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Gonçalo Byrne. Architetture. Allestimento esemplare

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

02/04/2008. Un luogo: una piccola chiesa romanica vicentina dedicata a San Silvestro. Un tema: esporre architettura. Un nome: Gonçalo Byrne, maestro discreto dell’architettura contemporanea.

Un luogo: una piccola chiesa romanica vicentina dedicata a San Silvestro, immersa in una morbida atmosfera di laterizi e parte di un più ampio complesso, attestato su una porzione di terreno il cui dislivello ripara il tessuto viario più minuto della contrada storica da un ampio asse di scorrimento veloce.

Un tema: esporre architettura, cioè, apparentemente, entrare nel paradosso di una narrazione che a priori non può proporre il proprio soggetto al vero, alla scala dell’edificio realizzato e che quindi è costretta a contaminare uno spazio – questo sì reale, attraversabile, vivibile –, germinando continue traslazioni visive attraverso riduzioni di segno, così da mostrare icone evocative: schizzi, disegni, modelli.

Un nome: Gonçalo Byrne, maestro discreto dell’architettura contemporanea. Discreto perché lontano dal chiasso mediatico dello star system vigente, che ormai assimila ogni nuovo progetto dei soliti noti pressoché acriticamente, accecato dalla sete di consumo dell’etichetta di “qualità” tributa al nome e non più al prodotto. Maestro perché espressione eccellente di quella irripetibile generazione di progettisti portoghesi che, formati dalla lezione illuminante di Fernando Tavora, hanno intrapreso (e mai più abbandonato) un lungo viaggio nella definizione di un’architettura fondata sulla comprensione dei valori più sinceri della lezione moderna, così come sul recupero della tradizione costruttiva locale.

La confluenza di questi tre fattori: il dove, il chi ed il perché di una mostra di architettura consentono, retrospettivamente (l’evento si è concluso agli inizi di marzo), di definire il profilo di un allestimento esemplare.

Byrne, infatti, dovendo esporre se stesso attraverso un panorama di artefatti artificiali che comunicassero gli esiti del suo fare architettura, – in un racconto sincero e non autocelebrativo –, propone una esemplificazione evidente del processo intellettuale ed attuativo del suo linguaggio metodologico, affrontando l’allestimento stesso come un progetto di architettura programmatica.

Si confronta con il luogo “contenitore”, esplorandolo oltre i suoi confini per affrontarne il contesto più ampio, di cui scrive una delicata analisi critica attraverso la definizione del percorso di avvicinamento alla mostra: una pedana continua, scura, geometrica, generata da un piano verticale che taglia “fuori” il caos urbano e sviluppata attorno al complesso architettonico annesso alla chiesa, al cui interno si protende divenendo sistema generatore dell’intero apparato ostensivo. Una sorta di piccolo piano urbanistico che è matrice dell’intera idea allestitiva (o viceversa?), dove i volumi che ospitano i modelli di dodici progetti, s’insinuano tra le navate della chiesa, a disegnare un vero e proprio paesaggio metafisico, che rivela e sottolinea la forma e le geometrie dello spazio in cui si colloca, così come di quelli, riprodotti, che mette in mostra.

Il percorso s’impossessa dell’interno, non prima di aver rivelato altri elementi dello stretto rapporto tra luogo ed allestimento, che si confrontano dialetticamente: non a caso, infatti, la rampa varca la soglia della chiesa sul suo asse principale, in linea con l’abside, per svoltare subito a destra, sdoppiandosi nelle due navatelle laterali, dove solo nelle absidi terminali figurano progetti. Una scelta di traslazione del percorso e di rimando nell’accesso all’area espositiva che permette la discesa alla quota di calpestio dell’edificio, ma soprattutto suggerisce una pausa, ad accogliere in un unico sguardo l’intero interno storico, così come la sovrapposizione dei differenti progetti esibiti.


Non a caso, ancora, nell’abside principale trova posto il grande modello, inquadrato da un alto pannello nero di sfondo, di un vero progetto urbanistico (quello per il Parco Forlanini di Milano, una delle tante occasioni architettoniche dimenticate nella storia recente della nostra città).

I percorsi laterali sono contenuti da altri pannelli recanti notizie, disegni ed immagini dei progetti i cui modelli sono collocati su compatti volumi retrostanti. Qui Byrne gioca per contrappunto tra questi spazi limitati – accentuati dalla compressione del percorso di visita determinata dalla presenza degli alti pannelli – ed il grande invaso centrale, che questi ultimi nascondono alla vista. I varchi lasciati a disposizione rivelano corridoi espositivi costeggiati da lunghi supporti recanti modelli a differente scala. Un doppio percorso a pettine – unificato dalla presenza del piano nero di calpestio adagiato in tutta l’aula sacra –, che si fa spazio tra una colonna e l’altra, rileggendo la natura tipologica, formale e percettiva della chiesa romanica e sottolineando la forza dei suoi elementi portanti verticali, lasciati a vista anche nei loro capitelli, grazie a riquadri svuotati che rivelano la pavimentazione originale, così come la loro difforme individualità esecutiva, messa in relazione a lievi arretramenti della massa volumetrica dei supporti.

Un allestimento semplice, raffinato. Esemplare appunto.

Unica nota critica all’illuminazione che, privilegiando una pur piacevole drammatizzazione dei modelli, reca un notevole disturbo alla lettura dei pannelli.


La chiesa di San Silvestro è uno spazio espositivo utilizzato temporaneamente dalla Associazione Abacoarchitettura, da innumerevoli anni impegnata a diffondere il patrimonio dell’architettura contemporanea internazionale, tramite mostre annuali abitualmente presentate presso la Basilica Palladiana, attualmente in restauro.

Il progetto di allestimento della mostra è di Gonçalo Byrne con Nuno Fideles, Marina Lucena, João P. Bicho, Giorgio Baldisseri, Lorenzo Marchetto e Massimo Lancan.

Il catalogo “Opere e progetti. vol1+2”, di Byrne, Sola Morales ed Angelillo, completo ed esauriente, è pubblicato da Electa.


milano, 29 marzo 2008

marco borsotti

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