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La Brandizzazione dell’Hotelerie

Dal 20.04.2010 al 20.04.2011

All'interno del Fuori salone di quest'anno, l'Ordine ha proposto un dibattito sulle nuove forme dell'accoglienza, con Antonio Citterio, Jo Ann Tan e Italo Rota

All’interno degli eventi del Fuori Salone di quest’anno, l’Ordine ha organizzato mercoledì 14 aprile una serata dedicata alle nuove forme dell’accoglienza.

Un Franco Raggi scoppiettante ci introduce nel magico mondo del design Hotel, in cui l’albergo viene trasformato in una nuova forma di marketing culturale, la cui immagine deve prevalere per lo meno al pari del servizio.
È degli ultimi vent’anni l’avvento di una storia mistica dell’albergo, con lo Stark New Yorkese o il Minimal londinese dalla tazzina sbrecciata, simboli opposti di una esperienza teatrale di cui il cliente diventa attore, a sua volta parte di un gioco scenografico totale.
Oggi è diventato settore di investimento finanziario: formula di promozione per ‘Brand’ (dire ‘di marca’ appare forse un po’ volgare, ma significa la stessa cosa) di lusso, in cui al normale servizio si assomma una nuova esperienza.

È il caso, secondo peculiarità tra loro molto diverse, di alcune esperienze recenti di Milano presentate in questa serata, un repertorio Classico/Glamour/Moda-design:
- Bulgari, in via Gabba, che dal 2002, con l’arch. Citterio sta sviluppando una nuova catena mondiale;
- Boscolo Hotel Exedra, in corso Matteotti, esperienza sceneggiata di ‘urban hotel’;
- Moschino, in viale Monte Grappa, dove si aprono i mondi eterodossi e di rottura dell’esporre della omonima casa di Moda.

Antonio Citterio nel festeggiare i suoi primi 40 anni di vita dello studio, presenta il progetto Bulgari di Milano come frutto di un fenomeno che ha preso forma negli ultimi 15 anni, definito ‘Brandizzazione dell’hotelerie’.
La più grande società di alberghi al mondo, la Marriott International, già proprietaria della catena Ritz-Carlton Hotel Company, con oltre 1.500 alberghi,  gli manifesta nel 2001 l’interesse ad un ‘concept’ che colleghi il ‘lusso’ e la ‘contemporaneità’, una allora nuova forma di strategia americana che finanziariamente si è nel corso di questi ultimi anni assai ben affermata.

Il sito era un Convitto di Suore, relativamente piccolo, con annessa una piccola chiesa (oggi ristorante) chiuso nel 1975, con di fronte un grande parcheggio, confinante con l’orto botanico di Brera.
Il progetto solleva la quota di campagna di quasi 2 metri, sotterrando in questo modo il parcheggio ma anche permettendo di traslare in copertura la volumetria così interrata, creando per altro uno strano effetto sulla originaria facciata settecentesca, incastonata nell’anonimo volume degli anni ’50, in cui tale soprelevazione riduce il balconcino esistente a 1,5metri di altezza dal suolo….
Di fronte a un così importante giardino, disegnato dall’architetto in modo non forzato, collegato all'Orto Botanico in un continuo straordinario trovandosi nel pieno centro della città, si imponeva un architettura silente, in cui i materiali dessero la percezione della qualità, tradotta dall’architetto in valore che dura: mormorino bianco, Nero Zimbawe, e altri vari tipi di pietra trattati in modi molto diversi tra loro.
Due distinti ingressi per il bar e la reception, ristorante e spa, un parterre pubblico di grande misura, pur trattando tali spazi pubblici come una vetrina, in tutta la sua teatralità.
Le camere -70 in tutto- nel ‘concept’ devono invece farti sentire a casa, rilassare. Anche per questo i bagni programmaticamente affacciano tutti sul giardino, la cui divisione con la camera è decisamente permeabile –tra le prime esperienze in questo senso, oramai acquisita al repertorio.
Raggi chiede se lo stesso Brand in diverse città debba avere lo stesso styling. Citterio vorrebbe mostrare il Bulgari di Bali che, appunto, è totalmente diverso. Si tratta insomma, di interpretare il desiderio.

Jo Ann Tan, della Maison Moschino, racconta l’esperienza svolta all’interno del rapporto con Hotel Philosophy, catena di alberghi impronta tata ad un lusso contemporaneo, di origine italiana, all’interno di un palazzo vincolato dalle belle arti, ex stazione ferroviaria della linea Milano-Monza, all’insegna del binomio Dormire/Sognare, e possibilmente senza uscire dal sogno quando ci si sveglia.
Il tutto all’interno di un Brand, quello di Moschino, che si confronta con termini allegri e giocosi, ben declinati nella sua massima: ‘meglio vestirsi come si vuole che come si deve’.
La hall è caratterizzata da nuvole in pergamena, lampade/vestiti e color del cielo. Il corridoi da una quantità di chiavi appese lungo le luci a linea continua che lo illuminano.
Le camere -65 suddivise secondo 16 diversi progetti, di cui alcuni ripetuti 5/6 volte- sono illustrate da una ricca sequenza di immagini, spiritose e irriverenti insieme, legate al gioco, come quella dedicata a Cappuccetto Rosso con il pupazzo del lupo accanto al letto, dolci in forma di cuscino, Alice nel paese delle meraviglie, l’edera rampicante, ma anche al mondo della moda, con testiere a forma di vestito.
E poi i fiocchi, i cuori, i petali di american beauty, fino al gatto nel blu soffuso.
Raggi si chiede non senza ironia se la manutenzione delle stanze sia sostenibile, e se non spariscano cose.
Ricorda inoltre che i bagni, non si sono visti nelle foto, sono molto professionali –potrebbe averli disegnati Citterio, scherza.

Italo Rota, nel raccontare la sua esperienza, la prende piuttosto da lontano. Dato che siamo 6 miliardi e ½ di persone, è chiaro che c’è spazio per tutti. Ma, ricorda, Freud affermava che i sogni non hanno immagini.
L’albergo ha un rapporto complesso pubblico/collettivo, proseguimento della strada che lo sfiora. Su tre livelli tra loro collegati a tutt’altezza da scale scintillanti, elementi decorativi che esplodono come fari/spermatozoi/tagli nei muri, al centro il braccio di Arlecchino (il servitore di due padroni è il più rappresentato in assoluto) simbolo della milanesità, assieme a geometrie cosmologiche di faretti e led, fino al blu intenso del corridoio che accompagna alle camere.
E ancora: nella spa bolle argentate e luci come stelle, in un’espressione del lusso che –a confronto con Citterio- evidenzia la sua nozione variabile, nicchie come spazi religiosi comprese.
Infine il richiamo alla grande arte di assecondare la maestria artigianale molto milanese di Gio Ponti.
Mostra, a corollario del cangiante concetto del lusso, anche  un suo ristorante albergo a Dubai, dove l’immagine di un pitone diventa 590.000 Swarovski come esperienza della mente e non del corpo (?).

Raggi si chiede ‘in che stato era il tuo committente quando ha visto il progetto?’  Rota spiega che quanto abbiamo visto è  un espressione nel solco della Milano del ‘900, dei Portaluppi, Gio Ponti, cose e personaggi ancora banditi dall’architettura ufficiale. Raggi accenna al fatto che il design ha dimostrato un’altra storia, emancipandosene, cui Rota però contrappone quanto oggi anche il design cosiddetto italiano sia in mano a stranieri.
Raggi torna al rapporto col committente, alla necessità di esprimere con chiarezza l’uso magari estetico della perversione, con Rota oramai lanciato contro metaforici preti protestanti e i medici della mutua che costellano il magico mondo dell’architettura italiana, dei bovari romani vestiti da preti protestanti, e via, architetti bacchettoni. Non c’è fiato per domande, magari per accendere il caminetto, come propone Rota, per scaldare un poco l’ambiente...

Francesco de Agostini

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