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Una estetica del disordine

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Si è svolta giovedì 3 Aprile presso la sala Conferenze –e non solo, data l’affluenza di pubblico-  della nostra sede di via Solferino, la presentazione del progetto Milanofiori Nord Assago, cui hanno partecipato invitati a relazionare sui propri progetti all’interno del comparto i giovani architetti Filippo Pagliani di Park Associati e Paolo Brescia di OBR.
Ad introdurre la serata, coordinata da un ottimo Federico Acuto, l’ing. Luigi Pezzoli, poliedrico Project Manager dell’iniziativa del gruppo Brioschi. Prendendo spunto da una Mostra da lui organizzata assieme al noto antropologo Marc Augè presso il Museo di Storia Naturale di Milano nel 2004, dedicata alla cultura delle popolazioni Evhe-Ouatchi del Togo e in particolare ad alcuni aspetti del mondo della loro religione tradizionale Vudu, ha spiegato come sia a partire dalla radice emozionale che si innesta il processo lento ed inconscio del prodursi della memoria collettiva. Un fatto pre-formale, e per questo disordinato –da cui il titolo della serata- ovvero senza forma. 
Un ossimoro dunque per descrivere un processo non cartesiano, il cui obiettivo primario è creare un luogo di memoria, attraverso l’emozione, al cui centro è l’uomo. 
Attraverso questa chiave sarà possibile capire le successive metafore attraverso cui descrive le parti del progetto: la scogliera ispida verso l’autostrada, il bastione a sud, il cuore/piazza, i petali, il parco. Il tutto in un area di 360.000mq limitrofa la bretella che conduce all’Autostrada Serravalle, nel comune di Assago e al confine del comune di Milano, accanto al centro commerciale più frequentato d’italia.
Scorrono le immagini delle costruzioni in corso, i cui primi edifici saranno completati entro l’anno, oltre che delle maquette di progetto dello studio dell’architetto olandese Erick van Egeraat –ex giovane Mecanoo:  impatto sicuramente memorabile, anche se non propriamente nel senso di una memoria collettiva consolidata in termini localistici.
Ma qui torneremo.
Essi infatti costituiscono una fitta sequenza di edifici in linea perpendicolari all’autostrada con giaciture variabili a definire di volta in volta relazioni tra loro, vuoi di ‘abbraccio’, come nella piazza in quota antistante la fermata della metropolitana – piuttosto che di isolamento.
A forzare tale carattere verso un impatto 'memorabile', la composizione dei fronti mediante artifici di richiamo organicista (altro efficace ossimoro) come le bucature composte su diagonali variabili e simmetriche ai due estremi, con fuoco al centro… oppure i materiali di diversa fattura e che mescolano alluminio, vetro cemento a vista e ferro verniciato in modo estremamente disinvolto.

Come meglio preciserà verso la fine della serata,nel descrivere il Masterplan dello studio olandese, Paolo Galuzzi dello studio FOA, estensore della Variante a tale Piano, riguardo alle metafore formali di cui si diceva sopra, si tratta di figure resistenti che definiscono precisi ambienti abitativi e  che anche messi alla prova da modifiche di programma –per quanto su un solo 10% del comparto- significative, non hanno subito alterazione di senso.

Paolo Brescia, di OBR Open Building Research, ha affrontato il tema della residenza, di cui si è occupato dopo essersi aggiudicato il concorso a riguardo indetto dall'operatore nel 2005. L’approccio, che definisce di ‘Olismo Naturale’, ovvero atto a dare permeabilità al parco che si spinge da nord all’interno della ampia sagoma curva che descrive il suo intervento, è incentrato su trasparenza –‘facciata golosa del giardino antistante’ e per questo completamente vetrata e spogliata da elementi di carpenteria. Si stabilisce allora una doppia facciata/caleidoscopio tra giardino esterno e verde personalizzato appartenente al ‘sistema verticale’ interno. Diagrammi su variabili climatiche –ma su affacci variabili tra loro ben difficili da controllare - fino al fronte verso strada giocato su formule di auto identificazione dell’utente, dimostrano lo spettro del lavoro di progetto. La versatilità dell’impianto tipologico costringe le parti di servizio al centro su un modulo tipo di 8 metri. Infine illustra il moke up costruito, uno scherzetto di campione 1:1 dell’alloggio tipo, utilizzato sicuramente per rendere tutte queste cose comprensibili anche ai futuri potenziali utenti non architetti.

Filippo Pagliani a seguire ha illustrato, con piglio professionale di chiarezza esemplare, il lavoro compiuto sul lotto più a nord del comparto. Un approccio legato ad argomentazioni bio energetiche, a privilegiare le esposizioni est/ovest che tramuta il ‘petalo’ del masterplan in un impianto, per quanto ammorbidito dall’andamento curvo e sinuoso, a ben più efficace esposizione -diciamo- a forcella. Morbidezza dell’edificio verso l’esterno e grande versatilità all’interno, voluta a corrispondere le più diverse esigenze locatarie. Ma lo studio magistrale avviene sull’involucro, il cui sviluppo mostra una rara attenzione alla composizione  ‘come uno spartito musicale’ in cui pieni e vuoti si giocano nell’alternanza dei materiali e questi a sua volta stemperati in diversi modi di utilizzo –lastre o lamelle a diversa densità etc.

Ne esce complessivamente un intervento che, sia per la scala –un ‘enclave infrastrutturale’-, che per il management messo in gioco di capacità eccezionali per sostenerla, oltre che naturalmente per il respiro architettonico adottato, si colloca in un contesto di interlocuzione più propriamente europeo che non localista.

Proprio tale essenza viene colta al primo giro di domande avviato dal consigliere prof. Del Bo che, facendo vece di controrelatore alla compagine invitata, e citando la Torre Velasca, chiede quale sia il rapporto con la memoria locale e rispetto a questa la pertinenza della composizione proposta: la memoria richiamata nella presentazione infatti non gli pare proprio visibile nell’intervento descritto.
È su tale questione, centrale per altro anche rispetto a molti dei diversi grandi interventi in corso sulla città, che si centrerà la tornata di risposte.

L’ing. Pezzoli specifica che la memoria cui si riferisce è introspettiva: emozione che nel sedimentarsi diventa memoria collettiva: processo indotto da 'memorabilia', e non viceversa dedottto dalle forme dell’architettura riconosciuta come portatrici di memoria, in senso localistico ‘milanesità’.  In questo atteggiamento il nomadismo culturale è considerato valore emergente della contemporaneità. 

Galluzzi ci mette in guardia dalla dimensione nostalgica, identificando Milano invece nella sua internazionale poliedricità: la torre velasca è un simbolo, oramai più che essere architettura.

Conclude Cino Zucchi che essendo tra il pubblico viene invitato a dare un opinione su un tema, quello della milanesità, a lui caro.
Come suo solito ci tramortisce in una girandola di analisi alle più diverse scale: rapporto con la città, tipologie, linguaggio, valori di riferimento, attori in gioco,  citando il Gallaratese di Aimonino/Rossi e corso Europa, ma soprattutto dicendo  una cosa che evidentemente, data la reazione del pubblico, in molti pensano: la torre velasca non ha poi molto di milanese.

Ma sarà così vero?

 

Francesco de Agostini

 

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