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Zingonia mon amour…

Dal 06.11.2014 al 06.12.2014

Giovedì 30 ottobre si è svolto all’Ordine un incontro dedicato ad uno strano esempio di città di fondazione, studiato e presentato nella sezione Monditalia alla Biennale di Venezia. Un breve resoconto

Giovedì 30 ottobre si è svolto all’Ordine un incontro dedicato ad uno strano esempio di città di fondazione, studiato e presentato nella sezione Monditalia alla Biennale di Venezia. Ne hanno dialogato i curatori Marco Biraghi e Matteo Poli con Ugo de Bernardi, developer di lungo corso, accompagnati dalla curiosità di Franco Raggi. Un breve resoconto

Una storia singolare, molto boom e poco italiana, quella delle origini di Zingonia, che si lega a doppio filo con il destino del suo fondatore Renzo Zingone: imprenditore, banchiere, proprietario di miniere e perché no urbanista –come ha voluto inciso sul suo busto in bronzo esposto alla Biennale- tra utopia e finanza.
Dopo l’esperienza di fondazione di un quartiere molto corbusieriano a Trezzano sul Naviglio –il quartiere ancora oggi chiamato Zingone, 10.000 abitanti costruito in 4 anni-, persuaso così dal contenuto utopico della carta di Atene per la città moderna –abitare lavoro tempo libero circolazione-, decide di alzare il tiro, immaginando una città per 50.000 abitanti, da costruire su dei terreni agricoli della bassa e depressa bergamasca, in un area magicamente servita oltre che da ferro e gomma anche dall'acqua, anche questa disegnata con grande perizia dall'architetto Franco Negri.

Zingonia è un nome da città invisibile, ironizza a ragione Franco Raggi, il cui destino è presto affondato nelle paludi della politica -quella si, storia ahimè molto italiana. Al punto da fargli abbandonare dopo 10 anni oltre che l’avventura urbanistica, anche l’Italia, a favore di lidi e affari latinoamericani.

Marco Biraghi, professore ordinario di storia dell'Architettura del Politecnico di Milano, racconta così la sorprendente duplice mossa, al contempo utopica e predatoria, della sequenza: quartiere Zingone – Zingonia. Pur trattandosi di operazioni molto ravvicinate nei tempi, la seconda risente già della crisi che dopo il ’63 soffia a tempi alterni sull’economia italiana, oltre che ‘portare il piombo nelle ali’ insediandosi in un territorio appartenente a ben 5 (cinque) Comuni, segno di un rapporto con la politica ingenuo, sicuramente sottovalutato dall’imprenditore.

I capannoni industriali fungono da ossatura di entrambi gli impianti, costruiti naturalmente dalla ‘Zingone Strutture’: ma se nella prima esperienza si affiancano ad attività esistenti tipiche della prima fascia consolidata delle coree industriali milanesi, a Zingonia l’aspetto produttivo è consustanziale all’operazione –per altro insediata attraverso una griglia tutt’altro che rigida, a maglia variata, in cui il corso d’acqua guida l’orografia dei quartieri- in cui la trasformazione che si vuole compiere non è solo del territorio ma anche delle consuetudini di vita, con la fine del pendolarismo e il compimento dell’utopia moderna, appunto, della carta di Atene. Una nuova centralità, dunque. Ma senza dimenticare la ragion pratica economica.  

Le cose andranno diversamente da quanto previsto dall'imprenditore romano. L’immigrazione non sarà di tipo ‘orizzontale’, legata cioè all’emancipazione di una delle zone agricole più depresse della padana ma ‘verticale’, da sud verso nord, a corollario della più generale congiuntura economica nazionale. Ben presto poi le richieste non solo  'politiche' dei diversi amministratori dei 5 Comuni costituenti –Zingonia non ha ancora oggi statuto di Comune autonomo- creerà le condizioni di resa di Renzo Zingone che nel ’74 emigrerà a sua volta in sudamerica. Vendendo tutto alla Coima di Riccardo Catella. Ma sono dettagli.

Un caso esemplare dunque, difficilmente ripetibile, conclude Marco Biraghi, di cui il libro è testimonianza.
Un libro che è di fatto una sofisticata brochure del lavoro, sottolinea Matteo Poli raccontando del lavoro svolto per la Biennale, di cui con Marco Biraghi è stato curatore assieme al suo studio, ‘Argot ou la Maison Mobile’.  L’allestimento è una sorta di ‘matrioska’, in cui si colgono passato presente e futuro di Zingonia in stretto legame con la storia d’Italia, rappresentata nei grafici di sfondo alla ‘vetrina’ di allestimento, in cui anche la stupefacente illuminazione ‘simil solare’ utilizzata –frutto di una ricerca Coelux- rende vero simile il tutto.
Il libro invece è stata una scoperta in itinere, e la sua ristampa è apparsa più che efficace a rappresentare la ricerca compiuta anche per la grande attualità della sua grafica, cui sono state aggiunte, oltre che delle foto dello stato attuale, una scheda di inquadramento storico della vicenda.
Oggi la Regione sta acquistando dai proprietari gli immobili fatiscenti perché si renda possibile una operazione di bonifica mediante demolizione e ricostruzione. Con tutto il sospetto verso un atteggiamento speculativo può aprire al futuro. In una cittadina di circa 5.000 abitanti, di cui oltre il 60% di provenienza extracomunitaria.

Zingonia si rifà dunque ad un modello urbano, legato alla circolazione ed accessibilità esistente, non limitandosi a creare una cittadella del lavoro, afferma Franco Raggi.

Renzo Zingone, gli fa eco Marco Biraghi, si definisce costruttore di città, un atteggiamento demiurgico che dopo la realizzazione del quartiere Zingone a Trezzano lo fa sentire in grado di affrontare la città, nel solco liberista del sogno americano, ma ciò che non funzionerà è tutto nell’economia generale del periodo. Era previsto perfino un eliporto, l'adeguamento del corso d'acqua per renderlo navigabile in collegamento alla rete idrica padana, mentre sono stati realizzati un albergo e l’ospedale. Ciò che va in crisi non è il modello insediativo di Zingonia: è che non decolla, non supera la soglia. L’elenco di industrie presenti, oltre un centinaio, è notevole, ma negli anni ’70 la politica diventa via via più ingovernabile, cancellando le condizioni di sviluppo locale adeguate al nostro eroe.

L’intento di migliorare la qualità del territorio oggi passa attraverso il recupero e il riutilizzo, afferma Franco Raggi. La governance si rapporta al capitale finanziario, trasformando la città da minerale a finanziaria: ma come? 

Ugo De Bernardi, CV da developer di lungo corso nonostante l’età, è schietto: non sono urbanista, e guardo i progetti in ottica speculativa –nel senso del vantaggio che possono portare.
Le persone non si portano dove si vuole, viceversa le città vanno dove vanno le persone, solo così si intercetta la domanda. Forse in Cina ancora è possibile pianificare in altri termini, ma qui è così.
Il developer è legato a tempi sempre più stretti, e le previsioni non ammettono ritardi se si vuole mantenere la fiducia dell'investitore. Oggi la città di fondazione è troppo rischiosa.
Rafforza il principio con alcuni esempi a noi vicini:
Milano 2 propose residenza sicura ad una fascia sociale che nei primi anni ’70 vuole uscire dal centro cittadino per ragioni di sicurezza e serenità, senza affiancare alcun elemento produttivo.
Bicocca salva il patrimonio della Pirelli dopo i fiaschi industriali di inizio anni ’80. L’università porterà frequentazione e residenza diversa da quella proposta inizialmente, e salverà l’operazione.
Garibaldi - Repubblica insedia il business center previsto sin dagli anni ’50, intento datato ma che si è dimostrato corretto, anche a fronte del crollo del 2008: la vita verticale è evidentemente una risposta ad una richiesta, e Riccardo Catella era persuaso di questa.
Santa Giulia invece proponeva di portare via Spiga oltre Rogoredo: una idea che non stava e non sta nel mercato.

Ma il ruolo della politica in tutto questo?

Le scelte politiche avrebbero inciso se fossero state più coraggiose: la politica, prosegue Ugo De Bernardi è, infatti, necessaria a definire le vocazioni del territorio, in assenza delle quali il mercato rischia la sovrapposizione dell’offerta, cosa cui di fatto stiamo assistendo. Tanta libertà senza indirizzo non è mai positiva.

Il recupero del patrimonio esistente è necessario, le aziende chiedono spazi diversi, la situazione di stress non sul prodotto finito dipendono dal mercato al contorno. Le dinamiche conseguenti a trasformazioni importanti, come per esempio Garibaldi Repubblica e Unicredit, liberano a loro volta interi edifici in zone pregiate.
Dove potrebbero insediarsi anche forme di produzione di prossimità, fenomeno proprio delle cosi dette smart cities.

Matteo Poli tiene a segnalare un altro aspetto: la memoria dei bambini di allora, rincontrati nelle interviste da loro compiute agli adulti di oggi, dice come i servizi di Zingonia abbiano creato una identità incredibile, memoria collettiva ancora viva.
Anche i capannoni in alcuni casi sono diventati abitazioni, fenomeno che gli suggerisce qualche assonanza a quanto avvenuto nel quartiere Isola di Milano.
Sollecitato da Ugo de Bernardi spiega che la Regione ha acquistato a circa 100€/mq direttamente dagli inquilini anche insolventi, per procedere a demolire e ricostruire.

Il regime condominiale e l’assetto proprietario è in Italia, sottolinea Ugo de Bernardi, un ostacolo insormontabile per questo genere di operazioni. A Berlino, dove il 95% dei condomini è di mono proprietà la sostituzione e manutenzione avviene in modi e tempi estremamente più efficaci. Per un Piano di recupero in cui coinvolgiamo forme di capitale, la struttura condominiale deve essere trasformata in società.

Marco Biraghi allarga la questione dal punto di vista politico: Renzo Zingone supplisce per molti aspetti la politica del suo tempo, che successivamente lo aggredirà, compresi i vantaggi cui attingere. Oggi, ricorda, la politica fa cassa con l’immobiliare.

Il territorio non è privatizzabile, riprende Ugo De Bernardi. Il developer sfrutta il plus valore, ma il valore del territorio deve essere a beneficio di tutti i suoi abitanti. Solo così si alimenta il differenziale che necessita proprio a creare plus valore: se non vi sono indirizzo –vocazioni identificate- e certezze –stabilità- gli investimenti vengono meno.
Londra, per esempio, ha indirizzi chiari, ha pianificato nel 2005 quanto doveva accadere per il 2012, i tempi dello sviluppo sono stati rispettati, e il suo indotto ha creato una liquidità pazzesca ed un grande ricambio. Oggi è al top, tra poco avrà anche lei probabilmente troppa offerta. Ma è di fatto diventata una smart city a tutti gli effetti operativa.
A Milano, in corso Vittorio Emanuele, ci sono edifici completamente vuoti dove potrebbe insediarsi un ottimo produttivo di prossimità: ma qui il problema è che non è concesso.

Già, ma il nuovo Regolamento Edilizio?

Francesco de Agostini

 

 

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