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Settimana del 14 Gennaio 2008

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Rassegna stampa dei principali quotidiani e del sito Archiworld, relativa agli articoli di interesse per Milano e Provincia.

Sezione: arte architettura - Pagina: 10/11
14 gennaio 2008- Corriere della Sera
FOCUS Arte e finanziamenti ** Interventi Solo un' opera architettonica su dieci in Italia è catalogata. Le Soprintendenze spendono il trenta per cento delle risorse disponibili Finanziamenti Arrivano da tre fonti: il ministero dei Beni culturali, il lotto e i privati. In totale i 92 milioni del 2004 sono scesi a 78 l' anno scorso
Arte, i restauri bloccati
Pochi fondi per i 500 mila palazzi storici


Mezzo milione di edifici monumentali in Italia a fronte di circa 45.000 in Francia, ancora di meno in Germania, in Spagna, in Inghilterra; dunque una massa enorme, a cui sono da aggiungere i tessuti urbani antichi di centinaia di città e di migliaia di insediamenti minori; di tutto questo la conoscenza è incerta e così la tutela. E per giunta, dei pochi soldi disponibili per i restauri, ogni anno se ne spende poco più del 30%. Cinquantamila dunque i monumenti schedati in Italia e quindi, sui rimanenti 450.000, si fanno soltanto ipotesi di lavoro. Quattrocento funzionari si occupano delle tutela delle architetture, ma devono confrontarsi con le economie di bilancio, con le auto vecchissime che però sono indispensabili per i sopralluoghi in pianura e montagna, con la benzina che costa troppo: mancano gli autisti, gli esperti di computer, i rilevatori, per cui i custodi più volonterosi, oppure gli stessi architetti devono fare ogni cosa. Prendono 1.300 euro al mese, quelli che nel peggiore studio di architettura si dovrebbero dare a un bravo telefonista. Questi sono i mezzi per tutelare un territorio enorme, dove il privato, e non voglio dire la speculazione, si fa largo a gomitate. Gli uffici in Italia devono infatti dare pareri motivati, con ricerche di archivio e sul campo, a circa 200.000 richieste ogni anno, devono insomma rispondere a chi si rivolge loro, devono controllare. Così ciascuno dei 400 funzionari dei Beni Architettonici dovrebbe verificare, in media, in un anno, cinquecento monumenti, ma in certe regioni gliene toccano 1.500 o 2.000; il funzionario dovrebbe controllare i progetti, visitare il monumento, analizzarne le strutture, suggerire soluzioni, un lavoro a volte di settimane per un solo progetto. Adesso poi è cambiato il modello di lavoro dei funzionari: prima si tutelavano solo i monumenti, ora l' impegno è per il tessuto, l' ambiente, per quelle architetture che danno il senso di un sistema. Che cosa sarebbero Siena e San Geminiano, Mantova ed Orvieto, Assisi e Bologna se non si fosse tutelato lo spazio urbano, se non si fossero sempre controllati interventi dei privati, materiali, tecniche, per evitare le violenze che si vedono troppo spesso in giro? Certo, vi sono zone non dipendenti dal ministero, le regioni a statuto speciale, dove gli assessori decidono al di fuori di ogni controllo, si pensi alla speculazione attorno alla valle dei templi ad Agrigento, si pensi alla programmata distruzione delle carceri ottocentesche di Trento. Vediamo adesso l' impegno economico del ministero per il restauro architettonico. I soldi vengono da tre fonti: i fondi ordinari, quelli del lotto e quelli privati, gli ultimi ovviamente non sono valutabili, gli altri sì. Ebbene, i fondi ordinari, dal 2004 al 2007, sono crollati da 92 milioni di euro a 56 e solo grazie al lotto, nel 2007, si è avuto un incremento di 21 milioni che porta a 78 milioni il totale, mai così basso nel quadriennio. Certo, sembra che nella finanziaria 2008 gli stanziamenti siano risaliti, ma il problema di fondo rimane, come è possibile destinare una parte irrisoria del denaro pubblico alla tutela di quel patrimonio che porta ogni anno in Italia decine di milioni di turisti e miliardi di euro? In tempi lontani Carlo Ludovico Ragghianti suggeriva di considerare i monumenti, le pinacoteche, le città, le nostre miniere, i nostri pozzi di petrolio, le nostre rendite finanziarie ma, per fare questo, serve una tutela, a cominciare da quella del paesaggio, tutela che, da generazioni, non riesce a imporsi: si pensi alla costa ligure, a quella campana, a quelle della Puglia, della Calabria, della Romagna, della Sardegna. Certo, poi è venuta la legge Galasso che vieta la edificazione lungo le rive del mare ma il danno era fatto. Si pensi all' abusivismo edilizio che ha distrutto la forma delle nostre città antiche creando anche al loro interno, salvo poche eccezioni, edifici mostruosi. Dopo il terremoto in Umbria e Marche, dopo che sono stati messi a rischio Giotto e Cimabue, insomma il centro della civiltà del nostro Paese, dopo i veri miracoli dovuti alla dedizione di soprintendenti e tecnici del restauro per salvare quanto non era stato sbriciolato, adesso il ministero chiede agli uffici periferici una verifica degli edifici anche perché quasi due terzi dell' Italia è zona sismica. Ma come faranno le sedi periferiche delle Soprintendenze a controllare la stabilità di decine di migliaia di monumenti e, peggio, come riusciranno a intervenire? Un altro problema incombe: la percentuale effettivamente spesa dei denari assegnati alle Soprintendenze è assurdamente bassa, varia dal 28 per cento del 2004 al 40 per cento del 2007: si tratta certo di un aumento significativo ma il problema resta. Spiega il Direttore Generale dei Beni Architettonici, storico-artistici e etnoantropologici architetto Roberto Cecchi: «Un tempo si facevano affidamenti a imprese di fiducia, restauri a cottimo, certo con zone d' ombra ma, avendo addestrato un insieme di specialisti che il mondo ci invidia, i restauri si facevano con molta maggiore efficacia e duravano a lungo sopra tutto per la nostra diversa metodologia di intervento».

Quintavalle Arturo Carlo


Sezione: arte architettura - Pagina: 11
14 gennaio 2008 - Corriere della Sera
I cantieri Decine di lavori in corso, ma spesso le spese elevate rallentano i progetti
Uffizi e Accademia, la guerra con i costi

Ma quali sono oggi alcuni dei maggiori cantieri di restauro guidati dal ministero? L' impegno più forte è lo stanziamento di 59 milioni di euro per i soli Uffizi, dunque la metà del finanziamento di un intero anno del ministero, ma non certo del 2007 che di milioni ne ha avuti solo 78. Si tratta di 35.000 metri quadrati, l' ingresso di Isozaki si farà, gli Uffizi diventeranno un sistema complesso, ricco di spazi per il pubblico ma proiettato anche verso il sistema esterno, per fare in modo che i visitatori vadano a vedere il tessuto urbano e gli altri musei. La stessa politica si intende adottare anche alla Galleria dell' Accademia a Venezia che viene raddoppiata, da 5.800 a 12.000 metri quadrati, con una spesa di 24 milioni di euro: ora la visitano troppo pochi, dovrà invece diventare un nuovo polo nel sistema urbano. Altro cantiere Palazzo Litta a Milano, con i suoi 8500 metri quadrati e 6 milioni di spesa: è destinato a diventare un grande centro di cultura e sede espositiva. Ancora a Venezia Palazzo Grimani, con quasi 5 milioni per 3.000 metri quadrati, vedrà recuperato lo spazio interno e sarà meglio comprensibile la originaria configurazione della antica, preziosa collezione archeologica. Villa d' Este a Tivoli, con 9 milioni, è un restauro imponente: architettura del verde e giochi d' acqua, restauro degli esterni e degli interni, un lavoro concluso. Ma i cantieri, come si vede anche dalla tabella accanto, sono decine, e qui si pone un altro problema, quello dei costi a metro quadrato. «Per gli Uffizi - precisa Cecchi - vi è stato un ribasso d' asta del 42 per cento, ha vinto la gara una cooperativa di imprese ma avevano concorso ditte da mezza Europa; il costo del restauro sarà di 1.500 euro al metro quadrato». Poco davvero considerando la complessità dell' impegno e la delicatezza del monumento. Cecchi traccia un bilancio: «Con la carta sismica, l' informatizzazione, i nuovi funzionari, l' incremento del bilancio dei restauri nella finanziaria e, speriamo, il finanziamento alle soprintendenze a gennaio e non a settembre di ogni anno, dovremmo moltiplicare i cantieri e abbreviare i tempi del servizio pubblico e quindi ridisegnare l' immagine del Paese. Credo siano queste le linee portate avanti dal ministro e che condivido».

Quintavalle Arturo Carlo

 

Sezione: inquinamento atmosfera - Pagina: 1
17 gennaio 2008 - Corriere della Sera
Qualità della vita
Spazi antismog per migliorare la città

Architettura, medicina e bisogni sociali spesso si incontrano: una di queste occasioni è costituita dalla progettazione e realizzazione degli spazi metropolitani per gli anziani. In una città i luoghi hanno un significato non solo fisico ma anche sociale e di salute. Gli spazi sono i luoghi dove potersi ritrovare, stare assieme, fare attività fisica. Possibilmente lontano dall' inquinamento. Sì, perché l' inquinamento fa male a tutti ma i danni maggiori sono per i bambini e gli anziani. Questi ultimi sono più soggetti a peggioramenti delle malattie respiratorie e cardio-circolatorie di cui spesso sono portatori. Avere degli spazi «protetti» dall' inquinamento sarebbe per molti di grande aiuto, anche se di difficile attuazione. Nei «luoghi» si possono fare attività fisiche e queste sono fondamentali per migliorare la nostra salute. Si calcola che la mortalità dei soggetti anziani attivi rispetto ai loro coetanei sedentari si abbassi del 25-30% e che a 80 anni l' attività fisica faccia guadagnare ancora da uno a due anni di vita. Non è necessario essere sempre stati degli sportivi, iniziare in qualsiasi momento della vita dà dei vantaggi concreti. Bastano attività semplici come il camminare. L' esercizio fisico inoltre fa bene non solo al corpo ma anche alla mente, modificando le performance mentali; migliora anche la memoria e le funzioni esecutive (monitorare, classificare, pianificare), oltre alle capacità respiratorie e cognitive. Fare «esercizio» ha anche un effetto «antidepressivo», talvolta è più efficace delle terapie farmacologiche e certamente più sano. Avere degli spazi dove camminare, andare in bicicletta, fare shiatsu, giocare a golf diventano quindi essenziali per tutelare la propria salute e il proprio futuro, per incontrare persone e sentirsi meno soli in una città che sembra svilupparsi solo attorno al lavoro. Immaginare e dar vita nuove aree verdi e piazze, come in una rivisitata visione moderna dei posti di ritrovo dei vecchi paesi, vogliono dire favorire il benessere sociale di tutti noi e dei più in età.

Harari Sergio

 

Sezione: arte architettura - Pagina: 9
18 gennaio 2008 - Corriere della Sera
Gli scenari «Grande è bello»: è questa la parola d' ordine delle costruzioni. Ma c’è chi dissente
Quella ricerca ossessiva del nuovo Colosseo Gregotti: inutili (e provinciali) esibizioni di potenza
MILANO - «Bigness is business».

Pensare in grande scala, insomma, è pur sempre un buon affare. Anche se i nostri nuovi Colossei sembrano essere comunque inevitabili: fino dalla Rivoluzione industriale quella che veniva definita civilizzazione è stata sempre collegata ad un ampliamento delle città come degli edifici e in genere delle forme, mentre l' idea di «piccolo è bello» veniva accusata, tacciata di minacciare lo stesso progresso. Tanti sono, d' altra parte, gli italiani coinvolti ora nella febbre del «bigness»: Renzo Piano (il «Vulcano Buono» appena inaugurato ad Afragola), Massimiliano Fuksas (campus universitario in Nigeria), Mario Bellini (Biblioteca di Torino), il gruppo Archea (discoteca in Cina), Cino Zucchi (complesso residenziale a Bolzano), Michele De Lucchi (torri in Georgia), Paolo Desideri (stazione Tiburtina a Roma), Mario Cucinella (ospedale in Toscana), Italo Rota (padiglione Expo di Saragozza). Francesco Dal Co, professore di Storia dell' architettura all' Università di Venezia e attuale direttore di Casabella, tiene subito a precisare: «Bisogna distinguere innanzitutto tra quello che sta succedendo in Cina, in Oriente o nei Paesi arabi e la realtà del Vecchio Continente, Italia compresa. In Cina l' idea di realizzare grandi architetture si collega indissolubilmente con la necessità impetuosa di trovare sbocchi a capitali enormi. Leggermente differente la situazione, ad esempio, a Dubai, dove tutto nasce dal bisogno di programmare un futuro che vada oltre il petrolio ed ecco che si creano alberghi a sette stelle altissimi che hanno lo stesso compito che ha avuto Disneyland per Orlando: creare un' attrazione che giustificasse la vita di una città altrimenti senza grandi possibilità. Queste megarchitetture devono prima di tutto far spettacolo». E l' Europa? «Qui si parte da progetti comunque più equilibrati, penso a Madrid e alla Spagna in generale, perché comunque il tessuto delle stesse città resta più forte, più definito. Quindi si tratta di progetti "più contenuti" perché si tratta di realtà intensamente abitate dalla storia. Potrei dire che Torino ha colto più opportunità delle altre, qualche opportunità l' avrebbe anche Genova se solo scegliesse la via indicata da Piano». Secondo Vittorio Gregotti, che ha tra l' altro firmato il grande insediamento della Bicocca a Milano e da tempo è impegnato nella realizzazione di un agglomerato urbano a Shanghai, in questa voglia di primato si ritrovano anche molte motivazioni legate alla nostra contemporaneità: «Progettare in grande ha in sé qualcosa di esibizionistico, direi di fallocratico, è quasi un' affermazione della propria potenza, anche se in tutto questo esibizionismo si può ritrovare una profonda dose di provincialismo. C' è poi, chiaramente, anche l' aspetto economico, o meglio speculativo: edificare in grande può essere molto redditizio. In quel caso è importante, direi fondamentale, pensare non soltanto a megarchitetture ma anche ai piani regolatori. Penso alla Bicocca ma sempre a Milano penso anche a Santa Giulia. E poi penso a Barcellona o a quello che è stato fatto dietro la City di Londra». Per Gregotti c' è però anche un elemento sociale da prendere in considerazione: «Quando si creano queste grandi strutture abitative dove si concentrano grandi agglomerati di persone si finiscono per ricreare in qualche modo veri e propri ghetti monoclasse». L' idea del «bigness» sembra arrivare da lontano. Addirittura dagli anni Novanta. «Il primo a parlare di bigness è stato Rem Koolhaas nel 1994 su Domus, approfondendo poi la questione nel suo saggio successivo "S,M,L,XL" - spiega Stefano Boeri, direttore di Abitare e progettista del complesso ospedaliero Cerba a Milano -. Oggi, soprattutto in Italia, la necessità di costruire nuovi Colossei nasce dalla presenza di grandi spazi ottocenteschi dismessi, fabbriche, stazioni, carceri che vengono abbandonati, che si liberano e che spesso vengono abbattuti. In quelle aree si finisce per ricreare il calco dei grandi edifici precedenti. Da noi tutto questo sta accadendo con grande ritardo rispetto a Berlino o a Barcellona. Certo, si potrebbero anche realizzare piccoli edifici ma per i grandi investitori quei piccoli edifici non sarebbero poi così tanto redditizi». E prosegue Boeri: «Quella della nuova Cina è oggi l' unica grandeur veramente imperiale, è in qualche modo la stessa grandiosità degli antichi romani che volevano prima di tutto stupire e mostrare al mondo intero il proprio potere. La Russia, ad esempio, manca di grande committenza e punta prima di tutto alla creazione di infrastrutture, le sue sono architetture che non hanno alcuna ambizione di rappresentatività. Non sono altro che piccoli edifici mediocri anche se riprodotti su grande scala».

Bucci Stefano

 

Sezione: musei - Pagina: 6
18 gennaio 2008 - Corriere della Sera
L' assessore Carlo Masseroli: spero non sia il solito annuncio

«Finalmente hanno deciso e sono felice. Spero solo che non sia un annuncio come quello dell' altra volta alla Bovisa dove siamo rimasti fermi due anni». Risposta agrodolce quella dell' assessore all' Urbanistica, Carlo Masseroli. L' ultima parola sul trasferimento di Brera spetta al Comune. «È una proposta molto interessante - continua l' assessore - Per Brera le porte di Milano sono sempre aperte, faremo subito la nostra valutazione. Dal punto di vista urbanistico dico solo per cui, pubblico o privato che sia, è necessario non fare arlecchinate in città ma lavorare nella prospettiva del sistema Milano evitando che i vari tasselli non siano inseriti in modo casuale».

Giannattasio Maurizio

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