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Ampliamento dell'Università Bocconi

Anno: 1962 - 1964

Località: Milano, Vigentina

Indirizzo: via Gobbi 5

Destinazione d'uso: Edifici per l'istruzione

Progettista: Giovanni e Lorenzo Muzio

Nel progetto per i nuovi istituti per l’Università Bocconi, rispetto agli interventi in piazza Sant’Ambrogio per l’Università Cattolica, Muzio non è più chiamato a confrontarsi con un monumento storico, bensì con un edificio-manifesto del recente passato e insieme ad esso con la tragica vicenda di Pagano, emblematica della storia del Paese. Consapevole del superamento delle istanze razionaliste, ma al tempo stesso sensibile alla tensione progettuale e morale dell’architettura di Pagano, Muzio risponde, dopo più di vent’anni, con il massimo rigore formale e distributivo, stabilendo una sintonia più culturale che non formale con la sede esistente, evitando l’appiattimento manieristico.

Il corpo lungo su via Sarfatti ospita i nuovi Istituti, mentre il volume ad esso parallelo (rivolto verso la chiesa dell’architetto Ferdinando Reggiori del 1958-1961) è il deposito della biblioteca. Il magazzino è un grande blocco segnato da strette feritoie in vetrocemento che ospita due depositi, uno per scaffali tipo “compactus” e l’altro, di nove metri e mezzo di altezza per sessanta di lunghezza, per scaffali a quattro livelli. Le due ali sono unite dal corpo d’ingresso che chiude l’isolato e si contrappone all’architettura “aperta” di Pagano. L’ingresso, tuttavia, stabilisce un dialogo con la sede principale, riprendendo il tema del porticato. Il rivestimento è in clinker chiaro, lo zoccolo in trachite, mentre il soffitto del portico è in elementi prefabbricati in graniglia e cemento. All’interno della “C” definita da questi volumi si trova la nuova aula magna seminterrata, capace di ospitare 600 persone e dotata di impianti particolarmente aggiornati, compreso un palcoscenico mobile e alcune cabine per la traduzione simultanea. L’aula è chiusa da un soffitto a cassettoni di travi metalliche incrociate, nei cui riquadri si trovano dei corpi illuminanti con un tema decorativo studiato per migliorare la resa acustica. Esattamente sopra l’aula trova posto una grande sala lettura per 250 persone. I due ambienti sono accomunati da grandi vetrate verticali alternate a volumi ciechi sporgenti, che conferiscono all’insieme un aspetto quasi da architettura industriale. Nella parte più interna, infine, si trovano gli schedari per la ricerca e il banco di distribuzione dei testi, affacciati su un piccolo giardino interno a un metro e venti sotto il livello stradale.

La produzione di Muzio del secondo dopoguerra attinge ad un lessico architettonico e formale profondamente mutato, incentrato sulla riduzione della complessità, o addirittura, secondo alcuni osservatori, ridotto alla semplificazione volumetrica e alla rinuncia ad ogni valenza simbolica. Tuttavia la critica più recente ha riconosciuto come nelle opere di Muzio degli anni Cinquanta e Sessanta perduri la complementarietà tra architettura e urbanistica, così come la fedeltà al valore civile del costruire, più che mai necessaria nella ricostruzione postbellica della città.

PAOLO BRAMBILLA