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I nuovi architetti: meglio la Terza via

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Polemiche I giornali neocon criticano i «non luoghi» nelle città. La replica: manca una vera committenza «Non vogliamo né utopie totalitarie né ritorni nostalgici al classico»

di PIERLUIGI PANZA

La crociata dei giornali neocon contro la «nuova» architettura (proseguita ieri con un articolo del direttore del Domenicale

Angelo Crespi su Libero contro il nuovo Museo d'arte contemporanea di Daniel Libeskind a Milano), denuncia sui quotidiani ciò che l'architetto-guru olandese Rem Koolhaas sostiene da anni: l'architettura della Modernità ha creato «junkspace» (che è anche il titolo di un suo libro, edito in Italia da Quodlibet), ovvero «spazi spazzatura» e, in aggiunta a questi crea, secondo la nota definizione del sociologo Marc Augé, dei «non luoghi». Sulla crisi del disegno urbanistico progressista e macchinista, infatti, si è innescata una risposta decostruzionista — che arriva con ritardo in Italia (ad esempio con i progetti sull'ex area Fiera a Milano) —, che sta operando una «riduzione» dell'architettura a oggetto di design lanciato come chance (Derrida) nel contesto urbano. E l'affermarsi di questa architettura del sublime contro il bello (Burke) genera nei «tradizionalisti» uno sgomento analogo a quello che si prova davanti alle opposte periferie Iacp.

È possibile, di fronte a ciò, una «terza via per l'architettura», che non preveda utopie totalitarie, non un ritorno al classico, ma neanche la creazione di oggetti glamour fini a se stessi che vanno configurandosi come un manierismo decostruzionista? Pur facendo quel che gli è consentito dalle circostanze, alcuni giovani (che vuol dire quarantenni) della scena architettonica italiana vorrebbero fuggire sia da ipotesi nostalgiche che da «linguaggi di maniera».

Conrad-Bercah, dello studio w office, teorico di formazione americana, visiting professor ad Harvard e autore di un libro sui rapporti tra architettura protestante e cattolica contemporanea ( West Workroom, Charta), ironizza sulle critiche di Foglio e Domenicale: «Puntuali, come il cambio di stagione, si ripropongono polemiche sterili e male indirizzate sulla supposta funzione dell'architettura contemporanea di riflettere il "nichilismo". Ma non si tratta di una condizione che investe tutte le arti, che sembrano essere diventate l'unico momento di critica feroce delle ferree leggi e fluttuazioni tra mercato e globalizzazione? La polemica sembra favorire un ritorno a forme classiche, come se queste avessero il potere di togliere peso alla situazione corrente. Ma ciò è un mito». Poi una velata critica alla contemporaneità: «Certo, se l'elemento di esagerazione diventa esagerazione tout court a spese di tutto il resto fornisce giustificazione alla battuta diventata popolare nei circoli professionali: "Come si distingue l'architettura dalla scultura? Facile: l'architettura è quella che ha le toilette al suo interno". In questo Daniel Libeskind, l'unico vero (e giustificato) bersaglio delle critiche di Scruton, docet».

«Gli edifici di questo cattivo presente sono autoreferenziali, come chiusi nella creazione di un mondo perfetto ed "ecologico" al loro interno, con forme e pelli accattivanti e protettive nei confronti dello sporco, della violenza, dell'incomprensibilità del mondo esterno», affermano Alfonso Femia e Gianluca Peluffo dello studio 5+1AA, balzati alla ribalta per aver vinto (con Rudy Ricciotti) il concorso per il Nuovo palazzo del cinema di Venezia. «Questo atteggiamento "blasé" è una forma psicopatologica collettiva di senso di colpa, che viene sfruttata per risolvere questioni politiche e sociali imbarazzanti, ponendo il ruolo dell'architetto non più nel campo del professionismo, ma in quello del servilismo. Il futuro del nostro Paese deve essere invece di responsabilità, dignità civile e bellezza».

A società e committenza guarda anche (con approccio diverso) Massimo Roj, uno degli italiani che più sta costruendo in Cina e leader dei grandi palazzi per uffici in tutto il mondo. «L'architettura deve rivolgere il più alto livello di attenzione alla committenza, soprattutto all'utenza dei progetti », afferma. «Un buon architetto deve dare sostanza alle idee e ai sogni dei propri clienti. Questi sono concetti economici, non filosofie, perché poi sono i clienti a dire se i loro palazzi funzionano. Qualche volta l'architettura rischia di fermarsi al gesto tecnico, a un esercizio di stile. L'uomo al centro dell'attenzione non è uno slogan, ma un criterio ispiratore».

All'affermato progettista del nuovo Museo del Novecento a Milano e della Gare d'Orsay (con Aulenti) a Parigi, Italo Rota, il compito di definire un percorso pragmatico che, per dirla con Le conseguenze del pragmatismo di Richard Rorty, superi il manierismo decostruzionista senza ritorni al classico o all'utopismo progressista. «L'Italia, avendo la fortuna di arrivare ultima al nuovo, dovrebbe superare l'architettura elettrico-meccanica di Le Corbusier ed entrare direttamente nel mondo del virtuale attraverso a una tradizione non classica, come quella del gusto ravennate o del Barocco di Borromini, per esempio». A ciò va associata l'idea che una architettura democratica sia narrativa. «L'architettura deve essere narrativa, e non da regime, come in Cina. Per me, Libeskind è abbastanza storicista; molto meno lo sono Renzo Piano e Zaha Hadid». Da ultimo, il percorso di rinnovamento prevede un richiamo alla committenza come elemento che obbliga una architettura a confrontarsi con il contesto: «Le architetture senza contesto sono quelle che nascono senza un vero committente, lasciando all'architetto una disponibilità alla Gigi Marzullo: "Si faccia una domanda e si dia una risposta". Il modello di committente è Mitterrand, che sorvegliava l'architettura senza determinarne il linguaggio ».

I grattacieli di Zaha Hadid, Daniel Libeskind e Arata Isozaki del progetto City Life per l'area dell'ex Fiera di Milano.

Corriere della Sera - NAZIONALE -
sezione: Terza Pagina - data: 2008-03-27 num: - pag: 55
categoria: REDAZIONALE

 

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