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Settimana del 25 Febbraio 2008

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia.

La lettera
Sant'Ambrogio: box autorizzati nelle piazze di tutto il mondo
Pagina 5
(25 febbraio 2008) - Corriere della Sera


Caro direttore, i 47 milanesi eccellenti che hanno firmato la lettera pubblicata nei giorni scorsi dal Corriere della Sera forse hanno esagerato nell'insinuare che gli esperti chiamati dal Comune di Milano per dare un parere sul parcheggio dello stradone Sant'Ambrogio (questo è il nome, da duecento anni, di ciò che erroneamente costoro chiamano piazza) non siano stati obiettivi perché scelti dal sindaco e perché, viene suggerito subito dopo, compensati con migliaia di euro. Mentre desideriamo tranquillizzare i contribuenti milanesi assicurandoli che il nostro parere è stato chiesto e reso pro veritate e del tutto gratuito - salvo il rimborso delle spese per i sopralluoghi nelle città europee che parcheggi analoghi hanno da tempo nelle loro piazze, davanti a Notre Dame a Parigi, alla cattedrale di Barcellona, in piazza Gutenberg a Strasburgo, nella piazza della Borsa e in quella dei Giacobini a Lione, in piazza San Carlo a Torino - vorremmo confortare i firmatari della lettera, molti dei quali carissimi amici da tanti anni e per qualcuno parente. Quel testo che non può certo neppure sfiorare la nostra credibilità culturale e morale, lì da giudicare nei libri - proprio sull' estetica della città - e nei comportamenti, sembra suggerire piuttosto che, per amore di un presenzialismo forse alla loro età e con il loro prestigio - in altri campi che non sono propriamente quelli dell'estetica urbana - del tutto fuori luogo, sottoscrivano appelli senza averli neppure letti.


Bugatti Angelo, Caccia Dominioni Gregorio, Ferruzzi Alberto, Romano Marco

 

La torre che fa correre la Cina
Innovazione: Verrà superato il primato di Taiwan. Realizzazioni lampo anche di strade, metro’ e ferrovie
Grandi opere a ritmi record. L'ultima a Shanghai, un grattacielo di 580 metri. Nei giorni scorsi è stata posata la prima pietra: sorgeranno 118 piani per ospitare uffici, banche, negozi, alberghi

Pagina 23(25 febbraio 2008) - Corriere della Sera


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO - Due indovinelli. Il primo: alla Cina quanto tempo occorre per costruire 8300 chilometri di autostrade o 15 mila chilometri di ferrovie di cui 7 mila dell' alta velocità? Il secondo: e alla Cina quanto tempo occorre per costruire l' ultima sua meraviglia dell' architettura e dell' ingegneria, un grattacielo che ha la forma di una lancia e si alza per la bellezza di 580 metri? Vediamo le risposte: per gli 8300 chilometri di autostrade, pari a sette volte e mezzo l' Italia, non più di dodici mesi (è il piano del 2008 che porterà a 60 mila il chilometraggio autostradale complessivo); per le ferrovie e l' alta velocità tre anni. Per la torre, «la lancia» di Shanghai, bisogna invece aspettarne due, dall' annuncio dato pochi giorni fa fino al taglio del nastro e ai brindisi. Record per gli edifici classificabili come «estremi» per le geometrie e le dimensioni. Nel 2010, alla vigilia dell' Expo universale, sarà pronta una cittadella verticale che ospiterà dodicimila manager, colletti bianchi, turisti. Centodiciotto piani per uffici, banche, negozi, alberghi, che modificheranno ancora di più il profilo urbano della «Perla d' Oriente». La corsa alla innovazione non ha fine: idee, fantasia e investimenti sono una ricetta fantastica. Con una postilla che dobbiamo aggiungere: ciò che avviene è possibile perché chi governa le città e il territorio ha la discrezione di ordinare a migliaia di famiglie di abbandonare le loro vecchie case così da fare spazio alle icone dello sviluppo, del benessere, della modernità. L' altra faccia della medaglia, i traslochi forzati, che non va taciuta quando si parla di questo immenso cantiere che è ormai diventata la Cina di oggi. La Manhattan cinese La mutazione più appariscente, e ultima in ordine di data, avviene nell' area di Pudong, la Manhattan di Shanghai, che all' inizio degli anni Novanta era un' immensa area di campi e paludi: il progetto del nuovo grattacielo è stato firmato dallo studio SOM (Skidmore, Owings & Merril) di Chicago ed è finanziato da tre società cinesi, due statali e una municipale, consacrato dal partito comunista. I cantieri sono aperti. Dalle parole ai fatti. Così funziona da queste parti quando c' è di mezzo una grande opera da disegnare e realizzare che sia un palazzo o che sia un ponte: a proposito, per il ponte di Hanghzhou che, una volta concluso, sarà il più lungo al mondo con i suoi 36 chilometri, sono richiesti solamente cinque anni, a partire dal 2003, fra proposta e utilizzo. Le opere O che sia, magari, una ragnatela di strade: i distretti rurali più sperduti saranno asfaltati o riasfaltati con 270 mila chilometri di piccole o medie arterie entro la fine di quest' anno. O, infine, che sia la rete delle ferrovie (da gennaio a dicembre saranno posati 7.820 chilometri di binari) o una metropolitana (a Shanghai nel 2002 ne sfilavano 63 chilometri, sono diventati 234 nel 2007). La Cina corre e i numeri parlano da soli. Le ragioni di questa velocità sono tante (necessità di infrastrutture, orgoglio, produzione di ricchezza) e una, nel caso del «Shanghai Center», il grattacielo di 580 metri, ha una coloritura politica, non dichiarata ma sottintesa. La Cina ha coltivato il sogno di superare Taiwan e di ristabilire le gerarchie: noi siamo la madrepatria. Dunque non è immaginabile ammirare dall' altra parte dello Stretto, a Taipei, il «101», un edificio di 508 metri che allunga l' ombra dei 101 piani che ospita (da qui il suo nome). Il primato Il primato del Dragone sarà ristabilito. Il «Shanghai Center», per il quale non si conoscono i costi, sorgerà al fianco di due fratelli: il Jin Mao (401 metri) e il World Financial Center (492 metri). Quest' ultimo cominciato nel 2004 è in fase di completamento, il battesimo in primavera. Tre grattacieli, un chilometro e 400 metri di altezza, dove una quindicina di anni fa si coltivava il riso. Non c' è da stupirsi. Ultimo indovinello: quante strade ha costruito in trent' anni la Cina? Risposta: tre milioni e 570 mila chilometri. All' incirca 2970 volte l' Italia. Che cosa possono essere allora i 580 metri di una «lancia»?


Cavalera Fabio

 


Stati Uniti Al progettista il premio già assegnato a Wright e Le Corbusier
Un «tappeto volante» firmato Piano per illuminare il Chicago Art Institute


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON - Prima di lui l' avevano avuta Frank Lloyd Wright, Le Corbusier, Mies van der Rohe, Louis Kahn e Philip Johnson, i profeti dell' architettura americana e mondiale. Sabato sera, la medaglia d' oro dell' American Institute of Architects è stata consegnata a Renzo Piano, in un gala al National Building Museum. A 70 anni, l' architetto genovese entra nella Storia della disciplina, proprio quando l' America diventa il teatro più importante dei suoi progetti. Dopo il rifacimento della Morgan Library, il nuovo grattacielo del New York Times e l' ampliamento del Los Angeles County Museum, la sua ultima invenzione è un «tappeto volante». E' fatto di foglie d' alluminio. Filtra i raggi del sole, cattura la luce che viene dal Nord distribuendola verso Est, interagisce con un sistema di cellule fotovoltaiche ed è in grado di reagire alle più piccole variazioni della luminosità. Il suo effetto è di creare la stabile condizione di luce ombreggiata, considerata ideale per godersi un' opera d' arte, sia essa un quadro, una scultura o un' installazione. Il tappeto volante è in realtà una tettoia, voluta da Piano sopra la Modern Wing, il nuovo padiglione che ha concepito per il Chicago Art Institute, sede di una delle più vaste collezioni artistiche degli Stati Uniti e del mondo. La Modern Wing, che sarà aperta al pubblico nel maggio 2009, è stata presentata nei giorni scorsi da Piano e da Thomas Pritzker, erede della celebre dinastia, il mecenate che guida il consiglio d' amministrazione dell' Art Institute: «Questo edificio sarà una nuova pietra miliare nell' architettura di Chicago», ha detto Pritzker. Costato 300 milioni di dollari, è il primo lavoro nella metropoli dell' Illinois di Piano, che giunge quasi emozionato nella culla dell' architettura moderna, dove prima di lui si sono espressi tutti i grandi maestri del Novecento, da Mies a Wright: «Qui - dice l' architetto - si costruisce nella migliore tradizione del nostro tempo, volevo che la Modern Wing fosse ancorata a quella tradizione, ma avesse anche leggerezza, fosse un volo verso nuove esperienze». In una città concepita su due precisi assi Nord-Sud e Est-Ovest, perfettamente in sintonia con il moto apparente del Sole, la tettoia diventa una specie di «macchina soffice», sospesa in aria a far da schermo ecologico, visto che oltre a catturare e stabilizzare la luce naturale, consentendo un notevole risparmio d' elettricità. Ma se il tappeto volante fa levitare l' edificio, la pietra calcarea usata per costruirlo, la stessa di cui è fatta la sede storica dell' Art Institute, gli dà robustezza e solidità, «come fosse lì da sempre». Ognuno tre piani della Modern Wing ha una funzione diversa. Il terzo, inondato di luce, Piano l' ha disegnato come luogo privilegiato per «vedere» l' arte. Non solo quella straordinaria dei maestri europei del secolo breve, da Picasso a Kandinsky, da Mondrian a Giacometti. Ma anche quella intorno. Dalla grande finestra rettangolare sulla parete a Nord, il visitatore può ammirare il Jay Pritzker Pavillion, il palcoscenico per concerti all' aperto al centro del Millennium Park, costruito in volute di titanio color argento: l' omaggio un po' condiscendente di Piano a un amico-concorrente, l' architetto Frank Gehry, autore del progetto. Inserita a completare una facciata del quadrilatero occupato dal complesso dell' Art Institute, collegata alla struttura esistente da una strada coperta, la Modern Wing ha anche un legame diretto col Millennium Park. E' il Nichols Bridgeway, un ponte pedonale, disegnato da Piano come una sottile lama di metallo che va dal basso verso l' alto: «Connette due mondi diversi e permette di scambiarsi esperienze: chi sale va verso la luce e la purezza dell' arte, chi scende vedrà l' incredibile skyline di Chicago, una città unica».


Valentino Paolo

 

La Repubblica
25-02-08, pagina 37
La biblioteca del design va alla conquista di Shanghai


E' stata inaugurata in novembre a Shanghai ed è già una fucina d' idee. Ma anche un punto di riferimento per i designer internazionali. Si tratta della "Design Library", prima sede estera dell' omonima Library Milanese. Una biblioteca progettata per rispondere in modo specifico alle esigenze di designer e architetti. La Design Library (www.designlibrary.it), nata grazie al patrocinio dell' Adi (Associazione Design Industriale) ed in collaborazione con l' azienda Electrolux, è uno spazio multifunzionale che offre più di 1.500 libri, riviste, annuari, pubblicazioni internazionali, cataloghi, studi di mercato e video. L' idea è anche quella di creare una base d' appoggio per i tanti soci ADI che operano in Cina e favorire così il confronto e lo scambio culturale. Non solo. La Design library è ospitata all' interno del "Design Space by Electrolux", progettato dagli architetti Alejandro Ruiz e Christian Hartmann, autentica oasi del life style. Il Design Space ha l' obiettivo di ospitare mostre, eventi e seminari nei suoi 400 metri quadrati. Si parlerà di tutto ma soprattutto d' interior design, architettura, gastronomia e l' innovazione. Una particolare attenzione sarà riservata all' introduzione del design ecosostenibile nelle case. La scelta di Shangai non è casuale: sono sempre più numerosi i consumatori cinesi alla ricerca delle ultime novità proprio nell' interior design.

 

 

Corriere della Sera - MILANO -
sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-02-26 num: - pag: 2
Panchine in Duomo: ok dei milanesi


Travolte dalle critiche dell'assessore Vittorio Sgarbi, che le aveva definite «le più brutte del mondo», le panchine in piazza Duomo hanno superato l'esame dell'opinione pubblica. Otto milanesi su dieci si sono già affezionati a quel salotto all'ombra del simbolo della città.

E cosa meglio di una panchina insegna il valore dell'ozio? La panchina, luogo ideale per contemplare lo spettacolo del mondo, osservare quel che accade, da dove guardare senza essere visti, dove darsi il tempo di perdere il tempo, riposarsi, anche dormire, e sempre gratis. E non per niente, nasce su una panchina il Primo amore del romanzo d'esordio di Beckett, si chiude su una panchina l'amore che Dostoievskij racconta ne Le notti bianche.

L'associazione Livetown, in accordo con l'assessorato all'Arredo Urbano, ha scomodato l'Ispo, l'istituto di sondaggi guidato da Renato Mannheimer, per avere un responso sul grado di apprezzamento di Siedi.mi, la panchina modulare in legno e teak progettata dal designer Antonello Mosca. Risultato: «Le panchine piacciono— ha affermato il noto sondaggista —, di più tra chi le ha provate e soprattutto per le loro caratteristiche innovative, come la presenza di lampioncini, e la composizione circolare che consente di guardarsi in faccia». Lo studio è stato condotto su due diversi campioni, uno composto da 700 milanesi e uno, più specifico, da 406 passanti di piazza Duomo. Tra chi si è seduto sulla panchina l'87% ha espresso un giudizio positivo e solo il 10% l'ha stroncata, mentre tra chi non l'ha mai provata il 61% l'ha promossa mentre il 26% l'ha bocciata. Unico vero difetto riscontrato è lo schienale che non può scorrere. «Lanceremo un concorso — ha detto soddisfatto l'assessore all'Arredo Urbano, Maurizio Cadeo — aperto al mondo dell'architettura e del design, perché le sedute pubbliche di Milano dovranno essere differenti a seconda dell'ambito urbano».

In Duomo Le panchine progettate dal designer Antonello Mosca piacciono ai milanesi


Paola D’Amico

 


MARTEDÌ, 26 FEBBRAIO 2008
Pagina VIII - Milano
Tavolini e nuovi orari ai Navigli in rivolta residenti e negozianti

 

Si torna a litigare sull’isola pedonale ai Navigli. La bozza di piano elaborata dal Consiglio di Zona 6 non piace né agli abitanti né ai commercianti. Dal 6 marzo la si discuterà in aula. Ma sarà battaglia già stasera: all´oratorio di via Corsico i comitati dei residenti tengono un´assemblea cui è annunciato anche l´assessore alla Mobilità, Edoardo Croci.

Sono tre le principali novità: niente più parcheggio per i residenti, orari anticipati di chiusura e possibilità di mettere tavolini all´aperto. Con un regime più rigido da ottobre a maggio e più morbido in estate. Con le scuole aperte, bar, ristoranti e pub devono chiudere entro le 24, possono tenere dehors fino alle 23 da domenica a giovedì e fino alle 24 venerdì e sabato. Le manifestazioni all´aperto, tipo i concertini, devono finire entro le 20 da domenica a giovedì, ed entro le 22 venerdì e sabato. Invece, da giugno a settembre: chiusura alle 2, dehors fino alle 24 da domenica a giovedì e fino all´una venerdì e sabato, e fine delle manifestazioni all´aperto entro le 24. Per tutto l´anno divieto di vendere cibi e bevande da asporto dopo le 22 da domenica a giovedì e dopo le 23 venerdì e sabato, e divieto di sosta per i residenti.

Gli abitanti sono furibondi ma, dice Ana Brala, del Comitato Ripa Ticinese, «qualcosa di buono c´è, ad esempio gli orari di chiusura. Chissà se saranno rispettati. Però i tavolini renderebbero impossibile camminare per strada e il divieto di sosta ci penalizza troppo». Per i negozianti parla Daniele Gionta, dell´associazione Naviglio Domani: «Un dehors è inutile metterlo per sole tre ore, e così perdiamo spazi e clienti. Se la piglino coi baracchini che vendono tutto a ogni ora, anziché favorirli vietandoci la vendita di lattine. Però lo spirito della bozza mi piace, c´è voglia di collaborazione. Che non vedo nei comitati».

Serafico il presidente di Zona 6, Massimo Girtanner: «Se mi criticano tutti la bozza è equilibrata. Comunque nel dibattito in Consiglio si potrà ritoccare qualcosa. Ma la mia idea è che a ottobre, finita l´isola estiva, si parta coi nuovi criteri». Proprio sull´isola estiva martedì 4 Girtanner avrà una riunione in Comune con vigili e gestori. «E dobbiamo partire già col regime di questa bozza. I Navigli sono un problema da risolvere».


Luigi Bolognini

 

Soppesando parole e mattoni
Le «valorizzazioni»: un termine da interpretare
Corriere della Sera
26-02-2008

 

Per decenni termini come «industria delle costruzioni», hanno contribuito a mascherare, evocando l'idea di progresso, un disastroso consumo di territorio. Costruire una casa, abbiamo imparato a nostre spese, non è come fabbricare una macchina: produrre un edificio è, di fatto, un'operazione irreversibile che va valutata come tale.

Le parole, a volte, servono a confondere il senso delle cose.

Oggi il termine «valorizzazione», ad esempio, associato ad aree ed edifici pubblici, sembra indicare un loro futuro recupero sociale: nuovi parchi e servizi per i cittadini. Ma si veda l'esito dei concorsi per la trasformazione di due vecchie rimesse Atac che invitava gli architetti a proporre, con un preoccupante neologismo, «nuovi mix funzionali». L'iniziativa è di per sé opportuna perché riguarda spazi che potrebbero costituire una risorsa per i quartieri: il primo nel nodo vitale di piazza Bainsizza, il secondo nel relitto urbano, a ridosso della soprelevata, tra la ferrovia e la Prenestina. Eppure uno dei progetti prevede, oltre ad alcuni servizi di quartiere, un serpentone di sette piani lungo via Monte Santo e un blocco di dieci su viale Angelico (16.000 mq tra abitazioni e servizi privati), l'altro tre fabbricati lungo via del Pigneto con enormi balconi che si protendono nel vuoto.

A parte la qualità dell'architettura, il vero problema, oggettivo e allarmante, sono le migliaia di nuovi metri cubi, in gran parte residenziali, che minacciano di riversarsi su aree della città già troppo dense. E mentre altre diciotto aree di proprietà Atac sono in attesa di trasformazione, la parola «valorizzazione» diviene incerta: qualche spazio pubblico scambiato con il permesso di costruire nuova edilizia privata.

Nei municipi è in corso un acceso dibattito sulle idee proposte dai due concorsi. Ma non sarebbe una buona idea interpretare il termine «valorizzazione» come semplice esecuzione del nuovissimo piano regolatore che qui prevede, saggiamente, servizi pubblici?


Giuseppe Strappa

 

IL PROGETTO DI ALBINI
NON SNATURATE LA BELLEZZA DEL METRO'
Pagina 1
(27 febbraio 2008) - Corriere della Sera


Milano, si sa, non valorizza le sue eccellenze. Né la sua storia. Lo fa anche cancellando la memoria di uno dei grandi maestri del design e dell'architettura, Franco Albini, di cui lo scorso anno si è celebrato il centenario della nascita con una splendida mostra allestita da Renzo Piano in Triennale. In quale modo si attua questa inaccettabile cancellazione? Con lo scempio, attualmente in corso, delle stazioni della metropolitana della Linea Rossa e della Linea Verde, progettate da Albini e da Franca Helg a partire dal 1962, con il supporto grafico di Bob Norda. Il progetto della Metropolitana Milanese è di rara coerenza: come sempre nelle opere dei grandi maestri, niente vi è casuale, dal taglio degli spazi ai materiali utilizzati, dai colori ai rivestimenti, fino al dettaglio del corrimano e della fascia con le scritte delle fermate. Funzionale e semplice: pensato per la facilità di utilizzo e di manutenzione. In qualsiasi altra città europea, tutto sarebbe stato non solo conservato con rispetto, ma mantenuto al meglio. Già da alcuni anni, aggiunte di gusto discutibile - come gli espositori per la pubblicità - avevano cominciato a snaturare il progetto. Ma ora, pesanti interventi stanno letteralmente distruggendolo. La pavimentazione bianca di alcuni passaggi o il colore «giallino» di alcune pareti sono scelte frammentarie, che trasformano spazi rigorosi in un bailamme disordinato e incoerente. Sappiamo bene quanto l' Italia soffra di un immobilismo che impedisce di costruire o di rinnovare e che le future stazioni metropolitane dovranno avere un nuovo disegno. Ma, in questo caso, sarebbero stati sufficienti accorgimenti piccoli e non invasivi: adeguare l' illuminazione alle esigenze di oggi e introdurre, in alcuni degli spazi riservati alla pubblicità, informazioni per i viaggiatori, in modo da comunicare le presenze importanti - come i musei e i monumenti - che si trovano nei dintorni. Ma niente di più. C'è da augurarsi che Vittorio Sgarbi, così attento alla conservazione del patrimonio milanese, cerchi di bloccare questo inutile scempio. Perché cancellare il proprio patrimonio culturale significa cancellare la propria identità.


Ravelli Gianni

 


Torino, countdown per il congresso Uia
Italia Oggi
27-02-2008

 

Mancano quattro mesi al congresso mondiale dell'Uia a Torino (29 giugno-3 luglio) e gli appuntamenti collaterali di avvicinamento si moltiplicano. Questa settimana spazio alla coppia di registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, che, aiutati dall'inventore del cyberpunk Bruce Sterling, hanno immaginato come sarà Torino nel 2058 in «Afterville. The Movie». Vi si raccontano le vicende di una coppia di personaggi alla vigilia dell'ultimo giorno dell'umanità, sullo sfondo di una Torino stravolta in chiave visionaria grazie a effetti visivi computerizzati che sovrappongono il profilo attuale della città a panorami mozzafiato. Il 16 aprile ci sarà l'anteprima vera e propria, mentre già venerdì prossimo alle 10,30 presso il cinema Massimo di via Verdi 16 sarà possibile vedere il dietro le quinte dal titolo «Tomorrow comes today». C'è dentro tutto il background che ha ispirato Guaglione e Resinaro, messo in scena con una serie di interviste, videomessaggi di chi sente prossima la fine del mondo, un'intervista allo scienziato millenarista Adma Vaurias e vari altri spezzoni della televisione del futuro. Una specie di Blob del 2058, che sarà poi decriptato da Steve Della Casa, critico e tuttologo cinematografico torinese in passato direttore del Torino Film Festival. Già domani si riunisce invece il comitato scientifico che dovrà stilare il bando del concorso di idee per trovare un futuro al Forte di Fenestrelle, ovvero la più grande struttura fortificata d'Europa, e la più estesa costruzione in muratura dopo la Muraglia cinese, che si trova all'imbocco della Val Chisone, poco dopo Pinerolo.

Un gigante di pietra che copre un dislivello di quasi 700 metri, e una superficie di 1,3 mln di metri quadri. Doveva servire a difenderci dai francesi nel XVIII secolo, in realtà ci vollero 122 anni per realizzarlo e più che altro servì da prigione: Napoleone, venuto a conoscenza del forte, passò infatti indisturbato dalle valli parallele. Ora è di proprietà della provincia di Torino, che durante il congresso dell'Uia lancerà il concorso di idee stilato dal comitato scientifico che inizia a lavorare domani.

Ne fanno parte: David Pace, segretario dell'Umar (Unione degli architetti del Mediterraneo); Marta Francocci, storica e documentarista Rai; Carla De Francesco, nuovo direttore del Darc; Aurelio Golfetti, direttore della scuola di architettura di Mendrisio; Andrea Bruno, docente di restauro all'università di Torino.


Jan Pellissier

 

Corriere della Sera - MILANO -
sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-02-28 num: - pag: 6
Negozi, ristoranti e imprese Ora i cinesi «vogliono» il centro
Il fenomeno: Acquistano in contanti e fanno affari in ogni angolo della città
Da via Solferino al Castello. E a Brera acquistate oltre 40 attività


Angelo Ou, portavoce della comunità cinese: «In due o tre anni entreremo anche nel settore dei motori»

Il sushi tira e loro si tuffano: l'85% dei ristoranti giapponesi, a cominciare dal Wasabi di via Solferino, è loro. Con un irrisorio capitale iniziale versato, il 41enne Antonio Shou Bih Yih & soci hanno acquistato due localini in via Fara, prima che partisse il cantiere di Porta Nuova, lì a pochi metri, per aprirci il Ta Hua, osteria-birreria. Dopo la gavetta a Pero e in un laboratorio d'abbigliamento, Zhang Sai Zhen è arrivato in via Montebello, e ci ha avviato un bar. Fiutano gli affari, li sanno fare, li fanno. Al diavolo il cliché dell'ometto sudato che spinge il carrello in via Sarpi. L'imprenditoria cinese si spinge in avanti. Nel cuore di Milano. Tra corso Como e il Castello, governa, siede nei consigli d'amministrazione o ha un ruolo come consigliere in 40 imprese. Imprese, non laboratori imboscati negli scantinati. Negli angoli che più meneghini non si può come via Rovello, via Manzoni, via San Giovanni sul Muro, piazza Meda, piazza Belgioioso, Porta Nuova, ci sono società immobiliari, locali di grido e tendenza, ditte di attività sportive, negozi di vestiti, strutture sanitarie come la Hung Srl in Foro Buonaparte. Un centro di applicazioni di agopuntura con cliniche e laboratori. Proprietario, Hung Kam Fung, emigrato povero da Taiwan e oggi residente nei dorati paraggi dell'Arco della Pace.

Dice un imprenditore italiano di via Solferino: «I cinesi? Possono lasciare i dipendenti in nero per anni, sfruttarli, farli lavorare in condizioni igieniche penose. Però, dal punto di vista della gestione d'impresa, sono impeccabili». Verissimo. Nelle carte d'identità delle 40 imprese, alla voce «protesti» c'è il vuoto assoluto: «Niente da segnalare». Niente cambiali, assegni scoperti, debiti non risanati. Sempre, e soltanto, puntuali pagamenti in contanti. Pagano e dopo se stanno in disparte, i cinesi. Dietro l'insegna di un ristorante nipponico, per l'appunto. Oppure dietro l'insegna d'un nome italiano: la trattoria Alba è di proprietà di Zhou Guangyao. Giovane (ha 31 anni) e già lanciatissimo. Possiede una bottega di pelletteria in Piemonte e una di abbigliamento in città, in via Aleardi, dove peraltro abita. La residenza italiana, milanese: è un'altra delle caratteristiche di questa classe imprenditoriale. Che di raro se ne rimane (o vi torna) in Cina delegando l'attività. Unica eccezione è mister Xe Xinghai, classe 1958, di stanza a Pechino e a capo del Cda della Rui Xiang di via Dante dal 13 luglio 2007. Sì, 2007. L'anno scorso. La conquista asiatica è recente. Al massimo, si spinge indietro fino al 2005.

In questi giorni, tanto si parla di Chinatown, il nome con cui, per l'eterna rabbia dei residenti italiani, è definito il quartiere di via Sarpi e dintorni, terra di concentrazione dei negozi asiatici. Alla fine, in quel quartiere, i cinesi partono. Per costruirsi la carriera. Il classico micro-spazio di commercio all'ingrosso, per esempio quello di Jian Wen Yao in via Bramante (un gran bazar: biciclette, armi, munizioni, chincaglieria) alla fine serve da trampolino di lancio. Il nostro Jian Wen Yao, 39 anni a marzo, per dire, detiene il 51% dell'Immobiliare Ottavia, in via San Tomaso. La stessa via servita Hu Ailan, 55 anni, per acquistare uno spazio e installarci l'omonima ditta di preparazione di pellicce.

Vendono, i cinesi. E costruiscono edifici. Specialità della Ogea, che ha l'amministratore unico in Leung Sze Long, nato a Hong Kong e con cittadinanza britannica. E c'è anche l'Inghilterra tra le nazioni battute dalla Fortune Italy srl di via San Pietro all'Orto, che tratta prodotti tessili con l'estero. Dove porterà, l'avanzata asiatica? Angelo Ou, imprenditore, portavoce della comunità cinese, dice che «non abbiamo ancora occupato il settore dei motori: automobili e motociclette». Nessun problema: «Tra due-tre anni al massimo saremo pronti». Nel-l'attesa, in via Solferino, si punta sul sicuro: i ristoranti cinesi. Alla fine della strada, ci sono locali vuoti. Dicono che arriverà un ristorante giapponese. Di proprietà cinese, s'intende.


Andrea Galli

 

Corriere della Sera - MILANO -
sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-02-28 num: - pag: 6
«Parchi per riqualificare gli scali ferroviari»
Ambrosianeum, Urbanisti a confronto. Boatti e Treu: serve una visione comune. Masseroli: più collaborazione

 

L'ultimo treno di Milano passa per i vecchi scali ferroviari, sostiene l'urbanista Boatti. Motivo: le altre aree dismesse sono già cantieri e grattacieli. «Almeno al posto delle stazioni si costruiscano nuovi parchi. Non ci saranno altre occasioni e nuovi spazi per rimodellare la città ». La prossima sfida di Milano, aggiunge la collega Treu, è «avere una visione d'area vasta». Un progetto di sviluppo oltre Comune su infrastrutture, trasporti, case, mix abitativo e sociale, affitti a basso prezzo. L'assessore Masseroli annuisce: «Il coordinamento tra enti locali è fondamentale, ci stiamo lavorando. Certo, Milano può far da locomotore».

«Dove va, che forma prende la città ». S'è parlato di questo, ieri, alla Fondazione Ambrosianeum, primo d'un ciclo di tre incontri sul futuro di Milano. A confronto, moderati da Marco Garzonio, gli urbanisti Giuseppe Boatti e Maria Cristina Treu, il sociologo Enrico Maria Tacchi e l'assessore allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli. Da loro, le risposte alle domande dell'ultimo Rapporto Ambrosianeum: i grattacieli riporteranno popolazione nella Milano che si svuota? E ancora: in dieci anni cambieranno i quartieri Garibaldi- Repubblica, Isola, Fiera, Rogoredo, ma che benefici avranno i milanesi, gli universitari, gli stranieri?

Boatti fa una premessa: «Dopo 25 anni Milano s'è rimessa in moto e sta usando una risorsa irripetibile, il territorio». Finora, però, «i risultati sono contradditori». Spazi liberi e altri invasi dalle case, palazzoni di 200 metri piantati davanti a chiese e piccoli edifici, «modifiche non sostanziali » ai piani contestati dai cittadini (leggi CityLife). Dunque, Boatti? «Bisogna prendere atto dell'atteggiamento squilibrato da progetto a progetto, correggere il correggibile, e valorizzare le aree ferroviarie per fare entrare il verde in città».

Meglio se in un'ottica metropolitana. Lo afferma Boatti e lo sottolinea Treu: «Purtroppo manca una visione d'area vasta». Quella che hanno Parigi, Lione e Francoforte, modelli di crescita, reti, infrastrutture, collegamenti. Senza, in sintesi, «non è possibile garantire coerenza». Ne è convinto anche l'assessore Masseroli. Ultima riprova: i musei d'arte contemporanea progettati sia a Sesto sia a CityLife. Da niente al doppio: «C'è l'esigenza che l'amministrazione abbia un ruolo forte di regia nella pianificazione». Dentro e fuori Milano: «Il piano di governo del territorio — conclude Masseroli — deve "esplodere" oltre confine, in un collegamento sempre più stretto con i Comuni dell'area metropolitana».

 

 

I cinesi: niente Ztl o restiamo in Sarpi
Masseroli in visita al Gratosoglio. Gli abitanti: no al trasloco
Il portavoce della comunità e imprenditore Luigi Sun "Attualmente nessuno dei commercianti di Chinatown ha detto sì al trasferimento"
Pagina IX – Milano
La Repubblica
Giovedì 28 febbraio 2008

 


La Cina? Adesso è troppo vicina. Al Gratosoglio la prospettiva di avere fra due anni, due anni e mezzo, circa 350 grossisti in arrivo da via Paolo Sarpi non piace per niente. Il quartiere lo dice a chiare lettere da una decina di giorni, ovvero da quando è stato presentato il progetto dell´Asian trade Milan center, il centro commerciale che la comunità cinese intende costruire fra via dei Missaglia e via Selvanesco, quartiere Le Terrazze, dietro il Car world center di Piero Mocarelli, l´imprenditore intermediario in questa operazione fra la proprietà (la società Okoi), e gli acquirenti provenienti da Sarpi.

Dall´altra parte c´è la comunità, presente al confronto pubblico organizzato al Gratosoglio fra i residenti e l´assessore all´Urbanistica, Carlo Masseroli, con uno dei big: Luigi Sun, importatore di generi alimentari dalla madrepatria dei genitori. Un residente avanza l´ipotesi di un trasferimento «al centro commerciale di Lacchiarella, ormai morente» e Sun non lo esclude del tutto: «È un´area fuori da Milano, subito utilizzabile anche se distante. Però Gratosoglio è la soluzione più logica, più seria, condivisa dalle istituzioni».

L´operazione è ambiziosa, e «l´investimento forse fin troppo grosso». Dice Sun: «Attualmente nessuno dei commercianti cinesi di Sarpi ha dato l´ok al trasferimento. Stiamo cercando adesioni nella comunità e in altri soggetti finanziari». Nel frattempo, «niente Ztl in via Sarpi. Se venisse istituita, sarebbe un colpo per questo progetto, che per riuscire conta sul sì dei grossisti del quartiere». L´imprenditore sino-italiano prefigura il futuro di Sarpi: «Probabilmente i grossisti si trasformeranno in dettaglianti e i negozi non saranno venduti. Anche adesso, molti lavorano ma non abitano in via Paolo Sarpi. Per chi vive lì o altrove, non vedo il motivo di dover vendere per venire ad abitare al Gratosoglio, che è raggiungibile con i mezzi». Due, pare di capire, gli elementi nuovi: la conferma, senza alcun esodo, di via Paolo Sarpi come storica Chinatown meneghina. E l´intenzione di raddoppiare - fra ingrosso e commercio - la presenza commerciale. «I nostri prodotti - conclude Sun riferendosi all´abbigliamento - con il tempo miglioreranno di qualità».

Già allarmato dall´ipotesi di un secondo inceneritore, il Gratosoglio non sente ragioni. E oppone gli ordinari problemi di vivibilità, in particolare i campi abusivi dei rom in fondo a via Selvanesco, e i disperati assistiti dall´Opera San Francesco dopo lo sfratto da via Moscova (il Comune scatta, è stata la morale, se protestano quelli del centro). Il capogruppo leghista, Alessandro Morelli, è in prima fila nella protesta: «Gli sbandati bivaccano nei giardinetti davanti alla Scuola Gialla, dove c´è la Osf, e i bambini non ci possono più andare. I nomadi sono un problema. Non escludiamo manifestazioni e il martedì e venerdì, ai mercati di via Baroni e via Saponaro, terremo un referendum sul trasferimento».


STEFANO ROSSI


San Siro, ville contro palazzi: 1 a 0
La mobilitazione dei residenti frena la speculazione nel quartiere gioiello
Dopo l´esposto il Comune ha fatto modificare il progetto di un nuovo edificio e ora sono partite le verifiche su una decina di altri cantieri
GIOVEDÌ, 28 FEBBRAIO 2008
Pagina XI - Milano

 

Il popolo delle villette d´autore, firmate Gio Ponti o Luigi Caccia Dominioni, s´è messo in marcia e ha già ottenuto una piccola vittoria: la demolizione di due eleganti dimore in via degli Alerami non sarà evitata, ma al loro posto non sorgerà più un unico blocco di cemento, si faranno due palazzi più bassi del progetto originario e con più verde intorno. Salvando alcuni alberi secolari.

Si poteva ottenere di più? La strategia di lotta della buona borghesia di San Siro ha un orizzonte incline al riformismo: piccoli passi alla volta, salvare il salvabile, strappare posizioni al nemico, «la città che avanza», come dice Maria Rosa Lonzer. Lei fa parte del comitato di residenti che, in quell´oasi di signorilità all´interno di Milano, sta facendo le barricate contro l´invasione dei condomini. Proprio oggi è attesa la sentenza del Tar su un ricorso presentato da alcuni facoltosi cittadini del quartiere: Ernesto Pellegrini, l´ex presidente dell´Inter, e altri quattro proprietari di ville della zona, chiedono di fermare la realizzazione di tre palazzine da cinque piani al 22 di via degli Alerami. Un caso che pone il problema della tutela degli edifici di pregio realizzati tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento, in una fase dell´architettura italiana troppo recente per il vincolo storico, ma già oggetto di studio in libri e manuali di tutto il mondo. E San Siro, con i suoi palazzi firmati Mangiarotti, Zanuso, Casati, ne offre una grande concentrazione.

«Per edificare in via Alerami - s´indigna Emma Vittoria Tonolli, tra gli abitanti di un´aristocratica reggia in via Palatino - è stata abbattuta una bellissima villa progettata dall´ingegnere Nino Bertolaia, collaboratore di Gio Ponti». Per molti residenti è l´inizio della fine della particolarità di un quartiere dove, come spiega Diana Stoppani, dirigente d´azienda, «è come stare in un paese, con i bambini che giocano a pallone e girano in bici e le mamme che passeggiano con le carrozzine, mentre tutt´intorno è l´inferno». Stoppani vive in una casa firmata da Caccia Dominioni tra il 1963 e il 1966, «case study» citato in varie riviste e mostre d´architettura. Di fronte, ai numeri 23-25, ci sono le villette in via d´abbattimento. Un altro vicino, l´avvocato Alberto Toffoletto, ha spedito al comune di Milano un elenco dettagliato di osservazioni per spiegare che il nuovo progetto non è affatto in linea con i limiti imposti dal piano regolatore: la superficie totale occupata è superiore al 55 per cento dell´area edificabile e per venti alberi si prevede l´eliminazione. Dopo la segnalazione di Toffoletto la commissione edilizia del Comune ha bocciato per tre volte il progetto del nuovo proprietario. La quarta volta ha detto sì, ma solo dopo che erano state introdotte le modifiche richieste.

Ma c´è di più: ora il Comune ha deciso di rimettere il naso su una decina di progetti approvati in quella zona negli ultimi anni, sospettando difformità e abusi. Ad allarmare i tecnici dell´ufficio edilizia è stato un altro esposto presentato da Toffoletto, il cui numero civico corrisponde a villa Bono, progettata nel ‘63 da Gio Ponti, e salvata dall´abbattimento proprio dall´avvocato. Intorno a quella casa, «visitata e apprezzata da direttori di musei europei di arte contemporanea», si assiste ora alla «edificazione di palazzi di dimensioni molto superiori rispetto a quelli esistenti», non in linea con le previsioni del piano regolatore, e si profila «lo stravolgimento dello status quo». Il rischio è che «un unicum dell´architettura milanese sia seppellito da edifici progettati senza tener conto delle sue peculiarità».

Dopo questa lettera, l´assessore all´urbanistica Carlo Masseroli ha fatto un sopralluogo con i suoi tecnici a San Siro: «Noi non vogliamo imporre vincoli - spiega - ma vogliamo salvaguardare quel quartiere, così come la Maggiolina e il QT8, attraverso dei regolamenti speciali da introdurre nel nuovo Piano di governo del territorio». Basterà per salvare dalla distruzione i tesori nascosti dell´architettura sperimentale, razionalista o modernista sparsi per la città? «Purtroppo ce ne sono troppi e in decadenza - spiega Cesare Casati, direttore della rivista Arca - e per molti non sono ancora trascorsi i cinquant´anni necessari per vincolarli. In Francia le opere di Le Corbusier sono tenute come gioielli. Qui, invece, pian piano spariranno per far posto alle palazzine».


DAVIDE CARLUCCI

 


La Repubblica
02-03-08, pagina 12, sezione MILANO
Scaffale milanese/Architettura
Patrizia Pozzi la signora dei giardini


Arte antica capace di intercettare le declinazioni più raffinate ed ecologicamente corrette dell' estetica contemporanea, l' architettura del paesaggio non è mai stata così viva. E di moda. A Patrizia Pozzi è dedicato il libro Landscape Design, a cura di Lucia Valerio (in uscita per Electa il 4 marzo, sarà presentato alla Mondadori Duomo il 6 alle 18.30). Attraverso i progetti della paesaggista milanese, il volume, elegante come si addice al suo contenuto e al suo pubblico, esplora la variegata geografia di una tendenza che coniuga l' anima glamour del design, le nuove frontiere dell' architettura e la ricerca di un equilibrio consapevole con la natura e i suoi diversi volti, anche e soprattutto quelli più urbanizzati. Che si tratti di un intervento in un giardino rinascimentale o romantico, di una provocazione ironica come la serie di mobili in bosso artificiale Landscape Furniture, di un progetto di recupero (come quello per l' Idroscalo), di una sfida come i "giardini di 18 centimetri" o di un divertissement come il Kitchen Garden presentato al "Fuori Salone" 2006, la filosofia non cambia. L' architettura del paesaggio è prima di tutto un' esperienza dei sensi. Da coltivare con cura.


SARA CHIAPPORI

 

 

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