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"L'infanzia è un terremoto" di Carola Susani

Dal 01.01.2008 al 31.12.2008

Un libro di Carola Susani a 40 anni dal terremoto: la lettura e il ricordo di Giovanni Russo Arte e rovine: il Belice trema ancora Corriere della Sera 16 gennaio 2008

Le illusioni degli intellettuali, la solitudine delle nuove città 

Con Carola Susani, l' autrice di "L' infanzia è un terremoto", sono tornato, dopo quarant' anni, nei paesi e nei luoghi del terremoto del Belice. Ero arrivato il giorno dopo. A Partanna, al centro di uno stanzone affollato di feriti che serviva da ospedale, era distesa su una brandina una donna appena estratta dalle macerie. Accovacciati intorno ai fuochi, sui bordi delle strade, nelle piazze, bivaccavano gli scampati, con negli occhi le immagini della tragedia e il terrore che la terra ricominciasse a tremare. Tra le rovine ancora calde si aggiravano i sopravvissuti ricoverati nelle tendopoli che cercavano di recuperare un po' dei loro beni davanti alle case spaccate, alle travi contorte. I terremotati a Gibellina, Montevago, Salaparuta, Santa Ninfa tornavano a cercare la «roba». Questa vita che ferveva tra i ruderi, questo affannarsi come formiche che razzolano tra i detriti finì dopo qualche giorno, e calò il silenzio. Quando anni dopo sono andato a Gibellina e a Santa Ninfa dove avevo fatto amicizia con l' allora giovane parroco don Riboldi, ho provato le stesse sensazioni che mi ha dato la rievocazione poetica e l' inchiesta intelligente e appassionata della Susani. Per scrivere un libro sul Belice terremotato, è ritornata con il marito e la figlia a Montevago e a Partanna dove aveva vissuto da bambina in baracca con i genitori architetti, venuti dal Veneto per collaborare alle iniziative per la ricostruzione e lo sviluppo del centro studi di Danilo Dolci e Lorenzo Barbera. L' autrice riferisce i suoi incontri con chi, come sua madre, continua a lavorare nel Belice per attuare i progetti dell' Unione Europea, e descrive le rovine di Montevago che «ci si parano davanti piatte orizzontali tra i lampioni e la chiesa, il grande piazzale di marmo». Viene fuori la solitudine di queste città nuove ma morte quasi come le rovine. Con l' occhio adulto vede anche gli errori e le illusioni che animavano i volontari, rincontra gli amici dell' infanzia, i collaboratori di Lorenzo Barbera, confronta con lui le sue impressioni. A Montevago l' accompagna un amico della madre, Giuseppe Triolo, che è tornato nel paese natale per lavorare ai progetti dell' Unione Europea. Giuseppe critica l' opera di Burri Il Cretto - una colata bianca di cemento che copre le macerie di Gibellina - che invece piace all' autrice, perché la ritiene una sorta di monumento funebre per ricordare che qui una volta c' era una città. Ma per Giuseppe, per i figli dei terremotati è come se avesse espropriato la loro identità. Gibellina è disseminata d' opere d' arte, da Burri a Consagra, per iniziativa del sindaco Ludovico Corrao. Susani ci dà l' eco delle polemiche da lui suscitate per aver trasformato la città distrutta in un luogo d' incontro d' artisti. Anche a me quelle sculture d' avanguardia sembrarono sovrapposte su una tragedia e ad essa estranee. Barbera e Dolci riaffiorano come certe ombre dei gironi danteschi. Erano loro gli animatori delle lotte per la ricostruzione, ma poi si divisero. Dolci considerava le manifestazioni di protesta come testimonianza dei bisogni dei terremotati e non voleva che le assemblee si trasformassero in un giudizio popolare, in un processo allo Stato. L' infanzia è un terremoto è ricerca, biografia, memoria, vicende personali e pubbliche. È una testimonianza dell' idealismo che muoveva tanti a stare nelle baracche, tra i resti dei paesi distrutti. Emergono i nomi di Bruno Zevi, di Evtuscenko, le illusioni degli intellettuali e fatti inquietanti come l' arrivo nella baraccopoli di due bambine tedesche, le figlie della terrorista Ulriche Meinhoff, la presenza ambigua della mafia. Tutto è raccontato con partecipazione, ma anche con giudizio critico e ironia, come quando rammenta a proposito dei comunisti «uno sformato di riso a forma di falce e martello che era immangiabile». C' è il ricordo dei bambini, che giocano sulle rovine: «Nelle città morte ci sguazziamo, la decomposizione non ci fa paura. A Partanna, a cinque anni, io e Luca disegnavamo scheletri addobbati con crinolina e cappelli a larghe tese», perché «nell' infanzia c' è anche questa fascinazione per le rovine». Intanto gli adulti preparano le pratiche, o progettano le case dei nuovi paesi ispirandosi ad un' idea urbanistica che voleva eliminare la distinzione fra centro e periferia per far cessare le divisioni di classe, «né ricchi né poveri». Il risultato dell' utopia dell' Ises (l' Istituto per lo sviluppo dell' edilizia sociale responsabile della ricostruzione), sono i palazzi anonimi, tutti uguali, e gli stradoni di marmo. L' autrice rievoca le battaglie per non pagare le tasse e per non fare il servizio di leva, i colloqui con il colonnello Dalla Chiesa che allora comandava i carabinieri in Sicilia, e le false promesse del ministro della Difesa Tanassi. La trasformazione della società dopo il terremoto ha cancellato quel mondo contadino e ha portato la valle del Belice nell' era postindustriale ma, per merito de L' infanzia è un terremoto, quel mondo scomparso ci resta nel cuore.

Russo Giovanni

 

 

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