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I cento anni di Niemeyer e il fascino delle linee curve

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

La Repubblica 15-12-07, pagina 46, sezione CULTURA INTERVISTA L' autore di alcuni tra i più noti palazzi del mondo compie cento anni ACHILLE BONITO OLIVA RIO DE JANEIRO

Cento anni vissuti con la leggerezza di una linea curva. L'architetto Oscar Niemeyer
(foto) compie sabato prossimo 15 dicembre il secolo di vita, ma lui addosso se ne sente solo una sessantina. Per augurargli buon compleanno la rivista «Interni», insieme con Pirelli Re, ha realizzato un dvd con un'intervista in cui il maestro brasiliano, nello studio di Copacabana, racconta di sé e del mondo: il senso della vita («Avere al proprio fianco una moglie») e quello dell'architettura («Essere creativa, stupire»); ce n'é anche per gli architetti di oggi «bacchettati» perché fanno troppo affidamento alla tecnica. Curioso di tutto (politica, scienza, filosofia), da sempre affascinato dalla sensualità delle linee curve, Niemeyer ha costruito buona parte della città di Brasilia; negli anni 1968-70 Giorgio Mondadori lo volle in Italia per progettare la nuova sede di Segrate. «Un'opera unica, di cui sono molto orgoglioso» ricorda lui a quarant'anni di distanza. «Resta un'opera tra le migliori della sua carriera» ha sottolineato Fulvio Irace, docente di Storia dell'Architettura Contemporanea, durante la presentazione dell'iniziativa editoriale di «Interni». Il numero di dicembre della rivista è in edicola a 10 euro. (s. col.)


Oscar Niemeyer, la sua architettura ha sempre cercato una relazione con la natura, non un' integrazione ingenua e ottimistica ma piuttosto dialettica e complessa. I suoi progetti sono una ricerca della naturalezza intesa come concetto? «L' architettura deve adattarsi alla natura senza modificarla. Nel progetto della casa di Canoas, per esempio, ho lavorato rispettando i dislivelli del terreno». Il suo rapporto con Burle Marx costituisce un esempio di sodalizio quasi «rinascimentale» tra due architetti, uno della costruzione e uno dei giardini. Che relazione ha avuto con lui? «Burle Marx è stato un grande paesaggista. Prendendo lo spunto dai giardini giapponesi ha fatto sua l' idea che la natura deve prevalere, come se la mano dell' uomo vi fosse appena intervenuta. Dei giardini portoghesi, realizzati in Brasile, ha mantenuto il concetto di creare livelli differenti ricreando così gli spazi più intimi che li caratterizzavano. Pampulha è stato il mio primo progetto e, probabilmente anche il primo giardino disegnato dal Burle. Era senza alcun dubbio un paesaggista esperto, che rispettava e amava la natura e sapeva così bene coltivarla e difenderla». Ritengo che con Brasilia lei abbia costruito un nuovo tipo di natura in cui artificio e organico coesistono. E' d' accordo? «Un giorno Lùcio Costa disse che il paesaggio di Brasilia era la mia architettura. Ed aveva ragione: era una regione triste, vuota e senza rilievi che, in contrasto, richiedeva un' architettura più agile, più disinvolta che esige l' uso del cemento armato che io preferisco». L' architettura moderna non è sempre occupazione di spazio o progettualità contro il caos della natura. Può avere anzi una funzione ecologica. «Ho già parlato del rapporto tra l' architettura e la natura. Di come l' ho concepito osservando la natura piana, l' orizzonte infinito di Brasilia. Adesso preferisco trattare dello spazio nell' architettura; non solo dello spazio che la racchiude, ma di quello che l' architetto crea nell' elaborare un progetto. E' un compito così importante che nel disegnare due edifici il progettista deve per prima cosa definire lo spazio esistente tra di essi. L' architetto deve affrontare il problema dello spazio durante tutto lo sviluppo dei suoi progetti. Comincia con la distribuzione dei suoi edifici sul terreno, cercando di creare un buon rapporto tra volumi pieni e spazi vuoti. Poi questo problema si ripropone esternamente e internamente in ciascuno dei suoi progetti. Nel disegnare, ad esempio, un colonnato, l' architetto dovrà creare e proporzionare lo spazio fra le colonne, altrettanto importante delle colonne stesse. E, se per caso ha letto Rilke, lei ricorderà con piacere questa frase: "Come gli alberi sono magnifici, però ancor più magnifico è lo spazio sublime e commovente che esiste tra loro". Se tuttavia considera l' invenzione architettonica come sua parola d' ordine, il problema dello spazio si moltiplica. Quando progettai il colonnato per la sede di Mondadori a Milano, evitai di creare spazi uguali tra le colonne. Ispirato dall' invenzione architettonica ho progettato spazi diversi tra loro, variandoli da quindici a tre metri in una sequenza che mi sembrava musicale». Il suo Museo di Niteròi costituisce la prova di una vitalità creativa senza limiti. L' idea di piantare un contenitore di arte contemporanea su uno scoglio è il segno della relazione esistente tra le sue forme e il mare. L' architettura, dunque, è matrice di energia e modello di movimento? «Il mare, un lago, un semplice specchio d' acqua sono sufficienti per dare all' architettura un' altra dimensione e bellezza. Ed è quello che ho scoperto nel progettare il Museo di Arte Contemporanea di Niteròi, affacciato sulla baia di Guanabara. Il terreno era esiguo, l' edificio doveva assolutamente essere in posizione centrale, e da ciò l' architettura si è sviluppata naturalmente. Per preservare il paesaggio, doveva galleggiare nello spazio, sotto al quale si distendeva un panorama magnifico. Non volevo che la soluzione si limitasse a due volumi sovrapposti, come avviene di solito, ma puntavo verso una forma che sorgesse dal terreno e ne ricalcasse il profilo con rette e curve. Ed ecco che il mio Museo è lì ad arricchire il paesaggio, destando, grazie alla sua forma inconsueta, quella curiosità che un' opera architettonica come quella dovrebbe sempre suscitare». Noi tutti festeggiamo i primi suoi cento anni. Il XX secolo le appartiene per intero. L' ha attraversato tutto, sfondando il 2000 ed entrando nel Terzo millennio. Suoi compagni di strada sono stati protagonisti della modernità. Eppure in Brasile esiste una cultura autoctona, frutto di una sensibilità tropicale e della lezione delle avanguardie storiche europee. «Sono completamente d' accordo. Questo è avvenuto per tutte le arti. Pensa in letteratura a Mario de Andrade ed alla Lispector, alla poesia concreta con il gruppo Noisgrandes (Decio Pignatari e i fratelli De Campos), alle arti visive Ligia Clark, Antonio Dias fino a Ernesto Neto. Insomma una cultura senza complessi edipici o di inferiorità capace di coniugare insieme sensibilità tropicale e rigore concettuale, vitalismo e progettualità». Come è nata l' illuminazione del suo segno che ha portato al progetto del nuovo auditorium di Ravello? «Dai lunghi colloqui in tanti anni con il mio amico Domenico De Masi, Presidente del Festival di Ravello. Fantasticando sul luogo mitico, toccato da Nietzsche e Wagner, sede di concerti prestigiosi. Ho pensato allora ad un opificio del bello, capace di ospitare tutte le arti più avanzate, funzionante per tutto l' anno, ben bilanciato architettonicamente tra le bellezze di un paesaggio incomparabile, quello della costiera amalfitana. Così il mare di Rio de Janeiro arriva fino a Ravello». Cosa pensa dell' ultima generazione di architetti? Troppo autoreferenziale e performativa? «L' architettura deve bilanciare le sue forme innovative con la funzione. Non è una disciplina che può fermarsi al piacere dell' involucro, alla sorpresa delle apparenze. Credo che debba ecologicamente promuovere una nuova ospitalità all' uomo moderno e trovare un equilibrio tra il naturale e l' artificiale, tra l' organico e il costruire. Un' armonia difficile da raggiungere ma verso cui tendere».

 

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