciò che da un «evento come un Expo» non si possano più attendere trasformazioni culturali e civili durevoli, né capacità di attrazioni grandiose. Le «Expo» dei nostri anni vivono soprattutto sulla concentrazione su di esse degli interessi del «marketing pubblico», in qualche caso di quello turistico e immobiliare, e soprattutto, nei casi migliori e di accordo politico tra amministrazione locale e nazionale, della possibilità di acquisire finanziamenti eccezionali, capaci, nei casi migliori, di risolvere problemi infrastrutturali e di servizi durevoli ben al di là dell' occasione specifica. Un lodevole interesse tattico coperto da qualche slogan strategico. Le discussioni in corso a proposito dell' Expo milanese del 2015 sono fatalmente all' ombra di questa congiuntura storica (magari in combinazione con molte ambizioni personali) e lo stesso tema scelto di alto interesse umanitario e sociale e di piena attualità (anche se la Fao si dovrebbe occupare della questione con continuità da 64 anni) mi sembra non sia sufficiente a coprire gli interessi pubblici e privati che prima ho descritto. Se a questo si aggiunge lo stato di profonda crisi economica che il mondo sta attraversando, l' aumento vertiginoso della disoccupazione e dei disagi, le difficoltà e le incertezze organizzative, affermare che l' Expo sia una risposta alla crisi mi sembra molto temerario. Forse sarebbe un atto generoso, se non rinunciarvi (come peraltro hanno fatto molte delle più grandi capitali europee come Parigi prima di Milano), rinunciare a concentrarvi attese di cambiamenti annunciati con eccessiva retorica ed utilizzare il caso per ben più quiete modificazioni, piuttosto che per il discutibile obiettivo di favorire «l' ampliamento del mercato urbano».
Gregotti Vittorio
Pagina 45
(18 febbraio 2009) - Corriere della Sera


Il dibattito «Subito un Manifesto per ripartire. Il Comune? Fa troppo poco per l' integrazione»
Archinto: basta annunci per la cultura Spazio ai nuovi talenti e alle periferie
«Milano fuori dai circuiti internazionali. I giovani artisti? Investimento per il futuro» «L' Expo? Un' occasione ma non prevede investimenti per la cultura. E la biblioteca europea è stata cancellata dal programma» Stranieri A Milano aumentano gli immigrati e non si fa niente per avvicinarli alla nostra storia. La Casa delle culture del mondo della Provincia è l' unico esempio

«È inutile pensare con nostalgia a cos'era Milano negli anni ' 60 e ' 70, centro culturale vivace... Vediamo cosa fare di nuovo e concreto!». Il Manifesto dell' editrice Rosellina Archinto è una scommessa sul futuro: spazio a una «nuova generazione» di talenti e «sostegno alle realtà più piccole e periferiche», che poi è il lavoro più difficile, «perché meno clamoroso e appariscente». Problema: «Non sempre la politica si rende conto del valore, anche sociale, della cultura. E così vengono a mancare i buoni esempi». È distratta o che cosa? «È indifferente e diffidente: pensa che la cultura non paghi, che siano soldi buttati...». E non è così, giusto? «Alla lunga paga, eccome. E invece, sarà anche per la crisi economica, quest' orizzonte "bloccato" frena gli investimenti e tutto viene organizzato così, diciamo alla buona, senza alcun afflato internazionale, e si tengono lontane figure che potrebbero essere modello e traino per i giovani. Una cosa ha saputo fare, la politica...». Quale? «Occupare gli spazi di potere. E questo è un male: la cultura dev' essere apolitica». Parliamo del Manifesto. «Può servire a fissare punti di ri-partenza. Ma bisogna stringere, scrivere un programma e realizzarlo: non possiamo annunciare svolte che non avvengono mai». Il punto più urgente? «I giovani. Non hanno spazio. Ma ci sarà pur qualcosa di nuovo che nasce qui, a Milano? Dobbiamo accompagnarli, aiutarli, sostenerli. I luoghi ci sono - la Besana, l' Hangar Bicocca, la Fabbrica del Vapore, altre realtà private in cui l' amministrazione non è presente - si tratta di dare loro nuova immagine e visibilità. E poi non si lavora abbastanza sulla convivenza». È un tema delicato... «Ma a Milano stanno aumentando gli immigrati e non si fa niente per avvicinarli alla nostra storia. La Casa delle culture del mondo della Provincia è l' unico tentativo riuscito. Il Comune fa poco per l' integrazione, ma fra vent' anni la popolazione sarà diversa...». Ritorniamo all' oggi. «Lissner sta facendo un ottimo lavoro alla Scala, abbiamo il Piccolo e la Triennale. Ma eliminiamo quel termine di "eccellenze" che provoca solo risentimenti e sospetti: sono realtà storiche e propulsive che non hanno bisogno di aggettivi per meritare il ruolo che hanno. Per altro, va riconosciuta l' offerta di MiTo nel panorama musicale. Ma manca ancora un museo per l' arte contemporanea: oggi le mostre sono sempre limitate a un passato prossimo o remoto, e anche questo non lo valorizziamo». Può fare un esempio? «Genova ha dedicato una mostra strepitosa a Lucio Fontana. Genova! Noi dimentichiamo artisti che sono il valore di Milano». Il museo d' arte contemporanea si farà a CityLife. «Purtroppo, da troppo tempo, Milano vive della politica degli annunci. Dobbiamo lasciarla perdere, stare sul concreto». L' Expo può essere l' occasione buona? «Da quello che ho letto, la cultura non è neanche menzionata. Faranno il museo dell' arte contemporanea? Me lo auguro. Io so solo che non riescono a costruire i garage e aspettiamo da anni la Biblioteca europea: sembra scomparsa nella nebbia, non se ne parla più, eppure sarebbe di grandissima importanza». Chi ha rappresentato meglio la cultura di Milano negli ultimi dieci-vent' anni? «Ronconi per il teatro, sicuramente Eco per la letteratura e Muti per la musica. Per l' architettura direi Gregotti. Vai a Parigi, Londra, New York, e tutti sanno chi sono». Due giovani talenti? «Nessuno, almeno attualmente, ha questa statura. Verranno fuori, o almeno me lo auguro. Anche se non c' è spazio per emergere, questa è la vera emergenza...». Armando Stella * La proposta È stato Davide Rampello, presidente della Triennale, a lanciare in un' intervista al «Corriere» il progetto di un Manifesto della cultura per Milano Il dibattito «Bisogna rappresentare e narrare il fare, bisogna creare nuovi eroi del lavoro. Solo così riusciremo a darci una nuova identità e solo così la cultura diventerà parte integrante del welfare». Questa l' idea del Manifesto al tempo della crisi economica
Stella Armando
Pagina 7
(19 febbraio 2009) - Corriere della Sera


Aree verdi, la Regione toglie i vincoli
Finora era impossibile costruirci sopra: nove milioni di metri quadrati all' interno dei confini della città, che secondo il Piano regolatore del 1980 sarebbero dovute rimanere pubbliche ed essere destinate a verde o servizi. Ma le amministrazioni hanno fame di case. E la Regione ha deciso di togliere quel divieto permettendo ai Comuni che hanno un «fabbisogno acuto» di realizzare alloggi popolari o di edilizia convenzionata anche su questi pezzi di territorio vincolati. Una norma che ha già ricevuto il primo sì della maggioranza prima di arrivare in consiglio regionale. Così come quella della cosiddetta "norma antikebab", che in realtà darà la possibilità alle amministrazioni di vietare tutte le attività che potrebbero «creare situazioni di disagio a causa di frequentazioni costanti o prolungate». Contraria l' opposizione, con i Verdi che attaccano: «Sempre più cemento da parte del centrodestra in Lombardia». Sono modifiche importanti quelle alla legge sull' urbanistica. Hanno ottenuto il primo via libera dalla commissione Territorio e dovranno passare ancora da un' altra commissione prima di essere votate definitivamente dal Consiglio, ma la strada è tracciata. Uno dei punti principali è la proroga di un anno, fino al 31 marzo del 2010, dei vecchi Piani regolatori. I Comuni, infatti, avrebbero già dovuto passare a uno strumento diverso, il Piano di governo del territorio, ma sono in ritardo: su oltre 1.500 amministrazioni lombarde soltanto una settantina li ha approvati. Contestato dall' opposizione, però, è soprattutto un emendamento presentato dall' assessore alla Casa Mario Scotti, che dà la possibilità di realizzare edilizia sociale sulle cosiddette "aree a standard": pezzi di città che dovevano essere usati per verde pubblico o per servizi, come i parcheggi o gli asili, e che adesso saranno invece edificabili. «È una richiesta dei Comuni che hanno un' emergenza abitativa - spiega Scotti - . In ogni caso è una normativa provvisoria in attesa che vengano approvati i Piani di governo del territorio, e si potranno costruire solo case di edilizia pubblica e convenzionata in affitto. Rispettiamo comunque gli standard di verde nazionali che sono di 18 metri quadrati per abitante. La Lombardia arrivava a 26». Fra le norme previste c' è anche la possibilità di utilizzare i programmi integrati di intervento, che sono procedure accelerate per costruire, anche nelle aree agricole. Un emendamento dell' assessore al Territorio Davide Boni lo prevede ma solo nel caso di infrastrutture pubbliche o «di interesse pubblico di carattere strategico ed essenziali per la riqualificazione e la riorganizzazione dell' ambito territoriale». Un altro capitolo riguarda la possibilità per i Comuni di individuare nei piani regolatori «ambiti territoriali» in cui sarà vietato autorizzare «attività che creano disagio». Una «porcata» per il consigliere del Prc Luciano Muhlbauer, che aveva già definito la norma «antikebab». Ma per Boni «questa è una norma per disciplinare tutte quelle attività che creano disturbo e che non sono adatte soprattutto nei centri storici: i kebab ma anche i fast food o sexy shop. Saranno i Comuni a decidere se e come applicarla per risolvere i problemi».
ALESSIA GALLIONE
La Repubblica
19-02-09, pagina 5 sezione MILANO

 

Ciclo di incontri sulle Esposizioni
LISBONA, Hannover, Siviglia, città che sono state sede di Expo negli anni passati: che cosa è rimasto di quella esperienza sul loro territorio e come ha influito sullo sviluppo urbano della città? Per capire che cosa lascerà a Milano l' Expo nel 2015, una volta conclusa, la Fondazione Ordine degli architetti ha organizzato una serie di incontri che analizzano i casi passati. Si comincia stasera alle 21,15 in via Solferino 19. L' architetto Vittorio Gregotti, l' urbanista Federico Acuto, l' assessore all' Urbanistica di Lisbona discutono dell' esperienza portoghese del 1998.
La Repubblica
19-02-09, pagina 4 sezione MILANO

 

Progetto-provocazione Botta, Daverio, Bertelli: appello alla Moratti
Gli architetti: la Sfera di Mozzoni diventi la «città ideale» dell' Expo

Charles Fourier, Robert Owen e Saint-Simon erano «socialisti utopisti» d' inizio Ottocento, ovvero pensatori che credevano di ottenere obiettivi di miglioramento sociale non con la rivoluzione (come poi Marx), bensì progettando a tavolino città e società ideali. Nel loro armamentario - che riprendeva sia le utopie rinascimentali sia i disegni degli architetti rivoluzionari francesi del Settecento come Ledoux e Boullée - c' erano i progetti di giganteschi falansteri, carceri più umane, città-giardino e molto altro. Ovviamente si trattava di utopie, e le classi dominanti non concessero mai quanto richiesto. Ma è piuttosto curioso registrare il rinascere di queste correnti (mai spente, basti ricordare i testi di William Morris o la città ideale di Arcosanti semicostruita dall' architetto italiano Paolo Soleri vicino a Phoenix) nella «città del fare», della «concretezza» in occasione dell' Expo 2015. Il progetto di una grande sfera in cui raccogliere tutte le funzioni dell' Expo per poi riconvertirne gli spazi - presentata il 10 ottobre scorso al sindaco e l' altro giorno il pubblico dibattito alla città presso la Basilica di Sant' Ambrogio - dal novantenne architetto Guglielmo Mozzoni sembrava dover essere rapidamente archiviata negli scaffali della storia un po' snob e délabré delle città ideali. Senonché quella che appariva come «la follia ragionata» di un «vecchio» utopista ambientalista, architetto e partigiano, sta incontrato il sostegno trasversale di Mario Botta, dell' ingegnere del Politecnico Migliacci, dello storico Carlo Bertelli, di Philippe Daverio, di Giorgio Galli e altri amici. Sia chiaro, anche senza dichiararlo, tutti i sostenitori del progetto «giocano» più sul surreale che sull' ideale. Sia quando Botta mette in guardia sulle modestie dell' architettura contemporanea in confronto al valore dell' utopia («quanto è stato costruito per l' Expo di Siviglia oggi si vende a un euro al mero quadro»), sia quando l' ingegner Migliacci afferma che per fare un numero di metri cubi pari a quelli della «sfera» di Mozzoni servirebbe «un grattacielo alto 800 metri». Ma la proposta di Mozzoni, come afferma anche con ironia Daverio, evidenzia lo «smarrimento» dell' urbanistica attuale e «la perdita di contenuti ideali nella costruzione della città», ovvero il continuo piegarsi a una prevalente logica immobiliare. Ma più dei modelli, i dati dai quali partire per ragionare su come «costruire» per l' Expo potrebbero essere l' aumento dei prezzi di vendita delle abitazioni cresciuti del 65% nei grandi comuni negli ultimi 10 anni; gli affitti cresciuti dell' 85%. E dal punto di vista espressivo, si può partire dalla riecheggiata riflessione del filosofo Paul Ricoeur: «bisogna diventare moderni e fare, allo stesso tempo, ritorno alle origini». Una prospettiva che nell' architettura si declina nella logica del Regionalismo critico, ovvero in un continuo processo di assimilazione del globale nel locale. Pierluigi Panza
Panza Pierluigi
Pagina 7
(19 febbraio 2009) - Corriere della Sera

 

Urbanistica Masseroli: è un primo segnale. Rozza: servono incentivi
Emergenza casa: tremila alloggi Ma i costruttori fanno un passo indietro

Otto aree per costruire 3.000 appartamenti a prezzi calmierati. In affitto e in vendita. L' operazione lanciata dal Comune lo scorso ottobre aveva un obiettivo ambizioso: dare risposta al bisogno di casa grazie a capitali privati. Purtroppo, però, delle otto aree messe a bando solo sei hanno trovato imprese o cooperative disposte ad accettare la sfida. Escluse ponte Lambro e via Tre castelli. Dove, in compenso, arriveranno con ogni probabilità le gru dell' Aler. Già da dicembre l' azienda lombarda edilizia residenziale si era messa a disposizione del Comune per intervenire dove i privati non si fossero fatti vivi. Di più: Aler lo scorso dicembre (due mesi prima della scelta dei vincitori sulle otto aree) ha anche preventivato di spendere oltre 31 milioni di euro da qui al 2011 per acquistare la quota di alloggi in affitto (convenzionato, moderato e sociale) presente all' interno dei bandi. In origine palazzo Marino pensava che a occuparsi della gestione dell' affitto avrebbero dovuto essere gli stessi privati. A conti fatti, imprese e cooperative costruiranno 1.648 dei 3.000 appartamenti preventivati. A quelli che mancano all' appello penserà Aler. L' assessore all' Urbanistica del Comune, Carlo Masseroli, vede il bicchiere mezzo pieno. «Si trattava di un esperimento. Un primo passo verso il coinvolgimento dei privati. Certo, speravo che tutte le aree trovassero un' impresa disposta a costruire. Ma siamo sulla strada giusta». Critica, invece, Carmela Rozza, consigliera comunale del Pd: «L' esito di questo bando dimostra che per coinvolgere i privati bisogna cambiare le regole a livello nazionale e regionale». Più in concreto: «Servono incentivi fiscali per chi si accredita come operatori dell' housing sociale: niente Ici, cedolare secca del 20% sul reddito da canone, regime Iva speciale». Rita Querzé
Querze' Rita
Pagina 6
(20 febbraio 2009) - Corriere della Sera

 

Scavo bis in Sant' Ambrogio il cantiere apre sull' altro lato
Qualche residente l' aveva interpretata come la prima manovra in retromarcia. E invece la copertura degli scavi davanti alla Basilica di Sant' Ambrogio in realtà è provvisoria: Comune e costruttori non hanno avuto alcun ripensamento sul parcheggio sotterraneo, circa 200 posti a rotazione e 320 box, che partirà entro l' estate per essere pronto nel 2011. L' area riempita, terminati gli studi archeologici della soprintendenza, sarà adesso anche asfaltata e diventerà il nuovo passaggio delle auto. Sotto la strada tra il cantiere e le case verranno realizzati due nuovi condotti fognari, che oggi si trovano proprio nella zona degli scavi. Quando l' operazione sarà terminata, l' area riempita verrà riscavata per realizzare i cinque piani sotterranei. Niente dietrofront, dunque, il progetto va avanti. E il trasloco provvisorio del cantiere «sarà proprio il primo tassello dell' intera operazione», dice il costruttore, Claudio De Albertis, che conferma la futura pedonalizzazione della piazza, come da progetto. La vendita dei garage, costo 50mila euro, garantisce De Albertis, va a gonfie vele: «Entro fine febbraio avremo venduto tutti i box, ma le richieste sono almeno il triplo». L' incasso previsto per i costruttori è di 16 milioni di euro. Nonostante il progetto sia giunto alla fase esecutiva, il comitato di residenti, che da sempre s' è opposto ai cinque piani sottoterra in prossimità di campanili e porticato bramantesco, non demorde. Nemmeno gli inquilini più illustri. «Quando ho visto la copertura mi ero illusa per un attimo e invece niente - si rammarica l' architetto Cini Boeri - è un progetto assurdo. Non è così che si tolgono le auto dal centro». Un' idea su dove mettere le auto i residenti, in realtà, ce l' avrebbero. «Piuttosto di scavare cinque piani davanti alla basilica romanica più bella d' Europa - propone Cini Boeri - non si possono mettere le auto nei due cortili della caserma che sono praticamente inutilizzati?». Ma non è la sola. «Andremo avanti con qualunque mezzo pur di non svendere uno dei luoghi storici di Milano - attacca Francesca Castelbarco, consigliere di zona 1 - è un' ingiustizia che grida vendetta, tutto per far guadagnare le imprese costruttrici». Al gruppo di residenti furiosi arriva la replica del Comune: «La soprintendenza si è espressa favorevolmente e non accettarlo vuol dire non avere rispetto per le istituzioni», è il commento dell' assessore ai Lavori pubblici, Bruno Simini. Che aggiunge: «Il concetto che i parcheggi aumentino il traffico non ha senso: è l' unico modo, invece, per togliere le 60mila auto ogni giorno in doppia fila e in divieto di sosta sui marciapiedi».
ILARIA CARRA
La Repubblica
22-02-09, pagina 7 sezione MILANO


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