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Arrighetti si distingue per ricchezza e versatilità nella realizzazione di piscine, centri religiosi, scuole di diverso ordine e grado e di edifici pubblici in generale, che sorgono sempre accanto agli edifici residenziali. A lui si deve inoltre la realizzazione di uno dei pochi quartieri periferici pensati non come un satellite della città, ma piuttosto come un organismo autosufficiente, in cui i vari edifici e le loro funzioni costituiscono un tessuto connettivo all’integrazione sociale degli abitanti. La figura di Arrighetti, proprio per la sua costante attenzione alle problematiche sociali, compare nella mostra curata da OMA di Rem Koolhaas “Architecture by Civil Servants” realizzata all’interno della XIII Esposizione Internazionale della Biennale di Venezia, in cui i curatori intendevano evidenziare il ruolo degli architetti “impiegati pubblici”, veri e propri “burocrati” dell’edificare, cioè che lavoravano per servire la causa sociale.
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Arrigo Arrighetti nasce a Milano il 17 ottobre del 1922, nel 1940, mentre ancora frequenta l’Istituto tecnico per geometri, viene assunto al comune di Milano come avventizio; nel 1941 si diploma e passa alla Divisione Edilizia Monumentale. Si laurea in Architettura nel 1947 e inizia a collaborare con il Politecnico, come assistente volontario alla cattedra di Tecnica delle Costruzioni e Tecnologia dei Materiali tenuta dal prof. Mario Cavallè. Si manifesta così l’interesse per le strutture in architettura che in seguito sarà fondamentale nelle realizzazioni quali la copertura alla stazione MM di Amendola (1960), la copertura della piscina Solari (1963) la Chiesa San Giovanni Bono (realizzata con Leo e Marco Finzi nel 1964), opere in cui la forma e la struttura si identificano in maniera potente e costituiscono la cifra della sua architettura. Dal 1956 al 1961 è direttore dell’Ufficio Tecnico del Comune di Milano. Dal 1961 al 1970 è direttore dell’Ufficio Urbanistico e contemporaneamente mantiene viva la collaborazione con la Facoltà di Architettura, dove diventa assistente alla cattedra di Urbanistica con il professor Ezio Cerutti. Nei primi anni realizza per conto del Comune di Milano diversi complessi di case popolari, tra cui le case nel quartiere Gabrio Rosa e gli edifici in via Lorenteggio, dove, pur in una varietà tipologica comune (case a schiera e a ballatoio), è visibile un’attenzione ai dettagli costruttivi. Contemporaneamente è impegnato nella realizzazione di edifici destinati ai servizi per la città, come l’Istituto Vaccinogeno Antitubercolare, il mercato comunale di Vialba e la stazione per tram (tutti realizzati nel 1952). Inizia quindi la progettazione di scuole, l’istituto Martin Luther King al Qt8, progettata con criteri innovativi, la scuola di Villapizzone, primo esempio di edificio modulare con strutture in cemento armato. Le scuole costituiscono per Arrighetti un importante campo di sperimentazione formale, come è evidente nella scuola di via Santa Croce. L’azione di Arrighetti sembra giustificare e anche anticipare la riflessione di Gillo Dorfles riguardo […] la necessità di creare edifici nuovi, piuttosto che adattare i vecchi, di evitare l’immissione della popolazione scolastica in palazzi, ville, castelli […] che saranno sempre poco idonei ad accogliere una scuola per l’infanzia e l’adolescenza. E’ invece preferibile che il bambino nell’età più formativa sia immesso entro i locali e l’atmosfera di edifici recenti, creati ad hoc, che gli diano, - sin dai primi contatti, oltre gli immancabili requisiti pratici ed igienici, la sensazione di una “democraticità architettonica e sociale”. Nel 1956 Arrighetti inizia a dirigere l’Ufficio Studi e Progetti, nato per soddisfare l’unità di criteri e organicità della progettazione nel vasto campo dell’edilizia comunale; durante la sua direzione, che si protrae sino al 1961, l’architetto acquista importanza e notorietà a livello nazionale.
Nel 1956 l’ufficio organizza un importante convegno sull’edilizia scolastica dove Arrighetti può esprimere con successo le proprie convinzioni che, partendo dal tema in questione, coinvolgono però aspetti urbanistici, tecnici, pedagogici, economici, puntando anche sulla realizzazione di modelli tipo, capaci di evolversi in base alle nuove necessità. In questo periodo Arrighetti progetta numerosi edifici scolastici, da scuole materne improntate soltanto su 5 classi a istituti tecnici superiori che devono essere dotati, oltre che di aule, anche di diversi laboratori.
Altre innovazioni proposte da Arrighetti e fatte proprie dall’Amministrazione sono quelle che portano alla creazione nei nuovi quartieri di biblioteche decentrate, in modo che gli abitanti potessero avere un servizio nel luogo in cui risiedevano. Prendono vita così le biblioteche rionali di Lorenteggio e di Villapizzone.
Arrighetti progetta inoltre la sede dell’archivio comunale di via Deledda, il palazzo per gli uffici comunali di Largo Treves, la nuova sede della piscina Argelati in via Gola e il bocciodromo coperto al Qt8. Nel 1960 Arrighetti viene proposto per eseguire il progetto degli allestimenti delle stazioni della Metropolitana Milanese. Al suo fianco, per elaborare proposte alternative, vengono chiamati anche altri tre team: uno guidato dall’architetto Carlo de Carlo (1910-1999), uno dall’architetto Gandolfi e uno dai fratelli Achille (1918-2002) e Pier Giacomo Castiglioni. Arrighetti, esegue il progetto nei dettagli, ma della sua opera verrà poi realizzata solo la copertura esagonale della stazione Amendola e una prova di allestimento per la stazione Buonarroti. Nella sua relazione manoscritta Metropolitana di Milano – Intorno alle finiture viene illustrato il progetto di allestimento: i rivestimenti erano tutti in materiale lapideo, non levigato per evitare graffi e scritte, mentre le banchine avrebbero presentato un rivestimento ceramico composto da mattonelle di dimensione 15×3 cm, poste in verticale realizzate in materiale “Mat” a superficie convessa. Per i soffitti e le pareti non rivestite viene preso in considerazione il cemento a vista oppure l’uso di intonaci spruzzati, composti da materiali afonici legati a mastice, più resistenti alle vibrazioni. Per le banchine viene proposto l’uso di un controsoffitto in pannelli in fibrocemento rinforzato di colore presumibilmente bianco, utili ad assorbire vibrazioni e rumore. Il lavoro prescelto risulterà essere quello di Albini Helg con Bob Noorda.
Sempre nel 1961 Arrighetti assume la direzione dell’Ufficio Urbanistica Comunale che manterrà sino al 1963. In questo periodo si occupa della revisione del piano del 1953, ed è impegnato nella progettazione della Spina Centrale del quartiere Gallaratese G1 e G2 e della sistemazione del Monte Stella al Qt8. Realizza nel 1964 il quartiere Sant’Ambrogio I e pochi anni più tardi del Sant’Ambrogio II. Nel 1963 viene nominato Capo Divisione. Nel 1965 diventa assistente al corso di Urbanistica tenuto dal prof Cerutti.
Lascia nel 1979 l’attività presso il Comune di Milano e da allora lavora come libero professionista sino al 1989, anno della sua scomparsa.
Se si tralascia il volume “Arrigo Arrighetti architetto”, curato da Carla Bodino, edito nel 1990, pochi sono i saggi critici che ne prendono in esame l’opera. Tuttavia proprio in un periodo come l’immediato dopoguerra quando la creazione di strutture sociali, è nettamente in secondo piano, specie nelle periferie, che anzi sorgevano spesso prive di qualsiasi servizio, il lavoro di Arrighetti si distingue per ricchezza e versatilità nella realizzazione di piscine, centri religiosi, scuole di diverso ordine e grado e di edifici pubblici in generale, che sorgono sempre accanto agli edifici residenziali. A lui si deve inoltre la realizzazione di uno dei pochi quartieri periferici pensati non come un satellite della città, ma piuttosto come un organismo autosufficiente, in cui i vari edifici e le loro funzioni costituiscono un tessuto connettivo all’integrazione sociale degli abitanti. La figura di Arrighetti, proprio per la sua costante attenzione alle problematiche sociali, compare nella mostra curata da OMA di Rem Koolhaas “Architecture by Civil Servants” realizzata all’interno della XIII Esposizione Internazionale della Biennale di Venezia, in cui i curatori intendevano evidenziare il ruolo degli architetti “impiegati pubblici”, veri e propri “burocrati” dell’edificare, cioè che lavoravano per servire la causa sociale. Tra la fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta - ricordano gli architetti dello studio OMA - ebbero diffusione in tutta Europa grandi studi di progettazione di opere pubbliche. L’eredità di questo periodo è evidente negli edifici pubblici dell’epoca che appaiono tutt’ora moderni e innovativi. Quel periodo - sottolinea Reinier de Graaf, partner dello studio OMA- è stato l’epoca d’oro dell’architettura pubblica: un breve e delicato periodo di ingenuo ottimismo, prima che l’economia di mercato diventasse il brutale comune denominatore. L’opera che viene esposta, unica per l’Italia, è la chiesa di San Giovanni Bono al quartiere sant’Ambrogio I.
Questo itinerario si pone quindi nell’ottica di rivalutare l’attività di un architetto che ha pensato alla città, che stava risorgendo dalle macerie della guerra e che andava trasformandosi sotto l’urto dell’immigrazione, come un luogo ospitale in cui la socializzazione e i contatti umani avessero diritto a luoghi atti ad accoglierli e a favorirli. Con questi obiettivi Arrighetti ha fatto della sperimentazione la guida della propria ricerca progettuale, convinto che l’Architettura (con la A maiuscola) sia un servizio che si presta all’uomo per l’intera sua vita quotidiana e che può contribuire a creare la felicità di chi la abita.