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Anno: 1956 - 1957
Località: Milano, Magenta - S.Vittore
Indirizzo: via Dezza 49
Destinazione d'uso: Edifici residenziali
Progettista: Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli
La casa di via Dezza, ultima residenza di Ponti che abitò l'ottavo piano dell’edificio, assume in sé tutte le sue riflessioni sull’abitazione moderna e ne adotta le invenzioni spaziali. Impostata su un lotto che già ospitava lo studio di progettazione dell’architetto – in un vasto ambiente open-space, ricavato in un garage – la costruzione presenta un fronte strada sviluppato in altezza, in cui si sovrappongono le lunghe balconate che danno il ritmo all’edificio. Ciascuna di esse, nelle intenzioni originarie del progetto, poteva corrispondere ad appartamenti più o meno grandi, modulabili anche in funzione delle vendite, e ogni condomino avrebbe avuto la possibilità di decidere trama e colori delle sue finestre, contribuendo a determinare un’immagine «spontanea» della casa (1956). Ogni alloggio è immaginato come un unico, vasto ambiente (sono chiusi solo i locali di servizio sul lato nord) che nell’appartamento disegnato dall’architetto per la propria famiglia arriva ad inglobare anche le stanze da letto e lo studio, nell’ininterrotta continuità della pianta aperta finalmente realizzata e rafforzata dell’unico pavimento in ceramica, a strisce diagonali.
Gli spazi della casa, schermabili solo all’occorrenza attraverso pareti mobili del tipo “modernfold”, sono corredati da “testiere cruscotto” (attrezzate con ripiani, cassetti, luci, ecc.), mobili “auto-illuminanti” (che si staccano dalla parete), pitture da tavola e finestre, utilizzate come supporto per scaffali e mensole a sbalzo. La trama di ciascuna apertura, che cos’ diventa una finestra arredata, sancisce il limite tra l’ambiente privato e il paesaggio «perché “da dentro” l’esterno si vede sempre attraverso i primi piani dei mobili. E in questo consiste il suo incanto» (1954). Sedie, tavoli e letti sono uguali tra loro e il riconoscimento del proprio spazio domestico è rimandato all’uso di ceramiche, quadri o ricordi di viaggio.
L’attenzione di Ponti si concentra anche sulla necessità di disegnare gli edifici in funzione delle disparità tra visione diurna e notturna, determinata dalla trasparenza e dalle capacità di riflessione dell’architettura contemporanea, fatta principalmente di vetro. Occorre preordinare entrambe le possibili interpretazioni, perché se di giorno le facciate vengono lette principalmente nel loro essere superfici opache, di notte il discorso s’inverte «con rapporti visuali completamente diversi negli spazi e nella costituzione, con abolizione di plastica e rilievo» (1956).