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Settimana del 17 Marzo 2008

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani nazionali e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia.

La Repubblica
17-03-08, pagina 4, sezione MILANO
Lungo la futura Pedemontana 90 km di parchi e piste ciclabili
L' autostrada che corre nel bosco
Un tracciato verde a fianco del nastro d' asfalto, più altri 50 progetti ambientali
ANDREA MONTANARI

Come un grande parco. Che costeggerà la cosiddetta "città infinita" tra Bergamo e le province che lambiscono il territorio di Malpensa. Fatto di case e capannoni. Praticamente senza soluzione di continuità. Una sorta di spina dorsale trasversale composta da una pista ciclabile innovativa lunga 90 chilometri. Circondata da siepi e filari, da Varese a Bergamo. Che collegherà i 5 parchi regionali (Ticino, Pineta di Appiano Gentile, Groane, Lambro, Adda Nord), i 12 parchi locali di interesse sovracomunale (Rugareto, Medio Olona, Rile-Tenore-Olona, Lura, Brughiera Briantea, Brianza Centrale, Grugnotorto Villoresi, Colline Briantee, Cavallera, Molgora, Rio Vallone, Brembo). Più 50 progetti locali di riqualificazione ambientale che saranno gestiti direttamente dai sindaci dei comuni interessati. Si tratta del progetto delle opere di compensazione ambientale della Pedemontana, la nuova autostrada che collegherà tra loro le province nel nord della Lombardia, appena approvato dal collegio di vigilanza, che sarà presentato ufficialmente domani. Patrocinato sia dalla Provincia che dalla Regione e realizzato in collaborazione con il Politecnico. Un investimento di 100 milioni di euro, di cui 35 solo per la "greenway" che costeggerà il tracciato dell' autostrada a una distanza di circa 5 chilometri. Si tratta del 3,5% dell' importo per la realizzazione complessiva dell' opera. «Una cifra che potrebbe raddoppiare aggiungendo i fondi comunitari e regionali se altri seguiranno il nostro modello - assicura il numero uno di Pedemontana spa, Fabio Terragni - Abbiamo proposto alle amministrazioni interessate di evitare ogni dispersione delle risorse e di concentrarle su un progetto unitario». Sette tipologie di interventi, come spiega Arturo Lanzani, docente di Tecnica e Progettazione urbanistica al Politecnico, che con Antonio Longo ha coordinato il progetto. Ampliamenti di parchi urbani, interventi forestali, di connessione della mobilità lenta attraverso la nuova pista ciclabile, piantumazione di nuove aree, acquisizione di altre zone boschive, interventi di tipo agroambientale e di vera e propria riqualificazione del paesaggio rurale. «Questo - spiega Lanzani - è un territorio già straurbanizzato dove però esiste una emergenza infrastrutturale anche di tipo ambientale. Lo sforzo è stato quello di coniugare un ragionamento d' insieme». La realizzazione della pista ciclabile (35 milioni di euro) sarà interamente a carico di Pedemontana spa. I 50 progetti di riqualificazione ambientale, invece, saranno promossi e sviluppati dai Comuni e dagli enti Parco. I lavori potranno in molti casi iniziare anche prima della realizzazione dell' opera. Si tratta di progetti di diversa natura e dimensione che potranno contare su gli altri 65 milioni di euro messi a disposizione da Autostrada Pedemontana Lombarda. La maggior parte saranno destinati alla riqualificazione del paesaggio agrario nel Vimercatese e nella piana agricola Comasca. Un intervento che interesserà centinaia di ettari di paesaggio.


La Repubblica
18-03-08, pagina 1, sezione MILANO
Controcanto
Voglio abitare in quella città che piace a Attali
LUCA BELTRAMI GADOLA

Ho deciso di andarmene da questa città, voglio andare a Milano: la Milano di Jacques Attali. La Milano che primeggia per la sua bellezza, quella che deve essere il modello di ogni altra, come ha detto lui, il grande consigliere di Sarkozy, lasciando la città pochi giorni or sono. Il tempo è quello giusto, l' inizio della primavera, prima che cominci a piovere e che qui ci si debba sempre domandare se dobbiamo benedire la pioggia che lava l' aria o maledirla per le sue pozzanghere da guadare. Non voglio più assistere alle esondazioni del Seveso che si lamenta perché il suo bacino è stato cementificato. Non voglio più restare intrappolato nella metropolitana guasta e aspettare la 94 cercando di interpretare indecifrabili messaggi sul display delle fermate, falsi e bugiardi. Voglio andare nella Milano di Attali, dove ci sarà un vicesindaco che non mi tratta come farebbe una severa istitutrice tedesca ma che cerca di convincermi con le buone, che " castigat ridendo mores", che ci intinge nel nero calamaio come il Maestro Niccolò di Pierino porcospino se badiamo troppo al colore dalla pelle altrui. Voglio andare nella Milano di Attali per trovare una Giunta che faccia squadra prima di domandare agli altri di fare sistema, una Giunta di assessori che non siano vassalli del sindaco ma nemmeno tristi emissari dei partiti. SEGUE A PAGINA IX Voglio andare in quella città modello dove immagino che i cittadini siano i primi ad amarla perché la vedono crescere con audaci e amate opere di architettura. Voglio andare nella città di Attali per non condividere con le automobili i marciapiedi pieni di buche. Insomma voglio andare via e ci ho provato: venerdì nel tardo pomeriggio. Non è stato facile, code per entrare in autostrada, inutile sgattaiolare sulle statali, ovunque file di forzati mendicanti di aria pulita e case accessibili: la sistole serale del cuore stanco della città. Volevo andare nella città di Attali, dove i lavori pubblici cominciano senza annunci trionfali e finiscono con una sola inaugurazione a tempo debito. Spero, una volta arrivato, di capire in fretta che rapporto c' è tra le tasse che pagherò e i servizi attesi. Voglio andare sperando che nella sua Milano Jaques Attali abbia messo un po' della strategia di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica che anima le città francesi, il piacere-dovere di condividere le scelte. Voglio andarmene sapendo di portare con me qualche rimpianto per una città che ha riscoperto il teatro, che offre tanta musica a chi ha orecchio e passione, che ha l' Ultima Cena, che nasconde abilmente molti tesori per paura della dissennatezza di qualche pubblico amministratore in cerca di un momento di notorietà. Da laico spiace lasciare la città della Cattedra dei non Credenti del Cardinale Carlo Maria Martini ma anche quella del suo successore Dionigi Tettamanzi con i suoi perentori richiami alla coscienza di chi ha il dovere di bene amministrare. è sempre difficile scegliere: partire o non partire? E poi se la Milano di Jaques Attali fosse questa qua? Forse vista da un' auto blu con i vetri oscurati e girando solo per il centro tra un salamelecco e l' altro ~ Monsieur Attali, venga con me. Ci vediamo alla stazione Mm di Gessate, lasciamo come tanti la macchina in un prato perché non c' è parcheggio per tutti e ce ne andiamo a Milano. La mia.

Soglio Elisabetta
Pagina 3
(18 marzo 2008) - Corriere della Sera
Lo spazio espositivo Il sindaco: una grande opportunità per Milano nell' area dell' ex Fiera. Ma la Provincia e Regione accusano il Comune
La sfida della Moratti. «Nuovo museo in tre anni»
Libeskind firma il progetto per ospitare l' arte contemporanea. Nell' edificio anche le terme e una terrazza con giardini. La Provincia ha ribadito che sosterrà il Museo di arte contemporanea progettato da Piano per l' area ex Falck di Sesto

Diventa una scommessa: «Questo Museo verrà inaugurato prima della fine del nostro mandato, entro il 2011». Il sindaco Letizia Moratti è sicura e soddisfatta: alla Triennale presenta il progetto del nuovo Museo d' arte contemporanea, che sorgerà nell' area di CityLife. Al suo fianco, l' architetto Daniel Libeskind, l' artista che ha progettato la struttura già considerata una delle più innovative del mondo: che si ispira alla perfezione geometrica dell' Uomo vitruviano e si inserisce nello spazio «in una totale fluidità». La festa è però rovinata da una doppia polemica istituzionale: la Provincia ribadisce che sosterrà il Museo di arte contemporanea progettato da Renzo Piano per l' area ex Falck di Sesto San Giovanni. La Regione, invece, si affida all' assessore alla Cultura Massimo Zanello per ribadire la volontà di «consolidare rapidamente una effettiva e preventiva collaborazione sulle strategie di sviluppo e sull' impostazione dei progetti». Ma, aggiunge in una lettera indirizzata la scorsa settimana al sindaco, «con Triennale questo metodo fatica a farsi strada». E l' esempio è proprio quello del Museo di arte contemporanea che, «a giudicare dalle modalità di collaborazione, Triennale ascrive esclusivamente alla propria collaborazione con il Comune di Milano». L' assessore comunale alla Cultura, Vittorio Sgarbi, tenta la mediazione: «Questo Museo è del Comune - taglia corto il critico d' arte - e non ci può essere un ruolo egemonico di nessun' altra istituzione, a partire dalla Triennale. Se qualcuno ha esagerato, siamo in tempo per capirci: oggi presentiamo un progetto di altissimo pregio, successivamente discuteremo del modello gestionale e di chi dovrà entrare a far parte di una eventuale Fondazione o di un cda». D' accordo l' assessore all' Urbanistica, Carlo Masseroli: «La variante per CityaaLife (quella che tra l' altro consentirà la realizzazione del Museo, che costerà 40 milioni di euro di oneri di urbanizzazione, ndr) è pronta e andrà in giunta dopo Pasqua. Subito dopo partiranno gli iter per dare il via ai lavori: questa dialettica istituzionale non deve far perdere di vista la rilevanza internazionale dell' intervento». Ma torniamo al progetto. Libeskind ha descritto i 18 mila metri quadrati suddivisi in cinque livelli, di cui uno interrato che ospiterà anche le terme. Dalla base quadrata che ruota su se stessa assumendo forma circolare, il visitatore segue un percorso ideale che conduce, tra caffetteria, bookshop e auditorium, e poi sale espositive, atelier per artisti, laboratori per ragazzi, fino alla terrazza con un giardino all' aperto che richiama la natura, le quattro stagioni, i quattro elementi. Rampello chiosa: «Libeskind ha dimostrato un' attenzione straordinaria alle istanze e alle esigenze che gli sono state presentate». E Libeskind è entusiasta: «Ho lavorato in molte città, ma Milano è la migliore per l' architettura».


La Repubblica
18-03-08, pagina 5, sezione MILANO
Regione e Provincia contro il Comune per l' opera in Citylife
Il museo fa litigare le istituzioni
m. b.
Grande (18 mila metri quadrati su cinque piani molti alti), di geometrica potenza e forma elegantemente sviluppata con le torsioni che tanto incontrano nell' architettura internazionale d' avanguardia (un quadrato alla base che diventa un cerchio alla sommità e salendo "scivola" di lato creando facciate a gradinate aggettanti o inclinate), griffatissimo (lo firma l' autore del Museo ebraico di Berlino Daniel Libeskind), capace di strizzare insieme l' occhio alla milanesità secondo tradizione (sarà coperto come il Duomo di marmo di Candoglia, lo stesso concept della quadratura del cerchio o viceversa è ispirato ai disegni di Leonardo) ma anche ai nuovi "stili di vita" metropolitani, con una grande Spa termale al piano seminterrato e naturalmente cafeteria, ristorante, giardino pensile, bookshop. E tuttavia il neonato progetto del Museo d' arte Contemporanea a Citylife, nato per piacere un po' a tutti, si capisce subito che non avrà vita facile. Appena spenti i riflettori della presentazione a mezzogiorno di ieri alla Triennale, partono le bordate. L' assessore regionale a identità e culture Massimo Zanello, invitato da Triennale e Comune solo a "presenziare" (non a partecipare dal palco) alla presentazione in pompa magna alla Triennale, non ci va e tira fuori una lettera di quattro giorni fa al sindaco Moratti: la invitava a non far tutto di testa propria, «evitando se possibile di costruire percorsi che rischiano di metterci nelle condizioni di scegliere tra diverse opzioni di progetto sullo stesso tema». Allude al progetto della Provincia e del comune di Sesto San Giovanni di varare a loro volta un museo d' arte contemporanea, progettato da Renzo Piano all' ex laminatoio Falck. L' accelerazione di Milano sul progetto Libeskind rischia di bruciarlo, e Penati reagisce a sua volta: «L' interdizione del progetto di Piano rischia di privare l' area metropolitana milanese sia del Museo d' arte contemporanea che di quello del design». Il sindaco di Sesto Oldrini accusa apertamente: «Milano ha un atteggiamento stravagante, pensa che la città finisca ancora ai confini daziari, e che chi sta fuori debba occuparsi di bonifiche dell' acqua e rifiuti, mentre la cultura sta in centro o in zona Fiera. Ma si sbaglia». E pensare che proprio stamattina, davanti all' occhio vigile del sindaco e a Rampello sorridente nel doppio ruolo di padrone di casa e di deus ex machina del progetto, Sgarbi, che si era sempre opposto a destinare a museo l' edificio di Libeskind, aveva spiegato: «Tutte le incomprensioni sono risolte, resta la mia scommessa con l' assessore Masseroli che non ce la faranno a finirlo per il 2011, ma sono rassegnato a perdere, tanto non ho un soldo... «. Palco e parterre erano quelli delle grandi occasioni: in sala, architetti, addetti ai lavori e tra gli altri Claudia Gianferrari, Francesco Micheli, Panza di Biumo, i coniugi Blei: buona parte dei galleristi e dei collezionisti milanese che contano. O meglio sui quali si conta per riempirlo con le cessioni delle opere in comodato, il museo della discordia.


Pagina 41 Bucci Stefano

(19 marzo 2008) - Corriere della Sera
Metropoli Una riflessione lungo mille anni di storia europea sul tema della «democratizzazione urbana»
Solo la bellezza può riscattare le città
Marco Romano: le periferie diventano ghetti perché sono brutte

Al centro dell' affresco del Buongoverno, nel Palazzo dei Priori di Siena, Ambrogio Lorenzetti (1285-1348) aveva dipinto una scuola mentre come «cuore della città reale» aveva immaginato, proprio davanti al Duomo, l' immenso Ospedale della Scala. Una ragione per quella scuola e quell' ospedale sparati così in primo piano c' è. Perché quella rappresentata da Ambrogio Lorenzetti non vuole essere soltanto una realtà estetica ma anche sociale: fin dai primi secoli dell' Anno Mille, tutti i cittadini della civitas avevano avuto, accanto ai loro doveri alla partecipazione attiva e alla sua difesa, alcuni diritti inviolabili come l' accesso all' istruzione elementare con tanto di maestro (la scuola) e all' assistenza sanitaria con tanto di medico (l' ospedale). Strade, piazze, portici, ponti come simbolo delle nostre libertà e dei nostri diritti. Una città «bella» analizzata non soltanto come un' opera d' arte ma anche come «ambiente ecologico per la sua democrazia, dove i suoi cittadini si possono sentirsi intimamente tali». Sono alcuni dei tasselli del mosaico messo insieme da Marco Romano nel suo nuovo libro (La città come opera d' arte, Einaudi, pp. 120, 9): «L' idea di bellezza proposta ad esempio dal Rinascimento - spiega Romano che è stato docente di Estetica delle città a Venezia, Palermo, Genova, Milano nonché autore sempre per Einaudi di una Estetica della città europea - non voleva soddisfare solo l' esigenza dello spirito ma aveva anche l' ambizione di sfidare il tempo offrendo una prospettiva di eternità nella quale si potessero radicare le nostre speranze terrene». Per questo, quando si trattava di «estetica delle città» l' idea di eternità doveva superare necessariamente i confini della semplice forma per legarsi «alla trasformazione di ogni individuo in un effettivo elemento della civitas, in una persona socialmente riconosciuta». L' invito è dunque quello di guardare l' evoluzione della città europea da mille anni a questa parte per pensare e progettare la città di oggi. Avvicinando Calatrava e Ammannati, la Biblioteca Malatestiana di Cesena e il Beaubourg, la locanda della Posta di Senigallia a l' «Unite d' habitation» di Le Corbusier ma allo stesso tempo allontanandosi da ogni nostalgia tradizionalista (alla Léon Krier per intenderci). In questa riscoperta del valore sociale della bellezza c' è, per Romano, la ricetta per superare l' attuale crisi delle nostre città. Come aveva, a suo tempo, fatto la Firenze mercantile aprendo i cantieri delle nuove mura arnolfiane e del Duomo quando era ancora in lotta contro le famiglie dell' oligarchia; come aveva fatto Siena «disegnando» Piazza del Campo quando ormai la sua potenza finanziaria e militare era avviata verso un irrimediabile declino; come avevano fatto, in tempi più recenti, i cittadini di Bilbao reagendo al loro tramonto industriale affidando a Frank 0. Gehry il progetto per la nuova «filiale» del Guggenheim. Tommaso Moro nella sua Utopia voleva non soltanto che tutti gli abitanti avessero i medesimi compiti, il medesimo lavoro, i medesimi cibi, i medesimi vestiti ma anche che avessero «le medesime case a tre piani». Quest' idea di democratizzazione estetica dell' architettura può rivelarsi utile anche ai nostri giorni. Che vedono banlieu e periferie trasformati in luoghi di degrado «non perché lontane materialmente dal centro, ma perché i loro abitanti sono privi di qualsiasi riconoscimento di appartenenza, sono una galassia asserragliata in un ghetto dove si perde l' idea stessa di democrazia». Dunque risanare (anche esteticamente) quelle periferie vuol dire avviare il loro riscatto sociale. Non a caso, d' altra parte, Voltaire chiedeva nel Settecento un nuovo piano regolatore che restituisse a nuova vita i quartieri più bui di Parigi. E lo voleva addirittura scolpito nel marmo, esposto nell' atrio del palazzo municipale, trasformato in una testimonianza perenne del «glorioso» futuro delle città.

(21 marzo 2008) - Corriere della Sera - Schiavi Giangiacomo

IL SILENZIO DEGLI ARCHITETTI SUI SOPRALZI DI MILANO

* * * Caro Schiavi, un disastro architettonico e urbanistico si compie nel centro della città e nessuno sembra poterlo contrastare. Non è una novità. Le costruzioni denominate «adeguamento dei sottotetti» nulla c' entrano con la realtà degli accadimenti. È nota la normativa che in questi anni ha permesso la distruzione della linea del cielo milanese attraverso l' interpretazione della legge regionale e i relativi modelli progettuali. Erano assurde le motivazioni dichiarate dai fautori. Dicevano di voler favorire l' edificazione nelle zone già fortemente urbanizzate invece dell' espansione nelle aree libere (e intanto mai come oggi è in ballo un' enorme quantità di interventi edilizi giganteschi in spazi aperti). Dicevano - e questa è davvero grossa - di voler permettere l' ampliamento dell' abitazione di famiglie residenti in spazi troppo angusti, soprattutto se presenti persone disabili. Roba da matti. Gl' interventi, dapprincipio più o meno coerenti al (falso) scopo originario di rendere abitabili spazi esistenti inabitabili per regola igienico-edilizia, sono diventati sempre più numerosi e pesanti: tutti riguardanti il cuore ambito della città e bei palazzi dell' Otto-Novecento, tutti rivolti non a modificare il tetto con mezzi contenuti per ottenere (ma non è un diritto!) determinate altezze medie interne, bensì decisi a rubare al già vessato cielo milanese fior di metri cubi d' aria per mutarli in potenti volumi edilizi, alias in superfici da 10 mila euro al metro quadro. Così possono sistemarsi felicemente le famiglie alle prese con la quarta settimana o col bambino in difficoltà a scuola perché mancano insegnanti di sostegno I risultati funzionali ed estetici di un' attività che è il vero affare d' oro per l' immobiliarismo in attesa della rendite dai nuovi grandi insediamenti voluti dal Comune fanno schifo, diciamolo chiaro. Non è più questione di sottotetti belli o brutti. Qui viene sconvolta la logica della cortina stradale, con le altezze conformi alla larghezza e le gronde allineate, viene distrutta la funzione urbanistica e la bellezza architettonica. Macché sottotetti: i palazzi presentano obbrobriosi rialzi verticali al di sopra del cornicione per ottenere di fatto, fregandosene dell' architettura sottostante, un nuovo piano; semmai il falso sottotetto è il nuovo attico al di sopra, prezioso e non costoso raddoppio volumetrico. Come pagar uno e prender due. Macché sottotetti: indipendente da riferimenti alle norme, il progetto attuale consiste nel sopralzo della città di uno, due piani. Come nel primo dopoguerra. Allora il decano degli architetti razionalisti milanesi, Enrico Griffini, denunciò il dominio «della speculazione con abusi di ogni genere a dispetto delle Soprintendenze, delle leggi, dei decreti Una licenziosa e babelica febbre costruttiva conduce questa città a imbruttirsi oltre ogni previsione perdendo tutta la sua organicità e l' unitaria bellezza» (1948). Oggi è peggio. Perché il silenzio della cultura milanese? Perché tace anche la Facoltà di architettura, sede riconosciuta del progetto sensibile ai contesti architettonici e sociali della città esistente? Lodovico Meneghetti Caro Meneghetti, la cronaca degli ultimi mesi si è riempita di denunce per crepe nei muri, infiltrazioni d' acqua e piccoli crolli dovuti al sovraccarico dei sottotetti e alle perforazioni ravvicinate per i parcheggi. Chi lo fa rilevare viene etichettato come fautore dell sindrome di Nimby («non nel mio giardino»). Con questa logica sta passando di tutto, di più. Non ho conosciuto Griffini, ma Antonio Cederna e condiviso ogni sua denuncia sulla brutta Italia. Ci mancano entrambi. gschiavi@rcs.it



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(23 marzo 2008) - Corriere della Sera
Alberi secolari, giardini, terrazzi «Il tesoro trascurato di Milano»
Gli architetti Borella e Longo: «Ecco dove trovare piccole perle verdi»
Sacchi Annachiara

Basta prendere il tram per scoprire una Milano nuova. Piccoli giardini nascosti, biblioteche di alberi, boschi, terrazzi fioriti, oasi di tranquillità. Verde pubblico e privato. Piantine e querce secolari. Un itinerario diverso sotto gli occhi di tutti. «Perché in fondo non serve altro che alzare lo sguardo. E salire sul tram 3». Milano e le sue piante. I monumentali bagolari, gli «spaccasassi». I tigli e gli ontani. Glicini, noci e forsizie. «I cipressi calvi più belli d' Italia». Ecco il patrimonio botanico della città. Lo racconta Antonio Longo, docente del Politecnico, specialista in visione e gestione degli spazi aperti. Lo fa in compagnia di Francesco Borella, il papà del Parco Nord. Due architetti che insieme, tra scoperte e scorci suggestivi, tra storia e architettura, rievocano epoche passate e immaginano la città del futuro. Partendo da un' amara verità: «Nella seconda metà del XVIII secolo, con Maria Teresa, il Piermarini iniziò a impostare la parte est dei Giardini Pubblici. Sono stati gli austriaci, non i milanesi, a progettare per la prima volta il verde cittadino». Storia di una città in costante crescita edilizia e sempre in lotta con il verde pubblico, in bilico tra la passione per i fiori e la più selvaggia cementificazione. «Per fortuna - dice Longo - il piano regolatore di Cesare Beruto del 1884 ci ha regalato il Parco Sempione e i grandi alberi che costeggiano la circonvallazione. O l' asse Eustachi, Cadore, Libia». Dopo? «E dopo non è successo quasi più niente - escluso il parco Ravizza - fino alla fine della seconda guerra. La ricostruzione è stata un' occasione mancata per ripensare al verde come parte strutturale del tessuto urbano». Troppa parcellizzazione, poca progettualità. Piccoli quartieri pensati senza respiro. Ma qualcosa ancora si salva. Basta prendere il 3, si diceva. Longo si fa poetico, chiude gli occhi e dice: «Lasciamo alle nostre spalle il mare di Milano, la zona sud, un waterfront la cui bellezza è l' affaccio verso il cielo e la luce. Manchiamo di poco il parco Ravizza e arriviamo in piazza XXIV Maggio, dove c' è l' albero più bello di Milano». Una quercia secolare diventata un simbolo. E non solo perché ci appesero i bambini impiccati di Maurizio Cattelan: «Dimostra che malgrado tutto il verde resiste nel tempo. Oggi quella quercia è un po' acciaccata, ha le stampelle. Ma guarirà». Da Porta Ticinese alla circonvallazione del 29-30. «E lì si vedono platani incredibili. Viale Monte Nero, viale Piave, viale Premuda». Fino a Porta Venezia. Che poi, guardando un po' più su, verso le case, si scorgono i terrazzi. E per fortuna che il verde è trasversale, dei ricchi e dei poveri. «Non c' è dubbio - dice Longo - che Milano è la città dell' interior. Design e moda. E balconi meravigliosi». Il problema, allora, è «spostare l' idea del bello dal dentro al fuori». Dall' interno all' esterno. Avanti con la passeggiata. I Bastioni, «l' unico punto in cui il verde dialoga con la città». E attraversandoli, si arriva ai Giardini Pubblici. Gli aceri, i cipressi della Louisiana, piante rare e autoctone. Fino al centro del giardino di villa Reale «dove non si percepisce più la città». Ed è questa la vera dimensione del verde. «Un parco è dove si ha l' impressione di essere lontano dalla velocità». Dal centro fino al Parco Nord, «l' unico di respiro europeo». Con la metrò gialla, l' 11 e il bus 708 per Bresso. «E lì si scende e ci si perde tra i confini di 5 Comuni». Il grande polmone di Milano. E un verde da inventare e riprogettare. Sempre. «Adesso ci si sta ponendo il problema di ricucire il verde in modo organico, con il progetto comunale dei raggi. Questa sensibilità è cresciuta negli ultimi vent' anni». Eppure, «al di là della volontà dell' amministrazione, il problema rimane la non progettualità della mano pubblica per temi di indiscutibile rilevanza pubblica». Il sogno: «Mettere il verde a contatto con la città infinita di Aldo Bonomi». Longo è padre di tre figli, «anche per loro bisogna creare una rivoluzione culturale che cambi le sorti di questa città». Certo, per questo ci vuole un movimento che parta dal basso. «Se tutti nel weekend, invece di andare a Sankt Moritz, andassero nei parchi, ci sarebbe più verde». Domani, per Pasquetta, farà un picnic sull' erba. «Insieme ai peruviani, anche loro sono nostri concittadini». Longo è ottimista: «I parchi arriveranno. E li costruiranno proprio i peruviani, non quelli che durante il weekend vanno a Sankt Moritz».




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