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Sottosuolo: risorsa della Citta'?

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Un tour-de-force urbanistico, la serata del 5 luglio, dalle 18 e 30 alle 23, per un interessante argomento: il sottosuolo delle citta', con particolare riferimento a Milano.

Intervengono gli architetti: Silvano Tintori, Giorgio Goggi, Giovanni Oggioni, Aldo Ciocia, moderati da Federico Acuto.

Sottosuolo: risorsa della città?
Prima parte
Ore 18:30-20:00

ACUTO
Benvenuto di Federico Acuto da parte dell’Ordine a tutti i relatori, ma anche a tutto il pubblico di persone interessate al problema dei parcheggi, che sicuramente contribuirà alla serata.
La serata è divisa in due, da ora fino alle 8, con l’intervento del Prof. Silvano Tintori già docente di teoria dell’Urbanistica e dell’Arch. Giorgio Goggi, docente di particolare chiarezza ed efficacia poi un aperitivo e successivamente una seconda parte con gli architetti Aldo Ciocia che spazierà intrattenendoci su varie realizzazioni di parcheggi e Giovanni Oggioni , che parlerà invece di aspetti più prettamente milanesi. Io mi occupo tangenzialmente di trasporti e avrei piacere che la serata servisse a chiarire il lessico e quali sono le utenze dei vari tipi di sistemi: interscambio, operativo, residenziale. Altro aspetto è la politica di settore che da sola è ben poco efficace. Trasporto pubbilico, tariffazione, riqualificazione quale l’arredo urbano sono corollari cui si deve far riferimento.
In ultimo, parlerei delle procedure. Spesso si parla di project financing anche a proposito della capacità di investimento dell’amministrazione pubblica. Mi piacerebbe si parlasse anche di tempi, come componente importante di queste infrastrutture.

TINTORI
Ho avuto l’incarico di sintetizzare gli spunti emersi da un dibattito con la nostra Presidente Daniela Volpi, Aldo Ciocia, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Giorgio Goggi e Franco Raggi. Come possiamo vedere attraverso la stampa, il dibattito sui parcheggi è sempre acceso. Come architetti vorremmo contribuire alla chiarificazione di questo argomento. Il parcheggio non è un problema a sé stante, ma legato alle infrastrutture e alle scelte della città in materia di mobilità e di accessibilità, oltre che di organizzazione sotterranea della città.
Dobbiamo renderci conto che anche la sosta è un potente regolatore del traffico e, in tel senso, deve essere vista come un progetto di interesse pubblico.
Raccomando di sfogliare, se già non lo avete fatto, il saggio di Saskia Sassen, "Le città nell'economia globale".
Mi interessa ripercorrere solo alcuni passi. La Sassen afferma che le città si stanno avviando ad una dimensione terzomondistica. Oggi nelle periferie ma anche nei centri storici si assiste al fallimento dell’inclusione di un certo tipo di popolazione con lo spargimento della disoccupazione e del precariato, il precipitoso declino del patrimonio edilizio e con traboccamenti sullo spazio pubblico (l’economia informale, l’arte di strada e, non certo ultima, la malavita) che esprimono tensioni allarmanti.
La politica episodica dell’Amministrazione comunale milanese non è solitaria; molte altre Amministrazioni, attratte dal gettito prodotto dall’edilizia nuova, sottovalutano i problemi che essa trascura e accentua sul territorio.
Va denunciata a nostro avviso l’assenza del mondo pubblico di fronte a questi aspetti del sistema sociale complesso e del suo ambiente difficile (anche la triste periferia milanese è paradossalmente e vivacemente abitata), assenza che implica ingenti trapassi di risorse da investimenti innovativi a investimenti speculativi, dalla città del disagio a quella più appariscente e consolatoria dei grattacieli.
Occorre discutere sull’uso delle strade sotterranee: sono condotte per raggiungere le emergenze della città o “secanti” per inondare di traffico tutta Milano? (una politica controcorrente rispetto alle maggiori metropoli europee)
Dobbiamo temere che la riforma dell’ordinamento della Regione Lombardia (Legge 12 del 2005) rimuova la dimensione della territorialità, ignorando il nodo dell’area metropolitana e incitando a una compromissione del suolo sempre più disorganica e inospitale.
In una prospettiva di “urbanizzazione” del sottosuolo, centrale diventa per esempio l’uso che si intenderà fare delle strade sotterranee.
In realtà il tema che non si vuole discutere è ancora più generale e inquietante: riguarda l’accensione di una ipoteca secolare (la concessione novantennale) su una risorsa sempre più preziosa per creare una attrezzatura scarsamente reversibile e, come nel caso dei parcheggi, un servizio probabilmente assai meno longevo.

Infine, la dimensione progettuale investe anche la qualità dei luoghi che fanno interagire soprassuolo e sottosuolo, allargando la riflessione a un risvolto più propriamente architettonico del progetto.

Incominciamo con il registrare la molteplicità degli approcci in campo: parecchi di noi stanno per esempio sostenendo un ruolo importante nei cosiddetti Comitati di quartiere e non unicamente quando è all’ordine del giorno il tema dei parcheggi.
Sulla proliferazione di questi comitati ascoltiamo spesso invettive che li bollano come organismi antidemocratici, intenzionati a rovesciare le scelte della maggioranza dei cittadini.
A noi questa analisi sembra semplicistica e fuorviante.
In un saggio, scritto addirittura una trentina di anni fa, Klaus Offe metteva, certo, in luce i limiti di una contestazione che nel mondo tardomoderno scaturisce dal declino delle classi della società industriale e dalla crescente complessità e, aggiungeremmo, “dematerializzazione” e “atopia” delle attività umane: un processo, del resto colto e percorso da molti filosofi, sociologi, politologi e antropologi prima e dopo Offe.
“Dematerializzazione” e “atopia” paiono essere lette come supporti di una modernità “irriflessiva” soprattutto oggi, quando appaiono contraddette da una “rispazializzazione” del mondo tardomodermo agli antipodi dell’“urbanizzazione leggera” intrinseca a una felice quanto evanescente postmodernità.
Alla periferia e a ogni altra sacca di degrado si accompagnano i nuovi prodotti di questa tarda modernità: dalle infrastrutture e dalle attrezzature di trasporto alle piattaforme logistiche, dalle fiere ai centri commerciali
Prendono corpo un disagio e una protesta nei termini illuminati da Offe che è anche, più o meno consciamente, lontana dalle prospettive e utopie proprie delle “grandi narrazioni”, l’illuminismo, la scienza, il marxismo, dominanti la prima modernità.
Nelle doglianze “monotematiche” cadono anche quelle di chi il parcheggio per la propria automobile ce l’ha già e protesta perché infastidito dal cantiere che reca disagi e degrado ma e’ inevitabile qualunque sia il modello di accessibilità è altrettanto certo che esse portino a galla diversità concrete
I “monotematismi” rivelano il malessere e l’angoscia di chi viene estraniato o manipolato da un sistema sociale sempre più virtualizzato e autoritario come il “furore” di chi gli si oppone ideologicamente e radicalmente.
Ci sembra opportuno riflettere su quel costrutto (il “sociale complesso”) e il suo ambiente umano e fisico (l’”ambiente difficile”) che il mondo della politica sembra su opposte sponde rifuggire e la società di massa rimuovere.
Più specificamente (il traffico, i parcheggi, l’accessibilità, la mobilità) ci serve ripensare l’esperienza europea per una sua rivisitazione critica.
Sia chiaro. Non pensiamo di potere valutare “costi” e “benefici” e, a dirla tutta, tantomeno crediamo nell’attualità di certi modelli di analisi; sentiamo, invece, il bisogno di accertare nuovi vincoli e di scoprire interazioni trascurate o ignorate, peraltro e frequentemente già in processo nei “monotematismi” e altrove.
Cerchiamo, insomma, di “stare dentro” i problemi che ostacolano oggi l’organizzazione di città e territorio, consci tuttavia della necessità di cercare nuove interpretazioni del sistema territoriale e nuovi strumenti di politica del territorio, ma attribuendo al progetto un ruolo di assoluto rilievo.
Con l’incontro di 'stasera speriamo di intravedere e, forse anche, di incominciare a prendere confidenza con un orizzonte problematico meno “gridato” e più lucido: allo scopo di rimettere a fuoco i nostri apparati disciplinari e istituzionali in un quadro di politiche del territorio meno approssimative e meno mistificatorie di quelle rintracciabili intorno a noi.

Non si tratta soltanto di individuare una politica della sosta in un modello di traffico “dato”, quanto di perseguire una accessibilità diversa e meno subalterna al traffico privato; rispetto al quale la sosta può e deve essere un potente regolatore. Rispetto al quale la mobilità deve essere selezionata in funzione di un chiaro disegno che tenga conto del conflitto apertosi fra la città e l’automobile; conflitto che torna a manifestarsi in tutta la sua gravità e acutezza a proposito del ruolo da attribuire alle strade sotterranee.
Una politica mirata di tariffazione del traffico veicolare privato appare determinante per garantire il successo e la sostenibilità di un modello insediativo ad alta densità, com’è già oggi quello di Milano. Tale politica può applicarsi ai transiti veicolari nelle aree più critiche o lungo i grandi corridoi infrastrutturali (Londra da un lato, Oslo dall’altro sono esperienze di road pricing su cui riflettere); può applicarsi ad ampie parti del sistema della sosta, differenziandone accuratamente le funzioni (le esperienze di park pricing in Italia sono variegate e meriterebbero un bilancio).
Lascio, per finire la mia esposizione il contributo di un designer, un antropologo, un romanziere, che hanno detto la loro sulla crisi dello “spazio assoluto” che idoleggia le geometrie mentali e condiziona ancora sensibilmente il progetto.

TRAFFICO E FORMA SIMBOLICA
Il traffico è uno dei principali campi di battaglia nella lotta che la città conduce per conservarsi un luogo ove la vita umana possa continuare a svolgersi, a progredire, a raggiungere i suoi fini organici e simbolici. Negli sforzi che noi facciamo per articolare la vita urbana, il traffico e lo stazionamento dei veicoli sono un elemento di disordine, di confusione.
Anche se le nostre concezioni spaziali ed estetiche sono mutate, sappiamo, per esperienza accumulata, quale deve essere il giusto assetto spaziale di forme spaziali correlate. Ci manca, invece, un orientamento storico che possa aiutarci a correlare forme spaziali statiche - come gli edifici – ai mezzi di trasporto moderni, in rapido movimento.
Gyorgy Kepes: Note sull’espressione e la comunicazione nel paesaggio urbano in “Le metropoli del futuro” a cura di L. Rodwin (1960); Marsilio editore, Padova, 1964.

CAMMINARE PER LA CITTA’: VOYEURS E PODISTI
Vi è un’estraneità del quotidiano, sfuggente alle totalizzazioni immaginarie dell’occhio, che è priva di superficie o è soltanto un limite avanzato, un bordo che si staglia sul visibile. Da questo insieme, cercheremo di sceverare le pratiche estranee allo spazio o delle costruzioni visive, panottiche o teoriche. Pratiche dello spazio che rinviano a una forma specifica di operazioni (), a (un’esperienza , poetica e mitica dello spazio) e a una dipendenza opaca e cieca della città abitata: Una città transumante, o metaforica, s’insinua così nel testo chiaro di quella pianificata e leggibile.

Michel de Certeau: L’invenzione del quotidiano (1990); Edizioni Lavoro, Roma, 2001.

DIETRO LA TORRE
La finestra della mia stanza dava su una specie di terreno abbandonato dietro alla torre. Era sicuramente quello che restava della campagna prima che il palazzo fosse costruito. Bisogna chiarire bene una cosa. Qui c’era la campagna prima, vi assicuro, la vera campagna. Con campi a perdita d’occhio, foreste, e forse anche animali selvaggi: Mica facile immaginare che queste torri non siano sempre esistite.
(Benchetrit racconta una scena serale di violenza e il mattino dopo il gioco di due ragazzi che cercano di fare andare una bicicletta con una ruota sola).
E mi sono detto che i terreni abbandonati sono una sorta di teatro con un’unica rappresentazione e dagli spettacoli a volte sorprendenti.
Samuel Benchetrit: Cronache dall’asfalto (2005); Neri Pozza, Vicenza, 2007.

CINI BOERI
Sono l'arch. Cini Boeri e da tempo mi occupo del parcheggio di S. Ambrogio. Stiamo parlando di tutti i posteggi che oggi bucano il sottosuolo di Milano. Occorre riflettere di come e dove farli. E’ l’amministrazione precedente che ha dato le concessioni. Io sono particolarmente preoccupata per il buco di S. Ambrogio, piazza dove vivo da anni e dove sta la basilica romanica intestata al patrono della città. Io ho cominciato con altri residenti a lamentarmi e a scrivere articoli sui giornali e alla signora Moratti.
L’altro giorno il Corriere pubblica un’intervista a De Alberis, capo di questo progetto alla quale oggi ho risposto con una mia lettera alla stessa testata, che mi viene gentilmente pubblicata – a parte la censura di alcuni aggettivi forti – e che passo a leggere.
“Le parole di Claudio De Albertis, presidente di Assimpredil, sollecitano ancora una volta il mio desiderio di dare risposta a dichiarazioni autorevoli ma, secondo me, assurde. Vorrei sapere come si possa assimilare il progetto del metrò a quello dei posteggi sotterranei.
Mentre il primo vuole scoraggiare il traffico automobilistico in superficie, il secondo invita tutte le auto di Milano e dintorni ad attraversare il centro trovando facile posteggio.
Mi parrebbe giusto che De Albertis onestamente riconoscesse che questi box sotterranei sono finanziariamente molto redditizi per chi li propone. Quindi, vediamo cosa si può dire di questi progetti. Buchi, buconi nell'area anche centrale della città, distribuiti senza un piano regolatore che ne controlli l'ubicazione e ne giustifichi l'utilità. Operazioni concesse, non da questa, ma dalla precedente amministrazione, in odore di occulti scambi di potere.
Si può con leggerezza parlare delle «crepe» che potrebbero interessare gli edifici vicini agli scavi, dimenticando che il vero rischio sarebbe, per esempio, per due campanili dell'XI secolo vicino ai quali vengono scavati 5 piani di posteggio? Parlo naturalmente della piazza Sant'Ambrogio, e denuncio ancora una volta la sua assurdità a fianco di una Basilica romanica il cui valore storico è noto in tutto il mondo. Denuncio la sua inutilità, visto che le molte auto che coprono indiscriminatamente i suoi lati non esisteranno più, poiché la caserma della polizia sta cambiando sede e le molte auto dell'Università Cattolica troveranno posto nei due grandi cortili della caserma. Si tratta di una piazza che meriterebbe grande rispetto, con traffico limitato o solo pedonale. Chiedo nuovamente al ministro per i Beni e le Attività culturali, al sindaco, all'assessore alla Cultura, di decidere con coraggio la chiusura dell'orrendo squarcio che deturpa la piazza.”
Non ho altro da dire, grazie.

FEDERICO ACUTO
Ho in mente una gita in Olanda in cui a un certo punto i cartelli diventavano rossi (red route) e – da buon italiano – volendo arrivare proprio in centro in macchina, non avevo altra scelta se non quella di essere inghiottito da un parcheggio. Era una città più piccola, ma mi auguro che politiche simili possano essere adottate anche a Milano.

GIORGIO GOGGI
Vorrei parlare soprattutto del processo generale che si mette in atto nelle città europee per diminuire il livello di traffico e migliorare la qualità di vita in città, con il piano della mobilità e il piano urbano dei parcheggi cui ho personalmente partecipato.
Tutti questi piani hanno avuto l’obiettivo di mantenere Milano ad un livello europeo, contenendo l’invasione del traffico.
Bisogna trovare i modi di un’accessibilità meno succube del traffico privato. Bisogna però ricordare che il trasporto pubblico costa moltissimo per cui è difficile per un’amministrazione investire in quel settore.
Giustamente il titolo che è stato dato a questa serata riguarda il sottosuolo e non solo i parcheggi.
Meglio utilizzare il sottosuolo per le grandi reti di parcheggi ferroviarie e metropolitane, poi per le strade sotterranee (quelle ragionevoli) ed infine per i parcheggi, che sono un elemento importante per ridurre il traffico e riqualificare la città. Mi è capitato spesso di trovare conflitti nell’utilizzo del sottosuolo tra le necessità delle metropolitane e degli sviluppatori immobiliari, più che di quelle dei parcheggi. Non possiamo pensare che la necessità dei parcheggi sia così limitata nel tempo.
Io non riesco a vedere nel futuro città senza auto. Vedremo auto che inquineranno meno (idrogeno), perché l’industria è più veloce nel modificare la tecnologia, che i pianificatori nel modificare le infrastrutture. Avremo sempre e comunque il problema della congestione e della massa di auto, anche quando le macchine non inquineranno più.
Questo è un problema che non è possibile affrontare nella sola logica trasportistica, ne’ nella logica anti inquinamento, ma che deve invece vedere anche la riqualificazione del paesaggio urbano.
Per far questo i parcheggi sono solo un punto del piano complessivo. Di seguito ecco un elenco di provvedimenti da attuare.
ELEMENTI DI UN PROGETTO COMPLESSIVO PER LA MOBILITA’ E LA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE URBANE

1 Passanti ferroviari e ferrovie regionali
(I passante, II passante, SFR ampliato)
2 Espansione della rete delle metropolitane (20.000 passeggeri l’ora)
(Estensioni M1,M2,M3 e M4, M5, M6)
3 Trasporto pubblico di superficie (ferro e gomma)
4 Interscambi
(ferro-ferro e ferro-gomma, parcheggi)
5 Rinnovo e messa in sicurezza della rete stradale
(attuare la gerarchia del CdS: scorrimento e locali)
6 Stazionamento operativo pubblico
(parcheggi art. 37bis l. 109/94=BOT)
7 Stazionamento residenziale
(parcheggi art. 9 l. 122/89=BOT)
8 Regolazione della circolazione e dello stazionamento
- sosta a pagamento (giallo/blu)
- nuovo piano di circolazione del Centro storico, PP Zona 1
- Piani Particolareggati della Zone 2-9
9 Isole ambientali e pedonali
- togliere intere aree dalla rete transitabile
- non consentire aumento della capacità di stazionamento
- riqualificare il paesaggio
- aumentare la sicurezza
10 Sicurezza

Questo elenco è importante per le interconnessioni che interagiscono tra loro. Di seguito la slide con i punti di interscambio metropolitana/ferrovia, una volta che sarà attuato il piano.

Nelle polemiche soprattutto giornalistiche si contrappone trasporto pubblico da quello privato, ma noi sappiamo che per quanto si investa nel trasporto pubblico, non riusciremo a diminuire a zero il trasporto privato. Le migliori città europee (Barcellona e Stoccolma) si attestano su un livello del 60%. Non si riesce a diminuire il trasporto pubblico a meno del 30/40%. Esso è composto spesso dalle categorie meno abbienti, che abitano lontano da stazioni di trasporto pubblico.
Per Milano questo 30/40% di trasporto provato gravita su strade inadeguate, producendo ingorghi, incidenti e inquinamento. Mialno ha un utilizzo del trasporto pubblico del 48/50% (fonte: rilevamenti del Comune di Milano e ATM). All’interno della cinta dei Bastioni sale al 70%, per l’intera area urbana siamo intorno al 30%, mentre intorno alle ferrovie Nord sale quasi al 70%. Il piano della mobilità del 2000 diceva che per passare dal 44% al 50% occorreva spendere più di 7.000 miliardi in potenziamento del trasporto pubblico. Il ritmo degli investimenti è stato mantenuto, ma siamo ancora lontani dall’aver raggiunto questo livello.
Abbiamo molta strada da fare. Nuove linee di trasporto e nuove strade. Dire “non usate l’auto” non serve a molto. Occorre potenziare lo stazionamento operativo pubblico e poi quello residenziale. A Milano non ci sono neppure ancora i parcheggi di interscambio per la Stazione Centrale e Nord. Non tutti all’interno della città abitano ad una distanza ragionevole da mezzi di trasporto, per questo è necessario uno stazionamento di interscambio.
Il parcheggio residenziale toglie dalla strada auto e riqualifica il paesaggio urbano (a patto che nel soprasuolo non si realizzino altri parcheggi).
Altro problema. La realizzazione del parcheggio per lo stazionamento privato nel sottosuolo consente di mettere a disposizione in certe zone la quantità di stazionamento necessario per poter attuare sistemi di regolazione stringenti, come quelli con le strisce gialle e blu. Purtroppo in molte zone della città non esiste abbastanza spazio. Poi viene la regolazione fatta con sistemi di gestione e non con infrastrutture. Milano aveva deciso di adottare il doppio sistema strisce gialle e strisce blu, perché esso consente di gestire e regolamentare molto meglio la sosta. Pensiamo che Milano ha una propensione per la seconda e la terza auto. Questo intervento ha avuto ottimi risultati.
Milano è molto reattiva agli interventi che si fanno. Ogni nuovo mezzo di trasporto che si lancia viene utilizzato moltissimo. Oggi il nuovo passante ferroviario al mattino porta 5.000 passeggeri. Qualche anno fa si è fatto un piccolo servizio ferroviario tra Pioltello, Segrate e Greco e dopo una settimana era completamente saturo. Quando si è estesa la regolamentazione a strisce gialle e blu dalla striscia dei navigli ai bastioni, alla 90/91 si è avuta una diminuzione del 10% delle auto in entrata, per la prima volta nella storia di Milano e un aumento di un milione di presenze all’anno dei parcheggi di interscambio.
Quindi l’elasticità dei milanesi agli interventi che si fanno per ridurre il traffico è molto elevata. Il problema è che questi interventi bisogna farli. Altro aspetto importante è mettere in atto le pianificazioni particolareggiate del traffico per tutte le zone della città. Non ultimo per importanza il programma di realizzare nuove isole pedonali, come sulle aree di suolo sopra i parcheggi sotterranei o in aree centrali di particolare pregio artistico. Ovviamente occorre avere una buona accessibilità altrimenti queste aree vanno rapidamente in degrado. Queste isole ambientali devono essere dotate della giusta dose di parcheggi per potere essere raggiunte.
In sintesi: occorre togliere le auto dalla strada, mettendole sottoterra, senza aumentare il numero dei posti disponibili, per non aumentare il numero di auto in circolazione, riqualificando le aree soprastanti con zone pedonali, aumentando la sicurezza. A Milano il 62% degli incidenti non avviene sulla rete di scorrimento, ma su quella locale (dove occorrerebbe viaggiare a 30 km/ora. Intervenire realizzando isole pedonali nelle zone che non fanno parte della rete di scorrimento consente una diminuzione di morti e feriti sulle strade.
Tutti questi aspetti sono interconnessi. Non si può parlare di parcheggi senza pensare alle vie di scorrimento o ai mezzi pubblici serviti dai parcheggi di interscambio. Io sono piuttosto indifferente sulle sorti del singolo parcheggio. Se si fa il parcheggio di S. Ambrogio e non ci sono problemi archeologici per me è una buona cosa, perché si pedonalizza la piazza, se ci sono problemi monumentali e non si fa pazienza, ma il problema che il sistema complessivo deve garantire una riduzione complessiva del traffico e delle auto che stazionano sul soprasuolo.
In genere, nella mia esperienza, sono più i casi in cui l’obiettivo di riqualificazione ambientale di una parte della città porte all’identificazione di un parcheggio che viceversa.
Faccio un esempio. Il parcheggio della Darsena. Partito il progetto di pedonalizzazione, si è pensato ad un parcheggio, per rendere la zona accessibile.
Tutto ciò non è molto diverso di quanto si fa nelle città europee.
In questa tabella riassumo quanto programmato dalla incriminata giunta precedente.

SCHEDA PARCHEGGI IN REALIZZAZIONE A MILANO

Aggiornata al 15/05/2006

Tipologia
parcheggio Trovati nel 1997
A Realizzati
B Progettati o in corso di realizzazione
C Totale avviati
B+C
posti n. posti n. Posti Posti
Di interscambio 8.890 12 7.438 7 7.090 14.528
Residenziali 4.779 11 8.841 42 39.332 48.173
A rotazione 4.953 354 12.656 13.010
Totali 18.622 16.633 59.078 75.711

Fonte: Comune di Milano - Settore Strade Parcheggi Segnaletica – 2006

Distinguiamo le varie funzioni dei parcheggi. Quelli di interscambio, per arrivare ai mezzi pubblici e lasciare la macchina, sono solitamente ai confini della città. I parcheggi di cui parlo sono San Donato, Famagosta, Molino Dorino. Affori, Abbiategrasso e Comasina sono in costruzione. Essi sono un corollario della linea metropolitana. Poi ci sono i parcheggi residenziali, che non hanno una funzione trasportistica, tranne quelli che hanno una quota di parcheggi a rotazione. Servono per ospitare, fuori dalla sede stradale, auto che già sono in quell’area, con il criterio generale di non aumentare la capacità di parcamento in quell’area. A Milano le auto parcheggiate in divieto di sosta molto grave (attraversamenti pedonali, posti handicappati, incroci) sono 60.000. Infine ci sono i parcheggi a rotazione, dedicati al traffico operativo. Sono parcheggi a rotazione, come quelli in prossimità delle stazioni, per ospitare il traffico che comunque raggiunge il centro della città in auto. Questa quota di automobilisti non deve aumentare il traffico né degradare il paesaggio urbano.
Citiamo due esempi, incompiuti dalla precedente amministrazione.
Il piano particolareggiato del centro storico, già approvato e bloccato poi dall’attuale maggioranza.
Esso intendeva ridurre drasticamente la circolazione del centro storico e la sosta veicolare operativa in superficie, aumentare le aree pedonali, riqualificare le aree di pregio ed aumentare l’utilizzo del mezzo pubblico. Questo piano sarebbe riuscito ad abbattere del 50% il traffico nel centro storico, molto di più del ticket d’ingresso. L’idea era quella di eliminare la cerchia dei navigli come circonvallazione, oggi è una pericolosa via ad alto scorrimento, dove le auto circolano a più di 100 all’ora – un assurdo urbanistico e paesaggistico, portare la circolazione a spicchi sulla cerchia dei bastioni in modo da proteggere tutta la parte centrale della città consentire l’accesso al centro storico solo attraverso alcuni loop, che sono quelli segnati in blu, accesso che termini solo in parcheggi.
Solo in una prima fase concentrare tutte le strisce blu solo lungo i loop di accesso e le strisce gialle solo nelle aree intercluse, per disincentivare l’accesso in queste aree di macchine di non residenti e aumentare di molto le corsie preferenziali per il mezzo pubblico.
In seconda fase, una volta realizzati i parcheggi, sarebbero state eliminate tutte le strisce blu, per cui, chi avesse voluto entrare in città in auto, avrebbe per forza dovuto parcheggiare sotto terra, a tariffe gestite dall’amministrazione, che avrebbe potuto usare la leva tariffaria, se necessario, per diminuire il traffico.
L’attuazione di questo piano particolareggiato rendeva attendibile tutto l’insieme dei progetti complessi messi in atto per ridurre il traffico nel centro storico. Con questo sistema non sarebbe più stato possibile circolare su certe strade – per esempio la cerchia dei navigli – a parte i residenti, grandi spazi (i famosi 7.000 posti) sarebbero stati recuperati alla città ed usati per progetti di riqualificazione, progetti di pedonalizzazione erano già pronti (per esempio il progetto di Piazza Meda corrisponde a un progetto di pedonalizzazione già approvato).
Questo piano dovrebbe aver avuto una diretta influenza, non solo sugli aspetti trasportistici, ma anche sulla riqualificazione paesaggistica.
Se si faranno i 7.000 posti interrati e contemporaneamente non si elimineranno i 7.000 posti delle strisce blu, avremmo raddoppiato la capacità di parcamento in centro storico.
Se ora la nuova giunta vuole far pagare un ticket d’ingresso, ma non elimina i posti in superficie e non promuove zone pedonali, chi entrerà in città avrà strade su cui scorazzare e il doppio dei parcheggi dove trovare alloggio. Il risultato sarà quello di un aumento del traffico.
L’altro incompiuto di questo programma à stato il provvedimento di pagamento della sosta in superficie da parte dei residenti, cosa usuale in molti paesi europei, che purtroppo scandalizza i milanesi, ma che invece avrebbe consentito molti vantaggi.
Non si capisce perché chi usa il suolo pubblico per posteggiare la sua auto utilizzandolo come un parcheggio privato non debba pagare una piccola quota per l’utilizzo di questo suolo.
Questo interveto avrebbe avuto due vantaggi: il primo, banale, l’eliminazione dal suolo milanese delle 8.000 auto non rottamate, perché intanto si possono lasciare gratis in strada. L’altro di consentire di mantenere nel tempo l’efficacia del disincentivo alla sosta di strisce gialle e blu. Spesso, una volta consegnati ai residenti i contrassegni per la propria auto, essi tolgono l’auto dal garage e la parcheggiano in strada.

 

Sottosuolo: risorsa della città?
Seconda parte
Ore 21:00-23:00


Vi ringrazio per aver accettato l’invito a tenervi le domande per questa seconda parte. Chiedo ai gentili amici che interverranno adesso di condensare le loro osservazioni il più possibile. Non ho salutato ufficialmente Giovanni Oggioni che ha sempre il ruolo difficile di riportarci alla dura realtà.
L’intervento di Giorgio Goggi ci ha riportato a una complessità delle politiche ma lo scollamento che si percepisce poi nelle opinioni, nel comune sentire, deve indurre a una riflessione, anche a noi tecnici, perché qualcosa non funziona.
Le questioni localizzative devono essere indagate per quello che sono pur dentro una politica generale.
Lascio la parola a Oggioni.

GIOVANNI OGGIONI
Riporterei il discorso alla questione che è stata posta nel titolo: Sottosuolo: risorsa per la città? Per inquadrare bene questo problema dobbiamo fare qualche passo indietro, necessario per ricordare i temi nell’ordine, cercando di mettere sul tavolo alcuni argomenti che possano essere argomenti di riflessione per giudicare meglio quanto sta avvenendo. Per parlare del sottosuolo della città occorre fare qualche passo indietro. A Milano, e in Italia in generale, veniamo da una storia che interessa alla pianificazione urbanistica un po’ curiosa. Lo strumento sull’utilizzo del suolo e del sottosuolo si appoggia su uno strumento regolatore, che come molti urbanisti sanno è sostanzialmente quasi inefficace per molti aspetti. In particolare per 2 punti fondamentali: Il primo: impasta insieme gli aspetti di strategia e di politica con gli aspetti legati al diritto. La matita di chi disegna il piano non è libera di disegnare il suolo e la città cosi come l’architetto vorrebbe ma questa matita determina diritti e non diritti sul suolo e quindi è fortemente influenzata dalle pur giuste forze che determinano il potere della città.
Il secondo punto, che affianca questo tema, è che noi siamo figli del diritto romano e quindi abbiamo il cosiddetto ius aedificandi, dal cielo fino agli inferi, legato alla particella catastale di cui siamo proprietari, particolari molto banali ma che hanno influenzato la costruzione della città negli ultimi 100 anni. Tutti i paesi moderni soprattutto quelli del nord Europa hanno da tempo risolto questo problema mentre gli italiani che si sono succeduti dall’unità d’Italia ad adesso hanno avuto il coraggio di legiferare su tutto ma non in materia di edificazione immobiliare. Noi ora abbiamo (dal 2005 in avanti) pur con molti ostacoli, in quasi tutte le regioni italiane e una grossa opportunità: La variazione del titolo V della costituzione affida la normativa urbanistica alle regioni. La regione Lombardia ha prodotto una discreta legge che ci consente di avere uno strumento che non è più il piano regolatore ma di avere uno strumento diverso che è “costruzione del piano e governo del territorio” che sposta l’attenzione dalla regolazione dell’uso del suolo al governo del territorio (tutte le componenti che riguardano l’uso del suolo, come trasporti, economia ecc). Strumento nuovo, pochi comuni lo stanno affrontando, che getta le amministrazioni nel panico. I piani regolatori che si succedevano nel territorio erano sempre figli di quello precedente ma mai si è pensato radicalmente di modificare lo strumento. E guarda caso un numero della rivista Quaderni di urbanistica descrive il vecchio piano che, tra le varie pecche, conteneva degli errori di prospettiva piuttosto grossi tra i quali, per esempio, il fatto che non prevedeva il sistema di parcheggi tra le opere di urbanizzazione.
Forse questo errore è stato determinato dal clima in cui il piano è stato costruito -1975 e poi approvato nell’80, mentre in tutta Europa l’industria stava delocalizzandosi, mantenendo una struttura di previsione industriale abbastanza forte, che ha poi ha provocato qualche problema di utilizzo di quei suoli.
Il piano di governo del territorio si distingue dallo strumento del piano regolatore perché divide in 3 strumenti diversi la sua conformazione, affida a un documento di piano gli aspetti di strategie, le volontà politiche che devono essere esplicitate direttamente, non più una relazione di piano ma un documento proprio. Quindi l’amministrazione deve esplicitamente dire se intende schiacciare l’acceleratore sul servizio pubblico, sull’ampliamento della rete metropolitana…c’è un documento apposta.
Un piano delle regole, che definisce dei diritti, che non stanno nello stesso posto delle strategie. Possibilmente devono rimanere invariati e uguali per tutti, indipendentemente dalle politiche e un piano dei servizi che costituisce l’ossatura della città pubblica, tutto il requisito di attrezzatura della città, non solo i servizi che prima erano parametrati con delle quantità più o meno fisse, ma una individuazione propria per ciascun comune. La legge dà la possibilità a ciascun comune di scrutare le proprie specificità, redigere un catalogo dei servizi, poiché ciascuno ha condizioni fisiche, naturalistiche, economiche diverse. Quindi il compito dell’urbanista e di chi lavora sulla programmazione del suolo si complica un po’.
Nel caso di Milano abbiamo individuato 7 obiettivi su cui stiamo ancora lavorando, che sono obiettivi a carattere molto strategico e largamente condiviso: l’ampliamento del mercato urbano, il miglioramento del rapporto tra i nodi infrastrutturali e i progetti urbani, la definizione di un nuovo piano del verde, la riduzione di consumo di suolo, il potenziamento del sistema dei servizi, l’introduzione dei meccanismi per distribuire meglio i diritti e il miglioramento della qualità dell’ambiente.
Questi obiettivi vanno a interferire nei vari strumenti in diverso modo. Non stanno tutti in un documento ma in diversi documenti. Vuol dire che gli stessi obiettivi, per essere raggiunti, hanno bisogno della cooperazione di diversi strumenti, attori, settori, per il raggiungimento del target prefissato.
Se si disegna un piano urbano della mobilità che prevede una politica di spostamento della sosta dal suolo al sottosuolo non può essere un atto che vaga tra le politiche dell’amministrazione ma deve essere incastonato tra una serie di politiche, ad esempio deve essere coerente con le politiche di pedonalizzazione, di ciclabilitè, viabilità, di trasporto pubblico ecc..
Ecco che è un processo politico molto più complesso e dinamico. Ogni determinazione comporta una valutazione complessa comparata integrata con un sistema di politiche. Costruire questo sistema di politiche è il compito che l’amministrazione avrà in futuro e purtroppo non ci sono queste figure professionali capaci a sviluppare questo tipo di lavoro.
La legge chiede che tutti questi strumenti vengano messi insieme a uno strumento di origine comunitaria che è la valutazione ambientale strategica (una sorta di certificazione tipo ISO 9000 del piano). A luglio faremo una conferenza pubblica del territorio in cui presenteremo gli obiettivi e gli indicatori di questa valutazione, perché i cittadini devono accompagnare i processi di formazione del piano passo per passo. Questa procedura, che ci deriva da una normativa europea, è una procedura che consente questo tipo di saldatura tra le diverse politiche e la certificazione della congruità di queste politiche.
Questi 3 strumenti (documento di piano, il piano dei servizi e il piano delle regole che si fondono in un unico strumento hanno a che fare con altre cose al contorno (piano territoriale regionale, il piano dei parchi, il piano territoriale di coordinamento provinciale, i lavori della conferenza dei sindaci, che decide sul territorio l’infrastruttura, il piano della cintura urbana e il piano dei trasporti. Dentro questi piani deve essere costruito un piano di utilizzo del sottosuolo, che è una risorsa della città, anche per delle funzioni principali (v. Barcellona per funzioni commerciali, di spettacolo…). Ovviamente non dobbiamo confondere gli strumenti con gli esiti. Per esempio in Olanda stanno utilizzando gli spazi sopra le infrastrutture, cosa che noi ancora non facciamo. A Milano il piano regolatore ha generato dei casi abbastanza singolari: per esempio abbiamo un’università, la Bicocca, che non è raggiunta dalla metropolitana, la quale a Bisceglie sbarca su un grande prato deserto. Se non consentiamo ai volumi di spostarsi con profitto sul territorio, questo meccanismo sarà difficile da riuscire a saldare; un piano ha almeno 25-30 anni di sguardo davanti.
La cosa più importante - lavorando sul piano - è stato provare a scostarci dall’incrostazione normativa precedente. L’ossatura di questo sistema urbano è la mobilità pubblica e di conseguenza quella provata. Abbiamo costruito uno sguardo sull’accessibilità pubblica e una serie di punti raggiungibili con la metro e delle grandi concentrazione dei punti di forza (Nuova Fiera, Molino Dorino, Affori, Cascina Gobba, San Donato, Rogoredo...) poi parti bianche, che sono inaccessibili. Non sono non costruite, anzi in alcune di esse ci sono pure dei progetti di sviluppo. Bisognerebbe svuotare dove non accessibile e densificare dove raggiungibile. Milano è poco densa, ma è mal distribuita. Ci sono punti densi e altri rari e poco utilizzati.
Abbiamo lavorato ad un piano sulla cintura verde che si deve integrare con tutto quanto è stato detto prima.
Vorrei arrivare a una questione importante, in relazione all’utilizzo della risorsa sottosuolo. Quando abbiamo dovuto pensare alla città pubblica e quindi al sistema dei servizi, ci siamo chiesti come fare a misurare la domanda e l’offerta.
Volevamo misurare quanto in un quartiere i servizi esistono o non esistono. Abbiamo individuato le scuole primarie come primo elemento di servizio di raggiungibilità pedonale, ma potrebbero essere le parrocchie; attorno a questo elemento abbiamo costruito introducendo un livello fisso, quello costituito dalle barriere degli assi di attraversamento e abbiamo individuato delle aree locali di servizio (circa 140 a Milano) e questo ci ha consentito di separare la città di chi vive dalla città di chi attraversa o usa. Questo per stabilire se e quando il parcheggio serve, ma soprattutto che qualità di parcheggio. Per esempio ritengo ci sia una grossa differenza tra un parcheggio a rotazione o anche interrato e il box; perchè il box diventa la casetta della macchina. Uno ci mette la macchina bella, il vino, gli sci poi compra la macchina scasssata e la mette nello spazio pubblico, che è spazio di nessuno. Invece non è così: lo spazio è della città e la città deve riappropriarsene. Possiamo realizzare delle superfici usate di giorno da qualcuno e di notte da qualcun altro.
Su questi layers che contengono questi confini abbiamo caricato tutti i livelli di servizio e abbiamo immaginato non solo i livelli dei residenti ma anche chi vive la città e diviso l’utilizzo di queste aree a seconda delle loro funzioni. Se appoggiamo il complesso di aree destinate a servizi e il complesso di aree destinate alla mobilità sulla stessa carta e ne diamo una lettura comparata si intravede subito quali sono il livelli di criticità del territorio e quali i livelli di necessità di intervento che il piano di governo del territorio dovrà risolvere concentrando attenzione su alcuni punti. Non trattiamo Il territorio allo stesso modo, ma cerchiamo di mirare le azioni di trasformazione o di liberazione del suolo laddove necessario. Per attivare questo meccanismo siamo passati a una fase anche più approfondita e più filosofica. La città è fatta di vuoti e di pieni stiamo lavorando sul vuoto e sui pieni. La somma di questi determina la città; dobbiamo attivare dei meccanismi che consentano di trasferire i diritti edificatori liberamente, non legandoli a semplici progetti di trasformazione urbana, che trovano la loro coerenza esclusivamente nell’ambito di un perimetro, ma legandoli a un sistema delle trasformazioni ampio. Solo con una lettura di questo genere possiamo calcolare in maniera dinamica l’utilizzo del nucleo di questo grande sistema urbano che è la regione lombarda milanese (7 milioni di abitanti, ma io sarei già contento di considerarla 3,5 milioni prima cintura max 2a cintura, le parti che generano la maggior parte degli spostamenti a scala intermedia) e andare a individuare politiche che nel tempo risolvano problemi di congestione determinati dal traffico. Es: lo spostamento di alcune funzioni all’esterno della città (Fiera Rho-Pero) nel senso di città più grande dei limiti a cui è costretta, il carico delle linee metropolitane, non solo piene la mattina e la sera, per sfruttare il mezzo, lo sviluppo di funzioni poste nelle vicinanze degli assi di trasporto pubblico.
L’utilizzo del sottosuolo deve essere letto all’interno di questa politica e quindi vada a determinare se si deve fare una strada interrata che porta da un luogo all’altro della città, o che porti un’autostrada dentro o che attraversi determinate aree dove sono gli spazi dei parcheggi privati. Non basta che i vigili mi calcolino la quota di sosta notturna irregolare per dire che c’è bisogno.
Occorre un’analisi morfologica, architettonica della città. Questi elementi possono essere studiati con un sistema di pianificazione dinamico che può consentire all’amministrazione di liberare suoli anche privati. Posso andare da un proprietario di aree e dire i tuoi 10.000 m3 non li realizzi qui ma in un posto dove magari guadagni anche di più, perché servito dalla metropolitana, quell’area me la dai e ci realizziamo un parcheggio interrato, sistemando il soprasuolo a giardino, a mercato ecc ecc..
Si determina non a caso, ma dall’analisi dei servizi di ciascuna area locale, che sono piccole città, di 10.000 abitanti. Dagli strumenti di base possiamo aggiungere dati più approfonditi, come i dati anagrafici che ci danno anche la composizione della popolazione.
Non possiamo certo guarire un grande malato. Il compito nostro, del tecnico, è quello di fornire gli strumenti corretti per operare, abbiamo campato tanti anni senza gli strumenti adatti. Adesso dobbiamo mettere all’angolo il politico, lo strumento c’è e funziona, dobbiamo osare ed esprimere le politiche, e vi assicuro che questo è il lavoro più difficile che un politico possa fare.

FEDERICO ACUTO
Mi permetto un passaggio velocissimo. Oggioni fa parte di una generazione di dirigenti pubblici che ha cambiato le carte e lo ringraziamo per questo. Io ho un sogno ricorrente, con un ampio gruppo di amici di fare un grande plastico in cui fisicamente con Giovanni posizionare le torri. Un edificio, un grattacielo pubblico dovrebbe essere sulla metropolitana…

GIOVANNI OGGIONI
Voi sapete che sono sempre stato un convinto propugnatore dei concorsi di progettazione, una sorta di secondo lavoro per l’amministrazione. La Regione Lombardia ha fatto l’edificio più importante della Regione, nel quartiere più importante di Milano, nella città più importante della Lombardia, non ha mai organizzato concorsi, nella giuria non c’era un membro del Comune di Milano, questo è un sasso che ho nella scarpa…

ALDO CIOCIA
Nonostante ci interessi un argomento specifico, questo ci obbliga a fare un ragionamento ampio sul senso della città, sul senso delle sue trasformazioni e su ciò che viene investito da queste trasformazioni.
Nel preparare questo intervento ho avuto vari dubbi e alla fine ho scelto di variare un po’ il taglio della presentazione per lanciare alcune provocazioni, cosa che mi sembra indispensabile. Sarò piuttosto schematico e spero che sarà utile.
L’ultimo scambio di battute, sul palazzo della Regione, dell’arch. Oggioni mi fa molto pensare al significato della pianficazione… Coloro che lavorano nel settore si chiedono se essa è ancora un valido strumento per perseguire un modello razionale di città e qui sta sera ci sono prestigiosi urbanisti, che spero possano concordare con me che in realtà il lavoro di pianificazione è quello di prevedere e guidare il caos. È assolutamente un caos che la Regione Lombardia scelga, come ha scelto, di collocarsi con quelle modalità nell’area del centro direzionale, è un caos, che in altri termini su un piano diverso, ci si trovi a discutere degli effetti di un sistema autostradale che dovrebbe agevolare la mobilità nell’area metropolitana milanese ma che a sua volta crea dei nuovi effetti perversi. Quello che vedete è un modello noto, quello dei flussi. Il rosso è il traffico in più rispetto ad oggi acquisito dalla Cassanese e dalla Rivoltana nel caso della costruzione della autostrada Brebemi. Vediamo quale è una delle contromisure per moderare questi effetti: la tangenziale est-esterna per diradare questo flusso di traffico che tende ad aumentare del 50% il traffico attuale (25.000 veicoli in più al giorno). Questi veicoli su 2 assi radiali non possono essere gestiti dalla politica dei parcheggi interrati. Questo succede per un gioco di convenienze nello spostamento, che ci fa scegliere un modo piuttosto che un altro. E piani locali e provinciali, la risposta è quella di una tendenziale mobilità su mezzo privato. Questo rende molto complicato affrontare la situazione sia all’esterno che all’interno. Questo avviene in assenza di contromisure.
In questo scenario il servizio ferroviario regionale, potrà efficacemente porsi come concorrente alla mobilità quotidiana.
Resta il fatto che, in base ai livelli di stima della regione Lombardia, la tendenza è fortemente diretta per i prossimi 5 anni all’uso del mezzo privato.
La pianificazione è un modo di guidare il caos perché l’uso del mezzo privato è un fenomeno di individualismo di massa e un fattore che complica le prospettive di sviluppo insediativo.
Con questa interazione così stretta tra accessibilità, individualismo di massa e debolezza dei piani ci sono molti problemi da sciogliere. Io ho ammirato tutto il lavoro fatto da Goggi durante i suoi due mandati. Ciononostante trovo ci siano 3 questioni da risolvere. Il primo dilemma è quello tra compattezza e dispersione dell’area insediata. Come sappiamo c’è una propensione alla densificazione del tessuto, che ha dei risvolti che occorre capire. Faccio un esempio: a Roma nel centro storico raggiungiamo i 22.000 addetti per km2. Questo avvicina molto Roma a Milano.
Le densità di abitanti sono invece meno critiche rispetto ad altri casi. Se guardiamo la Central London per esempio superiamo gli 8.600 abitanti per km2 si concentrano nell’area più densa e costituiscono un’incredibile sfida, che ha portato la città in un arco secolare ad attrezzarsi per servire oltre 1milione di spostamenti in 3 ore, di cui il 36% con ferrovia regionale e metropolitana, questo è frutto di una secolare infrastrutturazione. Milano è molto distante da queste soglie di densità abitativa.
La frammistione di funzioni attrattive e di funzioni generative (residenti ed addetti) non è la medesima. Ne’ lo sono i mezzi pubblici. Abbiamo stazioni che possono raggiungere i 700 e anche i 1.200 mt di influenza. Si dice che a new York la gente cammini anche 20 minuti pur di non cambiare mezzo di trasporto. Tuttavia oggi Milano non è coperta dalla sotterranea, tanto che oggi abbiamo in cantiere ben 3 progetti di metropolitana.
Il comune di Milano ha in programma 3 nuove linee, ma non ha in programma i prolungamenti delle linee esistenti per servire la prima e la seconda cintura. No, a parte Mozzaretto ed Assago.
Il secondo dilemma è la tendenza di oggi. L’effetto della congestione delle tangenziali esterne è dovuta al fatto che la gente va abitare fuori Milano, per gravitare poi ogni giorno in città. Per trovare un grande parco occorre andare sull’Adda o sul Ticino. Ma i grandi parchi sono a Milano. Provate ad andare a paterno Dugnano, grande parco.
L’altro grosso dilemma è se affidarci a spazi aperti o a strutture per il parcheggio di questa grande massa di automobili.

Questo grafico mostra il rapporto tra parcheggi in struttura sul totale parcheggi disponibile.
Roma è tra i più bassi, Bolzano è tra i più alti, Milano è a metà.
Milano non è tra i peggiori, anche se molto resta ancora da fare. Pensiamo alla Darsena, a cosa si perde a non voler razionalizzare questa situazione e a permettere il caos che si crea ogni settimana ai Navigli. A pagarne le conseguenze non sono soltanto i visitatori occasionali, ma sono soprattutto i residenti, letteralmente sommersi da questi visitatori.
C’è un terzo dilemma che è quello del sovvenzionare questi progetti o finanziarli. Occorre ragionare con attenzione.
La speranza degli anni ottanta era quella di trovare tutte le risorse nel pubblico per finanziare spazi aperti e verdi. Oggi come oggi questa speranza è molto decaduta. Siamo molto condizionati dalla possibilità di affidare ai provati questi grandi progetti di infrastrutture.
È molto importante capire che il processo di riqualificazione che abbiamo in mente non può essere finanziato su due piedi, sia per l’onerosità delle opere che per la tempistica delle stesse.
I sistemi che Roma e Napoli stanno conducendo con determinazione e successo e con più soldi pubblici di quanti Milano abbia stanziato, non sono facilmente replicabili.
C’è un ultimo dilemma, che è quello della irreversibilità di queste strutture. Abbiamo strumenti pianificatori che possono maturare in tempi diversi e se la regia di queste strutture non è lungimirante – e come si fa ad esserlo dovendo regolare il caos – può capitare che un’infrastruttura importante, come una sotterranea trovi vincoli in strutture sotterranee di altro genere.
Questo è successo, per il secondo passante ferroviario che intercettava sul suo tracciato un parcheggio per residenti, in piazza Po.
La concessione era stata già data. L’assessore se ne rese conto e convinse la cooperativa che aveva l’appalto a spostare il parcheggio in un terreno avuto in donazione per lasciare passare la ferrovia. La lungimiranza è fondamentale, ma anche molto difficile da raggiungere.
Dalla soluzione di questi dilemmi esce un modello di città che mira ad una qualità ambientale alta: non era così solo che dieci anni fa. Certamente questi dilemmi saranno risolti dalla nostra sensibilità. Qual è il giusto dimensionamento di queste strutture, e del traffico privato rispetto al pubblico?

FEDERICO ACUTO
Una domanda: dove non fareste un parcheggio?
Aldo Ciocia: sotto via Marina
Giorgio Goggi: lo farei vicino a via Marina per ricostruire il boschetto del Pier Marini che mi interessa di più dei parcheggi. Non lo farei sulle linee dove può passare il trasporto pubblico o privato.
Giovanni Oggioni: non lo farei sulle direttive di trasporto
Silvano Tintori: alla Darsena anche perché avrei messo le auto alla stazione di Porta Genova e riqualificherei la darsena in quanto tale.




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