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Settimana del 2 Febbraio

Dal 09.02.2009 al 11.02.2009

Ecco l'appuntamento settimanale con la rassagna stampa dei principali quotidiani e del sito Archiworld.it

"Ambiente, Milano è in coda all'Europa"
Per superficie di parchi e giardini pro capite occupiamo una posizione tra le più arretrate:

Se si dovessero valutare le performance ambientali di una città con il metro che si usava un tempo per gli studenti, Milano finirebbe dietro la lavagna con le orecchie da somaro. L'immagine è brutale, ma è ciò che emerge dalla comparazione tra le classifiche che misurano gli indicatori ecologici degli spazi urbani europei. Il confronto l'ha fatto Paolo Pileri, docente di Ingegneria del territorio del Politecnico di Milano: è uno dei diciassette contributi raccolti in un saggio, Per un'altra città. Riflessioni e proposte sull'urbanistica milanese che tra pochi giorni sarà in libreria pubblicato dalla casa editrice Maggioli. Coordinata da Gabriele Pasqui, professore di Gestione urbana nella facoltà di Architettura, la ricerca prova a rispondere a una serie di domande. A cominciare da quella più attuale: «Il comune di Milano può davvero crescere ancora di centinaia di migliaia di abitanti?» E a che prezzo?
Pileri, la sua analisi si basa su scenari futuri o sulla città com'è?
«È una fotografia dell'esistente e il futuro potrebbe essere peggiore. Ho provato a confrontare tre fonti di dati con quelli contenuti nella valutazione ambientale strategica del Pgt, il piano di governo di territorio. Mi sono rifatto a classifiche europee molto accreditate come Urban Audit, che ha per campione 300 città. Poi ho voluto, un po' provocatoriamente, riferirmi agli European cities monitor, i report periodici di Cashman & Wakefield, una società di Real estate che studia come gli imprenditori immobiliari europei vedono le città. Infine ho attinto da City mayors, ovvero come si valutano gli amministratori. Sono tre banche dati molto accreditate».
Per Milano la bocciatura è totale?
«Ci sono anche delle positività, per esempio l'offerta di trasporto pubblico, sulle quali bisognerebbe continuare a investire. Seguitare a costruire parcheggi pubblici in centro città, invece, non va bene perché si portano auto in centro città mentre mancano i parcheggi d'interscambio, come mostrano le classifiche. Si va in direzione opposta al buon governo urbano, insomma».
Davide Carlucci
La Repubblica
03-02-2009


La tendenza Resistente e riciclabile. Ma usarlo ha assunto una valenza ideologica
Il legno «politically correct» ha sedotto l'architettura
Botta: «Più poveri i mezzi utilizzati, più alta l'emozione»

La prima architettura, archetipo di ogni successiva costruzione, fu composta da «alcuni tronchi di legno intrecciati» a formare «la capanna primitiva». Così, nel legno, il teorico del Razionalismo francese, Marc Antoine Laugier, fissa nel 1755 l' origine dell' architettura. E quando, poche pagine dopo, descrive cosa siano le città (dove entro dieci anni vivrà l' 80% dei cittadini del pianeta) le paragona a delle foreste. È ben strano, a pensarci bene, che la più lapidea e duratura delle arti, l' architettura, non scelga come archetipo un materiale come la pietra, un sasso, bensì - in più trattatisti (in parte anche in Vitruvio, poi Semper) -il legno. Ciò è dovuto sia a una sua caratteristica estetico-simbolica (è un elemento della natura e questo risponde meglio al principio aristotelico della mimesis) sia strutturale: è un materiale duttile che assolve funzioni strutturali, di tamponamento e decorative. Il legno è stato utilizzato, e lo è ancora, sia per strutture mobili che per grandi costruzioni fisse, cosa che la pietra o il cemento non consentono. Nel primo caso l' origine va cercata in ambito devozionale, come la costruzione di templi mobili per ospitare la divinità (l' Arca dell' Allenza ne è un possibile prototipo), come ancora mostrano i templi giapponesi di Kyoto e di Nikko (con il tempio ligneo delle tre scimmie, quelle del «non vedo, non sento, non parlo») e diversi cinesi. Ma anche la pittura devozionale cattolica ha finito con il trasformare la grotta di Betlemme (visibile nella chiesa della Natività)in una stalla di legno. Nel secondo caso, le architetture di legno hanno un loro archetipo-modello: il «naviglio». La nave è la più perfetta architettura di legno, anzi è la città galleggiante. Gran parte della microedilizia della storia del mondo è stata in legno: certo, non è sopravvissuta mentre i castelli sì, ma questa può essere considerata lo potremmo persino considerare una forma di obsolescenza non programmata e non inquinante. Tuttora persistono tipologie di costruzioni in legno ampiamente storicizzate: si pensi adalcune case giapponesi, alle stavkirker norvegesi, alle painted ladies di San Francisco, e alle mobil-house americane e, ovviamente, gli chalet alpini (anche prefabbricati). Altre se ne sono aggiunte persino con la produzione industriale, come in America a inizio Ottocento quando si sono costruite le prime abitazioni con il metodo del balloon frame, ovvero con l' utilizzo di listelli e tavole di piccola dimensione a formare un sistema a doppia orditura resistente strutturalmente e facilmente smontabile. Oggi lo sviluppo di questo metodo ha portato alle costruzioni con strutture orizzontali in legno lamellare, che offrono la possibilità di amplissime campate libere senza alcun pilastro (adatte per palazzetti, palestre, centri congressi...). In anni più recenti, iI richiami allo sviluppo sostenibile e al protocollo di Kyoto hanno rilanciato il legno come miglior materiale da costruzione per l' architettura eco-compatibile: non esiste altro materiale con le qualità biologiche ed ecologiche del legno come resistenza, permeabilità, assorbenza, biodegradabilità, riciclabilità. Ma queste caratteristiche hanno finito per conferire, negli ultimi anni, un senso direianche ideologico all' uso del legno: il legno è «buono» perché primitivo, multiculturale, politicamente corretto; il cemento e l' acciaio sono «cattivi» perché espressioni dell' industrialesimo e del capitalismo avanzato. Il primo è caldo e amico della natura (anzi, natura stessa) gli altri freddi e invasivi: le tesi celentaniane del tipo: "Là dove c' era l' erba ora... costruiscono case di catrame e cemento" è risuonata anche negli ultimi mesi. E così, legno e materiali poveri si stanno configurando non solo come i materiali di una "nuova architettura organica", ma anche come gli strumenti di una crociata antiglobal dell' architettura. In modo discutibile. Con questo spirito sono nati gli interventi di Thomas Herzog e Peter Zumthor per l' Expo 2000 di Hannover e di Tadao Ando, al Padiglione del Giappone all' Expò di Siviglia o la copertura come un grande cesto intrecciato della torre di avvistamento dello Zoo di Helsinki. Quando poi l' uso del legno si associa al riciclo di materiali o all' uso di altri materiali locali abbiamo ci troviamo di fronte a una sorta diuna vera e propria architettura, o design, antiglobal, come può esserequella di Solano Benitez di Asunción, al quale è stato conferito il nuovo BSI Swiss Architectural Award 2008 per la sua ricerca architettonica. "elaborata in un contesto politico-economico problematico, con oggettive difficoltà operative, lontano dai processi produttivi dettati dalla globalizzazione e di qualità sorprendente", afferma Mario Botta, responsabile del premio. «La povertà dei mezzi utilizzati risulta inversamente proporzionale alle emozioni che la sua architettura riesce a trasmettere», afferma Mario Botta, responsabile del premio. Per questa funzione, spesso il legno è protagonista. Lo dimostra il suo piccolo studio in calle Padre Cardozo, in un tranquillo quartiere residenziale prossimo al centro di Asunción, dove si varca un cancello di tavole di legno e ci si trova di fronte a una costruzione di materiali recuperati, anche cataste di rami. La sua Casa Abu&Font ha travatura in legno e la sede della multinazionale Unilever a Villa Elisa, sobborgo di Asunción, è l' esito della radicale trasformazione di un edificio industriale con materiale locale. Più celebre ed emblematica è, nella Great Bamboo Wall, la Bamboo House dell' architetto giapponese Kengo Kuma, una villa interamente costruita in bambù presso Pechino che ha sedotto molti designer e amanti dell' ambiente. Il legno di bambù diventa qui sia elemento strutturale che non strutturale per riscoprire l' essenza lineare dell' architettura asiatica e rivela l' interesse del progettista verso i materiali naturali e la loro potenzialità espressiva. Il bambù ricopre la struttura portante come una pelle che crea una texture. Le pareti interne sono in carta di riso. Fragile più del legno. Ma come il legno naturale, biodegradabile. 100 Tre proposte d' autore
Panza Pierluigi
Pagina 43
(4 febbraio 2009) - Corriere della Sera


A Milano si apre «Made Expo» Lo scenario Entro dieci anni l'80 per cento della popolazione mondiale abiterà in agglomerati urbani. Come salvare la convivenza evitando l'incubo Blade Runner? Il dibattito Nella kermesse sull'edilizia, architetti e urbanisti discutono il futuro della «polis»: una scommessa che si gioca fra tecnologia e strategie ecologiche
La città possibile

Kundera Calvino Per lo scrittore ceco la metropoli non è più un progetto rigoroso ma un' espressione «inintenzionale» Con Palomar descriveva una distesa fitta di tetti, balconi, antenne, «solcata da fratture non si sa quanto profonde»Fra grattacieli e problemi sociali Nello tsunami delle megalopoli l' urbanistica cerca un nuovo ruolo
Palomar si affaccia dal terrazzo della sua casa, ed è un prodigio. Dinanzi ai suoi occhi si disegna la «vera forma della città». Che non ha alcuna coerenza, ma si offre come un infinito sali e scendi di architetture: tetti, balconi, torri, campanili, guglie, antenne televisive. È il tripudio dell' horror pleni: ogni lembo è occupato. Una distesa diseguale ma compatta. Fitta, eppure «solcata da fratture non si sa quanto profonde, crepacci o pozzi o crateri, i cui orli in prospettiva appaiono ravvicinati come scaglie d' una pigna». Nello sguardo dell' alter ego di Italo Calvino, scorrono i fotogrammi di un luogo che non si fa perimetrare: troppo grande per poter essere custodito nella nostra memoria. È sparpagliato, disomogeneo, talvolta dissonante: si espande in ogni direzione, consegnandosi a incessanti deragliamenti, che sgretolano confini e consumano barriere. Sono entrati definitivamente in crisi modelli che si sono consolidati nel corso dei secoli. A differenza della polis, che è segno di un preciso calcolo e di un desiderio di controllo, la megalopolis è testimonianza di una volontà di potenza infranta: non si richiama più a un progetto rigoroso ma, potremmo dire con le parole di Milan Kundera, è involontaria, «inintenzionale». Un accatastamento di tasselli e di voci che disorienta, e impedisce ogni descrizione unitaria. Per raccontare questa rivoluzione, ci si può servire di tante immagini: il suk, il puzzle, lo shanghai, l' i-pod. Analogie per evocare una realtà che non si riconosce più nelle misure classiche. Ma si dispone all' interno di una grammatica poco lineare: imperfetta, inesatta. Si tratta di una sintassi che, tuttavia, non delinea una dimensione priva di logica. Sono cartografie alternative, irregolari e frastagliate. Ipertesti contraddistinti da un' armonia spezzata: da un ordine di tipo diverso, che si situa al di là delle nostre consuete categorie di lettura. Di fronte a questa confusione, restiamo interdetti. Dobbiamo fare i conti con lo smarrimento. Abbiamo abbandonato un porto sicuro, per naufragare nel mare aperto. Dobbiamo lasciare la terra ferma delle sicurezze e delle omogeneità, per assistere al trionfo della dispersione e della frammentazione. Dall' idea della città come opera d' arte, governata da un programma e da un piano, siamo approdati all' idea della città come installazione fondata sull' attrito tra parti. Ci siamo allontanati da un regno dominato da rapporti e proporzioni, per addentrarci in un labirinto di presenze diseguali. La metropoli di oggi, hanno ricordato sociologi quali Manuel Castells e Saskia Sassen, appare come una struttura governata da logiche contraddittorie. Oscilla tra il legame con luoghi particolari e una sorta di slancio globale. Per un verso, tendiamo a organizzare le nostre esperienze quotidiane nei limiti di un determinato ambito territoriale. Per un altro verso, si è venuto costituendo un «network interattivo di relazioni tra attività e individui, a prescindere dallo specifico contesto di riferimento». Una trama di segmenti che, anche se lontani dal punto di vista geografico, si connettono virtualmente in una rete estesa sull' intero pianeta. Dinanzi a questo tsunami, l' urbanistica deve ripensare radicalmente se stessa: il suo ruolo, la sua funzione. Può imboccare i sentieri della nostalgia: e illudersi illuministicamente di riuscire a ripristinare simmetrie. Rassegnarsi ad assecondare le prepotenze del presente: e limitarsi a fare surf sulle onde dell' attualità. Scegliere la marginalità: e ricorrere a interventi di agopuntura, destinati a modificare solo piccoli limbi. Oppure affidarsi a soluzioni decisamente spettacolari: e farsi sedurre dalla possibilità di innalzare edifici dalle forti valenze spettacolari, senza tener conto della realtà in cui si va ad agire. Infine, vi è un'altra chance: forse più laterale. Che consiste nel tornare a pensare l' urbanistica non come resoconto dell' attualità, né come disciplina liquida. Ma come esperienza estetica che sia solida e anche flessibile. In sé, accolga dispersioni e addensamenti, permanenze e mutazioni. Non cerchi di prefigurare qualcosa, ma sappia misurarsi con l' esistente: lo ascolti, ne segua i sussulti. Non sogni di anticipare eventi o gesti. Abbia il coraggio, invece, di inserirsi in ciò che è già stato fatto. Sappia redimere, o almeno provi a correggere, derive anarchiche. Riconquisti una visione d' insieme. Si confronti con universi sempre più complessi e articolati, che si sviluppano attraverso processi eterogenei: scosse a volte visibili, a volte nascoste. Comprenda fino in fondo che, anche negli squilibri e nelle incongruenze, vi può essere una struggente intensità. Si addentri negli interstizi della megalopoli contemporanea. Rispetti le permanenze monumentali. Ma interroghi anche (e soprattutto) le nuove emergenze. Restituisca un' anima a episodi anonimi. Si ponga in ascolto, infine, delle richieste di quella che, baudelairianamente, potremmo definire la bellezza vivente. In un mondo che si fa sempre più simile a una città diffusa - mentre le città tendono a farsi sempre più simili a mondi -, l' urbanista deve proporre riscritture territoriali. Egli non può progettare dal nulla. Deve sentire le densità degli spazi e le voci delle persone. Concepire il suo lavoro, essenzialmente, come un sapiente esercizio immaginario. Che, ha osservato Bernardo Secchi, non è libera espressione fantastica, ma «valutazione, nelle condizioni e con le informazioni date, di itinerari possibili, condivisi, desiderati». Il convegno A «Cityfutures», convegno internazionale dedicato ai possibili sviluppi delle aree urbane (oggi e domani a «Made Expo»), si discute delle conoscenze, dei progetti e degli strumenti per affrontare l' evoluzione dei centri abitati. Partecipano architetti, ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo. Tra questi, Zheng Shiling, architetto del master-plan di Shanghai Expo 2010, Gary Lawrence, stratega urbano di Arup, George Kunihiro, con la sua visione di Tokio 2030. E ancora, Eduardo de Oliveira Fernandes, Lorenzo Matteoli, Jaime Lerner, Lee Schipper, Denise De Luca, Reena Tiwari, Alexandros N. Tombazis. Il convegno si sviluppa intorno a tre temi: i rapporti tra politica, economia e strategie urbane; si analizzano le trasformazioni urbane e le visioni architettoniche e infine, si discute sulle nuove tecnologie che faciliteranno i cambiamenti, sulle città a basso consumo e sulla sostenibilità ambientale.
Trione Vincenzo
Pagina 42
(4 febbraio 2009) - Corriere della Sera


In Regione
Nuova legge sui parchi Appello ambientalista: «Fronte anti cemento»
La proposta «Serve un tavolo con i presidenti di tutte le 29 oasi lombarde per avere una legge condivisa»

MILANO - In marzo gli ambientalisti avevano festeggiato, oggi tornano a lanciare l' allarme. Allora la norma che avevano battezzato «ammazzaparchi» era stata stralciata dalla legge urbanistica (revisione di quella del 2005), oggi rispunta nella nuova proposta di legge sui parchi. Il Pirellone conferma la sua posizione: massimo rispetto per il verde, nessun rischio per le aree protette. Ma nelle nuove regole proposte la scorsa settimana alla discussione in commissione Ambiente (si riprende oggi), invece, all' articolo 8, torna il tema più scottante: in caso di contrasti tra comuni e Parco (di cui peraltro i comuni fanno ordinariamente parte) in materia di programmazione territoriale, «la Giunta regionale, nella fase di istruttoria dei PTC (piani territoriali) o loro varianti, su specifiche tematiche proposte dagli enti locali, garantisce il confronto con l' ente gestore del parco e con gli enti locali medesimi». Cioè: in fatto di pianificazione del territorio, l' ultima parola non è più dei parchi, sarà la Regione a fare da arbitro. «Rischiamo di aprire le porte al cemento» avvertono Carlo Monguzzi e Pippo Civati (Verdi e Pd). Pensano soprattutto al Parco Sud, sul quale si appuntano anche altre preoccupazioni: «le nuove norme metterebbero un tetto del 15% alla partecipazione delle Province nelle quote dei parchi». Nel Milanese, dove Palazzo Isimbardi è «padrone» del parco agricolo Sud e detiene quote importanti delle Groane e del parco Nord, significherebbe un taglio drastico ai trasferimenti di quattrini: i comuni, titolari della altre quote, certo non potrebbero sopperire. Sul tavolo della discussione - e nel mirino delle osservazioni che dall' estate Legambiente, Coldiretti, Province hanno fatto alla bozza della nuova legge - anche la nomina dei direttori dei parchi: ora sono designati dai rispettivi cda, a loro volta eletti dalle assemblee, domani sarebbero nominati dalla Regione, un poco come avviene per le Asl. «Serve un tavolo con i presidenti dei parchi per fare una legge condivisa» chiedono gli ambientalisti.
Guardini Laura
Pagina 12
(4 febbraio 2009) - Corriere della Sera


Rho-Pero Il ministro Tremonti agli imprenditori: siete il motore dell'Italia. In mostra oltre 1.700 aziende espositrici: una su sei è straniera
Casa e design a Made, l'assalto dei giovani
Al via la mostra in Fiera. De Ponti, Federlegno: cultura e tecnologia contro la crisi Giovanni De Ponti «In vista dell'Expo, vogliamo riportare al centro della crescita delle città anche il dialogo tra le istituzioni, gli architetti e i cittadini»

Casa e design. Edilizia e cultura dell' arredo. Ovvero «uno sguardo verso il futuro», per le aziende. E «una prospettiva di speranza», per i giovani. Al centro lo sviluppo urbano, con la sua spinta di qualità e tecnologia. Debutta Made expo, la rassegna internazionale dedicata all' edilizia e all' architettura, arrivata alla seconda edizione milanese. E subito trova l' impegno del governo. Con il ministro dell' Economia Giulio Tremonti che lancia un messaggio agli imprenditori: «Non vi lasceremo soli». Perché il settore «del legno-arredo per l' edilizia, con il suo fatturato da oltre 300 miliardi, è uno dei pilastri del made in Italy». Made expo parte, dunque, nei padiglioni della Fiera Rho-Pero. Con un segnale di fiducia («l' economia reale troverà la forza di reagire», parola di Tremonti) e con i numeri di una rassegna competitiva: oltre 170mila visitatori attesi, 1.739 le aziende di cui 263 straniere, oltre 100mila metri quadrati di esposizione. Il tutto in quattro giorni di manifestazione. Insomma, questi dati «provano una grande tenuta, nonostante il periodo non sia dei migliori», spiega Rosario Messina presidente di Federlegno-Arredo. Di più, secondo l' amministratore delegato Giovanni De Ponti «La qualità degli stand sottolinea che c' è ancora voglia di investire». L' attenzione è rivolta all' ambiente, al risparmio energetico e alla sostenibilità, «il futuro nello sviluppo delle città, porte aperte sul mondo». Innovazione e creatività, dunque, per i nuclei urbani che si stanno trasformando. La rassegna si è aperta con il convegno «City Futures: l' evoluzione delle aree urbane». Una sorta di «laboratorio di idee per trovare soluzioni ai problemi delle grandi aree metropolitane», sottolinea De Ponti. Due giorni per discutere, pensare e «sì, anche immaginare le città dei nostri figli». Iniziative e proposte proiettate nel tempo, «il fiore all' occhiello del nostro impegno». Anche perché «proprio in vista dell' Expo, vogliamo riportare al centro della crescita delle città il dialogo». Un confronto tra amministratori e architetti, tra politici e residenti. E, quindi, tra mondo della cultura e del design e quello della tutela dell' ambiente. «Obiettivo su cui abbiamo sviluppato una serie di progetti». Soprattutto per i giovani. Ai quali Federlegno ha dedicato un concorso: Istant house, in collaborazione con la Regione Lombardia e il Politecnico. Tema: progettare cellule abitative di accoglienza per gli ospiti del 2015. In circa tre mesi «sono arrivati 74 progetti da studenti universitari». E i migliori «sono esposti proprio in Fiera». Ha vinto una casetta costruita con materiali riciclabili, legno e cartone. Questa non è che «la prima delle idee dedicate agli under 30». Una serie di iniziative «per stimolare i ragazzi a essere parte di un progetto comune». Insomma un investimento «con uno sguardo proiettato al futuro». Partendo dalla aziende per arrivare alle nuove generazioni.
Argentieri Benedetta
Pagina 10
(5 febbraio 2009) - Corriere della Sera


Expo, la lezione di Shanghai "Milano ormai è in ritardo"
"Basta rinvii per la società speciale: il mercato è crollato, servono opere pubbliche per l'occupazione"

Racconta che a Shanghai hanno iniziato a lavorare per Expo dal 2000: dieci anni prima dell'inaugurazione ufficiale dei padiglioni che apriranno a maggio del prossimo anno. Poi, subito dopo la vittoria nel 2002, la macchina organizzativa è partita. A ritmi impressionanti: «E ora siamo in perfetto orario». Perché il tempo, avverte Zheng Shiling, uno degli architetti più importanti della Cina che segue i lavori per l'Esposizione universale che ci sarà nella città cinese nel 2010, è fondamentale «e Milano non ne ha molto: è un problema». Un invito a fare in fretta, quello che arriva dall'esperto dell'Expo cinese. Ma anche a guardare al futuro: «È questa la grande opportunità: molte città hanno cambiato volto, sono migliorate, hanno creato qualcosa per i cittadini, posti di lavoro». Senza rinunciare di fronte alla crisi, però, come suggerisce Vittorio Gregotti: «Ogni Expo ha la propria identità e deve immaginare come sarà facendo i conti anche con la situazione storica che vive. Milano può sfruttare la sua creatività e trovare la soluzione migliore per superare le difficoltà. C'è già una struttura splendida come la Fiera: se fosse necessario ridurre i costi perché non utilizzarla?». Per Claudio De Albertis, il presidente dell'associazione dei costruttori Assimpredil-Ance, la ricetta contro la crisi è già tracciata e non si deve tornare indietro: «Occorre investire, far partire i cantieri: ogni miliardo investito in infrastrutture crea direttamente 27mila posti di lavoro, più quelli dell'indotto».
Alessia Gallione
La Repubblica
06-02-2009


Architetti in guerra all'ombra del fascismo
Architettura italiana sotto il fascismo si intitola il nuovo libro di Carlo Melograni (Bollati Boringhieri, pagg. 321, euro 24). Ma è di architetture che si fronteggiano, che fisicamente quasi si guardano in cagnesco, opponendosi l'una all'altra che in effetti si racconta nel libro. Il cui sottotitolo rende bene l'idea: «L'orgoglio della modestia contro la retorica monumentale 1926-1945».
"L'orgoglio della modestia" è un'espressione usata da Giuseppe Pagano. Sta a intendere come l'architettura debba soprattutto rispondere a bisogni: una costruzione moderna non può essere giudicata positivamente, scrive Pagano nel 1940 su Casabella, la rivista che dirige, «se non contribuisce ad aumentare il benessere umano». La retorica monumentale è invece quella interpretata, negli stessi anni, da Marcello Piacentini, un'architettura che è arte, «quindi è opera dello spirito», spettacolare e rievocativa di tradizioni nazionali e imperiali.
Questo contrasto fu proprio del ventennio fascista. Ma lì, segnala Melograni, «hanno origine difetti tuttora persistenti nella nostra cultura progettuale». Basta che altri committenti si sostituiscano a quello littorio ed ecco che tanti progettisti ritengono che i principali destinatari del loro lavoro siano, appunto, «i committenti molto più che gli abitanti». Ne consegue un'architettura che poche volte si mette in relazione «con un'idea complessiva di riorganizzazione della città».
Ma torniamo al ventennio fascista. Nella Città universitaria di Roma le due architetture si contrappongono in uno spazio ristretto. Piacentini, oltre che del disegno complessivo, è artefice dell'edificio centrale, il rettorato, che troneggia imponente al termine di un viale aperto dalle colonne del mastodontico propileo progettato da un altro campione dello stile littorio, Arnaldo Foschini. Pagano invece firma la facoltà di Fisica, costruzione austera, razionale e rispondente, sottolinea Melograni, ai migliori modelli europei.
Francesco Erbani
La Repubblica
06-02-2009


Urbanistica L'invito a sorpresa dell'assessore: «La sua collaborazione sarebbe autorevole, qualificata e importante per tutta la città»
«Cemento a Milano? La Crespi sia la nostra garante»
Masseroli: aumenteranno aree verdi e servizi, la presidente del Fai venga a lavorare con noi. L'assessore: «Due milioni di abitanti? Non è l'obiettivo del piano. Vogliamo solo far crescere una città sostenibile

Un appello a Giulia Maria Crespi: «Venga a lavorare con noi. Sia garante del nostro progetto per diminuire il consumo del territorio». Altro che soffocati dallo smog e dalle auto. Altro che cementificatore. L' assessore comunale all' Urbanistica, Carlo Masseroli, risponde alle accuse della presidente del Fai, preoccupata dall' eventualità che il Comune «voglia aumentare la popolazione della città, portando traffico e inquinamento». Ed è talmente sicuro di quello che dice, Masseroli, da offrire alla Crespi la possibilità di seguire da vicino e vigilare sul percorso urbanistico che il Comune sta avviando: «La sua collaborazione sarebbe autorevole, qualificata e importante per tutta la città». Un passo indietro. La storia dei due milioni di abitanti a Milano era uscita, e aveva diviso, quando Masseroli aveva presentato il Piano di Governo del Territorio, arrivato ormai alle battute finali. Ma l' assessore corregge il tiro: «Due milioni? Non è un obiettivo del nostro piano. Noi vogliamo semplicemente far crescere in modo ordinato una città sostenibile, in cui avere alloggi a prezzo calmierato, più infrastrutture, più armonia». Già, ma con quanti residenti? «Oggi dormono a Milano un milione e settecentomila persone. È verosimile pensare che se riusciremo a costruire questa città più attrattiva, altre persone possano decidere di fermarsi qui». Quindi: più auto, più smog e più confusione? «Semmai - ribatte Masseroli - più ordine, perché se ci sono più infrastrutture vicine a casa, il cittadino lascia l' auto nel garage e usa i mezzi pubblici. Più densità - insiste l' assessore citando fior di studi di sociologi e architetti urbanisti - significa una migliore qualità di vita». Torniamo al Piano di Governo del territorio. Dopo aver consultato la base, i cittadini, le zone, i soggetti che fanno la città, il settore guidato da Masseroli è arrivato a definire il piano «fondato sul concetto di sostenibilità». Gli obiettivi fissati verranno declinati in tre macro-aree: la crescita della popolazione (appunto); la parte ambientale; l' offerta dei servizi, compresi i percorsi pedonali e ciclabili alle nuove linee metropolitane. Ognuno di questi avrà alcuni sotto-temi e per ciascuno l' assessore intende nominare una figura esterna al Comune come garante: «Vogliamo rivolgerci a persone credibili, riconoscibili e appassionate al tema di cui ci vogliamo occupare». Per il progetto «Non consumare ulteriore territorio», che significa lasciare spazio a verde e servizi, Masseroli ha così pensato a Maria Giulia Crespi. Ecco il progetto. Dal 1954 ad oggi il consumo del suolo, cioè la sua urbanizzazione, è continuamente cresciuto: siamo passati dal 35 per cento di allora al 77 per cento del 2008. Masseroli si impegna: «Vogliamo recuperare circa 16 mila metri quadrati di territorio a verde e servizi, in modo da scendere progressivamente dal 75 per cento di urbanizzato, al 72 per cento nel 2015 e al 68 nel 2030». Il recupero avverrebbe con un piano mirato su spazi come potrebbero essere gli scali ferroviari, le ex caserme, le industrie dismesse. Perché, come spiega Masseroli, «il territorio è una risorsa scarsa, di fatto esaurita a Milano. Il piano propone di ricostruire su se stesso, recuperando spazi pubblici in aree private». In attesa di conoscere la risposta della Crespi, l' iter del Pgt, che programmerà lo sviluppo della città come non succede da anni, sta proseguendo: prossimo passaggio, la giunta.
Soglio Elisabetta
Pagina 4
(5 febbraio 2009) - Corriere della Sera


Cementificazione I 40 milioni di metri quadrati non sono area verde. «Ridurre i permessi di edificazione»
«Il parco Sud è agricolo». Piani del territorio da rifare
Rimessi in discussione anche i cinque «piani di cintura», il più noto dei quali riguarda l'area dell'ippodromo di San Siro I permessi In attesa della nuova legge regionale sui parchi, che ha iniziato l'iter in commissione, Milano dovrà rivedere le cubature da edificare

Il nuovo piano territoriale della Provincia di Milano dovrà essere corretto e poi adottato dal consiglio in tempi brevi: la discussione è già stata messa nei lavori dell' aula del prossimo 5 marzo La «cementificazione» del Parco Sud subisce un' inattesa battuta d' arresto. Un' ordine del giorno del Consiglio provinciale, collegato al bilancio, rimette in discussione il nuovo Piano territoriale ma, soprattutto, i cinque «Piani di cintura», il più noto dei quali è quello dell' immensa area dell' ippodromo di San Siro, oggetto di un imponente progetto di sviluppo urbanistico. E i terreni del Parco Sud che ricadono nei confini di Milano (40 milioni di metri quadrati) e che erano stati catalogati sotto il generico capitolo di verde, dovranno ora essere riclassificati come «ambiti agricoli», dunque sottoposti a vincolo. Una boccata d' ossigeno per i 3.500 agricoltori. Sei su dieci sono affittuari. «E il loro contratto viene rinnovato di anno in anno - spiega Paola Santeramo, della CIA (Confederazione italiana agricoltura) - nell' attesa che i terreni cambino destinazione d' uso». Ma la trasformazione in «ambiti agricoli» rischia di avere riflessi pesanti sulla politica urbanistica del capoluogo. Perché quel verde non può essere utilizzato, spiegano i promotori dell' ordine del giorno in Provincia, «per la cosiddetta perequazione». Ovvero per quel meccanismo che in virtù di ogni metro quadro consente l' edificazione di un ' tot' di metri cubi. «Non necessariamente in loco ma spalmati sulla città». La votazione dell' ordine del giorno cade nei giorni cruciali di discussione del bilancio in Provincia. E il documento passa, nonostante l' astensione del Pd. «Milano dovrà rivedere le sue cubature - spiega Nello Patta, segretario di Rifondazione che ' scavalca a sinistra' anche i Verdi -. Secondo la legge 12, regionale, i terreni del Parco devono essere indicati come ambiti agricoli». In attesa della nuova legge regionale sui parchi, che ha iniziato in questi giorni l' iter in commissione e che è già stata ribattezzata legge «tagliaparchi» (perché la Regione diventa arbitro nelle controversie tra un Comune e gli enti Parco e assumerà un ruolo determinante nella nomina dei direttori del Parco, «svuotando di poteri i CdA e i consorzi dei Comuni», stigmatizzano i Verdi), l' ordine del giorno ha l' effetto immediato di fermare le lancette dell' orologio. Il piano territoriale della Provincia dovrà essere corretto e poi adottato dal Consiglio: ieri la discussione è già stata messa nei lavori del 5 marzo. E il reinserimento degli ambiti agricoli (già indicati per tutti gli altri 10 milioni di metri quadrati del Parco Sud, che rientrano nei confini dei Comuni confinanti con Milano), una delle richieste di Rifondazione al presidente Penati già nella verifica programmatica dello scorso settembre, arriva al dunque. Anche se con un «colpo di mano».
D'Amico Paola
Pagina 6
(6 febbraio 2009) - Corriere della Sera


L'intervista L'architetto: bisogna pensare un modello diverso per l'evento del 2015. Vertice tra urbanisti
Boeri: poche risorse? Lavoreremo «dentro» la città
La crisi non sarà un ostacolo. Avremo un'Expo più generosa e attenta ai veri bisogni della città

Per due giorni hanno lavorato insieme: incontri, seminari, sopralluoghi, brain storming. Per la prima volta si sono riuniti a ripensare la città, mettendo a disposizione le proprie esperienze internazionali. Obiettivo: disegnare un' Expo fuori dal comune: innovativa, ecocompatibile e a basso costo. Loro sono la consulta architettonica di Expo 2015. Cinque archistar: Richard Burdett, Joan Busquets, Jacques Herzog, Stefano Boeri, William McDonough. Architetto Boeri, come è andata? «Molto bene. Il sindaco Letizia Moratti e Paolo Glisenti ci hanno invitato a fare uno sforzo innovativo, a pensare un nuovo modello di Expo». Perché? Quello tradizionale non va bene? «No. Le ultime esposizioni hanno avuto un assetto un po' obsoleto. Troppi padiglioni, aree che vengono abbandonate appena finito l' evento. A Siviglia, per esempio, lo spazio espositivo adesso è un disastro. Saragozza è stata un mezzo flop. A Shanghai per il 2010 stanno riproponendo il solito modello». E voi cosa vorreste fare? «Di sicuro non una grande fiera. Centoquaranta padiglioni nazionali non possono funzionare. Expo avrà il suo luogo deputato, Rho Pero, e sarà un centro di grande intensità. Ma insieme a questo spazio sarà tutto il tessuto urbano a vivere, con le sue tradizioni culinarie e agricole». Un architetto svizzero, uno inglese, uno italiano, uno spagnolo e uno americano. Breve curriculum dei suoi colleghi? «Facile: Herzog ha progettato il «nido», lo stadio olimpico di Pechino, Burdett sta riqualificando un intero quartiere di Londra per le Olimpiadi del 2012, Busquets ha ridisegnato Barcellona, McDonough è uno dei più grandi esperti di architettura e ambiente. In questi due giorni di seminario sono uscite molte idee interessanti». E i progetti? Voi «saggi» cosa farete in concreto? «Siamo una consulta di appoggio al consiglio di amministrazione. Dobbiamo preparare il progetto, tradurre l' idea portante di Expo nelle richieste del bando di concorso». Vi siete divisi i compiti? «Sì. Busquets si è concentrato sulle infrastrutture, Burdett ha insistito sulla necessità di sviluppare nuove politiche sociali in vista delle grandi manifestazioni, McDonough si è soffermato su ambiente ed energia, Herzog ha fatto un ragionamento sul senso dei padiglioni nazionali». E lei? «Io mi sono dedicato al tema delle cascine e delle zone agricole milanesi. E, non ultimo, della cultura. Expo sarà un luogo utile per la città, ma sarà anche dentro la città. E si può cominciare già oggi». Perché oggi? «Perché qui c' è già un tessuto urbano adatto al tema di Expo, e cioè "nutrire il pianeta, energia per la vita". Abbiamo decine di ristoranti etnici, possiamo parlare di cultura del cibo, di una Milano che è davvero cosmopolita». Come si fa un' Expo innovativa con pochi fondi? «La preoccupazione per le risorse c' è, è inutile nasconderlo. Ma questa congiuntura, tutto sommato, potrebbe essere positiva per noi». In che senso? «Alla fine potremmo costruire un' Expo con meno eventi e più sostanza. Una manifestazione più generosa nei confronti della città. Certo, sarà necessario uno sforzo maggiore di inventiva, si dovrà lavorare sull' esistente, e cioè sulla cultura. Ma in compenso sarà un' esposizione nuovissima, unica». Ieri avete concluso il primo laboratorio. Quando vi incontrerete di nuovo? «A marzo. E ognuno porterà nuova linfa. In questi giorni i miei colleghi hanno dimostrato una grande attenzione verso Milano: sono pieni di idee. E, soprattutto, senza pregiudizi». Il più entusiasta? «Herzog. Ha fatto proposte visionarie, bellissime. È ossigeno puro».
Sacchi Annachiara
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(7 febbraio 2009) - Corriere della Sera


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